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venerdì 20 novembre 2020

Un prigioniero nel campo di concentramento di Csot. Ungheria Prima Guerra Mondiale

 DIBATTITI

Seguito post di ieri, nota biografica tratta da Wikipedia

sul Tenente cpl. dell’Arma di Artiglieria Mino Maccari

prigioniero di guerra a Csot. Ungheria




Mino Maccari (Siena24 novembre 1898 – Roma16 giugno 1989) è stato uno scrittorepittoreincisore e giornalista italiano, vincitore del Premio Feltrinelli per la Pittura nel 1963

Nasce il 24 novembre 1898 in una famiglia della piccola borghesia senese. Fin da piccolo estroverso e dotato di una vivace intelligenza visiva, è portato verso il disegno libero con il carboncino, ma il padre, professore di lettere, cerca in tutti i modi d'indirizzarlo verso studi umanistici. Completati gli studi secondari si iscrive all'università. Interventista come molti giovani del suo tempo, partecipa a soli diciannove anni come ufficiale di artiglieria di campagna alla Grande Guerra. Alla fine del conflitto riprende a Siena gli studi universitari e nel 1920 si laurea in giurisprudenza; inizia a lavorare presso lo studio dell'avvocato Dini a Colle Val d'Elsa, di dove era originaria la famiglia e dove aveva trascorso l'infanzia presso i parenti; nel tempo libero dal lavoro si dedica alla sua vera passione: la pittura.

Sono questi momenti, fuori da schemi prefissati, nei primi tentativi con la pittura e l'incisione, dove sente di più l'esigenza di dare un senso alla sua vita. Questo periodo molto tormentato del primo dopoguerra trova in Maccari terreno molto fertile per il suo carattere vivace, beffardo e polemico, che lo porta sia a partecipare agli scontri sociali nel paese, sia come personaggio non secondario alla marcia su Roma del 1922. Nel 1924 viene chiamato da Angiolo Bencini a curare la stampa della rivista Il Selvaggio, dichiaratamente fascista intransigente, rivoluzionario e antiborghese, dove gli vengono pubblicate le sue prime incisioni. Dopo alcuni anni di convivenza tra lavoro al giornale e lo studio legale, agli inizi del 1926 lascia la professione forense per assumere la direzione del Selvaggio che terrà fino al 1942.

Nel 1928 è l'autore del piccolo libro pubblicato da Vallecchi (Firenze), Il Trastullo di Strapaese (canzoncine e legni incisi) che raccoglieva canzoni fasciste (lo stesso libro verrà sequestrato più volte ad Antonio Gramscidurante la sua detenzione).[2][3][4]

Per Maccari, come anche per Malaparte, lo squadrismo non deve smobilitarsi prima di aver annientato completamente il vecchio Stato borghese. Deve compiere una rivoluzione palingenetica e costruire un nuovo tipo d'italiano, completamente in antitesi con quello dell'Italia liberale.[5] Ma quando Maccari si renderà conto che il terreno politico è ormai impercorribile per il fascismo intransigente, a causa dell'osteggiata normalizzazione portata avanti da Mussolini, Il Selvaggio cambierà rotta per puntare sul terreno culturale. Per inaugurare questo percorso scriverà l'articolo di fondo intitolato "Addio al passato", che descrive il nuovo indirizzo del Selvaggio, una rivista che deve dedicarsi all'arte, alla satira e alla risata politica, seguendo una tradizione paesana e beffarda all'apparenza ma in realtà sottilmente colta.[5]

La lapide a Siena

Con il trasferimento della redazione del Selvaggio nel 1925 da Colle di Val d'Elsa a Firenze, Maccari collabora con Ardengo SofficiOttone Rosai e Achille Lega. Nel frattempo, negli anni che vanno dal 1927 al 1930, si fa conoscere al grande pubblico come pittore partecipando a varie mostre nazionali. Sempre nel 1930 Maccari lavora a Torino a La Stampa come caporedattore e ha come direttore lo scrittore Curzio Malaparte.

La sua presenza nel mondo culturale ed editoriale del regime fascista è molto intensa, scrive e collabora a diverse riviste: QuadrivioItalia letterariaL'Italiano e Omnibus di Leo Longanesi; poi, durante la guerra, su il Primato di Bottai e, successivamente ancora, su Il Mondo di Pannunzio, fino a Documento di Federigo Valli. Vasta anche la sua produzione grafica che va da l'Album di Vallecchi (1925), Il trastullo di Strapaese (1928) aLinoleum (1931). Maccari illustra nel 1934 La vecchia del Bal Bullier di Antonio Baldini e nel 1942 pubblica la cartella Album, cui seguono Come quando fuori piove e Il superfluo illustrato.

Per la sua opera pittorica ricca di evidenti accentuazioni cromatiche e pennellate veloci, il disegno violento unito al tratto vivo del segno grafico delle sue incisioni, viene riconosciuto dalla critica artista completo. Nel secondo dopoguerra continua ancora ad acquisire riconoscimenti, merito di un prolifico lavoro creativo, e a presentare mostre personali. Nel 1962 gli viene anche affidata la presidenza dell'Accademia di San Luca a Roma e riesce ad ottenere una mostra personale alla Gallery 63 di New York. Sterminata è la sua produzione di disegni, acquarelli, tempere ecc., a volte in collaborazione con case editrici di prestigio; merita citare, solo come ottimo esempio, i 32 disegni in b/n e a colori con i quali illustrò Il gusto di vivere, volume che raccoglie scritti di Giancarlo Fusco, curato da Natalia Aspesi e pubblicato dalla Laterza nel 1985. Maccari, senese e grande contradaiolo della Torre, dipinse il Palio del 16 agosto 1970 vinto dalla Selva.

Muore senza grandi clamori, in silenzio, novantenne, a Roma il 16 giugno 1989.

È sua la famosa frase spesso erroneamente attribuita all'amico Ennio Flaiano: «Il fascismo si divide in due parti: il fascismo propriamente detto e l'antifascismo».[6][7] Sempre Flaiano in Diario Notturno riporta un'altra famosa frase dell'artista: «Ho poche idee, ma confuse».[8][9][10]

Marcello Staglieno ha descritto Maccari con queste parole:

«Più ruvido e aspro rispetto all'elegantissimo Longanesi, ma insieme più "colto" (e all'apparenza sembra vero il contrario) per più schiette radici nell'anima popolaresca italiana, il talento corrosivo di Maccari nascondeva sempre, in un misto di svagatezza e di ferocia, una profonda malinconia. Consapevole d'appartenere a una razza rara in estinzione, anche lui, come Longanesi, sghignazzava per non singhiozzare. I suoi sberleffi, a sfogliare la collezione del Selvaggio (1924-1943) sono una cronistoria dei mali italiani, ed europei.»

(Marcello Staglieno[11])

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