APPROFONDIMENTI
La comunicazione tra
politica e guerra
dalle cartoline di propaganda alle foto
Sergio Benedetto Sabetta
Partendo
dalla nota affermazione di Clausewitz (Pensieri sulla guerra): che la guerra
non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi, in epoca di
pandemia, chiusure totali e parziali, richiami a donativi per la Nazione
(Protezione Civile), accuse reciproche e minacce di guerre economiche, con
possibili nuove guerre guerreggiate, è utile porre l’attenzione sulla
comunicazione quale propaganda politica con un linguaggio bellico, in presenza
di una possibile rinnovata guerra fredda.
In tutto questo possiamo richiamare
quanto affermato da Armand Mattelart: “la comunicazione è qualcosa che serve
innanzitutto a fare la guerra” (La Comunicazione Mondo, Il Saggiatore, 1997),
una affermazione che nella sua durezza evidenzia che :
“Logica della guerra e logica della comunicazione si
alimentano a vicenda e costantemente: durante le operazioni militari si
sperimentano i mezzi di comunicazione e,
parallelamente, la comunicazione trova nella guerra il contesto più idoneo a
esaltare il ruolo e l’uso sociale dei media.
Le guerre contemporanee hanno avuto di fatto una funzione
essenziale dal punto di vista dell’innovazione dei mezzi di comunicazione, sia
a livello tecnologico, sia a livello sociale, per avere accelerato la
diffusione dei media di massa e di forme di fruizione precedentemente più
ristrette”. ( Rega, Propaganda, mezzi di comunicazione e guerre globali, in
Costruire un nemico, a cura di Nicola Labanca, Camillo Zagra, Unicopli, 2011).
Dobbiamo
considerare l’enorme sofferenza in vite umane e distruzioni che la moderna
guerra industriale comporta, ne consegue la necessità di agire sulla
popolazione attraverso i mezzi di comunicazione per motivarla e aumentarne la
resistenza psicologica.
Si
interviene sui tre livelli: dell’esperienza diretta, della narrazione e della
percezione, non solo censurando ma creando innanzitutto una narrazione adeguata
che permetta una lettura dell’esperienza diretta tale da dare la percezione
voluta nella collettività.
Si ha in tal
modo operativamente una distinzione tra propaganda e informazione, anche se di
difficile riscontro a livello di singolo cittadino, fino a diventare nella
Seconda Guerra Mondiale “guerra psicologica” verso il nemico.
Una tecnica
ulteriormente perfezionata nell’era di internet e dei social, attraverso le
guerre della seconda metà del Novecento (Rega), dove con tecniche da “wargame”
si anestetizza la ferocia e il dolore per esaltare l’efficienza dei nuovi mezzi
tecnici e la capacità di intervenire “chirurgicamente”, riducendo ad errore i
pochi presunti danni “collaterali”.
Il passaggio
da una propaganda puramente “militare” fondata sull’esaltazione delle virtù
guerriere nazionali ad una totalitaria, tale da coinvolgere tutta la
popolazione, si ha con l’intervento americano tra il 1917 e il 1918.
Wilson,
grazie al dissolversi dell’autocratico impero zarista nel 1917, introduce la
speranza in una guerra ultima, destinata a portare giustizia e libertà contro
gli Imperi autoritari del vecchio continente.
La proposta
della creazione di una Società delle Nazioni dove risolvere diplomaticamente i
conflitti, secondo uno spirito illuministico, rafforza l’idea di una lotta tra
libertà e autoritarismo.
Forza
economica e militare vengono a congiungersi con l’idealismo wilsoniano,
espressione del mito americano del “nuovo mondo”, un fine ultimo per cui è
giusto sacrificarsi e che permette di controbattere in termini liberali alla
nascente propaganda sovietica, sottraendo le masse che la Grande Guerra ha
lanciato nella Storia.
Proprio
Caporetto e la paura di una rivolta, come in Russia, dell’esercito costituito
prevalentemente da contadini, stanchi dell’inutile e infinito massacro, spinge
la disorientata élite borghese ad abbracciare con entusiasmo l’arrivo del nuovo
messaggio portato dalle organizzazioni USA della CRA (Croce Rossa Americana) e
dell’YMCA (Young Men’s Christian Association), a cui si affinca il 332°
Reggimento “Ohio” con fini prevalentemente propagandistici presso l’Esercito
italiano.
La
propaganda si unisce all’assistenza che si estende a tutta la Nazione, sia con
donativi in beni materiali, con creazione di campi profughi e centri medici,
che con offerte di denaro ai più bisognosi e meritevoli; tanto che il 65% degli
aiuti della CRA andò alla società civile.
In questa
azione si inseriscono le cartoline, mezzo di propaganda potente in una Nazione
con un elevato tasso di analfabetismo e dove radio e cinema, sebbene
incrementati, non erano largamente diffusi.
Si ha così
la circolazione di milioni di cartoline spedite ed inserite dovunque che, nel
passare da uno all’altro, moltiplicano il messaggio, rendendolo suggestivo
nella sua semplicità (Rossini).
A queste
organizzazioni operative sul territorio si affianca nel 1918 il CPI (Committe
on Public Information), organizzazione che, nata per la propaganda negli USA,
estende la sua opera all’Europa con funzioni esclusivamente propagandistiche
attraverso giornali, conferenze, proiezioni e stampe di cartoline ed opuscoli.
Nel
contrastare il modello sovietico gli americani promossero gli ideali di
libertà, giustizia, democrazia e pari opportunità che, se nell’immediato
coinvolsero le masse nel sostegno bellico contro gli autoritari imperi
centrali, sottraendoli alla propaganda sovietica, nel futuro sconvolgevano le
rigide strutture della società europea.
Seguirà con
la fine della guerra e la creazione delle aspettative irrealizzate un biennio
rosso e la conseguente reazione con il PNF, nella cui propaganda emerge il
recupero dei miti nazionalisti secondo le innovative procedure propagandistiche
elaborate durante la Grande Guerra, ma con una attenzione particolare per le
esigenze delle masse popolari considerate fronte interno.
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