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mercoledì 16 ottobre 2024

Italia: la sua geopolitica vicina

 UNA FINESTRA SUL MONDO


Carta: Fonte LIMES Rivista Italiana di Geopolitica

L'Italia ha tre aree di intervento geopolitico: i Balcani, la Libia e il LIbano. 

I Balcani sostanzialmente sono in equilibrio e la presenza italiana è compensata  dal fatto che ormai l'area è stabilizzata. I Governi locali guardano più alla Germania che all'Italia e l'Euro rappresenta un forte punto di ancoraggio

Dalla LIbia, nonostante tutta la buona volontà siamo stati estromessi dai Russi in Tripolitania e dai Turchi in Cirenaica. Dal Fezza e zone meridionali praticamente ci siamo ritirati da soli

In LIbano abbiamo forze consistenti di interposizione, a livello di Brigata rinforzata sotto l'egida dell'ONU (UNIFIL). L'azione di Israele mette in discussione la nostra presenza. In pratica ci chiede di andarcene. La Russia domina la Siria ed abbiamo alle spalle gli oltre 70.000 schiti di Hetzbollath dipendenti dall'Iran. In pratica la nostra presenza è estremamente condizionata e in prospettiva di medio termine la nostra influenza tednerà a ridursi sempre più

martedì 15 ottobre 2024

1940. La propaganda

ARCHIVIO




 Come la stampa nazionale riportava le giustificazioni della aggressione della Germania alla Polonia

 

lunedì 14 ottobre 2024

Prospettive. La difficoltà di vivere il presente Brescia

 DIBATTITI

Il Nastro Azzurro compie cent’anni. 

Considerazioni sul presente per costruire il futuro

Non poteva mancare in una pubblicazione come questa la voce del Sindaco della città. Non solo perché anche il gonfalone di Brescia si fregia di una medaglia d’oro a ricordo delle eroiche Dieci giornate, di una croce al merito di guerra per le sofferenze subite nella prima guerra mondiale e di una medaglia d’argento al valor militare per la lotta di liberazione sostenuta dal 1943 al 1945, ma perché tutte le medaglie che sono andate a fregiare il petto di tanti bresciani appartengono, simbolicamente, alla comunità che il comune capoluogo può rappresentare.

Il compiacimento profondo e sincero che desidero esprimere su queste pagine riguarda tutti i bresciani: da quelli nati in città a quelli vissuti alle pendici delle Alpi, dagli abitanti della pianura a quelli delle valli e dei laghi, ad essi va oggi il mio ringraziamento che si estende a tutti, ai viventi come ai Caduti, a coloro che ebbero la più alta delle onorificenze come a quelli che si poterono fregiare della croce di guerra.

Perché in ogni caso la loro presenza ideale, oggi, attraverso queste pagine, ha il valore di un esempio irripetibile. E poiché quest’esempio ci viene riproposto per la passione e l’abnegazione e il sentimento d’amor patrio di pochi entusiasti, desidero esprimere anche a loro il ringraziamento della gente bresciana.

Oggi in particolare c’è bisogno di tutto questo. Oggi, di fronte al dissolversi delle idealità e soprattutto davanti alla constatazione della perdita di una coscienza della dignità umana, della libertà, della giustizia, della democrazia la riproposta di un sacrificio, di una capacità di lotta e di dedizione significa senza alcun dubbio un invito a riprendere la strada che già condusse l’Italia dalla sottomissione allo straniero fino all’autonomia e all’unità. Troppo spesso si dimentica il valore della Patria e ciò che ad essa è intimamente connesso. Dimenticarlo significa perdere il senso della comunità e quindi, in una certa misura, anche il senso dell’appartenenza ad un popolo, ad una nazione di cui dobbiamo invece sentire sempre di più il legame e la discendenza.

[…] Da queste pagine ognuno potrà trarre motivo di conforto e, ad un tempo, di speranza. Conforto per quanti ritroveranno in esse il ricordo di un padre, di un fratello, di un congiunto, speranza per coloro che ancora credono nella capacità dell’uomo di restituire alla società i valori autentici e irrinunciabili che sempre hanno costituito l’essenza della civiltà. Di questi valori i decorati furono e sono l’espressione viva. Rendere loro omaggio significa rendere omaggio alla comunità bresciana che in essi si rispecchia e si riconosce.

Nei loro profili, nella descrizione del gesto in cui si concretò il loro eroismo, possiamo ben leggere oggi l’anima forte, lo spirito retto, il coraggio che hanno sempre guidato la nostra storia e guidano oggi la nostra giusta aspirazione ad un mondo migliore”.

Scrive queste note per la prefazione allo “Albo d’oro dei decorati al Valor Militare di Brescia e Provincia” il sindaco di Brescia Bruno Boni nel febbraio del 1973, cinquant’anni fa. Parole che non sono cadute nel vuoto ma che, soprattutto, sono ancora attuali, oggi che l’Istituto del Nastro Azzurro fra combattenti decorati al Valor Militare che ha realizzato l’Albo festeggia e commemora i cent’anni. Ancora oggi è attuale chiedersi il significato del sacrificio per la Patria, variamente compiuto fino al gesto estremo del sacrificio della vita. E davanti alle molteplici scene di guerra e guerriglia che ci arrivano da molte parti del mondo, la domanda su cosa e come faremo noi per la difesa del nostro Paese, della nostra cultura e tradizione, di noi stessi, non è così vana o così desueta come potremmo pensare. O come potevamo pensare soltanto poco prima di una escalation di distruzione che sembra riappropriarsi pericolosamente dell’essere umano ogni dove, ciclicamente. Oggi che la società è cambiata, c’è ancora posto per capire cos’è dedicarsi alla Patria, senza tergiversare e senza pensare che ci sia qualcun altro a doverlo fare?

Sono passati cinque decenni da quando Bruno Boni, sindaco di Brescia per quasi ventisette anni, affermava che si stavano dissolvendo le idealità ed oggi ce lo dobbiamo chiedere ancora, non tanto come giudizio pessimistico sul presente, ma come presa di coscienza di dove fare andare la strada che continuiamo a costruire giorno per giorno.

La scelta di celebrare un centenario dedicandosi alle storie dei decorati al Valor Militare, ad esempio, è un modo per onorare la memoria di chi ci ha preceduto e per assicurare che quanto è stato fatto, e quanto è stato scritto, non va mai perduto, fino a quando ci sarà una frase, una parola che incuriosirà, che stupirà, che farà sorgere la domanda “perché ha fatto questo?”. Ripercorrere le motivazioni delle decorazioni, infatti, è una scoperta e una riscoperta della Storia. Per me che ho sempre amato lasciare la parola ai protagonisti, andando a cercare le biografie delle vite delle persone comuni, aprire l’Albo d’oro dei decorati al Valor Militare, e quello di Brescia e Provincia è particolarmente corposo, è un lasciare centinaia e centinaia di persone rivivere attimi, paure, speranze, desideri che tutto quello che stavano vivendo avesse un senso e permettesse ai posteri di continuare a vivere.

Commemorare i propri Caduti non significa in nessun modo evadere dal presente per rifugiarsi nel passato: significa invece chiarire i valori, riscoprire presenza, che sono attuali in ogni memento, ma soprattutto ai nostri giorni”, scriveva nella sua prefazione all’Albo d’oro di Brescia il professor Sandro Fontana, all’epoca assessore alla Cultura della Regione Lombardia. “Questi caduti […] hanno cementato, con il loro sacrificio, l’unificazione della società italiana e la sua continuità storica: i valori in cui essi hanno creduto si collocano alle fondamenta dello Stato italiano”.

Ecco, cent’anni dopo siamo qui, ci siamo, a spolverare medaglie e monumenti per farli sembrare odierni e dare loro quel ruolo di insegnanti in una società che non reputo così distratta come si vuole far credere tra un’opinione superficiale e l’altra. Alla fine, chiusi nei libri o nelle coscienze, ci sono i sentimenti profondi che legano le generazioni le une alle altre e che regalano le stupefacenti capacità dell’umanità tutta.

Infatti, anche noi dell’Istituto del Nastro Azzurro siamo coglitori del testimone del Regio Viglietto del 26 marzo 1833 con il quale il re Carlo Alberto istituiva la Medaglia d’Oro e la Medaglia d’Argento al Valor Militare, motivo per il quale si volle fondare l’Istituto proprio il 26 marzo di quel 1923 di cent’anni fa.


Alessia Biasiolo, CESVAM

Vicepresidente della Federazione di Ancona




domenica 13 ottobre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941). Etiopia. XI Parte La Fauna

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

 Progetto Prigionia  2021/1



LA FAUNA. La fauna etiopica è ricca specialmente nella regione meridionale dei laghi e nel bacino dell'Omo. L'ippopotamo vive numeroso in tutti i fiumi della Somalia, gli elefanti si riscontrano in grandi branchi nel bacino dell'Omo, nell'altipiano del Tertale, sul Giuba e sull'alto Uebi Scebeli. Il leone è comune nella Somalia, al pari de leopardo. Numerose sono le antilopi e le gazzelle, frequente lo zibetto; uccelli dai colori vivaci e dalle piume ricercate, come i marabù, le aigrettes, gli struzzi, arricchiscono il territorio. Nelle acque dolci dei fiumi specie nel territorio dei Sidama, dei Borana, ecc. abbonda anche il coccodrillo; in numero considerevole sono le testuggini, le lucertole, ecc1



1Manetti C., Caratteri geografici dei territori dell’Impero e Storia delle loro Esplorazioni, in Sillano T., L’Impero (A.O.I.). Studi e Documenti, Roma, La Rassegna Italiana, 1937 pag. 85-93



Tipi di genere  etiopi


sabato 12 ottobre 2024

L’Italia e la Conferenza di Wersailles: L’obiettivo strategico ignorato

 


Le potenze vincitrici della prima Guerra mondiale sono sostanzialmente quattro: la Francia, la Gran Bretagna gli Stati Unti e l’Italia. Teoricamente alla Conferenza per la pace indetta a Wersailles partecipavano tutte e quattro su un piano di parità. Dovevano decidere come riorganizzare il sistema mondo ridisegnando i nuovi equilibri, modificando quelli che erano stati disegnati nel 1815 a Vienna dopo la sconfitta napoleonica.

L’Italia ebbe la sua grande occasione storica di dimostrare di essere una Grande Potenza.

In realtà l’Italia in termini di requisiti per essere definita tale, ne aveva uno solo: la popolazione, ovvero la forza lavoro produttiva. Militarmente aveva una industria ipersviluppata per via della partecipazione alla Grande Guerra, ma sul piano politico le altre potenze avevano sempre considerato il fronte italiano un fronte secondario, e per giunta la condotta italiana non certo brillante avendo avuto fasi alterne e in certi momenti anche tragiche. Sil piano industriale generale, compresa l’industria degli armamenti, agli aspetti positivi si contrapponeva il grave problema della totale dipendenza dai capitali statunitensi, sia per i crediti esistenti che per la sussistenza generale, come ad esempio la importazione di grano di cui l’Italia era totalmente dipendente dall’estero. L’approvigionamento delle materie prime strategiche era tale che l’Italia dipendenva dai mercati internazionali e da un mondo che era uscito sconvolto dalla prima guerra mondiale. Ovvero non aveva certezza lacuna. Da un momento all’altro l’Italia poteva crollare e finire nel caos senza che potesse opporre qualsiasi azione. Alla Confrenza di Wersailles questo era noto a tutti, meno che ai nostri rappresentanti sia politici che diplomatici che invece si sentivano i padroni del mondo, al centro di ogni decisione globale.1 Il vero obiettivo che dovevano perseguire era quello di avere un area da dove attingere le materie strategiche primarie per tenere in piedi l’industria nazionale e dare quindi stabilità ad una economia che era sempre sull’orlo del fallimento.

Sopratutto petrolio e carbone dovevano essere approvvigionati da aree sotto il controllo diretto italiano, in qualsiasi parte del mondo. Non avendo chiaro questo obiettivo strategico primario, i nostri rappresentanti andarono a Wersailles perseguendo obiettivi secondari, perdendo ogni credibilità e peso specifico e avviandosi ad una sconfitta diplomatica che fu la genesi di tante amare tragedie del primo dopoguerra


1Wenster R.A., Una speranza rinviata. L’espansione industriale italiana ed il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, in Storia contemporanea, Anno XI, Aprile 1980, n. 2 . Bologna, Società Editrice Il Mulino, 1980, pag219 e segg.

giovedì 10 ottobre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941). Etiopia. X Parte La Flora

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

Progetto Prigionia, 2021/1


Tipi di genere in Etiopia


La flora dell'Etiopia varia col variare delle diverse regioni agrarie considerate. La zona bassa o del Samhar comprende diverse specie xerofile, fra cui l'Acacia mellifera. A. orfota, e poi Capparis, Ricinus, Tamarix, Suaeda, ecc.

Nella zona dancala si incontrano formazioni di Hyphaene danka- lensis; nel bassopiano sudanico le palme dum (Hyphaene nodularia). Nella zona delle pendici più basse o del Quollà troviamo molte combretacee, Acacie (A. glaucophylla, orfota, ecc.), piante sempreverdi come la Grataeva religiosa, l'Aloe, l'Ampelocissus abyssinicus, il Baobab, l'albero dei salami o Kigelia aethiopica.

II Woina Degà possiede l'olivo selvatico, la Smilax aspera, la Pistacia lentiscus, il Mirtus communis, l'Erica arborea. Vi si trovano anche vecchie conoscenze come il Celtis, lo Juniperus, l'Osyris, il Ramnus. il Rhus, il Rubus, il Thymus ed altre piante ben note.

La zona del Degà, o zona alpina del Tancredi, ha in Eritrea gli stessi caratteri della precedente, sebbene possegga alcune specie che non furono trovate nel Woina Degà. Tali sono l'Antithtrixia abyssinica, l'Apodytes dimidiata, il Ficus capensis, la Pistacia lentiscus, ecc.


mercoledì 9 ottobre 2024

Il Testo della sentenza della Corte di Cassazione in merito al Sacrario di Redipuglia.

 NOTIZIE CESVAM

Corte di Cassazione

Penale Sentenza Sezione. 3 Numero. 24271 Anno 2024

Presidente: RAMACCI LUCA Relatore: CORBETTA STEFANO

Data Udienza: 09/05/2024


SENTENZA

sui ricorsi proposti da Owusu Frimpong Emmanuel, nato a Udine il 06/11/1993 Piras Matteo Antonio, nato a Latisana il 21/07/1994 avverso la sentenza del 11/07/2023 della Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta; letta la requisitoria redatta ai sensi dell'art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; lette memoria e le conclusioni del difensore degli imputati, avv. Daniele Vidal del foro di Udine, che insiste per l'accoglimento dei ricorsi; lette la memoria e le conclusioni del difensore della parte civile Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valor Militare, avv. Laura Ferretti del foro di Pordenone, che chiede la conferma della sentenza impugnata, con condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali, come da nota spese allegata.”


RITENUTO IN FATTO

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Trieste ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Gorizia all'esito di giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, la quale aveva condannato Emmanuel Owusu Frimpong e Mattia Antonio Piras alla pena ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa subordinatamente alla corresponsione del risarcimento del danno liquidato in favore della costituita parte civile, in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 408 cod. pen., perché, in concorso tra loro, in assenza di qualsivoglia autorizzazione, realizzando ed interpretando un video musicale che li ritraeva mentre erano intenti a ballare e a cantare una canzone dal titolo "CSI - Chi sbaglia paga" all'interno dell'area del Sacrario militare di Redipuglia, ed, in particolare, sopra i gradoni ove sono sepolti i resti dei soldati caduti nella prima guerra mondale, e, in seguito, pubblicandolo on line su un canale YouTube, vilipendevano le tombe e il luogo che è destinato a mantenere viva ed onorata la memoria dei militari caduti. 2. Avverso l'indicata sentenza, gli imputati, per il ministero del comune difensore di fiducia, con il medesimo atto hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo: - con un primo motivo, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408 cod. pen. per errata valutazione dell'elemento soggettivo, in quanto la Corte di merito non ha affatto motivato in ordine alla sussistenza del dolo, essendosi unicamente focalizzata sulla conclamata sacralità del luogo in cui si è tenuta la condotta, e considerando la finalità di espressione artistica - e non già offensiva - che ha animato gli imputati; - con un secondo motivo, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408 cod. pen. per errata valutazione dell'elemento oggettivo, mancando una condotta di vilipendio, posto che i gli imputati si sono limitati a cantare una canzone, il cui contenuto, peraltro, non ha nulla di offensivo o di dispregiativo; - con un terzo motivo, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408 cod. pen., avendo la Corte d'appello fondato l'affermazione della penale responsabilità su elementi inconferenti, quali il pericolo di emulazione e la mancanza di autorizzazione alle riprese; - con un quarto motivo, l'illogicità della motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati e non avendo la Corte di merito valutato la condotta dell'imputato Owusu, il quale, in seguito, sui canali sodali, ha manifestato le proprie scuse;


- con un quinto motivo, la mancata esclusione della parte civile Associazione del Nastro Azzurro, la quale non ha alcuna specifica finalità connessa con il sacrario di Redipuglia, né con la memoria dei caduti, e l'abnormità della quantificazione del risarcimento del danno, che non è sorretta da alcuna motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono, nel complesso, infondati. 2. Cominciando dal secondo e dal terzo motivo - che rivestono priorità logica essendo diretti a contestare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato - gli stessi sono infondati. 3. Il bene tutelato dalle fattispecie delittuose racchiuse nel Capo II del Titolo IV del Libro II del codice penale - ove è collocato l'art. 408 cod. pen. - va individuato, come chiaramente emerge dalla stessa intitolazione della rubrica, nella "pietà dei defunti", da intendersi nel senso di pietas: locuzione che designa quel diffuso e sentimento, individuale e collettivo, il quale si manifesta nel rispetto tributato ai defunti ed alle cose destinate al loro culto nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura. La pietas per i defunti, in particolare, è un sentimento che attiene all'essere umano in quanto tale anche quando ha cessato di vivere, come proiezione ultraesistenziale della persona, e ciò indipendentemente dall'adesione a un particolare credo religioso, come, del resto, lascia chiaramente intendere la suddivisione dei Capi contenuti in questo Titolo, che distingue, appunto, i "Delitti contro le confessioni religiose" - rubrica introdotta dall'art. 10, comma 2, I. 24 febbraio 2006, n. 85, che ha sostituto la precedente "Delitti contro la religione dello Stato e dei culti ammessi" - dai "Delitti contro la pietà dei defunti". Se l'intero Capo ruota attorno al medesimo bene giuridico, emerge una partizione interna tra le prime incriminazioni (artt. 407 - 409 cod. pen.), il cui oggetto materiale è legato al culto dei defunti ed al sentimento di pietà che esso suscita, e le fattispecie successive (artt. 410-413 cod. pen.), poste a salvaguardia delle spoglie mortali e, quindi, del medesimo sentimento che le stesse evocano. In particolare, la condotta di vilipendio punita dall'art. 408 cod. pen. - che deve avvenire «in cimiteri o altri luoghi di sepoltura» - ha ad oggetto «tombe, sepolcri o urne», oppure «cose destinate al culto dei defunti», quali croci, cappelle, immagini, lampade, fiori e tutti gli oggetti finalizzati alla memoria del defunto, ovvero cose destinate «a difesa o ad ornamento dei cimiteri», come muri, porte, monumenti, piante dei viali.


Di conseguenza, oggetto specifico della tutela apprestata dall'art. 408 cod. pen. è quel profilo della pietà dei defunti, che si declina attraverso il rispetto della sacralità del luogo di sepoltura e delle cose mortuarie destinate al ricordo dei defunti. 4. L'elemento oggettivo del reato consiste in un'azione di "vilipendio", termine che compare in diverse disposizioni codicistiche di parte speciale - specie tra i delitti contro la personalità interna dello Stato (artt. 290, 291, 292), oltre che, appunto, tra i delitti raggruppati nel Titolo IV (oltre all'art. 402, dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 508 del 2000, gli artt. 403, 404 e 410)- , di cui però la legge non offre, in nessuna disposizione, la nozione. Come suggerito dalla Corte costituzionale con riferimento alla fattispecie prevista dall'art. 290 cod. pen., il termine "vilipendio" va inteso "secondo la comune accezione del termine", e "consiste nel tenere a vile", il che significa, con riferimento al delitto di vilipendio della Repubblica, "ricusare qualsiasi valore etico o sociale o politico all'entità contro cui la manifestazione è diretta sì da negarle ogni prestigio, rispetto, fiducia, in modo idoneo a indurre i destinatari della manifestazione (sent. n. 20 del 1974). Se, dunque, il vilipendio deve essere inteso nel suo significato letterale, le fattispecie che lo prevedono come elemento costitutivo del fatto sono delineate come reati a forma libera, stante la molteplicità di condotte attraverso cui può manifestarsi il sentimento di disprezzo, scherno o dileggio, cambiando unicamente, a seconda delle diverse disposizioni incriminatrici, l'oggetto su cui deve incidere la condotta di vilipendio.


5. Con specifico riguardo al delitto qui al vaglio, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, rientra certamente nell'ambito di operatività della fattispecie di cui all'art. 408 cod. pen. il compimento di atti di disprezzo su cose deposte nei luoghi destinati a dimora dei defunti ed aventi la funzione di evocare il sentimento di pietà nei loro confronti che rechino danno alle stesse, le lordino o vi imprimano segni grafici vilipendiosi ovvero ne comportino la rimozione, anche parziale, con eventuale sostituzione con altre diverse per significato, origine e rilevanza sociale (Sez. 3, n. 43093 del 30/09/2021, Albertario, Rv. 282298-01; Sez. 3 n. 4038, del 29/03/1985, Moraschi, Rv. 168901). Inoltre, come si desume dalla locuzione impiegata nell'art. 408 cod. pen. - la quale incrimina il vilipendio "di", e non "su", tombe, sepolcri o urne, cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri - assumono penale rilevanza anche semplici espressioni verbali o comportamenti che non ricadano sulla cosa in modo tale da produrne una modificazione esteriore visibile, purché,ovviamente, meritino l'appellativo di "vilipendio", ossia esprimano disprezzo o profanazione verso le cose poste nei luoghi di sepoltura indicate dalla norma.


6. Va doverosamente precisato che spetta al giudice il compito di uniformare la previsione astratta di reato al principio di offensività: esigenza tanto più avvertita quanto più la condotta punibile sia individuata dal legislatore mediante l'impiego di termini aventi un'ampia latitudine semantica, quale certamente è il "vilipendio". Come costantemente predicato dalla Corte costituzionale, il principio di offensività - la cui matrice costituzionale è ricavabile dall'art. 25, secondo comma, Cost. (sentenza n. 211 del 2022), in una lettura sistematica cui fa da sfondo l'«insieme dei valori connessi alla dignità umana» (sentenze n. 225 del 2008 e n. 263 del 2000) - opera su due piani distinti: da un lato (offensività "in astratto"), come precetto rivolto al legislatore, il quale non può sottoporre a pena fatti che, nella loro configurazione astratta, non esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione; dall'altro (offensività "in concreto"), come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, deve escludere dall'area del penalmente rilevante quei fatti che, sebbene formalmente conformi al tipo legale, in concreto si rilevino inidonei a ledere o a mettere in pericolo il bene tutelato (cfr., ex multis, sentenze n. 139 del 2023, n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 2019, n. 109 del 2016, n. 265 del 2005, n. 263 del 2000 e n. 360 del 1995). Di conseguenza, come affermato la Corte costituzionale, «il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario, nell'esercizio del proprio potere ermeneutico (offensività "in concreto"). Esso - rimanendo impegnato ad una lettura "teleologicamente orientata" degli elementi di fattispecie, tanto più attenta quanto più le formule verbali impiegate dal legislatore appaiano, in sé, anodine o polisense - dovrà segnatamente evitare che l'area di operatività dell'incriminazione si espanda a condotte prive di un'apprezzabile potenzialità lesiva» (sentenza n. 225 del 2008). Nella ricognizione, nel singolo caso, del "vilipendio" penalmente rilevante ai sensi dell'art. 408 cod. pen., il giudice deve perciò valutare la condotta con riferimento al bene giuridico tutelato dalla norma, come sopra definito, e accertare che i gesti o le espressioni, anche se non diretti immediatamente contro le res contemplate dalla norma, producano, in concreto, la lesione del rispetto del luogo di sepoltura e delle cose mortuarie, e, quindi, del senso di pietà ispirato dal ricordo del defunto che necessariamente ad esso consegue.


7. Venendo al caso in esame, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo ravvisato il "vilipendio" di tombe nel fatto — insindacabilmente accertato nel giudizio di merito - che due imputati aveva posto in essere un ballo a ritmo di rap sopra le tombe di centomila caduti di guerra, che trovano la loro collocazione funeraria nel sacrario di Redipuglia. Si tratta, all'evidenza, di una condotta che, anche in relazione alla specificità del luogo, avente natura di monumento nazionale della Grande Guerra, appare chiaramente e inequivocabilmente espressiva di un sentimento di disprezzo di quel luogo di sepoltura, concretamente lesivo del senso di pietà ispirato dal ricordo delle migliaia di soldati caduti in guerra, le cui spoglie ivi riposano.


8. In conclusione, deve perciò ritenersi che integra il delitto di cui all'art. 408 cod. pen. lacondotta di chi, all'interno di un sacrario militare monumentale, pone in essere un ballo a ritmo di rap sopra le tombe dei caduti cantando una canzone al fine di realizzare ed interpretare un video musicale poi diffuso attraverso Internet.


9. Il primo motivo è parimenti infondato.


9.1. Si rammenta che, come condivisibilmente affermato da questa Sezione, il reato di vilipendio delle tombe di cui all'art. 408 cod. pen. è punito a titolo di dolo generico, sicché basta la coscienza e volontà del vilipendio stesso insieme con la consapevolezza del particolare carattere del luogo richiesto dalla norma, quale cimitero o altro luogo di sepoltura, essendo pertanto irrilevante il movente dell'azione, né essendo necessaria l'intenzione di offendere la memoria di un determinato defunto (Sez. 3, n. 43093 del 30/09/2021, Albertario, Rv. 282298-02), e la circostanza che la condotta sia avvenuta non per arrecare offesa al defunto, ma alla persona che aveva fatto sistemare la tomba per onorarlo e ricordarlo (Sez. 3 n. 4038, del 29/03/1985, Moraschi, cit.). Invero, nella descrizione del fatto oggetto di incriminazione non compaiono segni linguistici che denotano il dolo specifico ("al fine di", "allo scopo di"), di talché la finalità perseguita dall'agente risulta del tutto ininfluente ai fini della sussistenza del reato, così come irrilevante è il movente dell'azione, che rimane confinato nella sfera interiore dell'agente e che può rilevare ex art. 133, comma 2, n. 1 cod. pen. Oltre a ciò, l'agente deve rappresentarsi che l'azione di vilipendio sulle res indicate dalla norma avviene «in cimiteri o altri luoghi di sepoltura», come espressamente prevede il testo dell'art. 408 cod. pen.

9.2. Facendo corretta applicazione del principio ora richiamato, la Corte di merito, con una motivazione che certamente non può dirsi manifestamente illogica, ha ravvisato il dolo, evidenziando che il contesto di particolare solennità del monumento, ricco di riferimenti storici ai fatti per i quali è stato istituito, non consente di ipotizzare che i due imputati potessero ignorare che ivi riposano migliaia di salme, alla cui memoria, appunto, è stato edificato il sacrario, e, dunque, che non avessero consapevolezza di trovarsi in un luogo di sepoltura, e del fatto che l'azione dagli stessi compiuta - ossia il ballare a ritmo di rap - era posta in essere sulle tombe dei soldati, a nulla rilevando l'asserita finalità di espressione artistica che avrebbe animato gli imputati. 10. Il quarto motivo è inammissibile. La Corte di merito ha motivatamente escluso i presupposti integranti i presupposti delle circostanze attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., non ravvisando, nel caso concreto, alcun elemento tale da giustificare una mitigazione della pena, in ciò facendo corretta applicazione del principio, qui da confermare, secondo cui l'applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590). Sul punto, il motivo è, oltretutto, generico, in quanto, per un verso, l'incensuratezza, per espresso dettato normativo, non può da sola giustificare l'applicazione delle attenuanti in esame, e, per altro verso, la circostanza che l'imputato avrebbe manifestato delle scuse tramite i canali social è smentito da quanto emerge dalla sentenza (cfr. p. 7), secondo cui, invece, gli imputati non hanno mostrato alcun segno di resipiscenza per l'accaduto, esprimendo, in più occasioni, la scarsa consapevolezza delle loro azioni.


Il quinto motivo (ricorso contro la costituzione dell’Istituto del Nastro azzurro a costituirsi parte civile) è inammissibile. Invero, premesso che non risulta - né i ricorrenti l'hanno anche solo allegato - che, con l'atto di appello, era stata impugnata l'ordinanza di ammissione di costituzione di parte civile, in ogni caso la Corte di merito ha evidenziato che lo statuto dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valor Militare, eretto in Ente Morale con R.D. 31 maggio 1928, n. 1308, riporta, tra le finalità proprie dell'ente, la tutela delle virtù militari italiane, dell'amore per la Patria e la sensibilizzazione della coscienza dei doveri verso la Patria delle giovani generazioni, e, nell'ambito di tali scopi, rientra certamente la tutela del ricordo dei caduti per la Patria, oltre che il rispetto dei luoghi in cui sono sepolti i militari caduti per la Patria stessa.”


Quanto, infine, alla contestazione del quantum del danno, la Corte di merito, con una valutazione di fatto certamente non illogica, né arbitraria, ha ribadito la congruità dell'importo liquidato dal Tribunale sulla base sia dei connotati di grave offensività della condotta, realizzata all'interno di un momento storico nazionale, sia del fatto che il video, ritraente l'azione vilipendiosa, è stato poi diffuso sul web e così proposto a un numero illimitato di persone, con il rischio di condotte di emulazione. In ogni caso, i ricorrenti deducono censure di contenuto fattuale e, comunque, generiche, che, quindi, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità 12.

Al rigetto dei ricorsi consegue, come per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi 3.686,00 euro, oltre oneri di legge.


P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi 3.686,00 euro, oltre oneri di legge. Così deciso il 09/05/2024.



martedì 8 ottobre 2024

Ricerca. Medaglia d'Argento Crocerossina Rhoda de Bellegarde de Sant Lary

NOTIZIE  CESVAM 

riceviamo la seguente lettera e la pubblichiamo.:

Mi chiamo Nicoletta Barizza, vivo in Provincia di Venezia e scrivo questa mail perché, se possibile, desidererei avere delle delucidazioni sulla medaglia al valor militare conferita alla crocerossina Rhoda De Bellegarde de Saint Lary (Firenze, 8 agosto 1890 - Ospedaletto da campo n. 191, 13 ottobre 1918). Dalle informazioni reperite online risulta che alla crocerossina Rhoda fu conferita la medaglia d'argento al V.M., ma io, interrogando il database dei decorati dell'Istituto del Nastro Azzurro, ho trovato:
MEDAGLIA DI BRONZO
[...]
DI BELLEGARDE RHODA, da Firenze, infermiera volontaria C.R.I. ospedale 71 - In commutazione della croce al merito di guerra conferitole con determinazione ministeriale 5 dicembre 1918: Animata da elevato sentimento del dovere rimase intrepida al compimento della sua missione durante intensi bombardamenti nemici. Singolare esempio di altruismo e di abnegazione continuò a prestare l'opera sua in ospedali avanzati sino a che grave contagio, contratto nella cura degli infermi, ne troncò la giovanile esistenza. Gradisca, ottobre 1917.


Ho rintracciato online il Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni... del 1918 (croce al merito di guerra) e del 1925 (medaglia di bronzo), ma nessun documento che riguardi la medaglia d'argento.
Sperando in un riscontro, con l'occasione ringrazio e porgo cordiali saluti.
Nicoletta Barizza

Chiunque avesse notizie in merito è pregato di contattarci: albodoro@istitutonastroazzurro.org

lunedì 7 ottobre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941). Etiopia. IX Parte Idrografia

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

 Progetto Prigionia, 2021/1



Elementi di genere della popolazione etiope



 IDROGRAFIA. - 


Dato il carattere sintetico del presente studio, ricorderemo solamente i principali fiumi, degni di questo nome, che hanno anche una certa importanza nei riguardi economici. Nel bacino dell' Omo-Bottego il fiume Omo, il cui corso fu identificato dall'esploratore italiano Bottego e che si getta sul lago Rodolfo. Bacino chiuso al pari di quello del fiume Golima che scaturisce con numerosi rami fra l'Amba Alagi. e il massiccio di Magdala e finisce nella Dancalia interna. Il Nilo Azzurro o Abai (padre dei fiumi), detto dagli arabi: Bar al Asra, nasce a Sakala sui monti Ciokke, attraversa il Tana e con ampio semicerchio passa entro l'Etiopia, scorre nel Sudan e si getta a Carthum nel Nilo Bianco.

Il Tacazzè, che nel suo corso inferiore si chiama Setit; esso nasce dal monte Abuna Joseph nel Lasta, passa per Gheraltà e il Semien e si getta nell'Athara presso Tomat, dopo un percorso di 900 km.

In Eritrea sono da ricordarsi il Mareb che sotto il nome di Gase attraversa lo Scirè; il Barca, l'Anseba.

Sul versante orientale dell'acrocoro abissino il fiume più importante è l’Auase, che nasce a sud di Addis Abeba e si perde nel Sultanato di Aussa, nella Dancalia.

Sul versante somalo il fiume più considerevole è il Giuba, originato da numerosi rami che nascono tra la regione dei Borana e quella degli Arussi: questi, convergendo come le stecche di un ventaglio aperto, si riducono in seguito a soli tre rami principali: il Daua Parma, il Canale Doria, e l'Uebi Gestro, che si congiungono a Dolo. Di qui il fiume, con acque perenni e di notevole portata, corre spesso fra rive incassate, qualche volta con corso pensile, descrivendo innumerevoli meandri ed arriva al mare fra Chisimaio e Giumbo, dopo un percorso di km. 1650. Altro fiume somalo di discreta importanza è l'Uebi Scebeli, lungo km. 2000 circa. Corso di una portata minima di metri cubi 6 durante la stagione asciutta ed una massima di metri cubi 122 nel settembre e metri cubi 101 nel giugno, cifre minime di fronte all'Abai (Nilo Azzurro), che ha una portata di metri cubi 170 nell'aprile e metri cubi. 7580 nel settembre.

Fra i laghi il più importante è senza dubbio il Tana, a m. 1760 sul mare, con un'area di circa kmq. 3000 e una profondità massima di m. 55. Venne chiamato Quara dai Greci, Araf dagli Arabi, Baker Tsana dall'esploratore De Barros. Seguono il grande Lago Rodolfo (m. 840), che appartiene in minima parte all'Etiopia politica, in gran parte al Chenia; il Lago Stefania (m. 1000) dalle acque salmastre; il Lago Ciamò (m. 1565) ed il Lago Margherita (m. 1550) che comunicano fra loro per mezzo di un canale naturale e sono prossimi al massiccio montano del Gughè (m. 4200). Vengono, ancora, il Lago Auasci (m. 1570) ed i laghi Sciala (m. 1567), Langand (m. 1585), Hora Abaità (m. 1513) e Zuai (m. 1700). Hanno, infine, un'importanza limitata il Lago Giakiak nei Gudru, la palude Ciomen nel Sibu, il notissimo Lago Ascianghi (m. 2409). Nella Dancalia sono da menzionare il Lago di Assal, che si trova a m. 174 sotto il livello del mare, il Lago Giulietti o Afrera (m. 140 sotto il livello del mare).




domenica 6 ottobre 2024

Progetto 2023/2 La Divulgazione

NOTIZIE CESVAM


 Le Pubblicazioni dell'Istituto del Nastro Azzurro trovano la divulgazione e la collocazione attraverso vari canali. Uno di questi è l'attività che da oltre due anni svolge il Presidente della Federazione Provinciale di  Rovigo e Consigliere Nazionale  Graziano Maron


Azione capillare, illustrativa e divulgativa che investe oltre che le istituzioni civili e militari, anche il mondo scolastico e quindi delle nuove generazioni

Nell'occasione vengono consegnati i volumi della serie dedicata alla Prigionia nella prima Guerra Mondiale

 Sarebbe auspicabile che l'esempio di Graziano maron sia seguito da altri Presidenti nell'interesse superiore dell'Istituto del Nastro Azzurro

sabato 5 ottobre 2024

Il fallimento politrico-diplomatico 1919

 


La delegazione italiana politico-diplomatica alla Conferenza di Wersailles per la pace nel 1919 non aveva una guida unica, in grado di condurre i negoziati in modo preciso e sicuro. I due massimi esponenti di questa delegazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, ministro degli Esteri, nelle loro dichiarazioni ed interventi andavano di prassi in senso diametralmente opposto. Gli altri componenti non avevano voce in capitolo e i funzionari di carriera del Ministero degli Esteri, i tecnici che avrebbero dovuto illuminare i politici, erano dei mediocri burocrati più attenti alla forma che alla sostanza, nessuno che arrischiasse qualcosa pur di evitare errori di procedura diplomatica. L’errore macroscopico che i nostri esponenti fecero fu di insistere in modo parossistico sulla questione della frontiera adriatica, finendo di impantanarsi in sterili ed infruttuose discussioni. Le altre potenze, Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna ne presero atto ed il risvolto di questo errore fu che tutti i punti all’ordine del giorno di importanza globale vennero trascurati. Eppure si trattava di ridisegnare il nuovo ordine mondiale, di definire le riparazioni di guerra, di dividersi gli approvvigionamenti strategici di materie prime, di destinare territori coloniali ecc. tutti punti che interessavano enormemente l’Italia, ma che furono trascurati se non ignorati, tutti fissati sulla questione di Fiume e della Dalmazia. Ovvero in cambio di questa città di di qualche chilometro di territorio dalmata, rinunciammo a partecipare a discussioni di carattere mondiale. Questo atteggiamento tanto miope quanto irresponsabile fece capire alle altre tre Potenze che l’Italia, politicamente, non era una vera Potenza portatrici di interessi globali e planetari. Di conseguenza fu estromessa di fatto da ogni discussione e relegata a semplice ruolo comprimario. Il risultato fu che non partecipando alle discussioni di vero potere e di carattere globale, fummo anche non ascoltati nemmeno per le piccole cose a cui tenevamo tanto, Fiume e Dalmazia che in realtà erano di poco conto in relazione a quello che era in gioco. Un fallimento sia politico sia diplomatico che va tutto a carico non degli “altri” ma di Vittorio Emanuele Orlando e di Sidney Sonnino e della struttura diplomatica italiana.1


1Wenster R.A., Una speranza rinviata. L’espansione industriale italiana ed il problema del petrolio dopo la prima guerra mondiale, in Storia contemporanea, Anno XI, Aprile 1980, n. 2 . Bologna, Società Editrice Il Mulino, 1980, pag219 e segg.

venerdì 4 ottobre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941). Etiopia. VIII Parte Condizioni Climatiche. Clima dell'Altipiano

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

Progetto Prigionia 2021/1



Tipi di genere della popolazione etiope dell'Altipiano

Clima dell'altopiano. - Nei confronti dell'acrocoro etiopico mancano finora (1937) all'infuori che per Gondar, Addis Abeba, Let Marefià e per le zone del Tigrai e dell'Harar, dati attendibili di osservazioni strumentali.

Gli studi sinora apparsi in argomento sono i seguenti: Dove Karl Kulturzonen van Nord Abessinien, in Petermanns Mitteilungen, Gotha, 1890; De Castro e Oddone, La città ed il clima di Addis Abeba, nel Bollettino Società Geografica Italiana, ., vol. X, Roma, 1909; De Castro L. e Oddone E., Risultati delle Osservazioni metereologiche ad Addis Abeba ed Addis Alem nel bacino dell'Hauase in Abissinia nel Bollettino della Società Geografica Italiana, Roma, vol V, 1905; Eredia e L. De Castro, Sulla climatologia dell' Etiopia, nel Bollettino della Società Geografica Italiana. 1914. Osservazioni meteorologiche furono fatte dall’Intendenza militare italiana in tutte lecalità occupate. La temperatura minima assoluta raramente raggiunge, in questa regione, lo zero; invece le brinate vi si possono considerare abbastanza abbastanza frequenti anche per l’intenso irraggiamento notturno.



Le temperature massima assoluta variano sui 24-35 gradi centigradi e soltanto raramente si possa segnalare giornate con 30°. L'anno meteorologico, secondo Eredia o De Castro, si può dividere. sempre per quanto riguarda Addis Abeba, in quattro periodi termici:

Periodo Caldo: dalla prima decade di marzo alla seconda decade di giugno

Periodo relativamente caldo: dalla terza decade di ottobre

Periodo freddo: dalla prima decade di novembre alla prima decade di gennaio

Periodo relativamente freddo: dalla seconda decade di gennaio alla terza decade di febbraio.

Si possono, così, differenziare nei riguardi delle precipitazioni quattro periodi, ciascuno della seguente durata:

a) Periodo molto piovoso: dalla terza decade di giugno alla seconda decade di settembre.

b) Periodo relativamente secco: dalla terza decade di settembre alla seconda decade di novembre:

c) Periodo secco: dalla terza decade di novembre alla seconda decade di febbraio:

d) Periodo relativamente piovoso: dalla terza decade di febbraio alla seconda decade di giugno.

Relativamente all'umidità dell'aria, per ciò che concerne Addis Abeba, ci soccorrono i dati raccolti dal Lyons dal 1900 al 1904, dati che riportiamo dallo studio dell'Eredia e di L. De Castro, considerando la media delle osservazioni prese, rispettivamente, alle ore nove del mattino ed alle 21.

Gennaio 53 Febbraio 54, Marzo 67, Aprile 70, Maggio 58, Giugno 73, Luglio 78, Agosto 87, Settembre 85, Ottobre 63, Novembre 53, Dicembre 48.

Per concludere, se vogliamo, nei riguardi dello Scioa, riferirci alle nostre stagioni, bisogna dividere l'anno meteorico in quattro periodi, chiamati rispettivamente in scioano: tebbi, hagai, todi, kerempt.

a) Inverno (ottobre, novembre, dicembre): bassa temperatura, scarsezza di pioggia, Elevata escursione diurna, minima umidità relativa, ragguardevole numero di giorni sereni, predominio dei venti di est.

b) Primavera (gennaio, febbraio); mite temperatura, mancanza relativa di pioggia. Elevata escursione diurna, minima umidità relativa, ragguardevole numero di giorni sereni; predominio dei venti di sud-est.

c) Estate (marzo, aprile, maggio, luglio): elevata temperatura, pioggia relativamente abbondante, media escursione diurna, media umidità relativa, pochi giorni sereni, predominio dei venti di sud-est.

d) Autunno (luglio, agosto, settembre.): mite temperatura, abbondanza di pioggia, minima escursione diurna, elevata umidità relativa, pochi giorni sereni, predominio dei venti di nord e di sud-est.

Il clima dell'altopiano è saluberrimo ed è questa la ragione che meglio spiega l'incremento delle popolazione che in esso si è stabilita. Nelle sue plaghe temperate crescono tutte le colture a cominciare dalle cerealicole, e prosperano il tabacco, il caffè ed il lino. Gli indigeni, com'è noto, differenziano pure, nel loro paese, tre zone climatico-agrarie; che corrispondono alle tre regioni agrarie dell'Abissinia propriamente detta: la Quellà, che è la zona calda delle pianure e delle vallate (m. 600-1500), la Woina Dogà o Woina Dagà (1800 – 2200) regione temperata dell'altopiano, dove prevalgono le vigne ecc.; infine la Degà o Dagà che è la zona alpina con flora e fauna diverse dalle precedenti.




giovedì 3 ottobre 2024

Il Mondo el le sfide delle Grandi Potenze

 UNA FINESTRA SUL MONDO


Fonte LIMES  - Rivista Italiana di Geopolitica N: 9 del 2023

La Carta mostra le due grandi guerre in corso tra le Potenze. la Prima tra la Russia e gli Stati Uniti
che si consuma in Europa.  Qui la Nato ha diversi aspetti: La Turchia è un alleato ambiguo ed autocentrato
I Paesi colorati in viola la Carta li porta come avanguardie russe o paesi cuscinetto mentre il nucleo centrale della Nato è dato da Italia Spagna Germania e Francia.

 Indicate anche le aeree di Caoslandia aree mi massima concentrazione dei conflitti del terrorismo e della dissoluzione degli Stati.

La seconda grande area segnata in Asia ed Oceania vede la sfida sicno.americana. Qui la CIna è in coloro in giallo, mentre i paesi in area statunitense sono in verde
 


mercoledì 2 ottobre 2024

Il Ciclo della Ricchezza

 DIBATTITI

 Se può essere utile, quanto segue  è un indice per dare la esatta valutazione di come certe situazioni geopolitiche sono individuabili




IL LAVORO PORTA LA RICCHEZZA

LA RICCHEZZA PORTA LA DISCORDIA

LA DISCORDIA PORTA LA GUERRA

LA GUERRA PORTA LA POVERTA'

LA POVERTA' PORTA IL LAVORO

IL LAVORO PORTA LA RICCHEZZA

martedì 1 ottobre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941). Etiopia. VII Parte Condizioni Climatiche. Clima delle pendici occidentali e delle pianure sudanesi

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

Progetto Prigionia 2021/1

 Rappresentanti di genere di alcune razze etiopi 

Clima delle pendici occidentali e delle pianure sudanesi. Clima torrido e sotto certi punti di vista assai somigliante a quello delle pendici orientali su cui abbiamo detto più sopra. Le pendici occidentali comprendono i Maria Rossi, Beni Mare, Baza e Cunama, della vecchia Eritrea, il Cafta, L’Uolcait lo Tsegghede, l'Ermaciocò, lo Sciangalla, ecc. zone che vanno normalmente dai 200 ai 1900 m. sul livello del mare. È anche questo un territorio adatto alle colture tropicali e in particolar modo alla produzione del cotone. Beneficia delle sole piogge estive a tipo temporalesco: la temperatura media vi è di circa 21° con un'oscillazione media di 7°, per maggio, che è il mese più caldo e gennaio, che è il più freddo. L'escursione diurna, invece, è notevole; in media è di 11°, ma può raggiungere anche i 21°. Si tratta come si vede, di un clima normale temperato, che somiglia a quello estivo delle nostre città del Mezzogiorno, sopportabile perciò, da parte dei coloni bianchi. Questa è in sostanza, una zona non fra le migliori dell'Etiopia dal punto di vista climatico, ma che potrebbe in particolari circostanze, quando fosse convenientemente attrezzata resa confortevole, aprire la speranza ad una misurata emigrazione di nostri contadini, a cui dovrebbero essere però riservati i lavori di direzione in aziende agrarie a tipo industriale, lasciando i lavori più penosi della coltivazione alle popolazioni indigene acclimatate. Anche qui, si riscontra l'inconveniente della scarsezza delle precipitazioni, ma in molti luoghi come nella valle del Barca, del Setit Tacazzè, dell'Atbara, dell'Abbai, ecc. essendo attuabile l'irrigazione, la coltivazione delle piante industriali potrebbe esser resa possibile con facile remunerativo attivo impiego le maestranze italiane.

Sulle pendici occidentali l'umidità relativa è in media di 36 gradi; le precipitazioni si aggirano sui 500 mm. con qualche aumento per Cheren. In migliori condizioni si trovano le pendici situate entro il vecchio confine politico dell'Etiopia. Nei bassopiani sudanesi la temperatura media è l’oscillazione annua è di 11° con un massimo assoluto superiore (270), assoluto di 50°,5 e un minimo assoluto di 13°,5. Le precipitazioni sono scarse, cioè appena mm. 300, tutte cadute in estate. Vi è chi rileva un clima speciale per l'alto Ogaden e per la regione dei Galla Borana e del Bale; non diremo che esso si può identificare con quello della Somalia settentrionale.


domenica 29 settembre 2024

Copertina Settembre 2024

 

                                                




                     QUADERNI ON LINE



                              Spille dell'Istituto


                                           



                                                       Anno LXXXV, Supplemento on line, IX, 2024, n. 103

                                                                               Settembre  2024

valoremilitare.blogspot.com
www.cesvam.org 

venerdì 27 settembre 2024

Caratteri Geografici dei territori dell'Impero (1936-1941) Etiopia - VII Parte Condizioni Climatiche. Clima della fascia costiera del mar Rosso e della Dancalia

 SCENARI, REGIONI, QUADRANTI

Progetto Prigionia 2021/1 


Tipi umani dell'Etiopia


Clima della fascia costiera del Mar Rosso e della Dancalia. - Si tratta, qui, di una regione torrida per eccellenza, a piogge invernali. Si hanno a Massaua temperature massime di 44°, con una umidità relativa alta, che raggiunge i 75° gradi nei mesi invernali piovosi e 51° nel periodo secco: in media 65°. La temperatura media di Massaua è di 30,3; quella di Assab: 29,9, di Nocra: 30,3. Escursione giornaliera: 6,9.

Questa regione non è adatta alla vita degli Europei; specie la torrida Dancalia per sua natura desertica e, salvo le zone marginali alla bassura che per molti metri è sotto il livello del mare, completamente spopolata. Nella fascia costiera settentrionale dell'Eritrea, a Zula e ad Arcaico, invece, sono possibili colture tropicali mediante l'irrigazione.

giovedì 26 settembre 2024

La Via Sacra - Verdun 1916

 DIBATTITI

Il sonno della ragione che può sempre ripetersi

Ten. cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta

La battaglia di Verdun è stata la più distruttiva battaglia che si ricordi, una guerra di materiali (material – schlacht) che assorbì una enorme quantità di vite umane, una “guerra totale” che costituì una cesura tra la precedente era ottocentesca e l’età moderna, dove l’uomo trasformato in un numero è schiacciato dalla produzione industriale in serie.

La battaglia iniziata il 21 febbraio finì solo nel dicembre dello stesso 1916 con un primato mai più raggiunto di 700.000 vittime se non, da recenti calcoli francesi, 1.246.025 tra caduti, dispersi e feriti su un territorio ristretto di appena 9 Km quadrati, il generale Rouquerol parla addirittura di un totale di 2.000.000 uomini se si fa riferimento al periodo che precedette la battaglia e seguì nei primi mesi del 1917 la fine, considerando anche i prigionieri, un “sonno della ragione” che può sempre ripetersi.

Nella guerra tecnologica totale le vittime scompaiono nella massa impiegata, nell’indifferenza determinata dalla lontananza dei Comandi Generali e dalla distanza nell’uso delle armi, venivano meno gli ultimi aspetti aristocratici delle guerre settecentesche, in cui erano coinvolti principalmente dei professionisti, che in parte si erano protratte anche nell’ Ottocento, nonostante le riforme della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche con l’introduzione della coscrizione obbligatoria e del nazionalismo.

L’uso dei gas e dei lanciafiamme, la distruzione industriale in serie di vite umane furono la premessa per la ferocia dei campi di sterminio nazisti della Seconda Guerra Mondiale, dei Gulag Sovietici e dei campi giapponesi, tutto fu sperimentato nelle trincee della Grande Guerra, dove gli uomini letteralmente sparivano sotto la pioggia di granate, soffocavano inebetiti, ansimando, nei gas, l’odore della carne umana bruciata ammorbava l’aria e molti soldati impazzivano nel fango o per sete, bevendo l’acqua marcia delle pozze nelle trincee.

La guerra da movimento diventò di posizione, di attrito, fino a trasformarsi in un lungo scontro di logoramento, un accordo diplomatico non poteva essere accettato in quanto la retorica dei decenni precedenti, incardinata nella crescente potenza tecnologica, creava l’illusione di una potenza infinita che raccoglieva in sé l’intero globo, la politica quale capacità di un compromesso accettabile fra le parti perdeva ogni possibilità d’azione, solo l’espansione economica illimitata ne diveniva l’unico punto di riferimento.

A Verdun non si cadeva in battaglia, si veniva più semplicemente sbriciolati, polverizzati, carbonizzati dall’artiglieria e dai lanciafiamme, se si pensa che i soli francesi nei sette mesi di battaglia tra febbraio e ottobre usarono 23.000.000 di granate, per arrivare negli ultimi due mesi a spararne 240.000 al giorno.

Le testimonianze della battaglia indicano chiaramente il livello di violenza raggiunto:

Sono appena tornato dall’esperienza più terribile di tutta la mia vita. Ho passato quattro giorni e quattro notti – 96 ore in totale – nel fango semi-ghiacciato delle trincee e costantemente sotto il fuoco nemico, senza alcun tipo di protezione o di riparo. Giunsi in trincea con 175 uomini … solo 34 hanno fatto ritorno, ma la maggior parte completamente impazziti …” ( Ufficiale francese – 1916).

Un capitano condusse una sparuta pattuglia di soldati verso di noi. Giunti a pochi passi ci chiese di che unità eravamo e, senza attendere risposta, scoppiò a piangere. Era probabilmente impazzito durante i bombardamenti. Guardammo sfilare i suoi uomini, ridotti a mummie rinsecchite, con gli occhi incollati ai loro, così grandi e così persi nel vuoto …” ( Ufficiale tedesco -1916).

Era impossibile liberarsi del tanfo dei cadaveri. Ovunque andassimo lontano dal fronte, persino nelle locande, dopo qualche minuto gli avventori si alzavano, allontanandosi da tutti noi : il lezzo di morte di Verdun era impossibile da sopportare! ” ( Soldato francese - 1916 ).

( 21 – 26, A. Gualtieri, Verdun 1916. Il fuoco, il sangue, il dovere, Mattioli 1885)

Nella volontà di superare la stasi sul fronte occidentale, determinata dal fallimento della guerra di manovra prevista dal “Piano Schlieffen” con l’invasione del Belgio nel 1914, von Falkenhayn pianificò una battaglia di attrito fondata sui materiali, attaccando un punto sensibile del fronte in cui i francesi non avrebbero potuto ripiegare sia per motivi strategici che psicologici quale era Verdun.

L’idea base era di logorare in uomini e mezzi l’esercito francese fino a fargli perdere la resistenza e la coesione psicologica, sfruttando la superiorità tecnica in mezzi e in particolare nell’artiglieria pesante, ma anche l’esercito tedesco venne a logorarsi, come ammise lo stesso Kronprinz: “il mulino sulla Mosa ha macinato fino a ridurre in polvere i cuori e i corpi delle truppe”.

Nonostante l’insuccesso del “Piano XVII” in Alsazia – Lorena del 1914, la battaglia della Mosa e i successivi sanguinosi e fallimentari attacchi frontali nel corso del 1915, i francesi, guidati da Joffre, mantennero una cieca fiducia sull’attacco frontale alla baionetta, secondo la teoria dello “slancio vitale” ( Elan Vitale) elaborata nel primo decennio del ‘900 e codificata nel Regolamento dell’ottobre 1913, tutti coloro che si opponevano a tale teoria, quali i generali Petain e Michel, furono emarginati.

Von Falkenhayn riteneva che i nemici da battere per risolvere la guerra erano i francesi, gli inglesi erano semplicemente di supporto, per ottenere la vittoria era necessario “dissanguarli”, all’obbiezione che questo poteva comportare forti perdite anche ai tedeschi rispondeva che essendo all’attacco poteva sempre interrompere l’azione al momento opportuno, sottovalutando la difficoltà dello sganciamento una volta iniziata l’azione, sia relativamente al fronte che di fronte alle attese imperiali.

Attorno a Verdun non erano state ancora scavate le trincee che si potevano vedere nelle altre parti del fronte, la difesa era affidata ai forti costruiti alla fine ‘800, ma questi erano stati a loro volta privati delle artiglierie poche settimane prima al fine di rafforzare altre parti del fronte.

L’offensiva iniziata il 21 febbraio preceduta da un intenso fuoco d’artiglieria, mai prima visto per la sua violenza, preparò il terreno all’attacco nel tardo pomeriggio della fanteria, la resistenza francese riuscì a respingere l’attacco ma portò a perdite enormi tra i difensori, il giorno successivo fu ripetuto l’attacco e la prima linea crollò, anche sulla seconda vennero aperti dei varchi, il terzo giorno la 37^ divisione coloniale francese fu completamente annientata, il morale dei difensori era al minimo.

Si deve considerare che furono schierate dai tedeschi un’ artiglieria da assedio costituita da 1.200 bocche da fuoco, con una riserva di circa 2.500.000 di granate, grazie al lavoro di 1.300 convogli ferroviari, con l’evacuazione dell’intera popolazione dei villaggi nelle vicinanze, questo anche per fare posto a circa 150.000 “Sturmtruppen d’assalto”, furono inoltre realizzati appositi ricoveri perfettamente mimetizzati, detti “Stollen”, in grado di resistere ai tiri di interdizione dell’artiglieria francese prima che scattasse l’assalto da parte delle truppe tedesche, 34 battaglioni francesi contro 72 battaglioni tedeschi.

Il generale Langle de Cary decise di abbandonare la riva destra della Mosa ma il generale De Castelnau, vice-comandante di Joffre, si precipitò a Verdun e revocato l’ordine ordinò di difendere la riva destra, non solo un motivo psicologico impediva di abbandonare la città ma anche il timore di non riuscire ad effettuare una ritirata ordinata, che non si trasformasse in rotta.

Fort Douaumont il 25 febbraio e Fort Vaux il 27 giugno furono espugnati dai tedeschi , il 23 giugno anche il piccolo Fort Thiaumont venne catturato dai tedeschi e parzialmente ripreso dai francesi il successivo 25 giugno, in un alternarsi continuo nelle settimane successive, tra ottobre e novembre i due forti principali vennero rioccupati dai francesi nella loro controffensiva che terminò il 19 dicembre.

Pétain, nel momento in cui necessitava la capacità organizzativa per una valida difesa e non il tanto decantato Elan Vitale, sostituì a mezzanotte del 25 febbraio il demotivato Langle de Cary, al Gran Quartiere Generale era giunta nel frattempo la notizia della cattura di 25.000 prigionieri francesi e la perdita di 800 cannoni, Joffre chiese a Pétain di assumere immediatamente il comando.

Nell’assumere il comando ordinò immediatamente una serie di contrattacchi per rallentare l’avanzata tedesca, ma al contempo si rese conto che essendo una battaglia di mezzi occorreva riorganizzare la logistica, facendo affluire un flusso continuo di uomini e risorse.

Creò quindi la “Via Sacra” ( Voie Sacrée) al fine di collegare Verdun con il centro logistico e comando a Bar-Le-Duc posto a sud, non essendo la linea ferroviaria in grado di garantire più di 800 tonnellate di rifornimenti al giorno, il capitano Doumenc provvide ad allargare la strada esistente suddividendola in sei “cantoni” con a capo un responsabile per cantone al fine di mantenerla efficiente.

Si calcola che nei dieci mesi dello scontro sulla Via Sacra passò un camion ogni 14 secondi, con un utilizzo di 8.000 veicoli che assicurarono al fronte 500.000 tonnellate di materiali e 400.000 uomini, riportando nelle retrovie 200.000 feriti.

Von Falkenhayn il 30 marzo cercò di porre fine ai combattimenti non ritenendo più possibile raggiungere gli obbiettivi previsti , tuttavia ormai le grandi aspettative avevano preso il sopravvento nei Comando Imperiale, tanto che il Kronprinz insistette nel continuare l’offensiva.

Pétain previde anche un avvicendamento breve di pochi giorni per i fanti francesi (Poilus), cosa che coinvolse circa il 70% dell’esercito francese, riconoscendo il logoramento a cui erano sottoposti dalla ferocia della lotta in campo aperto senza adeguati rifugi.

Il 1° luglio, ristabilito il fronte, Pétain fu sostituito da Nivelle con l’intento di riprendere l’offensiva secondo la concezione dello “slancio vitale”, nel frattempo i tedeschi avevano subito notevoli perdite sia a Vardun che nella battaglia di alleggerimento ingaggiata dagli inglesi sulla Somme, i rincalzi non avevano l’esperienza delle truppe precedenti così che i francesi organizzarono una serie di offensive al comando di Mangin, soprannominato per la sua durezza “il macellaio”, che portarono ad ottobre alla ripresa del Fort Douaumont con 6.700 prigionieri tedeschi.

Dopo avere ripreso Fort Vaux a novembre, il 15 dicembre Nivelle organizzò un ultimo assalto con 8 divisioni, che fece arretrare il fronte tedesco di 5 Km con 9.000 prigionieri, nell’anno successivo nei primi mesi Nivelle riprese l’offensiva sul Chemin-des-Dames con esiti disastrosi, venne palesemente a galla l’usura dell’esercito francese, circostanze e violenze che possono ripetersi anche nel XXI Secolo.



A ricordo del nonno materno Raimondo Mattiuzzo, artigliere in Libia e nella Grande Guerra.

Bibliografia

  • Alessandro Gualtieri, Verdun 1916. Il fuoco, il sangue, il dovere, Mattioli 1885.