NOTIZIE CESVAM
Corte
di Cassazione
Penale
Sentenza Sezione. 3 Numero. 24271 Anno 2024
Presidente:
RAMACCI LUCA Relatore: CORBETTA STEFANO
Data
Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sui
ricorsi proposti da Owusu Frimpong Emmanuel, nato a Udine il
06/11/1993 Piras Matteo Antonio, nato a Latisana il 21/07/1994
avverso la sentenza del 11/07/2023 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la
relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta; letta la
requisitoria redatta ai sensi dell'art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n.
137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo il rigetto dei
ricorsi; lette memoria e le conclusioni del difensore degli imputati,
avv. Daniele Vidal del foro di Udine, che insiste per l'accoglimento
dei ricorsi; lette la memoria e le conclusioni del difensore della
parte civile Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al
Valor Militare, avv. Laura Ferretti del foro di Pordenone, che chiede
la conferma della sentenza impugnata, con condanna degli imputati al
pagamento delle spese processuali, come da nota spese allegata.”
RITENUTO
IN FATTO
1.
Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Trieste ha
confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Gorizia all'esito di
giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, la quale aveva
condannato Emmanuel Owusu Frimpong e Mattia Antonio Piras alla pena
ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa subordinatamente alla
corresponsione del risarcimento del danno liquidato in favore della
costituita parte civile, in relazione al delitto di cui agli artt.
110, 408 cod. pen., perché, in concorso tra loro, in assenza di
qualsivoglia autorizzazione, realizzando ed interpretando un video
musicale che li ritraeva mentre erano intenti a ballare e a cantare
una canzone dal titolo "CSI - Chi sbaglia paga" all'interno
dell'area del Sacrario militare di Redipuglia, ed, in particolare,
sopra i gradoni ove sono sepolti i resti dei soldati caduti nella
prima guerra mondale, e, in seguito, pubblicandolo on line su un
canale YouTube, vilipendevano le tombe e il luogo che è destinato a
mantenere viva ed onorata la memoria dei militari caduti. 2. Avverso
l'indicata sentenza, gli imputati, per il ministero del comune
difensore di fiducia, con il medesimo atto hanno proposto ricorso per
cassazione, deducendo: - con un primo motivo, la violazione dell'art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408
cod. pen. per errata valutazione dell'elemento soggettivo, in quanto
la Corte di merito non ha affatto motivato in ordine alla sussistenza
del dolo, essendosi unicamente focalizzata sulla conclamata sacralità
del luogo in cui si è tenuta la condotta, e considerando la finalità
di espressione artistica - e non già offensiva - che ha animato gli
imputati; - con un secondo motivo, la violazione dell'art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408 cod. pen. per
errata valutazione dell'elemento oggettivo, mancando una condotta di
vilipendio, posto che i gli imputati si sono limitati a cantare una
canzone, il cui contenuto, peraltro, non ha nulla di offensivo o di
dispregiativo; - con un terzo motivo, la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 408 cod.
pen., avendo la Corte d'appello fondato l'affermazione della penale
responsabilità su elementi inconferenti, quali il pericolo di
emulazione e la mancanza di autorizzazione alle riprese; - con un
quarto motivo, l'illogicità della motivazione in relazione al
diniego delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di
soggetti incensurati e non avendo la Corte di merito valutato la
condotta dell'imputato Owusu, il quale, in seguito, sui canali
sodali, ha manifestato le proprie scuse;
- con un
quinto motivo, la mancata esclusione della parte civile Associazione
del Nastro Azzurro, la quale non ha alcuna specifica finalità
connessa con il sacrario di Redipuglia, né con la memoria dei
caduti, e l'abnormità della quantificazione del risarcimento del
danno, che non è sorretta da alcuna motivazione. CONSIDERATO IN
DIRITTO 1. I ricorsi sono, nel complesso, infondati. 2. Cominciando
dal secondo e dal terzo motivo - che rivestono priorità logica
essendo diretti a contestare la sussistenza dell'elemento oggettivo
del reato - gli stessi sono infondati. 3. Il bene tutelato dalle
fattispecie delittuose racchiuse nel Capo II del Titolo IV del Libro
II del codice penale - ove è collocato l'art. 408 cod. pen. - va
individuato, come chiaramente emerge dalla stessa intitolazione della
rubrica, nella "pietà dei defunti", da intendersi nel
senso di pietas: locuzione che designa quel diffuso e sentimento,
individuale e collettivo, il quale si manifesta nel rispetto
tributato ai defunti ed alle cose destinate al loro culto nei
cimiteri e nei luoghi di sepoltura. La pietas per i defunti, in
particolare, è un sentimento che attiene all'essere umano in quanto
tale anche quando ha cessato di vivere, come proiezione
ultraesistenziale della persona, e ciò indipendentemente
dall'adesione a un particolare credo religioso, come, del resto,
lascia chiaramente intendere la suddivisione dei Capi contenuti in
questo Titolo, che distingue, appunto, i "Delitti contro le
confessioni religiose" - rubrica introdotta dall'art. 10, comma
2, I. 24 febbraio 2006, n. 85, che ha sostituto la precedente
"Delitti contro la religione dello Stato e dei culti ammessi"
- dai "Delitti contro la pietà dei defunti". Se l'intero
Capo ruota attorno al medesimo bene giuridico, emerge una partizione
interna tra le prime incriminazioni (artt. 407 - 409 cod. pen.), il
cui oggetto materiale è legato al culto dei defunti ed al sentimento
di pietà che esso suscita, e le fattispecie successive (artt.
410-413 cod. pen.), poste a salvaguardia delle spoglie mortali e,
quindi, del medesimo sentimento che le stesse evocano. In
particolare, la condotta di vilipendio punita dall'art. 408 cod. pen.
- che deve avvenire «in cimiteri o altri luoghi di sepoltura» - ha
ad oggetto «tombe, sepolcri o urne», oppure «cose destinate al
culto dei defunti», quali croci, cappelle, immagini, lampade, fiori
e tutti gli oggetti finalizzati alla memoria del defunto, ovvero cose
destinate «a difesa o ad ornamento dei cimiteri», come muri, porte,
monumenti, piante dei viali.
Di
conseguenza, oggetto specifico della tutela apprestata dall'art. 408
cod. pen. è quel profilo della pietà dei defunti, che si declina
attraverso il rispetto della sacralità del luogo di sepoltura e
delle cose mortuarie destinate al ricordo dei defunti. 4. L'elemento
oggettivo del reato consiste in un'azione di "vilipendio",
termine che compare in diverse disposizioni codicistiche di parte
speciale - specie tra i delitti contro la personalità interna dello
Stato (artt. 290, 291, 292), oltre che, appunto, tra i delitti
raggruppati nel Titolo IV (oltre all'art. 402, dichiarato
costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 508 del 2000, gli
artt. 403, 404 e 410)- , di cui però la legge non offre, in nessuna
disposizione, la nozione. Come suggerito dalla Corte costituzionale
con riferimento alla fattispecie prevista dall'art. 290 cod. pen., il
termine "vilipendio" va inteso "secondo la comune
accezione del termine", e "consiste nel tenere a vile",
il che significa, con riferimento al delitto di vilipendio della
Repubblica, "ricusare qualsiasi valore etico o sociale o
politico all'entità contro cui la manifestazione è diretta sì da
negarle ogni prestigio, rispetto, fiducia, in modo idoneo a indurre i
destinatari della manifestazione (sent. n. 20 del 1974). Se, dunque,
il vilipendio deve essere inteso nel suo significato letterale, le
fattispecie che lo prevedono come elemento costitutivo del fatto sono
delineate come reati a forma libera, stante la molteplicità di
condotte attraverso cui può manifestarsi il sentimento di disprezzo,
scherno o dileggio, cambiando unicamente, a seconda delle diverse
disposizioni incriminatrici, l'oggetto su cui deve incidere la
condotta di vilipendio.
5. Con
specifico riguardo al delitto qui al vaglio, come questa Corte ha già
avuto modo di rilevare, rientra certamente nell'ambito di operatività
della fattispecie di cui all'art. 408 cod. pen. il compimento di atti
di disprezzo su cose deposte nei luoghi destinati a dimora dei
defunti ed aventi la funzione di evocare il sentimento di pietà nei
loro confronti che rechino danno alle stesse, le lordino o vi
imprimano segni grafici vilipendiosi ovvero ne comportino la
rimozione, anche parziale, con eventuale sostituzione con altre
diverse per significato, origine e rilevanza sociale (Sez. 3, n.
43093 del 30/09/2021, Albertario, Rv. 282298-01; Sez. 3 n. 4038, del
29/03/1985, Moraschi, Rv. 168901). Inoltre, come si desume dalla
locuzione impiegata nell'art. 408 cod. pen. - la quale incrimina il
vilipendio "di", e non "su", tombe, sepolcri o
urne, cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad
ornamento dei cimiteri - assumono penale rilevanza anche semplici
espressioni verbali o comportamenti che non ricadano sulla cosa in
modo tale da produrne una modificazione esteriore visibile,
purché,ovviamente, meritino l'appellativo di "vilipendio",
ossia esprimano disprezzo o profanazione verso le cose poste nei
luoghi di sepoltura indicate dalla norma.
6. Va
doverosamente precisato che spetta al giudice il compito di
uniformare la previsione astratta di reato al principio di
offensività: esigenza tanto più avvertita quanto più la condotta
punibile sia individuata dal legislatore mediante l'impiego di
termini aventi un'ampia latitudine semantica, quale certamente è il
"vilipendio". Come costantemente predicato dalla Corte
costituzionale, il principio di offensività - la cui matrice
costituzionale è ricavabile dall'art. 25, secondo comma, Cost.
(sentenza n. 211 del 2022), in una lettura sistematica cui fa da
sfondo l'«insieme dei valori connessi alla dignità umana»
(sentenze n. 225 del 2008 e n. 263 del 2000) - opera su due piani
distinti: da un lato (offensività "in astratto"), come
precetto rivolto al legislatore, il quale non può sottoporre a pena
fatti che, nella loro configurazione astratta, non esprimano un
contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di
protezione; dall'altro (offensività "in concreto"), come
criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, il quale,
nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie
concreta al paradigma punitivo astratto, deve escludere dall'area del
penalmente rilevante quei fatti che, sebbene formalmente conformi al
tipo legale, in concreto si rilevino inidonei a ledere o a mettere in
pericolo il bene tutelato (cfr., ex multis, sentenze n. 139 del 2023,
n. 211 del 2022, n. 278 e n. 141 del 2019, n. 109 del 2016, n. 265
del 2005, n. 263 del 2000 e n. 360 del 1995). Di conseguenza, come
affermato la Corte costituzionale, «il compito di uniformare la
figura criminosa al principio di offensività nella concretezza
applicativa resta affidato al giudice ordinario, nell'esercizio del
proprio potere ermeneutico (offensività "in concreto").
Esso - rimanendo impegnato ad una lettura "teleologicamente
orientata" degli elementi di fattispecie, tanto più attenta
quanto più le formule verbali impiegate dal legislatore appaiano, in
sé, anodine o polisense - dovrà segnatamente evitare che l'area di
operatività dell'incriminazione si espanda a condotte prive di
un'apprezzabile potenzialità lesiva» (sentenza n. 225 del 2008).
Nella ricognizione, nel singolo caso, del "vilipendio"
penalmente rilevante ai sensi dell'art. 408 cod. pen., il giudice
deve perciò valutare la condotta con riferimento al bene giuridico
tutelato dalla norma, come sopra definito, e accertare che i gesti o
le espressioni, anche se non diretti immediatamente contro le res
contemplate dalla norma, producano, in concreto, la lesione del
rispetto del luogo di sepoltura e delle cose mortuarie, e, quindi,
del senso di pietà ispirato dal ricordo del defunto che
necessariamente ad esso consegue.
7.
Venendo al caso in esame, la Corte di merito ha fatto corretta
applicazione dei principi indicati, avendo ravvisato il "vilipendio"
di tombe nel fatto — insindacabilmente accertato nel giudizio di
merito - che due imputati aveva posto in essere un ballo a ritmo di
rap sopra le tombe di centomila caduti di guerra, che trovano la loro
collocazione funeraria nel sacrario di Redipuglia. Si tratta,
all'evidenza, di una condotta che, anche in relazione alla
specificità del luogo, avente natura di monumento nazionale della
Grande Guerra, appare chiaramente e inequivocabilmente espressiva di
un sentimento di disprezzo di quel luogo di sepoltura, concretamente
lesivo del senso di pietà ispirato dal ricordo delle migliaia di
soldati caduti in guerra, le cui spoglie ivi riposano.
8. In
conclusione, deve perciò ritenersi che integra il delitto di cui
all'art. 408 cod. pen. lacondotta di chi, all'interno di un sacrario
militare monumentale, pone in essere un ballo a ritmo di rap sopra le
tombe dei caduti cantando una canzone al fine di realizzare ed
interpretare un video musicale poi diffuso attraverso Internet.
9. Il
primo motivo è parimenti infondato.
9.1. Si
rammenta che, come condivisibilmente affermato da questa Sezione, il
reato di vilipendio delle tombe di cui all'art. 408 cod. pen. è
punito a titolo di dolo generico, sicché basta la coscienza e
volontà del vilipendio stesso insieme con la consapevolezza del
particolare carattere del luogo richiesto dalla norma, quale cimitero
o altro luogo di sepoltura, essendo pertanto irrilevante il movente
dell'azione, né essendo necessaria l'intenzione di offendere la
memoria di un determinato defunto (Sez. 3, n. 43093 del 30/09/2021,
Albertario, Rv. 282298-02), e la circostanza che la condotta sia
avvenuta non per arrecare offesa al defunto, ma alla persona che
aveva fatto sistemare la tomba per onorarlo e ricordarlo (Sez. 3 n.
4038, del 29/03/1985, Moraschi, cit.). Invero, nella descrizione del
fatto oggetto di incriminazione non compaiono segni linguistici che
denotano il dolo specifico ("al fine di", "allo scopo
di"), di talché la finalità perseguita dall'agente risulta del
tutto ininfluente ai fini della sussistenza del reato, così come
irrilevante è il movente dell'azione, che rimane confinato nella
sfera interiore dell'agente e che può rilevare ex art. 133, comma 2,
n. 1 cod. pen. Oltre a ciò, l'agente deve rappresentarsi che
l'azione di vilipendio sulle res indicate dalla norma avviene «in
cimiteri o altri luoghi di sepoltura», come espressamente prevede il
testo dell'art. 408 cod. pen.
9.2.
Facendo corretta applicazione del principio ora richiamato, la Corte
di merito, con una motivazione che certamente non può dirsi
manifestamente illogica, ha ravvisato il dolo, evidenziando che il
contesto di particolare solennità del monumento, ricco di
riferimenti storici ai fatti per i quali è stato istituito, non
consente di ipotizzare che i due imputati potessero ignorare che ivi
riposano migliaia di salme, alla cui memoria, appunto, è stato
edificato il sacrario, e, dunque, che non avessero consapevolezza di
trovarsi in un luogo di sepoltura, e del fatto che l'azione dagli
stessi compiuta - ossia il ballare a ritmo di rap - era posta in
essere sulle tombe dei soldati, a nulla rilevando l'asserita finalità
di espressione artistica che avrebbe animato gli imputati. 10. Il
quarto motivo è inammissibile. La Corte di merito ha motivatamente
escluso i presupposti integranti i presupposti delle circostanze
attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., non ravvisando, nel caso
concreto, alcun elemento tale da giustificare una mitigazione della
pena, in ciò facendo corretta applicazione del principio, qui da
confermare, secondo cui l'applicazione delle circostanze in esame non
costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi
connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di
segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di
concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De
Crescenzo, Rv. 281590). Sul punto, il motivo è, oltretutto,
generico, in quanto, per un verso, l'incensuratezza, per espresso
dettato normativo, non può da sola giustificare l'applicazione delle
attenuanti in esame, e, per altro verso, la circostanza che
l'imputato avrebbe manifestato delle scuse tramite i canali social è
smentito da quanto emerge dalla sentenza (cfr. p. 7), secondo cui,
invece, gli imputati non hanno mostrato alcun segno di resipiscenza
per l'accaduto, esprimendo, in più occasioni, la scarsa
consapevolezza delle loro azioni.
Il
quinto motivo (ricorso contro la costituzione dell’Istituto del
Nastro azzurro a costituirsi parte civile) è inammissibile. Invero,
premesso che non risulta - né i ricorrenti l'hanno anche solo
allegato - che, con l'atto di appello, era stata impugnata
l'ordinanza di ammissione di costituzione di parte civile, in ogni
caso la Corte di merito ha evidenziato che lo statuto
dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valor
Militare, eretto in Ente Morale con R.D. 31 maggio 1928, n. 1308,
riporta, tra le finalità proprie dell'ente, la tutela delle virtù
militari italiane, dell'amore per la Patria e la sensibilizzazione
della coscienza dei doveri verso la Patria delle giovani generazioni,
e, nell'ambito di tali scopi, rientra certamente la tutela del
ricordo dei caduti per la Patria, oltre che il rispetto dei luoghi in
cui sono sepolti i militari caduti per la Patria stessa.”
Quanto,
infine, alla contestazione del quantum del danno, la Corte di merito,
con una valutazione di fatto certamente non illogica, né arbitraria,
ha ribadito la congruità dell'importo liquidato dal Tribunale sulla
base sia dei connotati di grave offensività della condotta,
realizzata all'interno di un momento storico nazionale, sia del fatto
che il video, ritraente l'azione vilipendiosa, è stato poi diffuso
sul web e così proposto a un numero illimitato di persone, con il
rischio di condotte di emulazione. In ogni caso, i ricorrenti
deducono censure di contenuto fattuale e, comunque, generiche, che,
quindi, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità 12.
Al
rigetto dei ricorsi consegue, come per legge, la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché delle
spese in favore della parte civile, che liquida in complessivi
3.686,00 euro, oltre oneri di legge.
P.Q.M.
Rigetta
i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Condanna,
inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese in favore della
parte civile, che liquida in complessivi 3.686,00 euro, oltre oneri
di legge. Così deciso il 09/05/2024.