Recensione di Roberto Olevano
Anni or sono, sfogliando un libro
sulle battaglie memorabili, scoprii che non ve n’era alcuna di quelle
combattute nelle tre guerre d’indipendenza d’Italia. Me ne rammaricai perché, seppur
senza alimentare una cieca esaltazione patriottica, volta a celebrare fatti
tanto importanti per il mio Paese, le battaglie del Risorgimento hanno comunque
segnato la Storia poiché hanno generato una nuova entità statale, determinato il
crepuscolo di una potenza e il risorgere di un’altra. Grazie a questi avvenimenti,
infatti, il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno d’Italia e fu sempre a
cagione di quel movimento politico e militare che noi chiamiamo Risorgimento
che l’Impero Asburgico iniziò a declinare e Napoleone III riportò la Francia ad
un rango di potenza secondo solo a quello raggiunto all’epoca del suo augusto
zio. L’interesse per quei fatti d’arme è scarso e non se ne può spiegare il
motivo se non che noi stessi siamo i primi a disinteressarcene. Se all’estero
poco o nulla si sa di San Martino, Magenta, Goito, Novara, Custoza è perché in
Italia la storiografia tace o dedica loro una scarna letteratura.
Scrivere di storia militare non è
facile ma renderla viva ed interessante è un’impresa difficilissima. Gli
avvenimenti bellici del nostro Risorgimento poi sono ancora più complessi da
raccontare perché i coevi di quell’epoca hanno dato loro un’enfasi tale da
renderli lontani e poco credibili, ed oggi per contrasto questi sono caduti
nell’oblio. Viviamo un’epoca in cui si rinnega il nostro passato e si ha la
sgradevole consuetudine di dichiarare che tutto sia accaduto per la volontà di
pochi contro una moltitudine che non credeva e non voleva l’unità, che
Garibaldi era un massone ed un brigante, che la cosiddetta unificazione fu
frutto delle brame di conquista di un re piemontese e del suo ministro, che il
Regno delle Due Sicilie era un Paese ricco e favoloso, conquistato con
l’inganno e vittima di giochi diplomatici delle potenze straniere. Disconoscere
il nostro Risorgimento è rinnegare le dieci giornate di Brescia, la Repubblica
Romana e quella di Venezia, le cinque giornate di Milano e gli eroi noti ed
ignoti che morirono con l’idea di veder nascere una nazione.
Il professor Coltrinari da anni
combatte una battaglia affinché questa tendenza sia vinta da un pieno
riconoscimento di quegli avvenimenti e degli uomini che li vissero e ne furono
i protagonisti, senza però cadere in quell’esaltazione con cui sono stati
raccontati sinora e che ha cagionato siffatte negative conseguenze, per
un’evidente mancanza di autenticità. Infatti, l’autore non disdegna di
“sporcarsi le mani” e non ci parla delle gloriose giornate del ’59 o della
prima parte del ’48 con le vittoriose battaglie di Goito e Pastrengo, ma si
cimenta a raccontare una guerra a noi scomoda: quella del 1866 con cui se è
vero che ottenemmo il Veneto, è altrettanto vero che ciò avvenne dopo le
deludenti sconfitte di Custoza e Lissa che gettarono un’onta indelebile sulle
nostre Forze Armate. Coltrinari non disdegna neppure di portare allo scoperto
colpe e nequizie dei nostri comandi, riconoscendo, comunque, il valore del
combattente italiano.
Infine, per offrire un’immagine
completa di quella guerra dimenticata, l’autore dedica un capitolo alla
battaglia di Sadowa, perché se per noi la terza guerra d’indipendenza
rappresenta una tappa nel percorso per l’unificazione, altrettanto dicasi per
la Germania dove lo stesso cammino era iniziato nel 1864 con la guerra alla
Danimarca e si concluderà con la vittoria sulla Francia e la proclamazione del
Reich nel 1870, proprio mentre i bersaglieri entravano a Roma che veniva
proclamata capitale d’Italia.
Quindi, senza indugiare in alcuno
sterile nazionalismo, l’autore descrive i fatti come realmente accaduti e dà il
suo contributo ad un’operazione di ricostruzione storiografica rigorosa e
quanto mai attuale. Nessuna guerra ci assomiglia così tanto nei pregi e nei
difetti. La battaglia di Bezzecca rappresenta l’audacia, il coraggio,
l’intraprendenza ai limiti dell’avventatezza di un piccolo contingente che,
guidato dal più grande condottiero che il nostro Paese abbia mai avuto, sconfisse
un esercito più numeroso e ottimamente equipaggiato. Lissa e Novara di contro, furono
il risultato dell’azione di uno Stato Maggiore privo di esperienza e che
rifiutava di aggiornarsi sulle nuove tattiche e strategie. Ma soprattutto in
quella guerra si aprì la strada ad un fenomeno destinato ad avere in ambito
politico un duraturo successo: il vizio nazionale del capro espiatorio, dello
scaricabarile nel quale si assommano, paradossalmente, la volontà forcaiola e
l’incapacità di punire. Il processo al povero Persano fu solo la prima di altre
sciagurate vicende dell’Italia monarchica e repubblicana. L’autore ne prende
atto riconoscendo le colpe dell’ammiraglio ma chiamando a correi altri
implicati.
( il volume è reperibile presso: segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)
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