Cerca nel blog

giovedì 29 settembre 2022

Editoriale Settembre 2022




 Nel solco di quanto scrivemmo lo scorso marzo nell'editoriale dedicato a quel mese, e poi in quello di Aprile, di Maggio di Giugno. di Luglio, di Agosto e adesso di Settembre si è in grado di  affermare che la pianificazione predisposta ad inizio anno è stata rispettata in tema di completamento di ricerche nel quadro dei Progetti in essere. In questo mese è uscito il settimo volume dall'inizio anno, un volume inserito nel quadro del Progetto "Gli Ordinamenti del Regio Esercito predisposti tra le due guerre 1919-1939". Con questo volume si realizza la pubblicazione degli quattro volumi dedicati a questa ricerca. (vds www.stroiainlaboratorio.blogspot.com)

Il titolo del volume è: "Un ventennio di preparazione ed una conclusione amara". "1919-1939. DOCUMENTI", Volume I - Tomo II Roma-Viterbo, per i tipi della Società Editrice Archeo Ares - Si riporta il testo della I V di Copertina, del volume:


.Il presente volume nel quadro del tema generale “Le riforme militari tra il 1919 ed il 1939.” tratta  e  descrive la evoluzione degli ordinamenti militari italiani tra le due guerre mondiali, via via che si sono succeduti in un ventenni  di accelerate e susseguenti riforme dello strumento militare italiano.

Ci si inserisce neil dibattito che va avanti dagli anni del secondo dopoguerra in merito all’adozione della divisone binaria, per la fanteria, e delle divisioni “celeri”. Un dibattito veramente interessante che il presente volume ed il prossimo sicuramente ravviveranno. E quindi entrambi i volumi rappresentano una fonte di titoli per le tesi del Master in Storia Militare Contemporanea, di cui i volumi sono integrati nell’offerta didattica. E questo è valido non solo per la seconda guerra mondiale, ma anche per le guerre precedenti il 1940, compresa quella in Etiopia e l’intervento a sostegno a Franco, in Spagna.

Il volume tratta anche aspetti particolari con l’ordinamento delle Truppe Coloniali e della Guardia alla Frontiera. Per le prime vi era il retaggio dell’Italia umbertina, mentre per la seconda un Corpo di recentissima formazione che doveva difendere le frontiere, soprattutto quelle settentrionali, sulle

Giovanni Riccardo Baldelli, Socio della Federazione di Ancona dell’Istituto del Nastro Azzurro. E’ docente al Master di 1° Liv. in Storia Militare Contemporanea dal 1796 al 1960 attivato presso la Università degli Studi N. Cusano Telematica Roma.

In Copertina: Cartolina postale militare dedicata all’Armata del Po. (Collezione dell’Autore)

 


mercoledì 28 settembre 2022

Copertina Settembre 2022

 



QUADERNI ON LINE





                                              Anno LXXXIII, Supplemento on line, IX  , 2022, n. 80

 Settembre
2022
valoremilitare.blogspot.com
www.cesvam.org 

martedì 27 settembre 2022

Storia Militare

 

Caporetto e la resistenza del forte di Monte Festa

Ten cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto Sabetta

 

            Nel 1917 le opere del forte di Monte Festa erano ancora armate a differenza di molte altre fortificazioni di confine, esse consistevano in 4 pezzi da 149 mm in cupola corazzata con 2.600 granate, altri 4 pezzi da 149 mm G aventi a disposizione 300 granate in barbetta, una sezione antiaerea da 75 mm con 400 colpi in cupola d’acciaio, mentre vi era una assoluta carenza di mezzi per la difesa ravvicinata.

            Il presidio era costituito da 2 tenenti dell’8° Reggimento artiglieria da fortezza, 1 tenente del 3°Reggimento artiglieria da fortezza, 2 tenenti medici, 2 marescialli, 120 soldati dell’8° compagnia dell’8° Reggimento da fortezza, 30 della 4 sez., antiaerea, 20 del 150° battaglione della Milizia Territoriale, 5 eliografisti e 2 telefonisti, con 34 quintali di gallette e 9.000 scatolette di carne.

            Il 26 ottobre il Comando Supremo aveva dato ordine telegrafico di ripiegamento indicandone le modalità, ma disponendo la resistenza ad oltranza per il forte di Monte Festa.

            Il 27 ottobre giunse al forte il Capitano Noel Winderling con l’ordine preciso di organizzare la difesa, ordine ribadito alla sera dal Comando d’artiglieria del XII Corpo d’Armata, Gen. Sacchero.

            Dal 26 al 29 ottobre, sotto bufere di neve e pioggia che imperversavano sulla zona, si procedette a rendere operativi i pezzi e alla preparazione dei dati di tiro relativi agli obiettivi acquisiti organizzando gli osservatori di forcella Amariana e Monte San Simone.

            Le artiglierie del forte entrarono in azione alle 10,50 del 30 ottobre, investendo con il loro fuoco le avanguardie nemiche sul Tagliamento, i tiri si basarono sui dati teorici essendovi nebbia nella valle, furono inquadrati il ponte sul Fella, il ponte di Tolmezzo, la stretta di Sompave, La Maina e la stazione per la Carnia.

            Nel frattempo le Divisioni 26^, 36^ e 63^ nel loro ripiegamento si posero ai fianchi e dietro al forte, il comando della 63° divisione si installò ad Alesso e prese immediato contatto con il comando del forte, il quale a sua volta rinnovò le richieste di mezzi al Comando di Corpo d’Armata già formulate il 27 ottobre.

            Il 31 ottobre il tempo migliora e i tiri vengono rettificati, tutti i pezzi da 149 mm e 75 mm sono in azione, ma la visuale è limitata dai monti circostanti e le linee telefoniche sono interrotte, si procede con staffette ed eliografo quando si dissolve la nebbia.

            Il 1 novembre l’osservatorio di forcella Amariana cadeva in mano agli austriaci, rimanendo solo l’osservatorio di San Simeone, continuano i tiri di interdizione, in particolare verso Tolmezzo dove fu respinta una colonna nemica di circa 300 uomini.

            Il 2 novembre gli austriaci e i tedeschi iniziano a forzare il Tagliamento gettando un ponte nei pressi di Amaro, immediatamente dal forte si risponde con i tiri di interdizione che bloccano la prosecuzione dei lavori. Alle 9,30 dello stesso giorno arriva un messaggio dal comando della 63° Divisione con il quale si avverte di un imminente attacco nei pressi del ponte Braulis, appoggiato dall’artiglieria posta nei dintorni di Osoppo, che tuttavia non si trova nella visuale dell’osservatorio o del forte, si tenta pertanto uno sbarramento con tiri indiretti.

            Con l’invio di due tenenti di artiglieria a rinforzo del forte, viene comunicato il probabile arretramento della 63^ divisione verso San Francesco, mentre gli austro tedeschi la notte del 3 novembre riprendono i lavori sul fiume Fella, la zona viene pesantemente battuta  anche per coprire il ripiegamento della divisione.

            Un ultimo rinforzo arrivò nella notte dal 3 al 4 novembre dalla 63^ divisione, un aspirante ufficiale con 25 soldati del 280° Reggimento, che furono immediatamente impegnati nel rafforzamento delle difese di prossimità.

            Nel frattempo, mentre veniva battuto il passaggio sul Fella, cessavano tutte le comunicazioni telefoniche con il riuscito ripiegamento delle tre divisioni italiane e il conseguente completo accerchiamento del forte, il quale cominciava ad essere a sua volta battuto dall’artiglieria nemica.

            Il successivo 5 novembre vi fu un aumento del volume di fuoco dell’artiglieria nemica, mentre cominciavano a scarseggiare le munizioni per i pezzi del forte.

            Nella notte il nemico attaccò la batteria da 75 mm con la 5^ compagnia della 92^ divisione e un battaglione del reggimento Pappitz, Jagerdivision, l’attacco fu respinto con la sola mitragliatrice in dotazione al forte.

            Alle 9 del 6 novembre si rinnovò l’attacco da varie posizioni che raggiunsero un angolo morto non battuto, l’unica mitragliatrice si inceppò e si giunse a far rotolare per il pendio tutto quello che si trovava, mentre gli uomini si spostavano da un posto all’altro per creare nel nemico la sensazione di una forte presenza numerica.

            Nel mezzo dello scontro fu issata bandiera bianca da un gruppo di attaccanti con la richiesta di parlamentare, condotti bendati dal capitano Winderling gli offrirono la possibilità di una resa onorevole.

            Offerta una lauta colazione ai parlamentari, anche per fare credere una abbondanza di viveri in realtà ormai scarseggianti, il comandante radunò un consiglio di guerra nel quale propose di rompere l’accerchiamento con i soli uomini che volontariamente l’avessero seguito, sciogliendo gli altri dal giuramento.

            L’ambasceria fu rimandata indietro con il rifiuto scritto alla resa in busta sigillata per acquisire tempo, mentre si preparavano le cariche da fare brillare per distruggere i pezzi da 149 mm sia in cupola che su piazzola, oltre ai restanti depositi.

            Fu aperto contemporaneamente il fuoco per consumare gli ultimi colpi, di cui uno colpì un deposito munizioni a Tolmezzo, quindi fu dato fuoco alle micce e gli otturatori dei 75 mm gettati nei dirupi, una colonna di circa 100 uomini, metà del presidio, di dispose a scendere verso la zona paludosa di Somplago per forzare il blocco nemico.

            Purtroppo l’avvicinamento avvenne verso il paese di Somplago deviando dalle paludi e colonne nemiche si posero di traverso, iniziando un fuoco di fucileria, fu ordinato di piegare verso sud, disperdendosi.

            Solo il cap. Winderling, con il ten. Tomei, il maresciallo Federzoni, un sergente e tre soldati riuscirono a sfuggire alla cattura, finché presso il paese di Claut, in un casolare lasciarono le divise e nascosero il carteggio del forte, recuperato nel dopoguerra, proseguendo la fuga.

            Lungo la strada tra i paese di Cimolais ed Erto furono catturati il sergente, il maresciallo e i due soldati, mentre dopo venti giorni di marcia solo Winderling, il Ten. Tomei e il soldato Leon arrivarono ad Aganna dietro le linee austriache, dove per altri venti giorni cercarono di attraversare le linee finché vennero catturati il 15 dicembre.

            La resistenza del  forte sul monte Festa fu citata sia dal Comando Supremo italiano nei bollettini dell’8 novembre e del 9 novembre 1917, che dal gen. Hordt e dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito austro-ungarico, generale Artur Arz von Strassenburg, meritando al cap. Winderling la medaglia d’argento al valor militare nel 1922.

            Questa battaglia la si può considerare l’ultima resistenza riuscita in fortezza della storia militare italiana.

 

Tratto da “I Forti della Grande Guerra”, di Leonardo Malatesta, P. Macchione Ed., 2015.

lunedì 26 settembre 2022

Riunione CESVAM - Riunione Collegio dei Redattori Rivista QUADERNI

NOTIZIE CESVAM

 


Venerdi 23 settembre 2022 si è tenuta:

1. Riunione CESVAM . Centro Studi sul Valore Militare

Erano presenti di persona, il Direttore, L'amm. Cersare Cicca, Il gen Luigi Marsibilio, il Gen Antonio Trogu. Con presenza a distanza, Col. Osvaldo Biribicchi, Dott. Roberto Olevano, Ten. Col. Giovanni Riccardo Battelli

Argogmenti:

a. Rapporti con l'Università Cusano. Aggiornamento Master

b. Progetti. Situazione Generale. Il gen. Trogu è designato come esecutore del Progetto Libano

c. Albo d'Oro Nazionale. Illustrato il progetto presentato

E' stato stabilito che la prossima riunione s terrà il 7 ottobre 2022 sempre con inizio alle 10 e fine alle 12.30

E' Stato  inoltre deciso che il 21 Ottobre 2022 si presenterà il primo volume dedicato alla Russia, a Roma.


2. Riunione Rivista QUADERNI

Presenti il Collegio dei Redattori ( sia in presenza che a distanza)

E' stato deciso di cooptare nel Collegio l'Amm. Cesare Ciocca. L'Amm. Cesare Ciocca ha accettato

SI è constatato che il n. 3 della Rivista QUADERNI è in distribuzione alla data odierna. E' stato raggiunto l'obiettivo di far uscire la rivista prima della scadenza del trimestre

TERMINE ULTIMO DI PRESENTAZIONE DEL MATERIALE PER IL N. 4/22: 15 OTTOBRE PV

Al termine il Direttore ha aggiornato via cell il Presidente Nazionale dei contenuti della Riunione



domenica 25 settembre 2022

Il ruolo dell’O.N.U. nelle crisi internazionali II Parte

GEOPOLITICA DELLEPROSSIME SFIDE 

Sergio Benedetto Sabetta


 

Gli organi intorno ai quali ruota l’attività di gestione delle crisi sono il Consiglio di Sicurezza, che ha competenza limitata al mantenimento della pace, ma in questo settore dispone di poteri assai ampi in particolare per quanto concerne le sanzioni e l’uso della forza contro gli stati colpevoli di aggressione o minaccia alla pace.

Accanto al Consiglio vi è l’Assemblea generale, in cui tutti gli Stati sono rappresentati ed hanno uguale peso nelle votazioni,  essa ha una sfera di competenza illimitata, potendosi occupare di qualsiasi questione che rientri nei fini statutari (art. 10), tuttavia in concreto i suoi poteri non sono affatto estesi, riducendosi al potere di effettuare studi, emanare raccomandazioni e promuovere accordi fra gli Stati membri.

Infine vi è il Segretario generale a cui fa capo un vasto apparato burocratico; nominato dall’Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza, adempie le funzioni che gli sono affidate dallo stesso Consiglio, dall’Assemblea e dagli altri organi delle Nazioni Unite. Occorre premettere che a differenza delle Società delle Nazioni, nell’ambito della quale vigeva il principio dell’unanimità in omaggio alla regola mutuata dalla vecchia prassi delle conferenze internazionali posta a garanzia della sovranità statale, il sistema statutario accolto per le votazioni in seno agli organi delle Nazioni Unite è quello maggioritario.

Il sistema maggioritario, combinandosi con la regola per cui ad ogni Stato spetta un voto indipendentemente dalla sua importanza politica ed economica, è stato oggetto di proposte di temperamento a causa ammissione all’ONU, a partire dagli anni ’60, di un rilevante numero di Stati di piccole dimensioni. Il mantenimento del principio maggioritario ha finito per introdurre come contemperamento la prassi del consensus, per cui vengono approvate senza una votazione formale quelle delibere il cui contenuto è stato preventivamente concordato fuori dalle riunioni ufficiali.

Gli Stati che avanzano riserve o si dissociano totalmente lo possono fare presente al Presidente dell’organo nel momento dell’approvazione, si deve comunque rilevare che questa pratica contribuisce a dare alle risoluzioni contenuti tanto più vaghi quanto più importanti sono le questioni sul tappeto, segno dell’incapacità delle maggioranze di prevalere sulle minoranze-

Un forte temperamento al principio maggioritario si ha in seno al Consiglio di sicurezza dove i membri permanenti possono esercitare il diritto di veto, si tratta di eccezione di non poco conto se si considera che il Consiglio è l’unico organo in grado di vincolare gli altri Stati-

L’art. 27 della Carta testualmente recita: “1. Ogni membro del Consiglio di Sicurezza dispone di un voto. 2. Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di 9 membri. 3. Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese  con un voto favorevole di 9 membri, nei quali siano compresi i voti dei membri permanenti; tuttavia nelle decisioni previste dal cap. VI e dal par. 3 dell’art. 52, un membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto”. Poiché il dovere di astensione non riguarda le delibere relative a misure coercitive contro gli Stati colpevoli di aggressione (cap. VII) e quelle relative all’espulsione dall’Organizzazione (art. 6), sussiste per tutte queste delibere il diritto di veto anche se chi ne è titolare è coinvolto in prima persona, ne consegue l’impossibilità per il Consiglio di agire con misure coercitive contro un membro permanente o di proporne l’espulsione.

A temperamento del diritto di veto si è introdotta la prassi della validità delle delibere prese con l’astensione di uno o più membri permanenti o con la non partecipazione al momento del voto, va notato che questi temperamenti appena descritti hanno consentito al Consiglio di operare ma la mancanza di adesione da parte di tutte le Grandi Potenze rende intrinsecamente deboli queste risoluzioni, senza dubbio si è rilevata una utopia la perfetta intesa trai membri permanenti, ma è anche vero che nell’attuale struttura solo una tale intesa può garantirne il funzionamento.

Sul piano normativo, lo Statuto delle Nazioni Unite segna, rispetto al Covenant della Società delle Nazioni, due notevoli passi avanti: 1. è la maggiore portata dell’obbligo di non ricorrere alla violenza, 2.  è la maggiore istituzionalizzazione dell’azione preventiva-repressiva della violazione di questo obbligo; spetterà comunque al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Le competenze del Consiglio sono disciplinate nei cap. VI (art. 33 e segg.) e VII (art. 39 e segg.), il cap. VI tratta prevalentemente dell’esercizio della funzione conciliativa quando la controversia sia suscettibile i mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale, nel capitolo successivo si tratta delle azioni a tutela della pace quando questa risulti violata o comunque minacciata.

Accertata l’esistenza di una minaccia alla pace, di una sua violazione o di un atto di aggressione (art. 39), il Consiglio può decretare contro lo Statro aggressore misure sanzionatorie ma non implicanti l’uso della forza, come l’interruzione  parziale o totale delle comunicazioni e delle relazioni economiche da parte degli altri Stati (art. 41), ma può intraprendere anche azioni armate (art. 42 e segg.), comunque prima di ricorrera ad una delle due forme esso può invitare gli Stati interessati a prendere quelle misure provvisorie atte a non aggravare la situazione (art. 40).

Il Consiglio di Sicurezza gode di un ampio potere discrezionale nel determinare se in un caso concreto si verifichi una minaccia o violazione della pace o addirittura un atto di aggressione, la discrezionalità più ampia si esercita soprattutto con riguardo all’ipotesi della “ minaccia della pace”: trattasi infatti di una ipotesi assai vaga ed elastica che non è necessariamente caratterizzata da operazioni militari implicanti l’uso della violenza bellica.

I comportamenti che possono dare adito alla minaccia riguardano sia la sfera esterna che la sfera interna dello Stato, dato che l’applicazione delle misure previste dal cap. VII non incontra il limite della “domestic Jurisdiction”, ossia di tutto ciò che ha attinenza con i classici “elementi” dello Stato, che sono i trattamenti dei “sudditi”, l’organizzazione di “Governo” e l’utilizzazione del “territorio”.

Il caso più interessante rimane comunque il ricorso all’art. 42 con tutto ciò che ne consegue, l’uso della forza può avvenire “contro” uno Stato o “all’interno” di uno Stato, quando la situazione interna sia tale da minacciare la pace e la sicurezza internazionale.

Il ricorso a misure violente è chiaramente concepito come una azione di polizia internazionale, che dovrebbe essere ai sensi dell’art. 43 sotto un comando internazionale facente capo allo stesso Consiglio di sicurezza. Il concentrare nell’Organizzazione, non solo il potere di decidere l’utilizzo della forza armata, ma anche la direzione delle operazioni militari, ha il preciso scopo di garantire l’obiettività e l’imparzialità dell’azione, nonché di controllare che questa sia mantenuta entro i limiti strettamente indispensabili al mantenimento della pace.

Consegue che le delibere con cui il Consiglio di sicurezza delega agli Stati membri l’uso della forza contro un determinato Paese, rimettendo nelle loro mani il controllo delle operazioni, non sono inquadrabili sotto gli auspici dell’art. 42 ma addirittura ne tradiscono la lettera e lo spirito e quindi sono illegittime.

Purtroppo gli accordi internazionali che, ai sensi degli artt. 43, 44 e 45, gli Stati membri avrebbero dovuto stipulare con il Consiglio per la costituzione di forze armate internazionali non sono stati realizzati. Ugualmente dicasi per la costituzione di un Comitato di Stato maggiore, composto dai capi di Stato maggiore dei membri permanenti e posto sotto l’autorità del Consiglio (art. 46 e 47), questo ha fatto sì che il Consiglio sia venuto meno, paralizzato dai contrasti tra le superpotenze, ai suoi compiti di tutore dell’ordine internazionale. I deficit organizzativi sopra evidenziati non hanno reso del tutto impotente l’ONU ma è stato necessario trovare un nuovo punto di appoggio, costituito dalla delega del Consiglio al Segretario generale.

Per completare il discorso sui poteri delle Nazioni Unite in ambito di gestione delle crisi internazionali, è opportuno fare un rapido cenno ai poteri dell’Assemblea la quale può discutere qualsiasi questione di carattere generale e farne oggetto di raccomandazioni agli Stati o al Consiglio di sicurezza” oltre ad esercitare funzione conciliativa su controversie tra Stati per le quali non sia già intervenuto il Consiglio di sicurezza.

In passato si è discusso se all’Assemblea, oltre alle competenze ora ricordate, spettasse intraprendere azioni a tutela della pace mediante misure coercitive dl tipo di quelle adottabili dal Consiglio di sicurezza in base al cap. VII della Carta dell’ONU. L’argomento costituì oggetto di accanite dispute dottrinali tra gli anni ’50 e ’60, epoca in cui effettivamente l’Assemblea sotto la spinta degli Stati Uniti tese a sostituirsi al Consiglio di sicurezza nella funzione di mantenimento della pace, vista la paralisi di quest’organo per l’esercizio del diritto di veto, successivamente la spinta degli Stati Uniti è rientrata ed il tema è andato attenuandosi come conseguenza dell’enorme aumento del numero dei membri che ha reso l’Assemblea difficilmente controllabile.  

L’art. 51 nel chiudere il cap. VII testualmente stabilisce: “Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, questo non legittima l’uso della forza in ogni caso ma solo in presenza di un attacco “già sferrato” e finché non interviene il Consiglio di sicurezza, se, tuttavia, il Consiglio resta paralizzato di fronte alla crisi in atto, la Carta e il diritto internazionale hanno esaurito la loro funzione.

Con tutti i limiti rilevati, in alcune gravi questioni internazionali le Nazioni Unite sono riuscite a fare sentire la loro presenza sviluppando le cosiddette peace –keeping operations, affidate ai caschi blu. L’intervento delle forze O.N.U. ha assunto carattere diverso a secondo delle circostanze, acquisendo funzioni di interposizione tra contendenti, presidi di zone armistiziali, gruppi di osservatori militari o forze di polizia internazionale, comunque sia, tali forze sono sempre originate da direttive del Consiglio di sicurezza o dell’Assemblea generale e rientrano nelle responsabilità operative del Segretario generale.

La  43° Assemblea Generale ha approvato una Dichiarazione sulla “Prevenzione ed eliminazione di controversie e situazioni, che possano minacciare la pace e la sicurezza internazionale, nonché il ruolo delle Nazioni Unite in questo campo” (Risoluzione 43/51 DEL 5/12/88), presentata dal Comitato per lo Statuto delle N.U., anche il Segretario generale nelle sue relazioni annuali ha più volte sollecitato una parziale riforma e rivitalizzazione degli organismi internazionali dell’O.N.U. ed è giunto a sollecitare la necessità della costituzione di apposite riserve di truppe specializzate e di risorse finanziarie.

Appare evidente che la struttura dell’ O.N.U. è stata impostata per risolvere conflitti tradizionali tra Stati, in cui vi è di fatto uno scontro simmetrico, con il nuovo millennio si sono manifestati potenziali scontri asimmetrici, dove a forze tradizionali si contrappongono organizzazioni a rete su territori non ben definiti, molto veloci nel riprodursi e spostare i centri di fuoco, capaci di acquisire risorse anche attraverso attività illegali, motivando le persone e creando collegamenti sfruttando tutte le potenzialità di una comunicazione diffusa e capillare, fuori dal controllo statale, il mondo virtuale internet è diventata la base operativa e il territorio in cui muoversi senza confini e barriere, con la possibilità di creare violente suggestioni irreali e sogni di riscatto.       


sabato 24 settembre 2022

L’ONU e le crisi internazionali (Paradossi e Visione strategica ) I Parte

 GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE


Sergio Benedetto Sabetta

 

 

INTRODUZIONE

 

a)    Premessa

 

“Le luci stanno spegnendosi nell’intera Europa. Nell’arco della nostra vita non le rivedremo riaccese”. Queste parole – una tra le battute più famose in tutta la storia europea – furono pronunciate dal ministro degli Esteri britannico, Sir Edward Grey, mentre guardava le luci di Whitehall gradatamente estinguersi la sera di quel giorno del 1914 in cui Gran Bretagna e Germania scesero in guerra. All’epoca, pochi condividevano il giudizio di Grey su quel che stava avvenendo. I più pensavano che si trattasse di una guerra “per la civiltà”. Da un capo all’altro dell’Europa, gli uomini corsero alle caserme, e l’euforia patriottica esplose nelle città.

            Soltanto dopo quattro anni di massacri,  dopo il bolscevismo in Russia, dopo l’ascesa del fascismo, dopo la disintegrazione dell’economia europea durante la grande depressione, si cominciò a capire ciò che Grey aveva inteso dire” ( Introduzione, N. Stone).

            Si deve considerare che negli anni che andarono tra il 1878 e il 1914 le istituzioni parlamentari furono adottate quasi ovunque, “talché il gioco politico si complicò: … Le trasformazioni economiche si imposero massicce e veloci.

            Le popolazioni raddoppiarono e triplicarono. Le famiglie, l’istruzione e gli atteggiamenti verso la religione subirono modificazioni profonde. Con sei Grandi Potenze europee a dettar legge nel mondo, anche gli affari internazionali divennero estremamente complessi” (Introduzione, N. Stone), tutto aveva avuto origine dal rapporto tecnologia e liberalismo, nella riforma delle istituzioni e la conseguente modifica del vecchio ordine, ma “le linee essenziali erano abbastanza chiare. Liberalismo significava Ragione” (6 – N. Stone), dopo circa un secolo si stanno ripetendo alcuni eventi ripresentandosi tutte le potenzialità di possibili conflitti non controllati, dobbiamo considerare che nel caso “in cui le relazioni umane sono condizionate da un conflitto armato effettivo o possibile, agisce un’altra logica, completamente diversa. Essa viola spesso la logica lineare ordinaria, comportando la confluenza e addirittura il capovolgimento dei contrari, …” (24 – Luttwak).

            Come sottolinea Luttwak , “l’intero regno della strategia è pervaso da una logica paradossale tutta sua, in contrasto con la logica lineare ordinaria, …… Nelle situazioni in cui il conflitto è semplicemente incidentale per scopi di produzione e di consumo, di commercio e di cultura, di relazioni sociali e di governo consensuale, con lotte e competizioni più o meno vincolate da leggi e usanze, si applica una logica lineare non contraddittoria, la cui essenza è contenuta in quello che riteniamo buon senso” (23 – Luttwak), anche se in molte occasioni della vita quotidiana sembra non sussistere subissato da altri , troppi stimoli, né si considera adeguatamente in molte occasioni la “memoria storica” delle società su cui si va ad intervenire.

 

Nota

·       E. N. Luttwak, Strategia, Rizzoli, 1989;

·       N. Stone, La Grande Europa 1878 – 1919, Laterza, 1986

 

 

b)    Il problema del paradosso nella visione strategica

 

Secondo la logica lineare causale ad ogni azione segue a cascata un’ulteriore azione prevedibile, come ad ogni azione vi è la possibilità di una controreazione pari e contraria, Luttwak osserva che nella grande strategia il livello verticale militare viene ad interagire con le transazioni non militari tra stati o altre organizzazioni politiche sovranazionali ed economiche proprie del livello orizzontale, viene a crearsi un continuo rapporto interattivo tra le varie organizzazioni che condiziona il risultato netto dei vari livelli militari.

La logica del paradosso emerge anche all’interno degli stessi stati quando per una qualsiasi causa questo perde il monopolio dell’uso della forza e si creano conflitti non regolamentati, in questi casi la logica lineare perde efficacia, il compiere atti di buona volontà possono essere interpretati come segni di debolezza, vedasi la conferenza di Monaco del 1938, e favorire come effetto paradossale l’aggressione, finché non vengono eliminate le cause del conflitto la diplomazia collaborativa non ha successo e può essere controproducente.

Il considerare la logica lineare della cooperazione quale possibile vantaggio evidente per tutte le parti coinvolte nel contenzioso è in molti casi illogico, prevalendo una logica paradossale per cui il probabile uso della forza ne evita l’applicazione pratica, l’inazione prepara la sconfitta nella futura azione che diventa inevitabile proprio a seguito dell’inazione quale speranza del prevalere del buon senso, se gli interessi nazionali si definiscono secondo una logica lineare dell’utile e del minore costo che si estende alla “sicurezza interna”, in ambito internazionale in presenza di conflitti, prevale la logica del paradosso dove la logica lineare può diventare di per sé fonte di debolezza con gravi conseguenze.

Su questioni limitate e ben definite, anche in presenza di più ampi conflitti, una diplomazia cooperativa secondo una logica lineare può avere ottimi risultati, senza per questo dovere risolvere il conflitto stesso, ad esempio il trattato di neutralità dell’Austria del 1955 e quello sul bando degli esperimenti atomici nell’atmosfera del 1962 (Luttwak).

Caso emblematico di paradosso strategico è quello che fu sviluppato in Europa con la dissuasione nucleare durante gli anni della Guerra Fredda, quando la Nato, a partire dal 1967, cambiò le due forme fino allora utilizzate di dissuasione mediante rappresaglia totale atomica e mediante rifiuto allo scontro, ossia cessione di spazio territoriale al fine di sfilacciare l’eventuale offensiva del Patto di Varsavia in corridoi tra centri abitati per preparare il ritorno offensivo, entrambi furono considerati inaffidabili in quanto il primo avrebbe portato alla risposta con l’annientamento totale dei due schieramenti, mentre il secondo l’abbandono degli alleati in prima linea e il conseguente sfaldamento dell’alleanza o al contrario un costoso rafforzamento dell’apparato militare, senza che questo tuttavia garantisse dalla tentazione di preparare un attacco di sorpresa con forti probabilità di successo.

Scriveva a riguardo Luttwak nel 1987 , “In realtà la Nato si basa su una combinazione di mezzi: forze di difesa frontali non nucleari inadeguate, un contingente di armi nucleari campali (anche queste destinate a una dissuasione mediante rifiuto), uno schieramento di forze nucleari di portata di teatro, anch’esso piuttosto vulnerabile, e le forze nucleari a grande gittata degli americani, effettivamente abbondanti e molto meno vulnerabili delle armi atomiche campali e di teatro, ma del cui impiego per la difesa dell’Europa non si può essere sicuri.

Quella che sembra una congerie di inadeguatezze è conforme alla logica del paradosso ed è proprio perché le difese frontali non nucleari non sono adeguate che diventa credibile l’uso di armi nucleari campali”(285-286, Strategia. Le logiche della guerra e della pace nel confronto tra le grandi potenze, Rizzoli, 1989, trad. Enzo Peru),  in Italia il disciolto 1° GR.A.PE., “ADIGE” Elvas-BRIXEN della III° BRGT. Missili “Aquileia”,  sembrerebbero problemi del ‘900 ma la storia proietta le sue ombre nel nuovo millennio come il caso Mitrokhin,  la crisi siriana e l’attuale crisi Ucraina.

Giuridicamente in molti conflitti si tende a non affrontare il problema alla radice ma si cerca di spalmarlo nello spazio, acquisendo per tale via ulteriore tempo, nella speranza che si venga a risolvere per esaurimento da solo o che eventi imprevisti modifichino il contesto entro cui il problema è nato e si è espanso, spazio in cambio di tempo, come alcuni hanno ipotizzato nell’attuale crisi del Mediterranea.

 

 

Il ruolo dell’O.N.U. nelle crisi internazionali

 

Gli organi intorno ai quali ruota l’attività di gestione delle crisi sono il Consiglio di Sicurezza, che ha competenza limitata al mantenimento della pace, ma in questo settore dispone di poteri assai ampi in particolare per quanto concerne le sanzioni e l’uso della forza contro gli stati colpevoli di aggressione o minaccia alla pace.

Accanto al Consiglio vi è l’Assemblea generale, in cui tutti gli Stati sono rappresentati ed hanno uguale peso nelle votazioni,  essa ha una sfera di competenza illimitata, potendosi occupare di qualsiasi questione che rientri nei fini statutari (art. 10), tuttavia in concreto i suoi poteri non sono affatto estesi, riducendosi al potere di effettuare studi, emanare raccomandazioni e promuovere accordi fra gli Stati membri.

Infine vi è il Segretario generale a cui fa capo un vasto apparato burocratico; nominato dall’Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza, adempie le funzioni che gli sono affidate dallo stesso Consiglio, dall’Assemblea e dagli altri organi delle Nazioni Unite. Occorre premettere che a differenza delle Società delle Nazioni, nell’ambito della quale vigeva il principio dell’unanimità in omaggio alla regola mutuata dalla vecchia prassi delle conferenze internazionali posta a garanzia della sovranità statale, il sistema statutario accolto per le votazioni in seno agli organi delle Nazioni Unite è quello maggioritario.

Il sistema maggioritario, combinandosi con la regola per cui ad ogni Stato spetta un voto indipendentemente dalla sua importanza politica ed economica, è stato oggetto di proposte di temperamento a causa ammissione all’ONU, a partire dagli anni ’60, di un rilevante numero di Stati di piccole dimensioni. Il mantenimento del principio maggioritario ha finito per introdurre come contemperamento la prassi del consensus, per cui vengono approvate senza una votazione formale quelle delibere il cui contenuto è stato preventivamente concordato fuori dalle riunioni ufficiali.

Gli Stati che avanzano riserve o si dissociano totalmente lo possono fare presente al Presidente dell’organo nel momento dell’approvazione, si deve comunque rilevare che questa pratica contribuisce a dare alle risoluzioni contenuti tanto più vaghi quanto più importanti sono le questioni sul tappeto, segno dell’incapacità delle maggioranze di prevalere sulle minoranze-

Un forte temperamento al principio maggioritario si ha in seno al Consiglio di sicurezza dove i membri permanenti possono esercitare il diritto di veto, si tratta di eccezione di non poco conto se si considera che il Consiglio è l’unico organo in grado di vincolare gli altri Stati-

L’art. 27 della Carta testualmente recita: “1. Ogni membro del Consiglio di Sicurezza dispone di un voto. 2. Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di 9 membri. 3. Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese  con un voto favorevole di 9 membri, nei quali siano compresi i voti dei membri permanenti; tuttavia nelle decisioni previste dal cap. VI e dal par. 3 dell’art. 52, un membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto”. Poiché il dovere di astensione non riguarda le delibere relative a misure coercitive contro gli Stati colpevoli di aggressione (cap. VII) e quelle relative all’espulsione dall’Organizzazione (art. 6), sussiste per tutte queste delibere il diritto di veto anche se chi ne è titolare è coinvolto in prima persona, ne consegue l’impossibilità per il Consiglio di agire con misure coercitive contro un membro permanente o di proporne l’espulsione.

A temperamento del diritto di veto si è introdotta la prassi della validità delle delibere prese con l’astensione di uno o più membri permanenti o con la non partecipazione al momento del voto, va notato che questi temperamenti appena descritti hanno consentito al Consiglio di operare ma la mancanza di adesione da parte di tutte le Grandi Potenze rende intrinsecamente deboli queste risoluzioni, senza dubbio si è rilevata una utopia la perfetta intesa trai membri permanenti, ma è anche vero che nell’attuale struttura solo una tale intesa può garantirne il funzionamento.

Sul piano normativo, lo Statuto delle Nazioni Unite segna, rispetto al Covenant della Società delle Nazioni, due notevoli passi avanti: 1. è la maggiore portata dell’obbligo di non ricorrere alla violenza, 2.  è la maggiore istituzionalizzazione dell’azione preventiva-repressiva della violazione di questo obbligo; spetterà comunque al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Le competenze del Consiglio sono disciplinate nei cap. VI (art. 33 e segg.) e VII (art. 39 e segg.), il cap. VI tratta prevalentemente dell’esercizio della funzione conciliativa quando la controversia sia suscettibile i mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale, nel capitolo successivo si tratta delle azioni a tutela della pace quando questa risulti violata o comunque minacciata.

Accertata l’esistenza di una minaccia alla pace, di una sua violazione o di un atto di aggressione (art. 39), il Consiglio può decretare contro lo Statro aggressore misure sanzionatorie ma non implicanti l’uso della forza, come l’interruzione  parziale o totale delle comunicazioni e delle relazioni economiche da parte degli altri Stati (art. 41), ma può intraprendere anche azioni armate (art. 42 e segg.), comunque prima di ricorrera ad una delle due forme esso può invitare gli Stati interessati a prendere quelle misure provvisorie atte a non aggravare la situazione (art. 40).

Il Consiglio di Sicurezza gode di un ampio potere discrezionale nel determinare se in un caso concreto si verifichi una minaccia o violazione della pace o addirittura un atto di aggressione, la discrezionalità più ampia si esercita soprattutto con riguardo all’ipotesi della “ minaccia della pace”: trattasi infatti di una ipotesi assai vaga ed elastica che non è necessariamente caratterizzata da operazioni militari implicanti l’uso della violenza bellica.

I comportamenti che possono dare adito alla minaccia riguardano sia la sfera esterna che la sfera interna dello Stato, dato che l’applicazione delle misure previste dal cap. VII non incontra il limite della “domestic Jurisdiction”, ossia di tutto ciò che ha attinenza con i classici “elementi” dello Stato, che sono i trattamenti dei “sudditi”, l’organizzazione di “Governo” e l’utilizzazione del “territorio”.

Il caso più interessante rimane comunque il ricorso all’art. 42 con tutto ciò che ne consegue, l’uso della forza può avvenire “contro” uno Stato o “all’interno” di uno Stato, quando la situazione interna sia tale da minacciare la pace e la sicurezza internazionale.

Il ricorso a misure violente è chiaramente concepito come una azione di polizia internazionale, che dovrebbe essere ai sensi dell’art. 43 sotto un comando internazionale facente capo allo stesso Consiglio di sicurezza. Il concentrare nell’Organizzazione, non solo il potere di decidere l’utilizzo della forza armata, ma anche la direzione delle operazioni militari, ha il preciso scopo di garantire l’obiettività e l’imparzialità dell’azione, nonché di controllare che questa sia mantenuta entro i limiti strettamente indispensabili al mantenimento della pace.

Consegue che le delibere con cui il Consiglio di sicurezza delega agli Stati membri l’uso della forza contro un determinato Paese, rimettendo nelle loro mani il controllo delle operazioni, non sono inquadrabili sotto gli auspici dell’art. 42 ma addirittura ne tradiscono la lettera e lo spirito e quindi sono illegittime.

Purtroppo gli accordi internazionali che, ai sensi degli artt. 43, 44 e 45, gli Stati membri avrebbero dovuto stipulare con il Consiglio per la costituzione di forze armate internazionali non sono stati realizzati. Ugualmente dicasi per la costituzione di un Comitato di Stato maggiore, composto dai capi di Stato maggiore dei membri permanenti e posto sotto l’autorità del Consiglio (art. 46 e 47), questo ha fatto sì che il Consiglio sia venuto meno, paralizzato dai contrasti tra le superpotenze, ai suoi compiti di tutore dell’ordine internazionale. I deficit organizzativi sopra evidenziati non hanno reso del tutto impotente l’ONU ma è stato necessario trovare un nuovo punto di appoggio, costituito dalla delega del Consiglio al Segretario generale.

Per completare il discorso sui poteri delle Nazioni Unite in ambito di gestione delle crisi internazionali, è opportuno fare un rapido cenno ai poteri dell’Assemblea la quale può discutere qualsiasi questione di carattere generale e farne oggetto di raccomandazioni agli Stati o al Consiglio di sicurezza” oltre ad esercitare funzione conciliativa su controversie tra Stati per le quali non sia già intervenuto il Consiglio di sicurezza.

In passato si è discusso se all’Assemblea, oltre alle competenze ora ricordate, spettasse intraprendere azioni a tutela della pace mediante misure coercitive dl tipo di quelle adottabili dal Consiglio di sicurezza in base al cap. VII della Carta dell’ONU. L’argomento costituì oggetto di accanite dispute dottrinali tra gli anni ’50 e ’60, epoca in cui effettivamente l’Assemblea sotto la spinta degli Stati Uniti tese a sostituirsi al Consiglio di sicurezza nella funzione di mantenimento della pace, vista la paralisi di quest’organo per l’esercizio del diritto di veto, successivamente la spinta degli Stati Uniti è rientrata ed il tema è andato attenuandosi come conseguenza dell’enorme aumento del numero dei membri che ha reso l’Assemblea difficilmente controllabile.  

L’art. 51 nel chiudere il cap. VII testualmente stabilisce: “Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, questo non legittima l’uso della forza in ogni caso ma solo in presenza di un attacco “già sferrato” e finché non interviene il Consiglio di sicurezza, se, tuttavia, il Consiglio resta paralizzato di fronte alla crisi in atto, la Carta e il diritto internazionale hanno esaurito la loro funzione.

Con tutti i limiti rilevati, in alcune gravi questioni internazionali le Nazioni Unite sono riuscite a fare sentire la loro presenza sviluppando le cosiddette peace –keeping operations, affidate ai caschi blu. L’intervento delle forze O.N.U. ha assunto carattere diverso a secondo delle circostanze, acquisendo funzioni di interposizione tra contendenti, presidi di zone armistiziali, gruppi di osservatori militari o forze di polizia internazionale, comunque sia, tali forze sono sempre originate da direttive del Consiglio di sicurezza o dell’Assemblea generale e rientrano nelle responsabilità operative del Segretario generale.

La  43° Assemblea Generale ha approvato una Dichiarazione sulla “Prevenzione ed eliminazione di controversie e situazioni, che possano minacciare la pace e la sicurezza internazionale, nonché il ruolo delle Nazioni Unite in questo campo” (Risoluzione 43/51 DEL 5/12/88), presentata dal Comitato per lo Statuto delle N.U., anche il Segretario generale nelle sue relazioni annuali ha più volte sollecitato una parziale riforma e rivitalizzazione degli organismi internazionali dell’O.N.U. ed è giunto a sollecitare la necessità della costituzione di apposite riserve di truppe specializzate e di risorse finanziarie.

Appare evidente che la struttura dell’ O.N.U. è stata impostata per risolvere conflitti tradizionali tra Stati, in cui vi è di fatto uno scontro simmetrico, con il nuovo millennio si sono manifestati potenziali scontri asimmetrici, dove a forze tradizionali si contrappongono organizzazioni a rete su territori non ben definiti, molto veloci nel riprodursi e spostare i centri di fuoco, capaci di acquisire risorse anche attraverso attività illegali, motivando le persone e creando collegamenti sfruttando tutte le potenzialità di una comunicazione diffusa e capillare, fuori dal controllo statale, il mondo virtuale internet è diventata la base operativa e il territorio in cui muoversi senza confini e barriere, con la possibilità di creare violente suggestioni irreali e sogni di riscatto.       


venerdì 23 settembre 2022

Congresso di Siena. Istituto del Nastro Azzurro Documento

ARCHIVIO

Documenti per la storia del Nastro Azzurro


Giorgio Madeddu ha inviato questo documento relativo al Congresso di Siena

dell'Istituto del Nastro Azzurro
info:ricerca.cesvam@istitutonastoazzurro.org

 

giovedì 22 settembre 2022

Implementazione. Lineamenti 2022. Gradi delle Forze Armate Parte VIII

 NOTIZIE CESVAM

Lineamenti al 28 luglio 2022

Albo Nazionale dei Decorati



 

5. Elenco per Gradi. Forze Armate

I Gradi sono stati ordinati come segue:

5.1 Generali

5.2 Ufficiali

5.3 Sottufficiali

5.4 Truppa

La Individuazione dei gradi è stata prima di tutto fatta per l’Esercito. Poi una tabella di equivalenza sarà predisposta sulla base dei regolamenti istitutivi per le altre Forze Armate e Corpi.

5.1 Generali

1.     Primo Maresciallo dell’Impero

2.     Maresciallo d’Italia

3.     Generale d’Armata

4.     Generale des. d’Armata

5.     Generale di Corpo d’Armata

6.     Generale di Divisione

7.     Generale di Brigata

8.     Colonnello Brigatiere

 

5.2           Ufficiali Superiori

 

1. Colonnello

2. Tenente Colonnello

3. Maggiore

 

5.3. Ufficiali Subalterni

1.Capitano

2.Tenente

3.Sottotenente

4.Aspirante

   5. Altri

5.4 Sottufficiali

1. Aiutante di Battaglia

1.    Luogotenente

2.     Maresciallo Maggiore

3.     Maresciallo

4.     Maresciallo Ordinario

6 Sergente Maggiore

7       Sergente

8       Altri[1]

5.5 Truppa

1. Caporale Maggiore

2. Caporale

3. Soldato Scelto

4. Soldato

5. Altri[2]

Una tabella di equivalenza dei gradi dell’Esercito con quella delle altre Forze Armate, come detto, sarà predisposta. Inoltre sarà inseriti i nuovi gradi per la Truppa.\Inoltre la dizione dei gradi varia a seconda se si tratta di Arma Combattente o dei Servizi. Esempio Il Generale di C.d.A. per la Fanteria equivale al Tenente Generale per i Corpi.



[1] È in corso uno studio per individuare i Gradi dei Sottufficiali delle Regi Corpi delle Truppe Coloniali e dell’Esercito del regno d’Albania.

[2] È in corso uno studio per individuare i Gradi dei Sottufficiali delle Regi Corpi delle Truppe Coloniali e dell’Esercito del regno d’Albania


mercoledì 21 settembre 2022

Quadro di Battaglia del Regio Esercito al 10 giugno 1940. Libia ed A.O.I,

 DIBATTITI

Progetto2020

Comando Superiore Forze Armate Africa settentrionale

Maresciallo d’Italia Italo Balbo

8900 Ufficiali, 184.000 Sottufficiali e truppa, 28.500 soldati libici.

 

5a Armata (Gen. Italo Gariboldi). In Tripolitania

Corpi d’Armata

X C.d.A

   Div. Fanteria Bologna

   Div. Fanteria Sabratha

   Div. Fanteria Savona

XX C.d.A.

   Div. Fanteria Brescia

   Div Fanteria Pavia

   Div. Fanteria Sirte

XXIII C.d.A.

   1a Legione della Milizia 23 marzo

   2a Legione della Milizia 28 ottobre

Unità Indipendenti

   2a Div. Libica truppe di copertura alla frontiera tunisina e Piazzaforte di Tripoli

 

10a Armata (Gen. Mario Berti). In Cirenaica

XXI C.d.A.

   Div. Fanteria Cirene

   Div Fanteria Marmarica

   4a Legione della Milizia 3 gennaio

Unità Indipendenti

1a Div. Libica truppe di copertura alla frontiera orientale e Piazzaforte di Tobruk

Nello scacchiere sahariano settori di copertura a Cufra Gadames e Serdemes 6 compagnie di mitraglieri libici e truppe mobili

 

 

Comando Forze Armate dell’Africa Orientale Italiana

Viceré S.A.R. Amedeo d’Aosta

5.900 Ufficiali, 68.000 Sottufficiali e truppa, 182 soldati coloniali

 

Unità Indipendenti

Reggimento Granatieri di Savoia

Div. Fanteria Africa

16 battaglioni nazionali non indivisionati con:

.3 compagnie carri armati

. 10 gruppi di artiglieria

,1 squadriglia autoblinde

 

29 Brigate coloniali con

. 17 battaglioni coloniali autonomi

. 8 gruppi squadroni di cavalleria

. 22 gruppi bande

.2 gruppi di artiglieria

 

In totale il Regio Esercito presentava 1.156.000 uomini, con 44250 ufficiali. Per completezza occorre aggiungere altri 500000 uomini del personale della Difesa antiaerea, servizi territoriali, Forze di Polizia, tra cui Carabinieri e Guardia di Finanza.