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lunedì 7 settembre 2020

Riflessioni sulla Grande Guerra. Le considerazioni della nostra lotta

APPROFONDIMENTI


Un'altra circostanza è da mettere in luce: la scarsezza di artiglieria pesante e di munizionamento in confronto alla quantità che occorreva per la guerra di posizione. Largamente provvista in previsione di una guerra breve (largamente s'intende in confronto del misero munizionamento austriaco nel luglio 1914), l’Italia nei dieci mesi di neutralità non aveva potuto aumentare che del 20% al più le proprie dotazioni di proietti. Essa non era mai stata una potenza che trafficasse in materiali di guerra; anzi, era all’inizio degli sforzi per rendersi per quanto possibile indipendente dalle forniture straniere. E’ naturale che, nella lotta contro l’Austria, pro- duttrice di tali materiali e che aveva avuto dieci mesi di tempo I per fabbricarne senza limiti di spesa, fossimo, in suo confronto, caduti in ristrettezze. In condizioni analoghe e per le stesse cause si | era trovata l'Inghilterra, tanto che il maresciallo Wilson nel suo giornale dichiara che gli inglesi nel luglio 1915 non avevano «les munitions nécessaires pour une attaque de 4 divisions». Si vedrà come l’Italia anche in questo campo, abbia saputo progredire durante la guerra.
Non soltanto di munizioni difettava l’Italia, ma anche di mezzi sussidiari e di armi da trincea. Si comprende come un organismo complesso non possa funzionare da principio senza attriti e senza deficienze e che chi entra nuovo in guerra si trovi, per questo, in condizioni di inferiorità. Nell'autunno del 1915 il sottocapo di stato maggiore dell’esercito mi diceva che le pinze tagliafili regolamentari si erano dimostrate inadatte a recidere i reticolati austriaci, formati di un filo assai più robusto di quanto si era preveduto, e che le prime pinze efficaci erano giunte nel luglio. Bombe a mano, lancia bombe e bombarde — tutto, cioè, l’armamentario per la guerra di trincea — mancava o trovavasi allo stato rudimentale.

La situazione, dunque, si presentava così: terreno, il più aspro e difficile dei teatri di guerra; zona per le grandi operazioni limitata, così da rendere problematica la sorpresa; mezzi tecnici ed artiglierie, scarsi; nemico, valoroso, agguerrito da 10 mesi di guerra ed infiammato d’odio contro gli italiani. Le forze inviate da principio dai provetti capi dell’esercito tedesco ed austriaco erano da essi ritenute sufficienti per la sicura difesa sulla linea dell’Isonzo; quando non lo furono più, il contegno passivo dei serbi permise di mettere a disposizione di Conrad una riserva considerevole. In queste condizioni era ammissibile uno sfondamento da parte nostra, quando non era stato possibile su fronti dove le difficoltà non erano così gravi?
Avvenne dunque quanto doveva accadere, cioè si confermò sulla nostra fronte quanto si era verificato altrove: il passaggio alla guerra di posizione. Cosa volevano Joffre e Cadorna? sfondare la fronte avversaria, passare alla guerra di movimento, alla lotta rapida, decisiva, possibilmente in territorio nemico. Ma per questo occorreva rompere il muro dell’avversario in modo che questo non potesse più turare la falla con un altro muro alquanto più arretrato, occorreva dunque esaurire la potenza militare e soprattutto le riserve nemiche. Oltre otto milioni di soldati poteva portare in campo la Germania, sei l’Austria: essi non erano tutti in linea, una parte si trovavano in riserva dietro l’esercito, altri all’istruzione in paese, altri dovevano essere ancora arruolati, ma destinati ad essere istruiti in tempo per entrare presto nelle file.


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