APPROFONDIMENTI
Nel 150° anniversario
L’Arma
di Artiglieria a Porta Pia
L’iconografia ufficiale che ha contribuito
a rendere popolare la vicenda riguardante la presa di Porta Pia da parte del
Regio Esercito e, quindi, l’acquisizione di Roma che doveva divenire poco dopo
la nuova Capitale del Regno, è certamente quella del notissimo quadro di Michele
Cammarano: La carica dei bersaglieri alle mura di Roma (1871, Napoli, Museo di
Capodimonte).
Il quadro
ha legato indissolubilmente i Fanti Piumati a quella vicenda, realizzando un “cortocircuito”
sintetizzato dal binomio “Bersaglieri – Roma italiana”.
Nella
realtà le cose non andarono proprio così e senza nulla togliere ai tantissimi meriti
che vanno ascritti alla notissima Specialità dell’Esercito italiano nei suoi 184
anni di vita (la Specialità della Fanteria denominata “Bersaglieri” fu creata
il 18 giugno del 1836, per una felicissima intuizione del Generale Alessandro
La Marmora), il compito dello storico è quello di ricercare e divulgare la
verità nel modo più completo su quanto accade a Roma in quella splendida mattinata di pieno sole che fu il 20
settembre del 1870. E’, infatti, storicamente ed eticamente corretto attribuire
a tutte le Armi ed a tutti i Corpi che costituirono il Corpo di Spedizione
italiano il giusto merito, per quello che fu uno degli episodi più significati
sulla strada dell’unificazione della nostra Nazione.
In
particolare, in questa sede verrà esaminato il ruolo ricoperto dall’Arma di
Artiglieria, cui si deve la rottura materiale della cinta muraria della Città
Eterna e l’apertura del varco da cui irruppero le truppe.
Per l’occupazione di Roma, il Regio
Esercito costituì un complesso di forze denominato inizialmente Corpo d’osservazione dell’Italia centrale e successivamente IV Corpo d’Esercito,
agli ordini del Generale Raffaele Cadorna, inizialmente su tre Divisioni,
portate a cinque nell’imminenza dell’attacco, per un totale di 60000 uomini[1]
che dovevano vedersela con circa 17000 pontifici.
Questa determinazione era derivata dallo
scoppio del conflitto Franco-Prussiano e dagli esiti che lo stesso ebbe il 2
settembre 1870, con la sconfitta delle armi
francesi a Sedan e la conseguente caduta del Secondo Impero, da sempre fedele
custode dell’indipendenza dello Stato Pontificio; lo stravolgimento politico
che ne derivò aprì di fatto all'Italia la strada per Roma.
Il piano operativo approntato per
l’esigenza dallo Stato Maggiore del Generale Cadorna prevedeva uno sforzo
principale a nord dell’Urbe, nel tratto di mura Aureliane compreso tra Porta
Salaria e Porta Pia, e tre sforzi dimostrativi/diversivi, esercitati: in
corrispondenza di Porta San Pancrazio ad ovest (2a Divisione, Gen.
Nino Bixio); a cavallo delle vie Tiburtina e Prenestina ad est (13a
Divisione, Gen. Emilio Ferrero); tra Porta Maggiore e Porta San Giovanni a sud
(9a Divisione, Gen. Diego Angioletti).
Dal punto di vista delle artiglierie in organico,
il IV Corpo d’Esercito disponeva di una Brigata di artiglieria (la Brigata era
una unità organicamente assimilabile all’attuale Gruppo di artiglieria,
ciascuna su tre batterie di sei pezzi) per ognuna delle cinque Divisioni ed
erano armate con cannoni da campagna da 9 cm., appartenenti al 7°, all’8° e al
9° reggimento (solamente la 2a Divisione “Bixio” disponeva
di una Brigata su quattro batterie da campagna da 9 cm., una del 7° e tre
dell’8° reggimento).
Oltre a queste, il Gen. Cadorna disponeva
anche di una Riserva di artiglieria, costituita dalla 2a Brigata del
9° Reggimento, armata con 18 pezzi più potenti da 12 cm. e che era destinata
all’effettuazione del cosiddetto “tiro di breccia”, per aprire un varco nella
cinta muraria[2].
Per investire Porta Salaria e Porta Pia,
il tratto meno robusto delle mura, furono designate la 11a
Divisione, comandata dal Gen. Enrico Cosenz, e la 12a, agli ordini
del Generale Gustavo Mazè de la Roche, che provenivano da Civitacastellana,
dove avevano sostenuto uno scontro con truppe papaline; insieme a queste, prese
posizione la Brigata di artiglieria della Riserva.
In particolare, le tre batterie del 7°
Reggimento da campagna che erano in organico alla 11a Divisione, si
schierarono a cavallo della via Salaria: una, a circa 500 metri dall’omonima
porta, con il compito di sfondarla, mentre le altre due avrebbero dovuto
svolgere “tiri di molestia in arcata” ed appoggiare il tiro di breccia delle
batterie della Riserva; quelle in organico all’12a Divisione, altre
tre batterie del 7° Reggimento da campagna, vennero poste a cavallo della via Nomentana,
con compiti di molestia nei confronti dei difensori.
Per l’effettuazione della rottura
materiale delle mura, come accennato, vennero destinate le tre batterie della
Brigata di artiglieria della Riserva, che era comandata dall’allora Maggiore
Luigi Gerolamo Pelloux, che successivamente tanta parte ebbe nella storia del
giovane Regno d’Italia, ricoprendo, prima, la carica di Ministro della Guerra e,
successivamente, quella di Presidente del Consiglio dei Ministri, e che era
composta dalle batterie 5a, 6a ed 8a,
comandate, rispettivamente, dai Capitani Giacomo Segre, Luigi Castagnola e
Francesco Rogier. Delle tre, la 5a batteria “Segre” fu destinata a
svolgere l’azione di fuoco principale e venne schierata a poco più di 500 metri
di distanza dalle Mura, tra la via Salaria e la via Nomentana, le altre,
schierate a tergo, avrebbero svolto un compito di concorso; l’unità alle ore 5
e 20 iniziò un fuoco particolarmente preciso ed efficace ed alle 9 e 30 la
breccia era già praticata per un’ampiezza di circa 30 metri alla destra della
Porta Pia[3].
La reazione degli Zuavi pontifici fu
violenta ed un fitto fuoco di fucileria partente da un avamposto creato al di
fuori delle mura, in corrispondenza di Villa Patrizi, si abbatté sulla batteria
“Segre”, causandole gravi perdite, tanto che il Gen. Mazè, per far cessare il
fuoco dei difensori diretto contro gli artiglieri, dette ordine al dipendente
XXXV battaglione bersaglieri, poi rinforzato dal 39° Reggimento di fanteria
della Brigata “Bologna”, di occupare subito l’avamposto, sloggiandone le forze
papaline.
Alle 9,30, come detto, la breccia era
realizzata e poco dopo su Villa Albani, sede del Comando del Cadorna, venne
issato il Tricolore, segnale concordato che trasmetteva l’ordine del cessate il
fuoco per le batterie e quello di attacco per le fanterie.
L’assalto fu portato contestualmente dai
fanti del 19° Reggimento e dai bersaglieri del XXXIV battaglione della
Divisione “Cosenz” e dal 41° Reggimento Fanteria e dal XII battaglione
bersaglieri della Divisione “Mazè”. Entrambe le aliquote si mossero coperte
dalla strada che costeggiava le mura e che in quel tratto correva in rilevato,
occultandole al tiro rabbioso dei difensori. Questa “epica gara” fu vinta dalle
truppe del Gen. Cosenz che irruppero per prime nella Città Eterna, ma fu il
XXXIV Battaglione Bersaglieri a pagare un prezzo elevatissimo per questo
primato, con la morte del suo Comandante, il Maggiore Giacomo Pagliari, che
successivamente fu decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria. Contemporaneamente,
i fanti del 39° Reggimento, Divisione “Mazè”, attraversavano Porta Pia e ne
catturavano i difensori.
Il giorno dopo l’azione, il Governo diramò
il comunicato che Roma era stata occupata dai soldati italiani ed il Capitano
Segre scrisse alla giovane sposa: “Ieri
fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione le truppe pontificie
fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa
d’assalto dalla fanteria e dai bersaglieri. La mia batteria prese parte
all’azione e si batté con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il
mio tenente che morì stamane. Povero bel giovanottino di ventiquattro anni!
Ferito ugualmente altro caporale che forse non camperà sino a questa sera e più
leggermente altri quattro cannonieri”.
Alla fine, la batteria conterà 3 caduti,
il Luogotenente Giulio Cesare Paoletti[4],
i Caporali Michele Plazzoli e Carlo Corsi, e quattro feriti. Per la sua perizia
e per la condotta efficace del suo reparto, il Capitano Segre verrà decorato di
Medaglia d’Argento al Valor Militare “Per
la splendida direzione data al fuoco della sua batteria”. Il Maggiore
Pelloux ottenne la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, il
Luogotenente Paoletti venne decorato “Alla Memoria” con una Medaglia d’Argento
e sette “cannonieri” ricevettero la Medaglia di Bronzo.
Al Capitano Giacomo Segre, questa
brillante e storicamente significativa azione non gli valse a percorrere una
carriera altrettanto brillante, al punto che il 1° maggio del 1894 nel grado di
Colonnello lasciava il servizio attivo a domanda.
Il successivo 10 ottobre Giacomo Segre
morì e venne sepolto nel cimitero ebraico di Chieri (TO) e nonostante che il
suo nome resti legato ad uno degli eventi più importanti della storia d’Italia,
il ruolo da lui ricoperto in quel lontano 20 settembre 1870 rimane ai più
certamente ignoto.
[1] Filippo Stefani, La Storia della Dottrina e degli ordinamenti
dell’Esercito Italiano, I Volume, p 237.
[2] Filippo Stefani, op. cit.,
pag. 238.
[3] Alcune
note del tempo attribuiscono la scelta della batteria “Segre” per sparare i
primi colpi contro le mura della “Città Eterna”, nella considerazione
dell’appartenenza alla Religione ebraica del suo Comandante, il che l’avrebbe
messo al riparo dal provvedimento di Scomunica papale, che si riteneva il Papa
avrebbe irrogato nei confronti di chi per primo avrebbe reso palese l’inizio
dell’attacco. In realtà la scelta venne determinata, più correttamente, tenendo
conto delle capacità tecniche e di comando dell’Ufficiale.
[4] Luigi Gerolamo Pelloux, Quelques souvenirs de ma vie, p 85.
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