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mercoledì 16 settembre 2020

Riflessioni sulla Grande Guerra. La mancata cooperazione serba 1

APPROFONDIMENTI

In base alla convenzione di Pietroburgo, firmata il 21 maggio, gli eserciti russo, serbo e italiano dovevano dirigere, di pieno accordo, il massimo sforzo contro l’Austria. Ha mantenuto fede, l’Italia, a questo patto?
Si è già detto che l’Austria nel giugno aveva 221 battaglioni sulla nostra fronte; più precisamente 201 battaglioni e 41 riparti di standschutzen i quali ultimi si sono contati per prudenza come mezzi battaglioni, perchè all’inizio della guerra essi avevano, in base ai dati del kriegsarchiv di Vienna, una forza variabile da 400 a 1000 uomini. Dunque 221 battaglioni, pari a 18 divisioni, erano schierati contro di noi all’inizio della 1a battaglia dell’Isonzo; gli standschutzen, truppe territoriali composte di montanari, furono invece impiegati nel montuoso Tirolo.
Ma iniziata la 1° battaglia sull’Isonzo (30 giugno-5 luglio), seguita a breve distanza dalla 2a (10 luglio-10 agosto), l’Austria s’avvide che i suoi calcoli erano inesatti e cioè che le forze schierate contro di noi erano insufficienti: in luglio furono allora inviate in rinforzo alla nostra fronte altre 3 divisioni (8 a, 59 a, 61a) più altre tre brigate da montagna (12a, 14a, 59a), ed una di landsturm (19a), in totale 5 divisioni. L'aumento continuò in modo che per la 3a e 4a battaglia sull’Isonzo l’archivio di Vienna dà presenti 80 battaglioni in più delle forze schierate all’inizio della 1a battaglia; del pari considerevole era stato l'aumento delle artiglierie. L’offensiva italiana, dunque, aveva servito quale notevole alleggerimento per i due eserciti alleati impegnati contro l’Austria. Col suo solito semplicismo il Danilow dice che nessuna cooperazione era stata possibile dato che gli italiani erano stati fermati presso l’Isonzo. Ora, che importa se la zona nella quale si combatteva era qualche chilometro più ad est o più ad ovest, quando con la nostra prima offensiva avevamo attirato contro di noi l’equivalente di una armata? Qualcuno doveva pur aver provato sollievo dalla diminuzione delle forze schierate contro di lui.
Delle truppe affluite alla nostra fronte dal maggio ai primi di settembre sei divisioni (8a, 17a, 20a honved, 22a, 28a, 44a) erano provenienti dalla Russia; otto (1a, 18a, 48a, 50a, 57a, 58a, 59a, 61a) più qualche brigata da montagna (12a, 14a) dalla Serbia; l’alpenkorps bavarese (di recente formazione) proveniva dalla Germania. Ora, che dalla fronte russa si potessero distrarre forze, dato che l’esercito dello czar era in ritirata, si comprende, ma il togliere tante divisioni dalla fronte serba dove gli austriaci erano stati battuti, è un fatto che merita un minuto esame.
Già in previsione dell’inizio delle operazioni alla fronte italiana erano state tolte dalla fronte serba almeno 5 divisioni, tanto che ne erano rimaste soltanto tre attive, la 59a, la 61a e la 103a tedesca, più 60 mila uomini di truppa esclusivamente territoriali e 65 mila uomini di presidio alle fortezze. Ma il 3 luglio, la 61a divisione ebbe ordine di recarsi alla fronte italiana, dove pure fu, il 20 luglio, trasportata la 59a e il 24 seguì la 19a brigata da montagna di landsturm di nuova formazione. Poichè la 103a divisione tedesca era stata trasportata il 10 luglio in Russia, le truppe mobili alla fronte serba si ridussero così unicamente alla 205° brigata di marcia; situazione che, salvo una divisione formatasi col raggruppamento dei battaglioni di truppe di sicurezza, durò immutata sino alla fine del settembre 1915. Ma l’esercito serbo rimase coll’arma al piede.
Le forze serbe, dopo la clamorosa vittoria del dicembre 1914 sugli austriaci, erano rimaste ‘per cinque mesi indisturbate. Conrad, in un rapporto in data 5 giugno al generale Bolfras, capo della casa militare dell’Imperatore, indicava le forze serbe «operative» in 11 grosse divisioni, in totale da 230 a 250 mila fucili oltre i 25 mila fucili montenegrini.
La Serbia era in condizioni militari difficili: separata dagli alleati e malsicura della Bulgaria, doveva temere di essere attaccata dalle potenze centrali; tanto più che questo attacco era la premessa necessaria di due essenziali aspirazioni austro-tedesche: l'alleanza colla Bulgaria ed il diretto collegamento colla Turchia. Un nostro tenente colonnello di stato maggiore interrogato nell’agosto 1915 sulle probabili imprese tedesche rispose: «appena possibile la Germania attaccherà la Serbia», e tutti gli ascoltatori ne convennero. Innegabilmente difficile la situazione, probabile un'azione austro-tedesca contro il piccolo stato. Che fare, dunque, dal lato militare? attendere l’attacco, risparmiando le forze? star cioè quieti per timore del peggio? Kitchener, come si rileva dalla relazione serba, era del parere che i serbi si sarebbero attenuti a questa condotta di guerra: telegrafò infatti, il 3 luglio, all’addetto inglese: «Io premetto che i serbi, in genere, non si affretteranno, poichè con una loro azione potrebbero attrarre contro di loro forze molto superiori a quelle che essi sarebbero in grado di opporre con una eventuale speranza di successo».
Non risulta se Kitchener ritenesse soltanto probabile tale condotta o se la approvasse. Ad ogni modo se l’esercito serbo non entrava in azione nel momento in cui gli austro-tedeschi dovevano premere i russi e gli austriaci erano premuti dagli italiani, ciò equivaleva a lasciare, come si lasciò, al nemico la scelta del momento e delle forze da schierare contro la Serbia. Questa consentì che la Russia retrocedesse e che le forze mobili austriache accorressero a sostenere la fronte Giulia gravemente compromessa dai colpi italiani. In tal modo la Serbia cooperò a salvare l’Austria da una possibile rovina.

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