DIBATTITI
Prigionia di Guerra
I Guerra Mondiale
RELAZIONE
DEL TENENTE LO GATTO SIG. ETTORE
Azione
militare
La mia
cattura avvenne il mattino del 21 maggio 1916 a Costesin nel Trentino. Partito
in camion da Trivignano il 19 arrivai a Ghertele la sera del 20; era con me
solo un numero esiguo di uomini del mio plotone: gli altri seguivano in altri
camions. Appena disceso al Ghertele ebbi ordine di recarmi immediatamente con
gli uomini che erano con me a Mandriele dove avrei trovato il mio capitano che
era arrivato prima e che mi avrebbe dato indicazioni ed ordini. Durante la via
tra Ghertele e Mandriele si unì a me un altro ufficiale della compagnia
sottotenente Vincenzo De Simone che aveva con sé altri uomini della compagnia.
Arrivati al Mandriele non trovammo alcuno. Allora io mi avviai per la via di
Campo Rosà, seguendo le indicazioni di un piantone del Comando di Mandriele, il
quale ci disse che tutta la truppa in arrivo doveva avviarsi in quella direzione.
Lungo la via trovammo il capitano che risaliva per accompagnarci giù. Passammo
la notte completamente allo scoperto, ignari del tutto del punto preciso dove
ci trovavamo. Non sapevamo altro che a Costesin avremmo trovato il Colonnello
signor Menzinger, comandante del 2° battaglione che avrebbe disposto di noi. Il
capitano ci disse che la prima linea era lontano almeno un chilometro ancora. A
me disse di avere avuto l'impressione che la situazione doveva essere grave, ma
di non saper altro. Verso l'alba egli con gli altri ufficiali e soldati della
compagnia ed altri ufficiali del battaglione, per ordine ricevuto, si recò in
ricoveri coperti. Mi recai anch'io da
lui per aver ordini. Nei ricoveri non c'era posto per i miei uomini (meno di
una trentina). Il capitano mi ordinò di farli avvicinare per quanto fosse
possibile al costone per proteggerli dal bombardamento nemico che era
incominciato e infuriava violentissimo.
Invitò me a restare nel ricovero, potendo le due squadre presenti restare
affidate ai graduati. Preferii restare allo scoperto con i miei uomini. Unico
riparo dalla schegge dei proiettili mi diedero alcune tavole appoggiate al
costone. Il bombardamento, quasi affatto controbattuto dalla nostra
artiglieria, infuriò per circa 2 ore. Oltre i miei uomini si trovavano
completamente allo scoperto uomini del 2° battaglione e vari ufficiali. Il
colonnello Sig. Menzinger ed altri ufficiali del 2° battaglione erano alla mia
destra alla distanza di un centinaio di metri dal punto dove io mi trovavo e
dove cadevano proiettili senza tregua: seppi appena preso prigioniero, che essi
erano stati uccisi da colpi di granata. Sulla mia sinistra, poche decine di
passi cadevano due ufficiali della 10^ compagnia, i sottotenenti Bozza e Ferrero anch'essi rimasti in attesa di ordini e che al primo
apparire degli austriaci tentarono una difesa disperata. Era impossibile
muoversi e del resto c'era stato dato ordine di non muoverci in attesa di
ordini. Verso le sette cominciò il fuoco
di mitragliatrici e di fucileria. Fui sorpreso di sentire i colpi vicinissimi,
sapendo che la prima linea doveva essere almeno un chilometro avanti a noi.
Proiettili arrivavano intanto da destra e da sinistra. L'azione fu rapidissima,
fulminea. Balzai in piedi, disperato della situazione in cui mi trovavo,
nell'impossibilità di opporre un'ordinata ed efficace resistenza. Un ufficiale
di altro reggimento che si era fermato un momento sotto le tavole che mi
riparavano, cadeva colpito a pochi passi da me. Intanto dal costone gruppi di ufficiali
urlavano: siamo circondati e alzavano le mani. Il fuoco sui fianchi incalzava.
Mitragliatrici e artiglieria - soprattutto questa - avevano già ucciso e feriti
parecchi dei miei. Quelli che erano sulla sinistra, circondati rapidissimamente
dagli austriaci, dopo aver tentato una prima resistenza con i fucili,
soverchiati, si arrendevano. Non era neppure possibile ritirarsi per il fuoco
allungato dell'artiglieria che batteva il sentiero palmo a palmo. Intorno a me
non erano rimasti che cinque uomini: ordinai loro di gettare le armi e di
alzare le mani perché non vi era altro scampo da una sicura morte in una difesa
inutile. Io sparai contro gli austriaci
a pochi passi i colpi della mia pistola ma non potei fare altro. Corsi verso il
costone ma l'azione si era svolta fulminea ed anche nel camminamento sulla
sinistra, che credevo nostro, era piazzata una mitragliatrice austriaca. Due
soldati nemici mi puntarono le baionette nel ventre gridandomi di gettare via
la baionetta che avevo ancora al fianco e la pistola. Altri soldati erano ormai
dietro di me. Consegnai la pistola ad un Fahnrich[1] la
baionetta mi fu strappata violentemente. Non mi fu possibile prima di essere
preso, arrivare fino al ricovero dov'era il mio capitano e gli altri ufficiali.
Seppi poi che erano stati circondati e fatti prigionieri. Appena arrivato al
comando austriaco seppi che prima di me era stato circondato il comandante del
162° Reggimento Fanteria, presso il quale si trovava anche il colonnello del
mio reggimento e che era situato alle mie spalle. Solo i due colonnelli
riusciranno a sfuggire all'accerchiamento, secondo quanto mi fu narrato. I due
aiutanti maggiori in I^, Capitano Comanducci Sig. Renato (del 156°) e Capitano
Rolando (del 162°) furono presi prigionieri prima di me insieme agli ufficiali
medici dei posti di medicazione, anch'essi situati dietro di me.
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