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mercoledì 24 gennaio 2018

I Libri del Nastro Azzurro N. 5. " Russia" Seconda parte


In occasione della uscita del n. 5 "I Libri del Nastro Azzurro"

II Parte






LO SCHIERAMENTO SUL DON
L'Armata italiana avrebbe dovuto essere impiegata a Sud del grande spiegamento tedesco (che comprendeva in quest'area anche armate rumene ed ungheresi), ove gli alpini erano stati designati per operare nelle impervie zone montane del Caucaso. Tuttavia, le unità italiane furono destinate su un ampia ansa del Don - lunga quasi 300 Km., poi ridotti a 270 - per prendere il posto delle divisioni motorizzate e corazzate tedesche. Tra queste, venne lasciata solo una divisione corazzata tedesca, in considerazione (ben nota) dell’assoluta mancanza di carri armati nelle divisioni italiane. Tra i tanti motivi di preoccupazione dei tedeschi vi era il fatto di dover far affidamento sulle truppe rumene, ungheresi ed italiane per proteggere il fianco dell’avanzata, ma furono rassicurati da Hitler, in quanto certo che queste sarebbero state impiegate per presidiare la linea del Don e quella del Volga tra Stalingrado ed il Caucaso, in zone dove i fiumi stessi avrebbero agevolato il loro compito.
Il 13 agosto, terminato il complesso movimento, il Generale Gariboldi assunse la responsabilità operativa dell’intero settore assegnato all’8^ Armata - compreso tra PAVLOSK e la foce del Choper nel Don. I criteri ai quali il “Comando Gruppo Armate B” intese informare la difesa furono principalmente la proiezione in avanti di tutte le unità e l’esclusione di una difesa dinamica che enfatizzasse la libertà di manovra. Il concetto operativo fondamentale del Comando del Gruppo fu quello di sviluppare un irrigidimento (difesa a tempo indeterminato) sulla riva del fiume, anziché sulle alture dominanti e di manovrare eventualmente nelle zone di congiuntura, inevitabilmente poco protette e difese per l’esigua disponibilità di forze.
L’8^ Armata si inserì tra la 2^ Armata ungherese (a sinistra) e la 6^ Armata tedesca (a destra)[1]. L'avversario sovietico fronteggiava l'8^ Armata con la propria 63^ Armata[2].



LA PRIMA CONTROFFENSIVA RUSSA
Il contrattacco russo fu violento e colpì duramente lo schieramento italiano dispiegato nell'ansa del Don coinvolgendo, settore dopo settore, l'intero schieramento. Solo dopo giorni di aspri combattimenti, grazie soprattutto all'arrivo in extremis della Divisione “Tridentina”, a prezzo di molti caduti i sovietici venivano respinti. Ma a metà settembre i combattimenti riprendevano, specie contro le Divisioni “Ravenna” e “Sforzesca”, senza che il XVII Corpo d'Armata tedesco potesse intervenire come promesso e stabilito.
Cominciarono allora grandi lavori di fortificazione da parte italiana che durarono fino all'inizio di dicembre in previsione del temuto attacco sovietico.
Il 19 novembre aveva inizio sul terreno dell'ansa di SERAFIMOVIC, difesa dalla 3^ Armata romena, la "battaglia del Volga". Profilatasi la rottura di quel fronte, il Comando del Gruppo di Armate "B", per evitare l'isolamento delle forze di STALINGRADO, decideva di spostare in quel settore le Divisioni tedesche inquadrate nell'8^ Armata: la 294^ Div. (in seconda schiera), all'ala sinistra, dietro il Corpo d'Armata Alpino nella zona di ROSSOSCH; la 22^ Div. cor. (circa 200 mezzi corazzati), dislocata alle spalle dei Corpi d'Armata XXXV italiano e XXIX tedesco; e perfino la 62^ Div., schierata sul Don tra le Divisioni “Pasubio” e “Sforzesca”, tra SATUBJANSKI e l'ansa di VESCENSAKAJA. Quest'ultima, sarebbe stata sostituita dalla 3^ Div. “Celere”[3], che dovette interrompere le operazioni di riordinamento, appena iniziate nella valle del BOGUCIAR.  L'8^ Armata, pertanto, veniva ad essere privata delle Divisioni di seconda schiera, le uniche forze che conferivano un minimo di profondità al suo schieramento sul vastissimo fronte di 270 chilometri.

LA SECONDA BATTAGLIA DI DICEMBRE: OPERAZIONE “PICCOLO SATURNO”
Il Generale Vatutin (Comandante del fronte di Sud-Ovest) e Zukov misero a punto un piano di sfondamento - battezzato “Saturno” - che avrebbe dovuto concludersi il 10 dicembre 1942.
In linea generale, prevedeva di intrappolare l’ARMIR dentro un’enorme sacca triangolare che aveva come base il Don e il Cir e il vertice a MILLEROVO dov’era l’Intendenza dell’8^ Armata italiana[4]. Qualche giorno più tardi, per l’andamento favorevole della battaglia attorno a STALINGRADO, il piano “Saturno” era stato modificato ed aveva preso il nome di “Piccolo Saturno”.[5]
L’obiettivo che si proponeva era ancora più ambizioso: utilizzare l’attacco contro l’Armata italiana per mettere in crisi l’intero schieramento tedesco dal Don al Caucaso.
Per quell’operazione Vatutin aveva a disposizione la 6^Armata, la 1^ e la 3^ Armata della Guardia, il XVII e il XXIV Corpo corazzato. In base al piano, l’attacco principale doveva avvenire sul fronte del II Corpo d’Armata italiano, contro il quale si sarebbero lanciate la 6^ Armata e gran parte della l^ per investire le Divisioni “Cosseria” e “Ravenna”. Altre due Div. di fucilieri e due reggimenti di fanteria autonomi avrebbero operato contro la “Pasubio”. Era uno schieramento di forze nettamente superiore all’ARMIR, per non parlare dei carri e delle artiglierie. Nella prima fase dell’operazione gli alpini furono completamente evitati: tutti gli sforzi sovietici furono rivolti alla neutralizzazione delle divisioni di fanteria schierate a sud della Div. “Ravenna”.
L’attacco incominciò l’11 dicembre sulla destra di KRASNO OREKOVO. La fanteria russa uscì dai boschi mezz’ora dopo, quando l’artiglieria aveva smesso di sparare. Attraversò velocemente il letto ghiacciato del fiume e si riversò contro i capisaldi della divisione “Ravenna”, II Corpo d’Armata. I russi sommersero due capisaldi, poi le mitragliatrici li bloccarono a 50 metri dalle proprie postazioni. Era un’offensiva in piena regola che i russi continuavano ad alimentare, nonostante il fuoco di sbarramento degli Italiani. Dal fiume si susseguivano le ondate di fucilieri che indossavano tute bianche sparando raffiche continue con i parabellum, mentre i cecchini appostati nel punti più elevati cercavano di individuare e colpire gli ufficiali.
KRASNO OREKOVO e OSETROVKA, costituivano la base della grande ansa di VERCHNIJ MAMON, la spina nel fianco dello schieramento del II Corpo d’Armata che né i Tedeschi né gli Italiani erano riusciti a eliminare durante l’estate.
Nel frattempo l’attacco si era esteso 80 chilometri più a sud, nella zona  presidiata dal 79° reggimento della “Pasubio” del XXXV Corpo d’Armata. Anche qui l’azione era condotta in forze ed investiva OGALEV, con la quale erano saltati ben presto i collegamenti per effetto dei tiri dei mortai. I russi combattevano senza badare alle perdite: non c’era dubbio che presto sarebbero entrati in azione anche i carri armati. Dalle postazioni dell’artiglieria italiana erano stati individuati da tempo tratti del fiume nei quali l’acqua era perennemente increspata. Se ne era dedotto che i russi, affondando nel Don dei tronchi d’albero, nel settore della “Pasubio” erano riusciti a costruire due ponti sotto il pelo della corrente, sui quali, con l’aiuto del gelo, sarebbero potuti passare i mezzi corazzati. Ma altri passaggi sul Don erano stati costruiti dai russi durante l’autunno, a PAVLOSK nel settore del Corpo d’Armata Alpino e poi nella grande ansa, all’altezza del II Corpo d’Armata.


La fase di logoramento
L’attacco russo proseguì per cinque giorni, ma si era trattato soltanto della “fase di logoramento” prevista dal piano “Piccolo Saturno”. Durante quei cinque giorni di combattimenti spesso molto aspri, l’8^ Armata aveva conservato sostanzialmente le proprie posizioni. Gli assalti incessanti che i battaglioni sovietici avevano effettuato, erano stati bloccati dal fuoco delle armi automatiche, dall’artiglieria e, quando le condizioni del tempo freddissimo l’avevano permesso, anche dell’aviazione.
Gli attacchi sovietici oltre a logorare le nostre difese, avevano anche consentito di raccogliere informazioni sui tratti di fronte più sensibili. Quello tenuto dal II Corpo d’Armata era risultato il più debole, ma non si ritenne necessario correre ai ripari. Lo scopo principale perseguito dai russi in questa fase, quello cioè di nascondere con azioni diversive il loro obiettivo principale, era dunque stato raggiunto.
In questa prima fase della battaglia i russi avevano ottenuto lo scopo che si erano prefissati: portare a termine un’ampia azione diversiva e logorare le difese italiane per trovarle meno efficienti al momento dell’offensiva vera e propria.

La fase di rottura
Contro l’ARMIR, dopo la fase di logoramento sviluppata nel settore del II Corpo d’Armata, seguì la “fase di rottura[6]. Alle 7 di mercoledì 16 dicembre 1942, oltre 2.500 cannoni dei 5.025 di cui Vatutin disponeva, aprirono il fuoco contro le posizioni italiane. I collegamenti telefonici della “Cosseria” e della “Ravenna” si interruppero quasi subito. Dopo un’ora e mezzo di bombardamenti ci fu l’attacco dei carri armati.
Presto la situazione delle unità italiane si fece grave: scarseggiava il carburante e la mancanza di antigelo inchiodava anche quei pochi mezzi che ne avevano una piccolissima scorta. I camion e i traini delle artiglierie ne avevano una quantità sufficiente a percorrere 50 chilometri. Il risultato fu che in poche ore i reparti investiti dai russi persero ogni possibilità di manovra e dovettero abbandonare i cannoni dopo averli fatti saltare.
Nell’estremo tentativo di arginare l’avanzata, Gariboldi aveva ordinato al Generale Nasci, comandante del Corpo alpino, di mettere a disposizione del II Corpo d’Armata un battaglione della Julia e il battaglione sciatori Monte Cervino fatto accorrere a tappe forzate da Rossosch, dove si trovava a riposo.
Mentre i due battaglioni alpini, alimentati dai superstiti delle due divisioni tedesche ancora in grado di combattere, sostenevano durissimi scontri nelle retrovie sconvolte del II Corpo d’Armata, altri ordini di Gariboldi giunsero a modificare l’allineamento del Corpo alpino e, per forza di cose, ad indebolirlo. La mancanza di riserve a disposizione dell’ARMIR stava influendo negativamente sulle divisioni di Nasci diluendole lungo un fronte quasi raddoppiato e costringendole a spostamenti improvvisi e logoranti.
Tutta la “Julia”, al comando del Generale Ricagno, fu tolta dallo schieramento e messa a disposizione del Comando generale «per impiego in altro settore» e infatti fu poi assegnata al 24° Corpo corazzato tedesco e disposta a copertura su quel tratto del Don che era rimasto sguarnito dopo il cedimento della “Cosseria”. Mentre la “Julia” si avviava così verso un tragico destino, Nasci provvedeva a distribuire sulle posizioni lasciate scoperte quattro battaglioni della “Cuneense” e l’unica «riserva» a disposizione: la divisione “Vicenza”.
Questa divisione si trovò quindi sbalzata nelle immediate vicinanze del fronte con responsabilità tattiche schiaccianti. I diecimila uomini del vecchio Generale Pascolini, disseminati fino a quel momento nelle retrovie dove sorvegliavano i magazzini e vigilavano i prigionieri, furono faticosamente riuniti, riassestati alla meglio e spinti in avanti con armi ed equipaggiamenti assolutamente inadatti al compito loro assegnato.

La ritirata delle Divisioni di Fanteria
Per comprendere la situazione nella quale si trovarono a dibattersi i resti delle Divisioni Cosseria, Ravenna, Torino, Pasubio, Celere e Sforzesca usciti vivi dalla battaglia del Don, bisogna immaginare che i russi sfondarono il fronte su una linea di oltre duecento chilometri e in questa voragine irruppero in tre giorni per una profondità di oltre centottanta chilometri, dilagando in ogni direzione. Le nostre divisioni subivano giorno e notte l’iniziativa del nemico e dal tentativo di sfuggire alla morsa nasceva di volta in volta l’improvvisata direzione di marcia delle colonne.[7]
Furono quindi queste circostanze a formare i due principali gruppi in movimento, che furono poi, ufficialmente definiti “Blocco Nord[8] e “Blocco Sud[9].
In 13 giorni le armate russe avevano obbligato l’ala meridionale dell’ARMIR a una ritirata disastrosa, raggiungendo KANTEMIROVKA e CERTKOVO; avevano sbaragliato la 3^ Armata rumena - obbligando anche i tedeschi ad abbandonare il fiume Cir ‑ e bloccato i tentativi tedeschi di raggiungere gli assediati di STALINGRADO.
I carristi del XVII Corpo continuavano ad avanzare ad un ritmo “eccezionalmente rapido”: in 5 giorni avevano percorso 240 chilometri, ed erano in vista dell’aeroporto di TAZINSKAJA, da dove partivano i rifornimenti per la 6^ Armata tedesca chiusa dentro la morsa di STALINGRADO.




[1]   L’8^Armata si schierò da sinistra a destra con il II Corpo d’Armata (294^ Div. f. tedesca su 65 km dal Kolkoz Burgilovka al fiume Teiornaja Kalitva; Cosseria su 34 km da Teiornaja Kalitva al margine occidentale dell’ansa di Verhnij Mamon; Ravenna su 30 km dal margine occidentale dell’ansa di Verhnij Mamon alla foce del Boguciar), XXIX Corpo d’Armata tedesco (Torino su 35 km dalla foce del Boguciar al paese di Suchoj Donez; 62^ Div. f. tedesca su 55 km da Suchoj Donez al paese di Merkulov); XXXV Corpo d’Armata C.S.I.R. (Pasubio su 30 km da Merkulov al paese di Rubescinski, Sforzesca su 33 km da Rubenscinski alla foce del Choper); 3^ Divisione Celere in riserva (con efficienza ridotta dai combattimenti sostenuti nell’ansa di Serafimovic e nel bacino del Mius e, in particolare, con le unità di fanteria ridotte di un  terzo e quelle di artiglieria della metà ed in più con 2 battaglioni bersaglieri e 2 gruppi di artiglieria rimasti ad operare con la 6^ Armata nel settore della 79^ Div. f. tedesca).
[2]   La 63^ Armata Sovietica era schierata da nord a sud con le seguenti unità: 127^ Div. fucilieri (di fronte alla 294^ tedesca, da Pavlovsk alla Teiornaja); 1^ divisione fucilieri (di fronte alle Div. italiane “Cosseria”, “Ravenna”, “Torino” e parte della 62^ tedesca, dalla Teiornaja Kalitva a Krasnojarski); 153^ divisione fucilieri (di fronte alla 62^ tedesca ed alla “Pasubio”, da Krasnojarski a Vescenskaja); 197^ divisione fucilieri (di fronte alla “Pasubio” ed alla “Sforzesca”, da Vescenskaja alla foce del Choper). (Vds. Allegato “C” – Composizione delle truppe sovietiche).
[3] La Div. “Celere” era allora costituita da soli due reggimenti bersaglieri, non a completo organico, e dovette rilevare un fronte che precedentemente era occupato da tre reggimenti di fanteria della 62^ Div., venendosi a trovare in condizioni sensibilmente più difficili della Grande Unità tedesca appena sostituita.
[4]  Vds. Allegato “F” – Situazione dell’8^ Armata al 10 dicembre 1942.
[5]  Vds. Allegato “G” – Schema dei Piani “Saturno” e “Piccolo Saturno”.
[6]  Vds. Allegato “H”, Allegato “I” ed Allegato “J”.
[7]  Vds. Allegato “K” – Ripiegamento del centro e della destra e ricostruzione di una linea difensiva.
[8]   Un “Blocco nord”: formato dalle divisioni 298^ germanica e Ravenna, parti della Cosseria, della Pasubio e della Torino, oltre che numerosi elementi delle unità suppletive dei Corpi d’Armata II e XXXV-CSIR, del Comando d’Armata e dell’Intendenza. Questo blocco dirigeva verso VOROSCILOVGRAD ove confluiva entro la metà del gennaio 1943. La sera del 25 dicembre avrebbe raggiunto CERTKOVO, assediata dai russi: erano 7.000 uomini, dei quali 3.800 feriti e congelati. Vi sarebbero rimasti, assieme ad altrettanti tedeschi arroccati come loro nella città accerchiata, fino alla sera del 15 gennaio, quando riuscirono ad aprirsi la via della salvezza e a raggiungere BELOVODSK lasciando però sul posto la maggior parte dei feriti che i due autocarri disponibili e le poche slitte a disposizione non permettevano di trasportare
[9] Un “Blocco sud”: formato dalle aliquote della Ravenna e della Torino, parte della Pasubio e della 3^ Celere con tutto il 6° reggimento bersaglieri, la Divisione Sforzesca e truppe e servizi di Corpo d’Armata e di Intendenza. Questo blocco ripiegava alle dipendenze del XXIX Corpo d’Armata tedesco, sosteneva aspre azioni difensive in corrispondenza di capisaldi isolati e riusciva a rientrare nelle linee amiche a SKASSIRSKAJA il 28 dicembre. Dopo un calvario inenarrabile di sofferenze, il 5 gennaio si sarebbe raccolto a RYKOVO.

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