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venerdì 5 gennaio 2018

Soldati e contadini. L’esercito giapponese nel periodo Meiji (1868-1912)

APPROFONDMENTI
Giovan Battista Birotti

I PARTE


Il periodo Meiji[1] portò ad una Rivoluzione più che ad una Restaurazione, traghettando il Giappone nell’Età contemporanea.
Le Istituzioni Militari non sono un principio innovatore in nessuna civiltà, in quanto servono a tutelare un ordine preesistente; tuttavia anch’esse hanno dovuto prendere parte al cambiamento, difenderlo davanti a figure conservatrici e poi farsi paladine di un nuovo ordine, non poi così lontano dai princìpi che regolavano l’antico Giappone. 
Si può quindi tracciare un excursus sul passaggio dall’antica società nipponica a quella ottocentesca, usando l’esercito come riferimento.
Verrà messo in luce come una civiltà di casta dovrà obtorto collo divenire o fingersi di massa al fine di inserire negli ingranaggi politici e militari l’intera popolazione.
Il primo passo di questo inserimento sarà quello di coscrivere nuovi soldati in un esercito di massa raccogliendoli in ciascuna delle ex caste[2] presenti in Giappone, prima fra tutte quella dei contadini, la più povera e la più numerosa.

1. La transizione storica
Il periodo Meiji è definito Restaurazione, poiché a partire dal secolo VII, il potere dell’Imperatore passò progressivamente nelle mani delle più potenti famiglie aristocratiche. Nel 1336 un imperatore Daigo II tentò di ripristinare il governo effettivo da parte del Sovrano.
Un tentativo anacronistico, già per l’epoca, in quanto il potere era, da secoli, passato allo shogun. Con shogun, si indicavano originariamente i potenti capi militari, secoli più tardi, passò a identificare il detentore, pressoché assoluto, del potere. Lo shogun era a capo del Bakufu, letteralmente “governo della tenda”, riferito alla sua antica posizione di generale che impartisce ordini sul campo.
L’epoca moderna del Giappone ed il suo inserimento nelle relazioni internazionali ebbe inizio l’8 luglio del 1853, quando  il commodoro statunitense M. G. Perry, protetto dai cannoni delle sue navi entrò nel porto di Edo, (l’attuale Tokyo) ed impose un trattato che aprì alcuni porti al commercio americano.
Prima di allora l’Impero era rimasto per secoli  inaccessibile agli stranieri, chiuso in un universo di tradizioni medioevali sotto l’autorità, sebbene effimera, dell’imperatore, relegato a Kyoto e ritenuto una divinità.
A capo del potere politico effettivo vi era lo Shogun o Grande generale, carica divenuta dal 1187 monopolio di poche potenti famiglie.
Il territorio era diviso in 300 signorie aventi ognuna a capo un autocrate semi indipendente, il daimyo, ben separate e spesso in guerra fra loro.                                                                                                       
L’unica istituzione militare era rappresentata dai samurai, aristocratici guerrieri la guardia armata dei daimyo. Dai samurai dipendevano i kachi (fantaccini) e gli ashigaru (fanti leggeri), la manovalanza armata.
I samurai avevano in pace funzioni civili e in guerra erano ripartiti sotto unità e capi designati. Questa casta guerriera doveva uniformarsi ad un codice di leggi morali il bushido (da bushi, guerriero e do via): la Via del Guerriero, dottrina che includeva principi di onore e di lealtà, codificata nel libro Hagakure[3] scritto nel secolo XVII dall’ex samurai Tsunetomo Yamamoto.
I samurai portavano due spade: la katana lunga, ed il wakizashi  più corta, l’uso delle quali era regolato da una minuziosa etichetta: si addestravano con la scherma, il tiro con l’arco, con gli archibugi e l’artiglieria, introdotta in Giappone verso al fine dello shogunato degli Ashikaga nel secolo XVI. A cavallo  preferivano l’arma bianca che permetteva loro di mettere meglio in mostra il proprio valore.                                                                                                                                  
Dopo gli Stati Uniti, altre potenze europee conclusero, o imposero, trattati commerciali ai giapponesi ma la loro penetrazione fu lenta e sanguinosa.
L’odio contro i “barbari”, lungamente covato, esplose con ripetuti massacri che negli anni Sessanta dell’Ottocento provocarono il bombardamento di diversi porti da parte di navi inglesi, francesi, olandesi ed americane.
La facilità con la quale  le potenze straniere ebbero ragione della resistenza giapponese, imputata alla politica debole ed arrendevole dello shogun, accrebbe l’avversione verso quest’ultimo ed il favore verso il Mikado (l’Imperatore) e fece sentire la necessità di restaurare l’Autorità Imperiale, di accettare le istituzioni straniere e di difendere con nuovi ordinamenti l’integrità dell’impero.
Nel 1867, morto il Mikado Konei e succedutogli il quattordicenne Matsuhito, scoppiò la rivoluzione contro lo Shogun e nel 1868 le forze congiunte dei ribelli proclamarono la Restaurazione imperiale.
L’imperatore si tolse dal suo isolamento e adottò forme di governo moderne: il feudalesimo fu abbattuto e con esso scomparvero molti privilegi; il potere dei daimyo fu soppresso e  sostituito da quello dei governatori; fu proclamata l’uguaglianza di tutte le classi davanti alla legge e le istituzioni politiche andarono via via modellandosi su quelle europee.
Il compito di organizzare un moderno esercito nazionale fu assunto da Yamagata Aritomo samurai di rango inferiore che era stato inviato per una anno in Europa.
Nel 1873 Yamagata era ministro degli affari militari e nel gennaio varò immediatamente la riforma che avrebbe avuto l’impatto più violento nella società nipponica: la coscrizione militare obbligatoria.









2. La costruzione di un moderno esercito
La coscrizione obbligatoria varata da Yamagata imponeva a tutti i cittadini abili, esclusi soltanto quelli che avevano riportato condanne penali, di prestare il servizio militare dai 17 ai 40 anni. Erano ammessi i volontari ordinari ed i volontari di un anno.
Questi ultimi dovevano aver superato esami corrispondenti a quelli di licenza dei licei superiori, dovevano equipaggiarsi  a loro spese e non ricevevano alcuna indennità; dopo aver superato altri particolari esami, potevano divenire ufficiali della riserva od essere ammessi alla scuola militare ed essere poi nominati ufficiali effettivi.
Il contingente di leva fissato annualmente con decreto imperiale era ottenuto mediante estrazione a sorte fra gli iscritti idonei al servizio che avevano compiuto il ventesimo anno di età.
La durata del servizio nell’esercito attivo era fissata, per principio, a tre anni per tutte le armi, salvo alcune eccezioni di congedamento anticipato, specialmente nella fanteria, per esigenze di economia di forza bilanciata.
Al termine del servizio sotto le armi, gli uomini passavano alla riserva dell’esercito attivo dove rimanevano per quattro anni e quattro mesi e venivano generalmente richiamati per due periodi di manovre dei quali uno di un mese e l’altro di quindici giorni.
Degli iscritti abili al servizio rimasti in eccedenza dopo la chiamata del contingente annuo, un certo numero, fissato annualmente ed ottenuto mediante estrazione a sorte era destinato a costituire la riserva speciale di reclutamento della forza pari a circa un quarto del contingente annuo assegnato all’esercito attivo per un periodo di permanenza di sette anni e quattro mesi. Gli appartenenti a questa riserva, venivano, nel primo anno, aggregati ai corpi per classi successive e vi compivano un periodo di istruzione di quattro mesi; venivano poi richiamati nel secondo e quarto anno per altri due periodi di istruzione di sessanta giorni ciascuno.
Ultimato questo periodo gli uomini venivano trasferiti, al pari di quelli provenienti dall’esercito attivo e dalla sua riserva, nell’esercito di seconda linea, corrispondente alla milizia degli altri paesi e vi rimanevano dieci anni. In fine questi passavano nella prima parte dell’esercito territoriale fino al compimento dell’obbligo di servizio, senza ricevere altre istruzioni. Tutti gli idonei al servizio da i 17 ai 40 anni , che non erano stati assegnati ad alcuna delle citate categorie dell’esercito, formavano la seconda parte dell’esercito territoriale:
non ricevevano alcuna istruzione e restavano a disposizione del Ministero della Guerra per essere impiegati, in caso di necessità, a rinforzo dell’esercito attivo, dopo essere stati rapidamente istruiti.
Valutazioni occidentali dell’epoca sulle forze di terra nipponiche stimavano che , complessivamente, l’esercito poteva contare su 3 categorie di uomini:
Soldati istruiti: esercito attivo e riserva esercito attivo, 645.000 unità ; riserve comprendenti la seconda linea e la prima parte dell’esercito territoriale che riguardava i provenienti dall’esercito attivo 760.000, per un totale di 1.405.000 unità.
Soldati con qualche istruzione: riserva speciale di reclutamento e la prima parte  dell’esercito territoriale relativa agli uomini provenienti dalla suddetta riserva di reclutamento 220.000 unità.
Soldati non istruiti: seconda parte dell’esercito territoriale 5.000.000 unità[4].
L’ordinamento militare permanente prevedeva le autorità centrali, l’organizzazione territoriale e l’esercito attivo.
Le autorità centrali erano rappresentate dall’Imperatore, Dai Gensui: Capo Supremo di tutte le forze dell’impero, assistito da un Consiglio di Marescialli e da un Consiglio Superiore di Guerra.
Alle dirette dipendenze dell’imperatore esistevano tre organi indipendenti tra loro: il Ministero della Guerra che si occupava del personale militare e degli affari militari generali, lo Stato Maggiore Generale, suddiviso in 5 reparti:
·         Difesa dell’Impero, Statistica degli Eserciti Esteri;
·         Comunicazione e Trasporti;
·         Geografia e Topografia,
·         Ufficio Storico;
·         Direzione dell’Istruzione Militare, dalla quale dipendevano le scuole ufficiali, le scuole di specializzazione d’arma e corpo e gli ispettorati d’arma.
L’organizzazione militare territoriale si articolava in 18 circoscrizioni divisionali corrispondenti alle 18 divisioni dell’esercito (eccettuata quella della Guardia) che interessavano tutto il territorio del Giappone ad esclusione dell’isola di Formosa e della Corea.
Ogni circoscrizione era ripartita in due distretti di brigata a loro volta suddivisi in due distretti di reggimento. Ogni reggimento di fanteria reclutava nel corrispondente distretto di reggimento, in modo che gli uomini prestassero generalmente servizio  nella loro provincia; le altre armi reclutavano , per ciascuna divisione , nei quattro distretti appartenenti alla divisione stessa.
La fanteria e la cavalleria della Guardia reclutavano in tutte le circoscrizioni divisionali in quanto per esse si arruolavano gli uomini più prestanti di ogni provincia mentre per l’artiglieria, per il genio e per il treno il personale veniva reclutato nella circoscrizione divisionale di Tokyo e dintorni.
L’esercito attivo comprendeva 19 divisioni (delle quali una della guardia), quattro brigate di cavalleria, tre brigate di artiglieria da campagna, tre gruppi di artiglieria da montagna, due brigate e due reggimenti autonomi e 10 battaglioni autonomi di artiglieria pesante, due batterie di artiglieria a cavallo, una brigata comunicazioni, gendarmeria.
In tempo di pace non esistevano grandi unità superiori alla divisione; queste venivano costituite in tempo di guerra od in occasione di grandi manovre.
La divisione era formata da: un comando, due brigate di fanteria ciascuna su due reggimenti, un reggimento di cavalleria su tre squadroni, un reggimento di artiglieria su due gruppi, un battaglione genio, un battaglione treno.
Le brigate di cavalleria erano di due reggimenti su quattro squadroni e venivano assegnate in tempo di guerra, alle divisioni, oppure a seconda delle necessità agivano indipendentemente. In caso di assegnazione alle divisioni il comandante  della brigata di cavalleria aveva alle proprie dipendenze anche il reggimento di cavalleria dvisionale.
Delle tre brigate di artiglieria da campagna, su due reggimenti, una era assegnata alla divisione della Guardia, le altre due a seconda delle necessità come per la cavalleria. Le unità di artiglieria pesante erano alle dipendenze dei comandanti delle divisioni nel cui territorio erano dislocate.            
La brigata comunicazioni era costituita da un reggimento ferrovieri su tre battaglioni, un battaglione telegrafisti ed un battaglione aerostieri.
Le guarnigioni stanziate al di fuori del Giappone , nell’isola di Formosa ed in Corea, avevano degli effettivi pari, all’incirca, all’organico di una brigata, pertanto costituivano una ventesima divisione.
Alla fanteria comprendeva 76 reggimenti[5] su tre battaglioni di quattro compagnie; la compagnia era formata da 5 ufficiali, 12 sottufficiali e 139 soldati (213 in tempo di guerra).
Ad ogni reggimento era stata assegnata pure una batteria di 6 mitragliatrici suddivisa  in tre sezioni.
Il fante era armato del fucile (con sciabola baionetta) modello “Arisaka 1905”, praticamente un’imitazione del Mauser, di calibro 6.5 mm e con alzo graduato fino a m 2.400 . Le mitragliatrici erano del sistema Hotchiss ed usavano lo stesso munizionamento del fucile.
La cavalleria formava 19 reggimenti divisionari su 3 squadroni e 8 reggimenti delle brigate su quattro squadroni, per un totale di 84 squadroni. Lo squadrone era composto da 5 ufficiali, 12 sottufficiali e 124 soldati. Ad ognuna delle brigate indipendenti era assegnata una batteria di 8 mitragliatrici dello stesso tipo di quelle della fanteria e che poteva venir suddivisa fra i due reggimenti. L’armamento in dotazione alla cavalleria era la sciabola leggermente curva e la carabina Ariska 1905, dello stesso modello del fucile della fanteria ma di lunghezza ridotta, senza baionetta e con alzo graduato a m 2000. I cavalieri della Guardia erano provvisti anche di lancia.
     L’artiglieria da campagna era ordinata su 25 reggimenti costituiti da due gruppi di 3 batterie, ognuna di 6 pezzi e 6 cassoni trainati da tre pariglie di cavalli, totale 150 batterie con 900 pezzi. 19 reggimenti erano assegnati come artiglieria divisionale; i sei rimanenti formavano le tre brigate indipendenti.
In caso di mobilitazione le riserve costituivano ulteriori 125 batterie con 750 pezzi, che portavano la disponibilità complessiva di questa specialità dell’arma a 1650 pezzi. L’artiglieria da campagna aveva partecipato alla guerra russo-giapponese con il vecchio cannone Ariska del calibro di 75 mm privo di scudo e con prestazioni poco soddisfacenti.
Al principio vennero acquistati dalla Casa tedesca Krupp 400 cannoni a tiro rapido da 75 mm ed in seguito la Krupp fornì i lingotti d’acciaio per la lavorazione dello stesso tipo di cannone da effettuarsi nell’arsenale di Osaka. Eventi antesignani di una futura alleanza.
 L’artiglieria a cavallo aveva gli organici di quella da campagna ed era dotata dello stesso pezzo da 75 mm 1905 con affuso alleggerito per consentire il traino al galoppo.
L’artiglieria da montagna consisteva di 3 gruppi su 3 batterie di 6 pezzi, queste ultime  in caso di mobilitazione aumentavano a 18 con 108 pezzi. La bocca da fuoco era il vecchio Arisaka da 75 mm . L’artiglieria pesante campale, da costa e d’assedio aveva organici diversi. L’armamento comprendeva cannoni da 100, 105, 120 e 240 e obici da 120 e 150. Il genio costituiva 19 battaglioni  (38 in caso di mobilitazione) con il personale addestrato per lavori di campagna (zappatori e minatori) e nell’impiego del materiale da ponte.



[1] Periodo storico iniziato nel 1868 a un anno dalla salita al trono dell’Imperatore Matsuhito e terminato con la sua morte nel 1912. Meiji letteralmente: illuminato, è un appellativo che i giapponesi hanno dato postumo all’operato dell’imperatore Matsuhito. Tale periodo è conosciuto come epoca della Restaurazione Meiji in quanto l’imperatore, da secoli al di fuori dal potere effettivo, riprenderà in mano la guida dello stato; tuttavia per farlo dovrà modernizzare il paese dando luogo, di fatto, ad una Rivoluzione.
[2] Il Giappone antico risalente secondo la tradizione al 660 a.C., (in realtà molto più recente: V sec. d.C.), e cessato nel 1868 si è sviluppato su di una società di casta mutuata dall’esempio cinese – confuciano: vi erano quattro classi: gli aristocratici; i contadini; gli artigiani; e i mercanti. Queste ultime due caste erano le più disprezzate, ma spesso assai avvantaggiate dal punto di vista economico, rispetto ai contadini e ad aristocratici di rango basso che sebbene più in alto erano di gran lunga più poveri.
[3][3] Cfr. Y. Tsunetomo (a cura di L. Arena), Il codice dei samurai. Hagakure, BUR, Milano 2003
[4] I dati presenti nel paragrafo si riferiscono a: E. Cechini, Le istituzioni militari, SME - Ufficio Storico, Roma 2007
[5]Ibidem

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