APPROFONDMENTI
Giovan Battista Birotti
I PARTE
Il periodo Meiji[1]
portò ad una Rivoluzione più che ad una Restaurazione, traghettando il Giappone
nell’Età contemporanea.
Le Istituzioni Militari non sono un principio innovatore in nessuna
civiltà, in quanto servono a tutelare un ordine preesistente; tuttavia
anch’esse hanno dovuto prendere parte al cambiamento, difenderlo davanti a
figure conservatrici e poi farsi paladine di un nuovo ordine, non poi così
lontano dai princìpi che regolavano l’antico Giappone.
Si può quindi tracciare un excursus
sul passaggio dall’antica società nipponica a quella ottocentesca, usando
l’esercito come riferimento.
Verrà messo in luce come una civiltà di casta dovrà obtorto collo divenire o fingersi di
massa al fine di inserire negli ingranaggi politici e militari l’intera
popolazione.
Il primo passo di questo inserimento sarà quello di coscrivere nuovi
soldati in un esercito di massa raccogliendoli in ciascuna delle ex caste[2]
presenti in Giappone, prima fra tutte quella dei contadini, la più povera e la
più numerosa.
1. La
transizione storica
Il periodo Meiji è definito Restaurazione, poiché a partire dal secolo VII,
il potere dell’Imperatore passò progressivamente nelle mani delle più potenti
famiglie aristocratiche. Nel 1336 un imperatore Daigo II tentò di ripristinare
il governo effettivo da parte del Sovrano.
Un tentativo anacronistico, già per l’epoca, in quanto il potere era,
da secoli, passato allo shogun. Con shogun, si indicavano originariamente i
potenti capi militari, secoli più tardi, passò a identificare il detentore, pressoché
assoluto, del potere. Lo shogun era a
capo del Bakufu, letteralmente
“governo della tenda”, riferito alla sua antica posizione di generale che
impartisce ordini sul campo.
L’epoca moderna del Giappone ed il suo inserimento nelle relazioni
internazionali ebbe inizio l’8 luglio del 1853, quando il commodoro statunitense M. G. Perry,
protetto dai cannoni delle sue navi entrò nel porto di Edo, (l’attuale Tokyo)
ed impose un trattato che aprì alcuni porti al commercio americano.
Prima di allora l’Impero era rimasto per secoli inaccessibile agli stranieri, chiuso in un
universo di tradizioni medioevali sotto l’autorità, sebbene effimera, dell’imperatore,
relegato a Kyoto e ritenuto una divinità.
A capo del potere politico effettivo vi era lo Shogun o Grande generale,
carica divenuta dal 1187 monopolio di poche potenti famiglie.
Il territorio era diviso in 300 signorie aventi ognuna a capo un
autocrate semi indipendente, il daimyo,
ben separate e spesso in guerra fra loro.
L’unica istituzione militare era rappresentata dai samurai,
aristocratici guerrieri la guardia armata dei daimyo. Dai samurai dipendevano i kachi (fantaccini) e gli ashigaru
(fanti leggeri), la manovalanza armata.
I samurai avevano in pace funzioni civili e in guerra erano ripartiti
sotto unità e capi designati. Questa casta guerriera doveva uniformarsi ad un
codice di leggi morali il bushido (da
bushi, guerriero e do via): la Via del Guerriero, dottrina che includeva principi di onore e di
lealtà, codificata nel libro Hagakure[3]
scritto nel secolo XVII dall’ex samurai Tsunetomo Yamamoto.
I samurai portavano due spade: la katana
lunga, ed il wakizashi più corta, l’uso delle quali era regolato da
una minuziosa etichetta: si addestravano con la scherma, il tiro con l’arco,
con gli archibugi e l’artiglieria, introdotta in Giappone verso al fine dello shogunato
degli Ashikaga nel secolo XVI. A cavallo
preferivano l’arma bianca che permetteva loro di mettere meglio in
mostra il proprio valore.
Dopo gli Stati Uniti, altre potenze europee conclusero, o imposero,
trattati commerciali ai giapponesi ma la loro penetrazione fu lenta e
sanguinosa.
L’odio contro i “barbari”, lungamente covato, esplose con ripetuti
massacri che negli anni Sessanta dell’Ottocento provocarono il bombardamento di
diversi porti da parte di navi inglesi, francesi, olandesi ed americane.
La facilità con la quale le
potenze straniere ebbero ragione della resistenza giapponese, imputata alla
politica debole ed arrendevole dello shogun, accrebbe l’avversione verso
quest’ultimo ed il favore verso il Mikado (l’Imperatore) e fece sentire la
necessità di restaurare l’Autorità Imperiale, di accettare le istituzioni
straniere e di difendere con nuovi ordinamenti l’integrità dell’impero.
Nel 1867, morto il Mikado Konei e succedutogli il quattordicenne Matsuhito,
scoppiò la rivoluzione contro lo Shogun e nel 1868 le forze congiunte dei
ribelli proclamarono la Restaurazione imperiale.
L’imperatore si tolse dal suo isolamento e adottò forme di governo
moderne: il feudalesimo fu abbattuto e con esso scomparvero molti privilegi; il
potere dei daimyo fu soppresso e sostituito
da quello dei governatori; fu proclamata l’uguaglianza di tutte le classi
davanti alla legge e le istituzioni politiche andarono via via modellandosi su
quelle europee.
Il compito di organizzare un moderno esercito nazionale fu assunto da
Yamagata Aritomo samurai di rango inferiore che era stato inviato per una anno
in Europa.
Nel 1873 Yamagata era ministro degli affari militari e nel gennaio varò
immediatamente la riforma che avrebbe avuto l’impatto più violento nella
società nipponica: la coscrizione militare obbligatoria.
2. La
costruzione di un moderno esercito
La coscrizione obbligatoria varata da Yamagata imponeva a tutti i
cittadini abili, esclusi soltanto quelli che avevano riportato condanne penali,
di prestare il servizio militare dai 17 ai 40 anni. Erano ammessi i volontari
ordinari ed i volontari di un anno.
Questi ultimi dovevano aver superato esami corrispondenti a quelli di
licenza dei licei superiori, dovevano equipaggiarsi a loro spese e non ricevevano alcuna
indennità; dopo aver superato altri particolari esami, potevano divenire
ufficiali della riserva od essere ammessi alla scuola militare ed essere poi
nominati ufficiali effettivi.
Il contingente di leva fissato annualmente con decreto imperiale era
ottenuto mediante estrazione a sorte fra gli iscritti idonei al servizio che
avevano compiuto il ventesimo anno di età.
La durata del servizio nell’esercito attivo era fissata, per principio,
a tre anni per tutte le armi, salvo alcune eccezioni di congedamento
anticipato, specialmente nella fanteria, per esigenze di economia di forza
bilanciata.
Al termine del servizio sotto le armi, gli uomini passavano alla
riserva dell’esercito attivo dove rimanevano per quattro anni e quattro mesi e
venivano generalmente richiamati per due periodi di manovre dei quali uno di un
mese e l’altro di quindici giorni.
Degli iscritti abili al servizio rimasti in eccedenza dopo la chiamata
del contingente annuo, un certo numero, fissato annualmente ed ottenuto
mediante estrazione a sorte era destinato a costituire la riserva speciale di reclutamento della forza pari a circa un
quarto del contingente annuo assegnato all’esercito attivo per un periodo di
permanenza di sette anni e quattro mesi. Gli appartenenti a questa riserva,
venivano, nel primo anno, aggregati ai corpi per classi successive e vi
compivano un periodo di istruzione di quattro mesi; venivano poi richiamati nel
secondo e quarto anno per altri due periodi di istruzione di sessanta giorni
ciascuno.
Ultimato questo periodo gli uomini venivano trasferiti, al pari di
quelli provenienti dall’esercito attivo e dalla sua riserva, nell’esercito di
seconda linea, corrispondente alla milizia degli altri paesi e vi rimanevano
dieci anni. In fine questi passavano nella prima parte dell’esercito
territoriale fino al compimento dell’obbligo di servizio, senza ricevere altre
istruzioni. Tutti gli idonei al servizio da i 17 ai 40 anni , che non erano stati
assegnati ad alcuna delle citate categorie dell’esercito, formavano la seconda
parte dell’esercito territoriale:
non ricevevano alcuna istruzione e restavano a disposizione del
Ministero della Guerra per essere impiegati, in caso di necessità, a rinforzo
dell’esercito attivo, dopo essere stati rapidamente istruiti.
Valutazioni occidentali dell’epoca sulle forze di terra nipponiche
stimavano che , complessivamente, l’esercito poteva contare su 3 categorie di
uomini:
Soldati istruiti: esercito attivo e riserva esercito attivo, 645.000
unità ; riserve comprendenti la seconda linea e la prima parte dell’esercito
territoriale che riguardava i provenienti dall’esercito attivo 760.000, per un
totale di 1.405.000 unità.
Soldati con qualche istruzione: riserva speciale di reclutamento e la
prima parte dell’esercito territoriale
relativa agli uomini provenienti dalla suddetta riserva di reclutamento 220.000
unità.
Soldati non istruiti: seconda parte dell’esercito territoriale
5.000.000 unità[4].
L’ordinamento militare permanente prevedeva le autorità centrali,
l’organizzazione territoriale e l’esercito attivo.
Le autorità centrali erano rappresentate dall’Imperatore, Dai Gensui: Capo Supremo di tutte le
forze dell’impero, assistito da un Consiglio di Marescialli e da un Consiglio
Superiore di Guerra.
Alle dirette dipendenze dell’imperatore esistevano tre organi
indipendenti tra loro: il Ministero della Guerra che si occupava del personale
militare e degli affari militari generali, lo Stato Maggiore Generale,
suddiviso in 5 reparti:
·
Difesa
dell’Impero, Statistica degli Eserciti Esteri;
·
Comunicazione
e Trasporti;
·
Geografia
e Topografia,
·
Ufficio
Storico;
·
Direzione
dell’Istruzione Militare, dalla quale dipendevano le scuole ufficiali, le
scuole di specializzazione d’arma e corpo e gli ispettorati d’arma.
L’organizzazione militare territoriale si articolava in 18
circoscrizioni divisionali corrispondenti alle 18 divisioni dell’esercito
(eccettuata quella della Guardia) che interessavano tutto il territorio del
Giappone ad esclusione dell’isola di Formosa e della Corea.
Ogni circoscrizione era ripartita in due distretti di brigata a loro
volta suddivisi in due distretti di reggimento. Ogni reggimento di fanteria
reclutava nel corrispondente distretto di reggimento, in modo che gli uomini
prestassero generalmente servizio nella
loro provincia; le altre armi reclutavano , per ciascuna divisione , nei
quattro distretti appartenenti alla divisione stessa.
La fanteria e la cavalleria della Guardia reclutavano in tutte le
circoscrizioni divisionali in quanto per esse si arruolavano gli uomini più
prestanti di ogni provincia mentre per l’artiglieria, per il genio e per il
treno il personale veniva reclutato nella circoscrizione divisionale di Tokyo e
dintorni.
L’esercito attivo comprendeva 19 divisioni (delle quali una della
guardia), quattro brigate di cavalleria, tre brigate di artiglieria da
campagna, tre gruppi di artiglieria da montagna, due brigate e due reggimenti
autonomi e 10 battaglioni autonomi di artiglieria pesante, due batterie di
artiglieria a cavallo, una brigata comunicazioni, gendarmeria.
In tempo di pace non esistevano grandi unità superiori alla divisione;
queste venivano costituite in tempo di guerra od in occasione di grandi
manovre.
La divisione era formata da: un comando, due brigate di fanteria
ciascuna su due reggimenti, un reggimento di cavalleria su tre squadroni, un
reggimento di artiglieria su due gruppi, un battaglione genio, un battaglione
treno.
Le brigate di cavalleria erano di due reggimenti su quattro squadroni e
venivano assegnate in tempo di guerra, alle divisioni, oppure a seconda delle
necessità agivano indipendentemente. In caso di assegnazione alle divisioni il
comandante della brigata di cavalleria
aveva alle proprie dipendenze anche il reggimento di cavalleria dvisionale.
Delle tre brigate di artiglieria da campagna, su due reggimenti, una
era assegnata alla divisione della Guardia, le altre due a seconda delle
necessità come per la cavalleria. Le unità di artiglieria pesante erano alle
dipendenze dei comandanti delle divisioni nel cui territorio erano
dislocate.
La brigata comunicazioni era costituita da un reggimento ferrovieri su
tre battaglioni, un battaglione telegrafisti ed un battaglione aerostieri.
Le guarnigioni stanziate al di fuori del Giappone , nell’isola di
Formosa ed in Corea, avevano degli effettivi pari, all’incirca, all’organico di
una brigata, pertanto costituivano una ventesima divisione.
Alla fanteria comprendeva 76 reggimenti[5]
su tre battaglioni di quattro compagnie; la compagnia era formata da 5
ufficiali, 12 sottufficiali e 139 soldati (213 in tempo di guerra).
Ad ogni reggimento era stata assegnata pure una batteria di 6
mitragliatrici suddivisa in tre sezioni.
Il fante era armato del fucile (con sciabola baionetta) modello “Arisaka
1905”, praticamente un’imitazione del Mauser, di calibro 6.5 mm e con alzo
graduato fino a m 2.400 . Le mitragliatrici erano del sistema Hotchiss ed
usavano lo stesso munizionamento del fucile.
La cavalleria formava 19 reggimenti divisionari su 3 squadroni e 8
reggimenti delle brigate su quattro squadroni, per un totale di 84 squadroni.
Lo squadrone era composto da 5 ufficiali, 12 sottufficiali e 124 soldati. Ad
ognuna delle brigate indipendenti era assegnata una batteria di 8
mitragliatrici dello stesso tipo di quelle della fanteria e che poteva venir
suddivisa fra i due reggimenti. L’armamento in dotazione alla cavalleria era la
sciabola leggermente curva e la carabina Ariska 1905, dello stesso modello del
fucile della fanteria ma di lunghezza ridotta, senza baionetta e con alzo
graduato a m 2000. I cavalieri della Guardia erano provvisti anche di lancia.
L’artiglieria da campagna era ordinata su
25 reggimenti costituiti da due gruppi di 3 batterie, ognuna di 6 pezzi e 6
cassoni trainati da tre pariglie di cavalli, totale 150 batterie con 900 pezzi.
19 reggimenti erano assegnati come artiglieria divisionale; i sei rimanenti
formavano le tre brigate indipendenti.
In caso di mobilitazione le riserve costituivano ulteriori 125 batterie
con 750 pezzi, che portavano la disponibilità complessiva di questa specialità
dell’arma a 1650 pezzi. L’artiglieria da campagna aveva partecipato alla guerra
russo-giapponese con il vecchio cannone Ariska del calibro di 75 mm privo di
scudo e con prestazioni poco soddisfacenti.
Al principio vennero acquistati dalla Casa tedesca Krupp 400 cannoni a
tiro rapido da 75 mm ed in seguito la Krupp fornì i lingotti d’acciaio per la
lavorazione dello stesso tipo di cannone da effettuarsi nell’arsenale di Osaka.
Eventi antesignani di una futura alleanza.
L’artiglieria a cavallo aveva
gli organici di quella da campagna ed era dotata dello stesso pezzo da 75 mm
1905 con affuso alleggerito per consentire il traino al galoppo.
L’artiglieria da montagna consisteva di 3 gruppi su 3 batterie di 6
pezzi, queste ultime in caso di
mobilitazione aumentavano a 18 con 108 pezzi. La bocca da fuoco era il vecchio
Arisaka da 75 mm . L’artiglieria pesante campale, da costa e d’assedio aveva
organici diversi. L’armamento comprendeva cannoni da 100, 105, 120 e 240 e
obici da 120 e 150. Il genio costituiva 19 battaglioni (38 in caso di mobilitazione) con il
personale addestrato per lavori di campagna (zappatori e minatori) e
nell’impiego del materiale da ponte.
[1]
Periodo storico iniziato nel 1868 a un anno dalla salita al trono
dell’Imperatore Matsuhito e terminato con la sua morte nel 1912. Meiji letteralmente: illuminato, è un
appellativo che i giapponesi hanno dato postumo all’operato dell’imperatore
Matsuhito. Tale periodo è conosciuto come epoca della Restaurazione Meiji in quanto l’imperatore, da secoli al di fuori
dal potere effettivo, riprenderà in mano la guida dello stato; tuttavia per
farlo dovrà modernizzare il paese dando luogo, di fatto, ad una Rivoluzione.
[2]
Il Giappone antico risalente secondo la tradizione al 660 a.C., (in realtà
molto più recente: V sec. d.C.), e cessato nel 1868 si è sviluppato su di una
società di casta mutuata dall’esempio cinese – confuciano: vi erano quattro
classi: gli aristocratici; i contadini; gli artigiani; e i mercanti. Queste
ultime due caste erano le più disprezzate, ma spesso assai avvantaggiate dal
punto di vista economico, rispetto ai contadini e ad aristocratici di rango
basso che sebbene più in alto erano di gran lunga più poveri.
[4] I dati presenti nel paragrafo si riferiscono
a: E. Cechini, Le istituzioni militari,
SME - Ufficio Storico, Roma 2007
[5]Ibidem
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