TRARRE IL CERVELLO DA MUFFA
Molti ragazzi si stanno avvicinando al CESVAM e chiedono che cosa facciamo e quali sono i lineamenti del nostro Centro e quale spirito lo anima.
Non vi è migliore risposta che riproporre a loro, cosi come a tutti i Soci del Nastro Azzurro, la celeberrima lettera che il Grande Fiorentino invio all'Ambasciatore Francesco Vettori
Molti passaggi sono traducibili in situazioni in cui siamo costretti a confrontarci con elementi che stanno bene nelle osterie, osterie in cui le urla si sentono fino a San Casciano.
Ma noi preferiamo immedesimarsi nel momento in cui, indossati i panni curiali,
Machiavvelli
si metteva a scrivere quelle "notarelle"
che divennero poi i fondamenti della Scienza Politica moderna.
Naturalmente non abbiamo la pretesa di scrivere "notarelle" di questa importanza e portata, ma qualche riga che ci distolga a fine giornata dagli "ingaglioffamenti" mattutini e
da altre inescrivibili situazioni volentieri la scriviamo per dare vita a questo
CESVAM
che deve contribuire sempre più a dare credibilità all'Istituto.
Lettera di Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori
Magnifico oratori fiorentino Francischo Vectori
apud Summum Ponteficem, patrono et benefactori suo. Romae[1].
Magnifico ambasciatore. «Tarde non furon mai grazie divine»[2].
Dico questo perché mi pareva haver perduta no, ma smarrita la grazia vostra,
sendo stato voi assai tempo senza scrivermi, ed ero dubbio donde potessi
nascere la cagione[3].
E di tucte quelle che mi venivono nella mente tenevo poco conto, salvo che di
quella quando io dubitavo non vi havessi ritirato da scrivermi, perché vi fussi
suto scritto che io non fussi buon massaio delle vostre lettere[4]; e io sapevo che, da
Filippo e Pagolo in fuora, altri per mio conto non le haveva viste[5]. Honne rihauto per
l’ultima vostra de’ 23 del passato; dove io resto contentissimo vedere quanto
ordinatamente e quietamente voi esercitate cotesto offizio pubblico[6]; e io vi conforto a
seguire così, perché chi lascia i sua comodi per li comodi d’altri, e’ perde e’
sua , e di quelli non gli è saputo grado[7]. E poiché la fortuna vuol
fare ogni cosa, ella si vuole[8] lasciarla fare, stare
quieto e non le dare briga[9], e aspettare tempo che la
lasci far qualche cosa agl’huomini; e all’hora starà bene a voi durare più
fatica, vegliar più le cose[10], e a me partirmi di villa[11] e dire: eccomi. Non posso
pertanto, volendovi rendere pari grazie, dirvi in questa mia lettera altro che
qual sia la vita mia, e se voi giudicate che sia a barattarla con la vostra, io
sarò contento mutarla.
Io mi sto in villa, e poiché seguirono quelli miei
ultimi casi, non sono stato, ad accozarli tutti, venti dì a Firenze[12]. Ho insino a qui
uccellato a’ tordi di mia mano[13]. Levavomi innanzi dì,
impaniavo, andavone oltre con un fascio di gabbie addosso, che parevo il Geta quando
è tornava dal porto con i libri di Anphitrione[14]; pigliavo al meno dua, al
più sei tordi. E così stetti tutto settembre; di poi questo badalucco, ancorché
dispettoso e strano, è mancato con mio dispiacere[15]; e quale la vita mia vi
dirò[16]. Io mi lievo la mattina
con el sole e vommene[17] in un mio bosco che io fo
tagliare, dove sto dua hore a rivederl’opere del giorno passato, e a passar
tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alla mane[18] o fra loro o co’ vicini.
E circa questo bosco io vi harei a dire[19] mille belle cose che mi
sono intervenute[20],
e con Frosino da Panzano e con altri che voleano di queste legna. E Frosino in
spezie[21] mandò per[22] certe cataste senza dirmi
nulla, e al pagamento mi voleva rattenere 10 lire, che dice haveva havere da me
quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Giucciadini[23]. Io cominciai a fare il
diavolo; volevo accusare il vetturale, che vi era ito per esse, per ladro[24]; tandem[25] Giovanni Machiavelli vi
entrò di mezzo, e ci pose d’accordo. Batista Guicciardini, Filippo Ginori,
Tommaso del Bene e certi altri cittadini, quando quella tramontana soffiava[26], ognuno me ne prese una
catasta. Io promessi[27] a tutti, e manda’ne una a
Tommaso, la quale tornò a Firenze per metà, perché a rizzarla vi era lui, la
moglie, le fante, e figliuoli[28], che pareva il Gabburra
quando il giovedì con quelli suoi garzoni bastona un bue[29]. Dimodoché, veduto in chi
era guadagno[30],
ho detto agl’altri che io non ho più legne; e tutti ne hanno fatto capo grosso[31], e in specie Batista, che
connumera questa tra le altre sciagure di Prato[32].
Partitomi del bosco, io me ne vo a una fonte, e di
quivi in un mio uccellare[33]; ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori[34], come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose
passioni e quelli loro amori; ricordomi de' mia, godomi un pezzo in questo
pensiero[35].
Transferiscomi poi in sulla strada nell'hosteria, parlo con quelli che passano,
dimando delle nuove[36] de' paesi loro, intendo
varie cose, e noto vari gusti e diverse fantasie[37] d'huomini. Viene in
questo mentre[38]
l'hora del desinare, dove con la mia brigata[39] mi mangio di quelli cibi
che questa povera villa e paululo patrimonio comporta[40]. Mangiato che ho, ritorno
nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario[41], un beccaio[42], un mugnaio, due
fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dí giuocando a criccha, a
triche-trach[43],
e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose[44], e il più delle volte si
combatte un quattrino e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano[45]. Cosí rinvolto entra
questi pidocchi traggo il cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa
mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne
vergognassi[46].
Venuta la sera,
mi ritorno in casa, e entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio
quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e
curiali[47]; e rivestito
condecentemente[48]
entro nelle antique corti degli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum
è mio, e ch’io nacqui per lui[49]; dove io non mi vergogno
parlare con loro, e domandoli della ragione delle loro actioni; e quelli per
loro humanità mi rispondono; e non sento per 4 hore di tempo alcuna noia,
dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto
mi transferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza senza lo
ritenere lo havere inteso[50], io ho notato quello di
che per la loro conversazione ho fatto capitale[51], e composto uno opuscolo De principatibus[52],
dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto[53], disputando[54] che cosa è principato, di
quale spezie sono, come e'[55] si acquistono, come e' si
mantengono, perché e' si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizo[56], questo non vi doverrebbe
dispiacere; e a un principe, e massime[57] a un principe nuovo,
doverrebbe essere accetto[58]; però io lo indirizzo
alla Magnificenza di Giuliano[59]. Filippo Casavecchia l'ha
visto; vi potrà ragguagliare in parte e della cosa in sé, e de' ragionamenti ho
hauto seco[60],
ancor ché tuttavolta io l'ingrosso e ripulisco[61].
Voi vorresti, magnifico ambasciatore, che
io lasciassi questa vita e venissi a godere con voi la vostra. Io lo farò in
ogni modo, ma quello che mi tenta[62]
hora è certe mie faccende che fra 6 settimane l'harò fatte. Quello che mi fa
star dubbio è che sono costì quelli Soderini, e quali sarei forzato, venendo
costì, vicitargli e parlar loro[63].
Dubiterei che alla tornata mia io non credessi scavalcare a casa, e scavalcassi
nel Bargiello[64],
perché, ancora ché questo stato habbi grandissimi fondamenti e gran securità, tamen egli è nuovo, e per questo
sospettoso[65],
né manca di saccenti, che, per parere come Pagolo Bertini, metterebbono altri a
scotto, e lascierebbono il pensiero a me[66].
Pregovi mi solviate[67]
questa paura, e poi verrò infra il tempo detto a trovarvi a ogni modo.
Io ho ragionato con Filippo di questo mio
opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare; e, sendo ben darlo, se gli era
bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi[68].
Il non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e' non fussi, non che altro,
letto, e che questo Ardinghelli si facessi honore di questa ultima mia faticha[69].
Il darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro[70],
e lungo tempo non posso star così che io non diventi per povertà contennendo[71].
Appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi cominciassino
adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso[72];
perché, se poi io non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me[73];
e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni che io
sono stato a studio dell'arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati[74];
e doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi di uno che alle spese d’altri
fussi pieno di esperienzia[75].
E della fede[76]
mia non si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io
non debbo imparare hora a romperla[77];
e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe poter
mutare natura[78];
e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia.
Desidererei adunque che voi ancora mi
scrivessi quello che sopra questa materia vi paia[79],
e a voi mi raccomando. Sis felix[80].
Die 10 Decembris 1513.
Niccolò Machiavelli in Firenze
[1] Magnifico … Romae: a Francesco Vettori, magnifico ambasciatore
fiorentino presso il sommo pontefice, suo (di Machiavelli) protettore e
benefattore. Roma.
[2] Tarde … divine: le grazie divine non si sono mai fatte attendere
troppo. Con questo scherzoso adattamento
di un verso di Petrarca (Trionfo
dell’Eternità, v.13), Machiavelli sottolinea il piacere provato nel
ricevere una lettera dall’amico Vettori, attesa per lungo tempo.
[3] ero dubbio … cagione: mi chiedevo quale potesse esserne il motivo.
[4] salvo che … lettere: accezione di quella (ragione che mi veniva in
mente), quando dubitavo che aveste cessato di scrivermi perché qualcuno vi
aveva scritto che io non ero un buon custode (massaio) delle vostre lettere.
[5] da Filippo … viste: al di fuori (in fuora) di Filippo (Casavecchia, un amico comune) e Paolo (Pagolo, fratello di Vettori), per quel
che ne so (per mio conto), nessun
altro le aveva viste.
[6] Honne riauto … publico: ho riavuto (la vostra grazia) con l’ultima
vostra missiva del 23 del mese scorso (23 novembre 1513), che mi ha reso felice
perché ho potuto constatare con quale ordine e serenità voi esercitiate il
vostro incarico politico.
[7] vi conforto … grado: vi esorto a continuare così, poiché so che ci
trascura i propri comodi per dedicarsi interamente a quelli degli altri non
soltanto perde i suoi, ma non ottiene alcuna gratificazione.
[8] si vuole: si deve, è opportuno.
[9] non le dare briga: non intralciarla, non opporvi resistenza.
[10] starà bene … le cose: vi converrà impegnarvi più a fondo e seguire
con più attenzione quanto accade.
[11] partirmi di villa: abbandonare il mio ritiro in campagna.
[12] poiché … Firenze: dopo la fine delle ultime vicende che mi hanno
visto coinvolto, ho trascorso meno di venti giorni a Firenze, anche a volerli
contare tutti. Machiavelli fu imprigionato con l’accusa di aver partecipato ad
una congiura contro i Medici, ma dopo breve tempo, riconosciuto innocente, fu
rimesso in libertà.
[13] Ho insino … mano: finora, mi sono dedicato personalmente alla
caccia dei tordi.
[14] Levavomi … Anphitrione: mi alzavo prima del sorgere del sole, preparavo
le panie (trappole per uccelli), e me ne andavo in giro (oltre) carico di gabbie; sembravo Geta al ritorno dal porto con i libri di
Anfitrione. Machiavelli si riferisce a una scena della commedia in versi Geta e
Birria, all’epoca molto popolare, nella quale Anfitrione, tornando a casa
da Atene dove si recava a studiare, si fa precedere dal servo Geta sovraccarico
di libri.
[15] dipoi … dispiacere: in seguito, tale passatempo (badalucco) è venuto a mancare con mio
dispiacere, nonostante l’avessi scelto per sfogare la mia irritazione (per gli
eventi appena trascorsi) e fosse estraneo (strano)
ai miei interessi.
[16] e qual … dirò: e vi racconterò com’è ora la mia vita.
[17] vommene: me ne vado.
[18] sciagura alla mane: litigio in corso.
[19] vi harei a dire: potrei raccontarvi.
[20] intervenute: capitate.
[21] in spezie: in particolare.
[22] mandò per: mandò a prendere
[23] al pagamento … Guicciardini: all’atto del pagamento, voleva
trattenere 10 lire che sosteneva io gli dovessi da quattro anni, da quando cioè
me le aveva vinte alla cricca (un gioco di carte) in casa di Antonio
Guicciardini.
[24] volevo … ladro: volevo accusare di furto il carrettiere che era
andato (ito) a prenderle.
[25] tandem: alla fine
(latinismo).
[26] quando … soffiava: nel momento in cui prese a soffiare la tramontana
(vento freddo proveniente dal Nord).
[27] promessi: promisi.
[28] manda'ne .. figliuoli: ne mandai una (catasta) a Tommaso, che a
Firenze risultò (tornò) essere la
metà di quella che era davvero, dal momento che lui si fece aiutare da moglie,
figli e domestiche (fante) a legarla
(rizzarla) talmente stretta (da
farla sembrare molto più piccola di quant’era). La catasta si pagava in base al
volume e Tommaso, con l’aiuto della famiglia, aveva compresso la legna per
pagarla meno.
[29] pareva … bue: (Tommaso e la sua famiglia) sembravano il Gabburra (un
macellaio fiorentino) quando il giovedì, con i suoi garzoni, abbatte un bue a
bastonate (durante la macellazione).
[30] veduto … guadagno: visto quali gran guadagni ne ricavavo.
[31] ne hanno … grosso: hanno fatto la cosa più grossa del dovuto, se ne
sono risentiti.
[32] e in specie … Prato: specialmente Battista (Guicciardini), che
considera questa sciagura al pari delle altre che ha subito Prato. Battista
Guicciardini era podestà di Prato quando la città fu saccheggiata dagli
spagnoli nel 1512. Si noti il tono ironico e divertito.
[33] e di quivi … uccellare: e da qui (mi dirigo) verso una mia
uccelliera.
[34] poeti minori: tali erano considerati (rispetto ai poeti epici) gli
autori di componimenti d’amore, come i latini Tibullo e Ovidio.
[35] ricordomi … pensiero: mi ricordo dei miei (amori), traggo per un
po’ di tempo sollievo da un tale pensiero.
[36] dimando delle nuove: chiedo notizie.
[37] diverse fantasie: stranezze, comportamenti e caratteri singolari.
[38] in questo mentre: nel frattempo.
[39] brigata: famiglia.
[40] mi mangio … comporta: mi nutro dei cibi che posso permettermi in un
villaggio così povero e con il mio modestissimo (paululo) patrimonio.
[41] per l’ordinario: di solito.
[42] beccaio: macellaio.
[43] Con questi … triche-trach: con tali personaggi io mi trasformo in
un uomo volgare (m’ingaglioffo),
passando tutto il giorno a giocare a carte (criccha) e a dadi (il triche-trach
è un gioco di dadi).
[44] e poi … iniuriose: da ciò (dal gioco) poi sorgono mille contese e
infinite offese verbali.
[45] si combatte … San Casciano: si hanno come posta in gioco pochi
spiccioli (un quattrino) e tuttavia
ci sentono gridare da San Casciano.
[46] Così … vergognassi: così avvoltolato in queste misere occupazioni,
mantengo in esercizio il cervello e concedo uno sfogo alla malignità della mia
sorte, contento che essa mi calpesti in questo modo, per vedere se (un giorno)
se ne vergognerà.
[47] in sull’uscio … curiali: giunto sulla porta, mi spoglio della mia
veste quotidiana, per indossare panni regali, degni di una corte.
[48] condecentemente: decentemente, come si conviene.
[49] mi pasco … per lui: mi nutro di quell’unico cibo (ossia la
conversazione con gli antichi) che sento mio, per il quale sono nato.
[50] non fa … inteso: non costituisce conoscenza il
comprendere qualcosa senza tenerlo a mente (Dante, Purgatorio, V).
[51] ho notato … capitale: ho preso nota di quanto appreso (ho fatto capitale) tramite la
frequentazione degli antichi.
[52] De principatibus:
letteralmente “i principati”; si tratta del Principe.
[53] mi profondo … subietto: approfondisco, per quanto mi è
possibile, le mie riflessioni (cogitazioni)
su questo argomento (subietto), cioè
il principato.
[54] disputando: discutendo.
[55] e': essi (cioè i principati, complemento
oggetto).
[56] ghiribizo: bizzarria, capriccio.
[57] massime: massimamente, soprattutto.
[58] accetto: gradito.
[59] però … Giuliano: perciò io lo dedico (indirizzo) al magnifico Giuliano.
Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, fu signore di Firenze
della Repubblica (1512) fino alla morte, avvenuta nel 1516. In conseguenza della
sua scomparsa, Machiavelli dedicò il Principe
a Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino.
[60] vi potrà … seco: potrà darvi alcune indicazioni sia sullo
scritto in sé, sia sulle discussioni che ho avuto con lui (hauto seco).
[61] ancor … ripulisco: sebbene io stia ancora continuando ad
ampliarlo (lo scritto, cioè il Principe)
e a correggerlo.
[62] tenta: trattiene.
[63] Quello che … loro: ciò che mi fa esitare (star dubbio) è il fatto che a Roma (costì) siano presenti alcuni della
famiglia Soderini, pertanto se venissi,sarei costretto a far loro visita (vicitargli) e a parlare con loro. Pier
Soderini era stato gonfaloniere durante il periodo repubblicano e Machiavelli
era stato un suo stretto collaboratore; Machiavelli teme dunque di
compromettersi frequentando chi era stato coinvolto nel precedente regime
politico di Firenze.
[64]Dubiterei … Bargiello: avrei paura, al mio ritorno, di non
scendere da cavallo (scavalcare) a
casa mia, ma direttamente al Bargello (il palazzo di giustizia).
[65] ancora ché … sospettoso: sebbene questo Stato abbia solide
fondamenta e goda di una notevole stabilità, tuttavia (tamen) è di recente
istituzione (i Medici erano tornati al potere solo l’anno precedente) e come
tale assai propenso al sospetto.
[66] né vi manca ... a me: il senso del passo è oscuro, dal momento
che il personaggio citato da Machiavelli, Paolo Bertini, è figura poco nota.
Tenendo conto di tale avvertenza, il passo si potrebbe leggere: non vi mancano
individui accorti (saccenti) i
quali, pur di apparire come Paolo Bertini, sarebbero disposti a mettere altri
in difficoltà (a scotto), e (se
fossi io la persona presa di mira) la preoccupazione (di tirarmi fuori dai
guai) ricadrebbe interamente sulle mie spalle.
[67] Pregovi mi solviate: vi prego di liberarmi da.
[68] se gli era … mandassi: se fosse meglio offrirlo (a Giuliano de’
Medici) oppure no; e, nel caso che fosse meglio offrirlo, se fosse preferibile
portarlo di persona o farlo avere.
[69] Il non lo dare … faticha: il non portarlo di persona mi faceva
temere, al minimo (non ch’altro),
che Giuliano non lo leggesse, e (inoltre, e cosa più grave), che l’Ardinghelli
potesse farsi onore di questa mia ultima fatica (spacciandola come sua). Il
personaggio citato è Piero Ardinghelli, segretario di papa Leone X (Giovanni
de’ Medici).
[70] Il darlo … logoro: l’idea di consegnarlo personalmente mi
veniva dalla necessità di denaro, che comincia a perseguitarmi (mi caccia) e per la quale io mi sto
logorando.
[71] non diventi … contennendo: senza diventare oggetto di disprezzo per
la mia povertà.
[72] Appresso … sasso: (mi spingeva) inoltre (Appresso) il desiderio che i Medici
cominciassero ad avvalersi di me (mi cominciassimo adoperare), (anche) se
avessero iniziato con il farmi rotolare un sasso (cioè affidandogli una
mansione umile).
[73] perché … di me: perché, se poi non riuscissi a
guadagnarmi il loro favore, potrei dolermi del mio comportamento.
[74] e per questa … giuocati: (dal momento che), se tale scritto (questa cosa) fosse stato letto, si
sarebbe visto che i quindici anni da me dedicati a imparare l’arte di governare
non li ho trascorsi né dormendo né giocando.
[75] doverrebbe … esperienzia: chiunque dovrebbe approfittare (della
possibilità) di servirsi di una persona che, alle dipendenze degli altri (a spese d’altri), abbia accumulato un
simile bagaglio di esperienze.
[76] fede: fedeltà (verso Firenze).
[77] havendo … romperla: essendo sempre stato fedele, non devo
certo cominciare ora a tradire.
[78] natura: inclinazione naturale (alla fedeltà).
[79] che voi … vi paia: che anche voi mi scriveste quel che pensate
a proposito di tale argomento.
[80] Sis felix:
sii felice.
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