UNA FINESTRA SUL MONDO
Alessandro Ugo Imbriglia*
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Alessandro Ugo Imbriglia*
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, il 18
dicembre, ha espresso serie preoccupazioni in merito alla sofferenza patita dal
popolo siriano e al deterioramento inarrestabile delle condizioni di vita per i
civili, causate dalla brutalità del conflitto che sta dilaniando il paese. Tale
conflitto è alimentato dal proselitismo di un’ideologia strumentalizzata, che
attira un numero crescente di terroristi stranieri pronti ad abbracciare la
causa jihadista e a dare nuova linfa a un settarismo che destabilizza non solo
il paese, ma procura enormi danni all’intero
patrimonio nazionale. Il Consiglio di sicurezza ha affermato che l’unica strada
per giungere ad una soluzione conclusiva del conflitto siriano sia un processo
politico condotto dagli stessi siriani, il quale tenga conto degli obiettivi e
dell’unione di intenti del popolo stesso e che sia implementato entro il quadro
normativo del comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012, approvato nella
risoluzione 2118 (2013). Il testo di Ginevra ha definito i passaggi
fondamentali da applicare per giungere ad una transizione politica in Siria.
Quest’ultima non si è mai concretizzata a causa
delle posizioni divergenti fra Russia e Stati Uniti sul ruolo di Bashar
al-Asad durante e dopo la fase di transizione. L’iter risolutivo della crisi
siriana prevede la formazione di un’autorità con poteri esecutivi, fondata sul
compromesso fra regime e opposizioni, in grado di garantire il normale
svolgimento dei compiti istituzionali e delle funzioni statali. Il Consiglio di
sicurezza ha confermato il pieno appoggio a un cessate il fuoco su territorio
siriano; il Gruppo di sostegno internazionale per la Siria – costituito da 17
paesi e 3 organizzazioni multilaterali – ha garantito il sostegno al progetto e
una mobilitazione per facilitare la sua attuazione. Condizione fondamentale a
questo prima fase di transizione è la convergenza fra rappresentanti del
governo siriano e dell’opposizione sotto l’egida dell’Onu. Il Consiglio ha
affermato che coadiuverà le azioni diplomatiche del Gruppo di sostegno
internazionale per la Siria; inoltre ha legittimato l’incontro tenutosi a
Riyadh dal 9 dicembre all’11 dicembre, attribuendo una notevole importanza al
raggiungimento di una posizione comune tra i diversi gruppi di opposizione al
regime. Il segretario generale delle
Nazioni Unite e il suo inviato per la Siria, Staffan de Mistura, avranno il
delicato compito di aggregare i rappresentanti delle opposizioni sunnite e del
governo alauita, con il fine di avviare un dialogo formale che porti a un
immediato avvio del processo di transizione politica. L’inizio dei negoziati è
previsto per il mese di gennaio 2016. Il processo di pace prevede un governo di
transizione autorevole e inclusivo entro sei mesi, in grado di redigere i
fondamenti di una carta costituzionale e
di convocare delle elezioni entro diciotto mesi. La Giordania gestirà,
all’interno del Gruppo di sostegno internazionale per la Siria, i vari attori,
per giungere a una definizione condivisa dei gruppi da classificare come
terroristici. Per gli Stati Uniti, l’uscita di scena di Bashar
al-Asad e il conseguente cambio di regime non sono più dei requisiti imprescindibili dai quali avviare il processo di pace in Siria.
Washington, in realtà, aveva accantonato l’idea di provocare la caduta del
regime dall’estate del 2013, per non pregiudicare l’avvio del negoziato con Teheran –alleato principale della
corrente alauita in Siria– e giungere ad un compromesso favorevole sul nucleare con l’Iran. L’accordo rivestiva
un’importanza prioritaria per l’amministrazione Obama poiché avrebbe garantito il
consolidamento del ruolo statunitense nell’equilibrio mediorientale. Mosca e Teheran
continuano a ribadire che la transizione in Siria non implica, e quindi
esclude, l’uscita di scena del presidente Bashar al-Asad. Le due potenze conducono
un’intensa campagna di rafforzamento delle linee di difesa lealiste, contrastando
l’influenza della Turchia nel nord della Siria. La coalizione inedita fra la
Russia e le forze armate curde si regge su un obiettivo primario: ostacolare le
forze di opposizione sunnite appoggiate da Ankara. I raid di Mosca coadiuvano i tentativi di incursione
curda nei territori a nord di Aleppo, dove l’Ypg tenta di avanzare. La
coalizione a guida curda, chiamata “Forze democratiche siriane”, è stata
inoltre ufficialmente sostenuta dagli Stati Uniti quando hanno deciso di
accantonare l’ipotesi di addestrare i “ribelli moderati” e hanno optato per le
forze curde contro lo Stato Islamico. Il confronto tra la coalizione russo-irano-siriana e quella
turco-saudo-qatarina nel nord del paese si gioca attorno a un punto strategico
di vitale importanza per entrambi gli schieramenti, la città di Aleppo. Secondo
alcune stime, se Asad riuscisse a riconquistare Aleppo quasi due milioni
profughi si riverserebbero, con molta probabilità, entro i confini turchi. Considerando
che la Turchia ha ormai raggiunto il livello di saturazione, gran parte degli sfollati seguirebbero
la tratta del Mediterraneo che ha visto transitare nell’ultimo quasi un milione
di profughi verso l’Europa. La Turchia vuole
impedire che la regione di Aleppo cada nelle mani dell’esercito siriano, il
quale, con l’aiuto dei bombardamenti russi, sta tentando di accerchiare la
parte della città ancora in mano ai ribelli. Inoltre Ankara sta facendo leva sulla diffusa preoccupazione
europea che tra i profughi possano infiltrarsi i terroristi dello Stato
Islamico. La notevole pressione che sta esercitando sulle forze
occidentali ha come fine quello di ottenere il supporto per la
creazione delle zone sicure o No fly zone
nel nord della Siria, le quali potrebbero contenere campi profughi ed
evitare che gli sfollati proseguano nel loro transito verso l’Europa. Si
tratterebbe di fasce territoriali occupate, alle quali l’esercito siriano e i
suoi alleati non avrebbero alcun accesso. In realtà il vero obiettivo è
arrestare l’avanzata delle milizie curde dell’Ypg lungo il confine e mantenere
aperti i canali di collegamento con i gruppi ribelli islamisti siriani
appoggiati da Ankara. La Russia vuole evitare che ciò avvenga per due motivi
fondamentali: preservare e ampliare il ruolo strategico in Medio Oriente, a
partire dalle basi di Tartus e Latakia, come contraltare all’egemonia
statunitense; stroncare sul nascere spinte insurrezionali sunnite che possano
ramificarsi e trovare terreno fertile fra le ampie minoranze musulmane in
Russia. In una prospettiva a lungo termine la Turchia teme che un’eventuale
federalizzazione del territorio siriano permetta ai curdi di prendere il
sopravvento sui territori che delimitano il confine fra la stessa Turchia e la
Siria, negandole l’accesso al territorio
siriano. Se il territorio siriano occupato dai curdi dovesse ottenere un
riconoscimento internazionale come entità regionale autonoma e avviasse un
processo di autodeterminazione politica e istituzionale, potrebbe spingere
all’insurrezione i 10 milioni di curdi che popolano la Turchia. Ad oggi, la regione
costiera, la Siria centrale, Damasco e parte del Sud sono sotto il
controllo dei lealisti. Questa fascia territoriale è rafforzata da una
cintura protettiva allestita negli ultimi 40 giorni
attraverso i
bombardamenti aerei di Mosca e l’ offensiva di terra guidata da Teheran. Oltre alla liberazione di Aleppo, l’obiettivo
prefissato dal regime, ma che al momento resta proibitivo, riguarda
la riapertura dell’autostrada Hama-Aleppo – parte della Damasco-Aleppo. Dunque
le zone di Aleppo e di Idlib continuano a cedere sotto i colpi incessanti dei
ribelli sunniti, supportati dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e del Qatar.
Mentre i curdi gestiscono una fascia a ridosso del confine turco, in parte “coabitata”
con alcune popolazioni arabe, e un’enclave nel Nord-Ovest siriano, l’Is controlla gran parte del corso
dell’Eufrate: dalla campagna di Aleppo sino al confine con l’Iraq;
inoltre ha esteso il proprio dominio su una serie di territori a est di Hama,
Homs, Suwayda, e due enclave-simbolo, rispettivamente alla periferia di Damasco
e nel Qalamûn occidentale al confine col Libano. La fascia di territorio
compresa nel “triangolo” Palmira-Raqqa-Dayr al Zwar è saldamente in mano allo
Stato Islamico. A Palmira e nella regione di Homs l’Is non ha subito
contraccolpi, anzi, in alcuni casi ha ottenuto dei successi e consolidato la
propria posizione. A est di Aleppo le forze lealiste sono riuscite a
interrompere l’assedio dell’Is a una base aerea militare, ma l’evento non ha
mutato gli equilibri di potere e controllo sul territorio siriano.
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