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giovedì 24 dicembre 2015

La crisi siriana.

UNA FINESTRA SUL MONDO

Alessandro Ugo Imbriglia*


Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, il 18 dicembre, ha espresso serie preoccupazioni in merito alla sofferenza patita dal popolo siriano e al deterioramento inarrestabile delle condizioni di vita per i civili, causate dalla brutalità del conflitto che sta dilaniando il paese. Tale conflitto è alimentato dal proselitismo di un’ideologia strumentalizzata, che attira un numero crescente di terroristi stranieri pronti ad abbracciare la causa jihadista e a dare nuova linfa a un settarismo che destabilizza non solo il paese, ma procura enormi danni  all’intero patrimonio nazionale. Il Consiglio di sicurezza ha affermato che l’unica strada per giungere ad una soluzione conclusiva del conflitto siriano sia un processo politico condotto dagli stessi siriani, il quale tenga conto degli obiettivi e dell’unione di intenti del popolo stesso e che sia implementato entro il quadro normativo del comunicato di Ginevra del 30 giugno 2012, approvato nella risoluzione 2118 (2013). Il testo di Ginevra ha definito i passaggi fondamentali da applicare per giungere ad una transizione politica in Siria. Quest’ultima non si è mai concretizzata a causa  delle posizioni divergenti fra Russia e Stati Uniti sul ruolo di Bashar al-Asad durante e dopo la fase di transizione. L’iter risolutivo della crisi siriana prevede la formazione di un’autorità con poteri esecutivi, fondata sul compromesso fra regime e opposizioni, in grado di garantire il normale svolgimento dei compiti istituzionali e delle funzioni statali. Il Consiglio di sicurezza ha confermato il pieno appoggio a un cessate il fuoco su territorio siriano; il Gruppo di sostegno internazionale per la Siria – costituito da 17 paesi e 3 organizzazioni multilaterali – ha garantito il sostegno al progetto e una mobilitazione per facilitare la sua attuazione. Condizione fondamentale a questo prima fase di transizione è la convergenza fra rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione sotto l’egida dell’Onu. Il Consiglio ha affermato che coadiuverà le azioni diplomatiche del Gruppo di sostegno internazionale per la Siria; inoltre ha legittimato l’incontro tenutosi a Riyadh dal 9 dicembre all’11 dicembre, attribuendo una notevole importanza al raggiungimento di una posizione comune tra i diversi gruppi di opposizione al regime. Il  segretario generale delle Nazioni Unite e il suo inviato per la Siria, Staffan de Mistura, avranno il delicato compito di aggregare i rappresentanti delle opposizioni sunnite e del governo alauita, con il fine di avviare un dialogo formale che porti a un immediato avvio del processo di transizione politica. L’inizio dei negoziati è previsto per il mese di gennaio 2016. Il processo di pace prevede un governo di transizione autorevole e inclusivo entro sei mesi, in grado di redigere i fondamenti di  una carta costituzionale e di convocare delle elezioni entro diciotto mesi. La Giordania gestirà, all’interno del Gruppo di sostegno internazionale per la Siria, i vari attori, per giungere a una definizione condivisa dei gruppi da classificare come terroristici. Per gli Stati Uniti, l’uscita di scena di Bashar al-Asad e il conseguente cambio di regime non sono  più dei requisiti imprescindibili  dai quali avviare il processo di pace in Siria. Washington, in realtà, aveva accantonato l’idea di provocare la caduta del regime dall’estate del 2013, per non pregiudicare l’avvio del negoziato con Teheran –alleato principale della corrente alauita in Siria– e giungere ad un compromesso favorevole sul nucleare con l’Iran. L’accordo rivestiva un’importanza prioritaria per l’amministrazione Obama poiché avrebbe garantito il consolidamento del ruolo statunitense nell’equilibrio mediorientale. Mosca e Teheran continuano a ribadire che la transizione in Siria non implica, e quindi esclude, l’uscita di scena del presidente Bashar al-Asad. Le due potenze conducono un’intensa campagna di rafforzamento delle linee di difesa lealiste, contrastando l’influenza della Turchia nel nord della Siria. La coalizione inedita fra la Russia e le forze armate curde si regge su un obiettivo primario: ostacolare le forze di opposizione sunnite appoggiate da Ankara. I raid  di Mosca coadiuvano i tentativi di incursione curda nei territori a nord di Aleppo, dove l’Ypg tenta di avanzare. La coalizione a guida curda, chiamata “Forze democratiche siriane”, è stata inoltre ufficialmente sostenuta dagli Stati Uniti quando hanno deciso di accantonare l’ipotesi di addestrare i “ribelli moderati” e hanno optato per le forze curde contro lo Stato Islamico. Il confronto tra la coalizione russo-irano-siriana e quella turco-saudo-qatarina nel nord del paese si gioca attorno a un punto strategico di vitale importanza per entrambi gli schieramenti, la città di Aleppo. Secondo alcune stime, se Asad riuscisse a riconquistare Aleppo quasi due milioni profughi si riverserebbero, con molta probabilità, entro i confini turchi. Considerando che la Turchia ha ormai raggiunto il livello di saturazione, gran parte degli sfollati seguirebbero la tratta del Mediterraneo che ha visto transitare nell’ultimo quasi un milione di profughi verso l’Europa. La Turchia vuole impedire che la regione di Aleppo cada nelle mani dell’esercito siriano, il quale, con l’aiuto dei bombardamenti russi, sta tentando di accerchiare la parte della città ancora in mano ai ribelli. Inoltre Ankara sta facendo leva sulla diffusa preoccupazione europea che tra i profughi possano infiltrarsi i terroristi dello Stato Islamico. La notevole pressione che sta esercitando sulle forze occidentali ha come fine quello di ottenere il supporto per la creazione delle zone sicure o No fly zone nel nord della Siria, le quali potrebbero contenere campi profughi ed evitare che gli sfollati proseguano nel loro transito verso l’Europa. Si tratterebbe di fasce territoriali occupate, alle quali l’esercito siriano e i suoi alleati non avrebbero alcun accesso. In realtà il vero obiettivo è arrestare l’avanzata delle milizie curde dell’Ypg lungo il confine e mantenere aperti i canali di collegamento con i gruppi ribelli islamisti siriani appoggiati da Ankara. La Russia vuole evitare che ciò avvenga per due motivi fondamentali: preservare e ampliare il ruolo strategico in Medio Oriente, a partire dalle basi di Tartus e Latakia, come contraltare all’egemonia statunitense; stroncare sul nascere spinte insurrezionali sunnite che possano ramificarsi e trovare terreno fertile fra le ampie minoranze musulmane in Russia. In una prospettiva a lungo termine la Turchia teme che un’eventuale federalizzazione del territorio siriano permetta ai curdi di prendere il sopravvento sui territori che delimitano il confine fra la stessa Turchia e la Siria,  negandole l’accesso al territorio siriano. Se il territorio siriano occupato dai curdi dovesse ottenere un riconoscimento internazionale come entità regionale autonoma e avviasse un processo di autodeterminazione politica e istituzionale, potrebbe spingere all’insurrezione i 10 milioni di curdi che popolano la Turchia. Ad oggi, la regione costiera, la Siria centrale, Damasco e parte del Sud sono sotto il controllo dei lealisti. Questa fascia territoriale è rafforzata da una cintura protettiva allestita negli ultimi 40 giorni attraverso i bombardamenti aerei di Mosca e l’ offensiva di terra guidata da Teheran. Oltre alla liberazione di Aleppo, l’obiettivo prefissato dal regime, ma che al momento resta proibitivo, riguarda la riapertura dell’autostrada Hama-Aleppo – parte della Damasco-Aleppo. Dunque le zone di Aleppo e di Idlib continuano a cedere sotto i colpi incessanti dei ribelli sunniti, supportati dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e del Qatar. Mentre i curdi gestiscono una fascia a ridosso del confine turco, in parte “coabitata” con alcune popolazioni arabe, e un’enclave nel Nord-Ovest siriano, l’Is controlla gran parte del corso dell’Eufrate: dalla campagna di Aleppo sino al confine con l’Iraq; inoltre ha esteso il proprio dominio su una serie di territori a est di Hama, Homs, Suwayda, e due enclave-simbolo, rispettivamente alla periferia di Damasco e nel Qalamûn occidentale al confine col Libano. La fascia di territorio compresa nel “triangolo” Palmira-Raqqa-Dayr al Zwar è saldamente in mano allo Stato Islamico.  A Palmira e nella regione di Homs l’Is non ha subito contraccolpi, anzi, in alcuni casi ha ottenuto dei successi e consolidato la propria posizione. A est di Aleppo le forze lealiste sono riuscite a interrompere l’assedio dell’Is a una base aerea militare, ma l’evento non ha mutato gli equilibri di potere e controllo sul territorio siriano.

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