DIBATTITI
Riportiamo un contributo
al ricordo ed alla memoria di due combattenti
della Guerra di Liberazione
IV Fronte La resistenza all'estero
Maggiore Carlo Ravnic, Comandante ella Divisione Garibaldi
Niccolò Duranti*
II PARTE
Il caporale Amedeo Serloni invece, classe 1916,
manovale, fu trasferito al plotone comando del 449° sottosettore A della
Guardia alla Frontiera nel territorio di guerra jugoslavo nel 1942 e, come
riporta il suo foglio matricolare, si sbandò in seguito agli eventi dell’8
settembre 1943 in territorio extrametropolitano. Non sappiamo tuttavia cosa
fece dall’8 settembre ’43 all’ottobre ’44 poiché fu dichiarato disperso già
dalla metà dell’agosto ’43 e il suo nome non risulterà né tra i dispersi né tra
i prigionieri di guerra. Le poche notizie in nostro possesso ne segnalano
nuovamente la presenza dal 30 ottobre 1944 quando si presenterà al comando
della Divisione Italia, formazione che si era costituita il giorno precedente.
Fu infatti concordato con l’EPLJ di riunire tutti i combattenti italiani,
sparsi nei vari reparti, sotto un’unica divisione. La Divisione Italia contava
quattro battaglioni, tra cui il Mameli di cui fece parte Serloni: la divisione
aveva sede nella periferia di Belgrado e sappiamo che i vari battaglioni
rimasero nei dintorni della capitale fino a metà novembre per addestramenti e
per rinvigorire lo spirito di unità. Iniziò poi una marcia di oltre 150 km per
avvicinarsi al fronte di guerra dello Srem (una regione a confine tra Serbia e
Croazia; sfondato questo fronte solamente nell’aprile 1945, l’esercito popolare
jugoslavo poté liberare Zagabria): il Mameli si attestò a Quota 190 nei pressi
di Lezimir. Domenica 3 dicembre, con il supporto della V e VIII bgt
montenegrina, iniziò lo scontro aperto con la Wermacht, ma solamente in tarda
serata si riuscirono a conquistare le posizioni nemiche. Il giorno seguente
anche il Mameli si pose in prima linea e, dopo un duro scontro sul settore
destro, occupò le posizioni nemiche, inseguendolo fino ai dintorni di Ljuba: il
tributo pagato dagli italiani fu di 13 uomini caduti sul campo, tra cui, molto
probabilmente, ci fu anche Amedeo Serloni. Da alcuni informative firmate dal
Comandante Giuseppe Maras e fatte
pervenire alla famiglia tramite il Comune di Osimo risulta infatti ferito e
ricoverato presso un ospedale militare jugoslavo (verosimilmente quello di
Pistinac). Questa ricostruzione è stata possibile integrando il testo “Canta
canta burdel” di Ovidio Gardini della Brigata Italia, che contiene stralci del
diario della Divisione Garibaldi, con la motivazione della decorazione attribuita
a Ettore Ramires nella medesima azione in cui crediamo sia caduto il Serloni. Quello
che è certo è che per il suo valore dimostrato sul campo (a questo punto
possiamo affermare quasi con esattezza in quest’azione di sfondamento per la
liberazione di Ljuba, Sot, Sid e via via tutte le altre), il Serloni fu
decorato con l’Ordine al Valore jugoslavo e la Medaglia di Bronzo al Valor
Militare. Questa la motivazione: “Alla testa del proprio reparto, dopo aver
conquistato di slancio una munita posizione nemica, non pago del successo
ottenuto, si portava arditamente all’inseguimento dell’avversario, finché,
colpito gravemente si abbatteva incitando ancora i propri uomini all’azione. –
Quota Pogliana, 4 dicembre 1944”.
Speriamo con queste righe di aver ridato dignità a due combattenti per
la libertà dei popoli affinché il tempo non cancelli nuovamente le loro storie,
certi che il loro nome risuoni ora, assieme agli altri partigiani, con più
convinzione, durante ogni celebrazione che festeggia e ricorda quella
straordinaria pagina di riscatto nazionale che è stata la Lotta di Liberazione
dal nazifascismo. Un comune sentimento, un comune tributo di sangue lega partigiani
jugoslavi e italiani: superare il rancore per l’occupazione di quelle terre,
l’esser stati prigionieri gli uni degli altri, tutto fu accantonato per
combattere il comune nemico e ristabilire la libertà per le terre balcaniche e
italiane. Se molti militari decisero infatti di collaborare con l’Esercito
popolare di Liberazione jugoslavo è altrettanto fondamentale il contributo
fornito dai militari slavi che, scappati o liberati dai numerosi campi
d’internamento sul territorio nazionale, si unirono alle formazioni partigiane
locali dando vita ad uno straordinario esempio di convivenza tra persone di
diverse etnie. L’esempio più prossimo nelle Marche è dato dal carattere
internazionale della Banda Mario operante alle pendici del Monte San Vicino e
in particolare nella zona di San Severino Marche: una formazione partigiana
composta anche da montenegrini, croati, sloveni, etiopi, eritrei, somali,
ebrei, britannici
* Presidente della Sezione ANPI di Osimo Ancona
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