Cerca nel blog

domenica 6 ottobre 2019

La storia del serg. Gino Meloni e del Caporale Amedeo Serloni, MBVM

DIBATTITI
 Riportiamo un contributo 
al ricordo ed alla memoria di due combattenti
della Guerra di Liberazione
IV Fronte La resistenza all'estero




Maggiore Carlo Ravnic, Comandante ella Divisione Garibaldi

 Niccolò Duranti*
    
II PARTE

Il caporale Amedeo Serloni invece, classe 1916, manovale, fu trasferito al plotone comando del 449° sottosettore A della Guardia alla Frontiera nel territorio di guerra jugoslavo nel 1942 e, come riporta il suo foglio matricolare, si sbandò in seguito agli eventi dell’8 settembre 1943 in territorio extrametropolitano. Non sappiamo tuttavia cosa fece dall’8 settembre ’43 all’ottobre ’44 poiché fu dichiarato disperso già dalla metà dell’agosto ’43 e il suo nome non risulterà né tra i dispersi né tra i prigionieri di guerra. Le poche notizie in nostro possesso ne segnalano nuovamente la presenza dal 30 ottobre 1944 quando si presenterà al comando della Divisione Italia, formazione che si era costituita il giorno precedente. Fu infatti concordato con l’EPLJ di riunire tutti i combattenti italiani, sparsi nei vari reparti, sotto un’unica divisione. La Divisione Italia contava quattro battaglioni, tra cui il Mameli di cui fece parte Serloni: la divisione aveva sede nella periferia di Belgrado e sappiamo che i vari battaglioni rimasero nei dintorni della capitale fino a metà novembre per addestramenti e per rinvigorire lo spirito di unità. Iniziò poi una marcia di oltre 150 km per avvicinarsi al fronte di guerra dello Srem (una regione a confine tra Serbia e Croazia; sfondato questo fronte solamente nell’aprile 1945, l’esercito popolare jugoslavo poté liberare Zagabria): il Mameli si attestò a Quota 190 nei pressi di Lezimir. Domenica 3 dicembre, con il supporto della V e VIII bgt montenegrina, iniziò lo scontro aperto con la Wermacht, ma solamente in tarda serata si riuscirono a conquistare le posizioni nemiche. Il giorno seguente anche il Mameli si pose in prima linea e, dopo un duro scontro sul settore destro, occupò le posizioni nemiche, inseguendolo fino ai dintorni di Ljuba: il tributo pagato dagli italiani fu di 13 uomini caduti sul campo, tra cui, molto probabilmente, ci fu anche Amedeo Serloni. Da alcuni informative firmate dal Comandante Giuseppe Maras  e fatte pervenire alla famiglia tramite il Comune di Osimo risulta infatti ferito e ricoverato presso un ospedale militare jugoslavo (verosimilmente quello di Pistinac). Questa ricostruzione è stata possibile integrando il testo “Canta canta burdel” di Ovidio Gardini della Brigata Italia, che contiene stralci del diario della Divisione Garibaldi, con la motivazione della decorazione attribuita a Ettore Ramires nella medesima azione in cui crediamo sia caduto il Serloni. Quello che è certo è che per il suo valore dimostrato sul campo (a questo punto possiamo affermare quasi con esattezza in quest’azione di sfondamento per la liberazione di Ljuba, Sot, Sid e via via tutte le altre), il Serloni fu decorato con l’Ordine al Valore jugoslavo e la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Questa la motivazione: “Alla testa del proprio reparto, dopo aver conquistato di slancio una munita posizione nemica, non pago del successo ottenuto, si portava arditamente all’inseguimento dell’avversario, finché, colpito gravemente si abbatteva incitando ancora i propri uomini all’azione. – Quota Pogliana, 4 dicembre 1944”.  
Speriamo con queste righe di aver ridato dignità a due combattenti per la libertà dei popoli affinché il tempo non cancelli nuovamente le loro storie, certi che il loro nome risuoni ora, assieme agli altri partigiani, con più convinzione, durante ogni celebrazione che festeggia e ricorda quella straordinaria pagina di riscatto nazionale che è stata la Lotta di Liberazione dal nazifascismo. Un comune sentimento, un comune tributo di sangue lega partigiani jugoslavi e italiani: superare il rancore per l’occupazione di quelle terre, l’esser stati prigionieri gli uni degli altri, tutto fu accantonato per combattere il comune nemico e ristabilire la libertà per le terre balcaniche e italiane. Se molti militari decisero infatti di collaborare con l’Esercito popolare di Liberazione jugoslavo è altrettanto fondamentale il contributo fornito dai militari slavi che, scappati o liberati dai numerosi campi d’internamento sul territorio nazionale, si unirono alle formazioni partigiane locali dando vita ad uno straordinario esempio di convivenza tra persone di diverse etnie. L’esempio più prossimo nelle Marche è dato dal carattere internazionale della Banda Mario operante alle pendici del Monte San Vicino e in particolare nella zona di San Severino Marche: una formazione partigiana composta anche da montenegrini, croati, sloveni, etiopi, eritrei, somali, ebrei, britannici


* Presidente della Sezione ANPI di Osimo Ancona

Nessun commento:

Posta un commento