APPROFONDIMENTI
Osservazioni critiche sulle
operazioni del 1943-1945
La situazione delle truppe tedesche in Italia
II Parte
Giovanni Cecini
Lo scontro
dottrinario tra Rommel e Kesselring, già proposto per il contesto
mediterraneo/nordafricano, si ripresentò anche sullo scacchiere italiano, tanto
che quando arrivò il momento per Student di procedere all’operazione di
liberazione di Mussolini sul Gran Sasso, all’indomani della dichiarazione di
armistizio dell’8 settembre, Kesselring non venne neanche informato.
Secondo i
convincimenti di Rommel, ancora scosso dalle disfatte nel deserto, l’Italia
sarebbe stata difficile da difendere nella sua interezza, proponendo
un’operazione di contenimento e di assestamento su ampia scala solo nell’Italia
settentrionale. Kesselring espresse tutta la sua contrarietà a un’idea così
pessimistica della campagna d’Italia, convinto invece di giocare d’astuzia. Proponeva
quindi, come mossa migliore, di impegnare il nemico in una faticosa e difficile
guerra di logoramento attraverso tutta la profondità del Paese. Infatti egli
era contrario a un ripiegamento massiccio per creare una linea difensiva così
arretrata, fronte troppo avanzato per il nemico e quindi funzionale a
incursioni aeree massicce in territorio tedesco. A differenza delle ampie
spianate desertiche del Nord Africa, lo Stivale era caratterizzato da un’aspra
catena montuosa trasversale ma non rettilinea, difficile da valicare per gli
Anglo-americani, la cui forza dominante dipendeva dalle truppe corazzate e
motorizzate. Per di più tenere Roma il più possibile avrebbe garantito un pegno
fondamentale sia in campo diplomatico che in quello operativo.
L’incognita di
trovarsi in territorio straniero e per giunta in inferiorità numerica rispetto
agli italiani “badogliani” non intimorì il comando di Frascati, che seppe
rispondere con una pianificazione, una propaganda incisiva e una manovra ben
collaudata allo sbandamento generale delle Regie Forza Armate capaci di eccelsi
erosimi individuali, ma carenti perché in balia di vertici lontani o
impreparati a colmare la lacuna istituzionale esistente.
La differenza
di vedute tra i due feldmarescialli tedeschi, portò addirittura lo stesso
Kesselring, senza tuttavia rinunciare al comando effettivo del settore a lui
assegnato, a rassegnare a metà agosto del 1943 le dimissioni dal suo incarico,
respinte in novembre da Hitler, che quindi si convinse della bontà del suo piano,
concedendogli mano libera sull’intera Italia. Rommel, che fino ad allora aveva
assistito – per ordine ricevuto – per la prima volta nella sua vita lontano
dalle linee da semplice spettatore alla campagna d’Italia, venne destinato
quindi al completamento del Vallo Atlantico sulla costa settentrionale francese
in attesa dell’invasione dell’Europa dalla Manica.
Proprio questo
antagonismo non facilitò le cose, se Kesselring, che aveva frenato con successo
gli sbarchi a Salerno e l’avanzata in territorio campano, nel dopoguerra
espresse tutto il suo disappunto sulla scelta di tenere troppe truppe di
riserva nel centro-nord, invece di impegnarle subito sul fronte ancora elastico.
Kesselring, secondo quel che esprimerà nelle sue memorie, aveva vinto la sfida
al vertice, ma aveva perso mesi importanti, non potendo giovarsi del comando di
tutti i reparti (circa 150.000 uomini), che dipendevano di massima da Rommel. Tuttavia,
forte delle sue convinzioni partorite sul campo, si convinse a garantire al
Führer una difesa adeguata per molti mesi della zona a sud di Roma, con
relativo presidio della capitale dai possibili attacchi alleati.
L’azzardo di
Kesselring venne premiato anche oltre i suoi meriti, proprio perché gli Alleati
avevano sempre giudicato l’Italia, una volta indotta alla resa, un campo di
battaglia periferico e finalizzato unicamente a togliere truppe nemiche da
quello che sarebbe stato il fronte principale in Francia. Non volendo accordare
fiducia alle osservazioni di Winston Churchill, che intravedeva nell’Adriatico
il grimaldello per impossessarsi dei Balcani ai danni di Stalin, il generale Eisenhower,
una volta presa la Sicilia, destinò nella Penisola un contingente limitato e
senza troppe pretese, per giunta comandato da generali “da tavolino”, privi di
un’avanzata esperienza sul campo e per questo poco avvezzi a manovre ardite.
L’armistizio
dell’8 settembre, la reticenza degli Alleati a concedere troppo credito a Badoglio
nello spingersi in sbarchi a nord di Roma e soprattutto un’assente
predisposizione da parte dei vertici italiani di difesa della Capitale,
facilitò la capitolazione della città, fornendo ai Tedeschi una rapida e
promettente occupazione non solo del centro nevralgico del Paese, ma anche la
possibilità di creare un valido bastione contro le ulteriori avanzate alleate.
La difesa eroica degli ultimi reparti del Regio esercito furono travolti dagli
ex alleati germanici, perché male organizzati e senza ordini precisi, subendo
il completo massacro. Gli unici episodi in cui i Tedeschi furono indotti alla
desistenza, furono i casi della Sardegna e della Corsica, dove però la reazione
delle divisioni italiane, tra cui la Friuli
e la Cremona, se fecero evacuare dopo
aspri combattimenti gli uomini della Wehrmacht e delle SS dalle due isole, non
intaccò nella sostanza la loro efficienza bellica.
Molto si è
discusso, e ancora oggi è un argomento di ampio dibattito storico e morale, a
proposito della “fuga” a Brindisi, della scelta di non difendere Roma, tuttavia
si può serenamente parlare di diffusa e condivisa miopia politica e militare da
parte della Corona, del Governo e dello Stato maggiore generale nell’aver messo
in condizione le Forze armate italiane di doversi arrendere, perché inidonee e
non preparate alla prevedibile reazione dei Tedeschi.
L’aver giocato
poi la partita con gli Alleati in modo opportunista, sperando di farsi
sberleffo di loro e tenersi buona una possibilità di doppio o triplo gioco, ha
consentito ad Eisenhower di non spingersi oltre Salerno per uno sbarco,
favorendo così automaticamente la strategia di Kesselring, che aveva tutto da
guadagnare di fronte a quella sterile ragnatela di cospirazioni badogliane.
Lo sbarco
nella città campana non fu fermato dai Tedeschi, che reagirono comunque bene,
ma Kesselring predispose una serie di formazioni parallele tanto da smorzare
gli effetti della penetrazione peninsulare degli Anglo-americani. Una volta
assestate le truppe germaniche sulla linea Gustav, nel restringimento dello
Stivale tra la foce del Garigliano e quella del Sangro, la resistenza fu
accanita, tanto da rimanere granitica anche a seguito del timido sbarco ad
Anzio nel gennaio del 1944. Il promontorio di Cassino da principio semplice
presidio, dopo alcuni insensati bombardamenti divenne una roccaforte
inespugnabile, tanto da divenire un vicolo cieco per gli Alleati in cammino
sulla via Casilina. Anche sul fronte adriatico gli scontri non furono da meno,
tanto da battezzare la battaglia avvenuta ad Ortona la “Stalingrado d’Italia”.
Roma venne
presa dagli Americani solo in giugno, ma a caro prezzo, dopo sanguinosi e
ripetuti attacchi, che le truppe tedesche ostacolarono colpo su colpo. Per di
più l’azione di entrare in città si rivelò inutile sotto il lato prettamente
strategico. Il generale Clark, esaltato dall’evento di cui era protagonista,
non sfruttò il vantaggio accumulato per realizzare una proficua azione di
aggiramento e infliggere un colpo mortale alle unità tedesche, che si trovavano
a nord della Capitale, permettendo loro invece di organizzarsi e predisporre
nuove sacche di resistenza sull’Appennino centrale.
Un anno era
passato dallo sbarco in Sicilia, ma le divisioni germaniche mantenevano ancora
il presidio di oltre metà della Penisola. Proprio per il protrarsi delle
operazioni campali in ciascuna regione italiana la drammaticità del conflitto
bellico iniziò a coinvolgere sempre di più la popolazione, sia per le
incessanti azioni di combattimento del fronte in prossimità dei centri abitati,
sia per la politica di sopraffazione e di vendetta operata dai Tedeschi sugli Italiani,
indistintamente se militari combattenti, prigionieri o semplici civili. Gli
eccidi più famosi sono solo l’epifania di un fenomeno diffuso e ampiamente
utilizzato sia in funzione operativa, ma anche seguendo delle logiche disumane
di vendetta e per nulla giustificabili sotto l’aspetto militare.
In questi
frangenti tuttavia emerse anche l’occasione per una reazione italiana, non
necessariamente scontata, vista la sostanziale assenza dello Stato nel periodo
post armistiziale. Oltre alle formazione di resistenza ad opera dei partigiani,
che in tutte le zone del centro-nord si andavano formando, anche in
collaborazione con il servizio informazioni alleato, ebbe il battesimo del
fuoco la prima formazione militare italiana post-fascista. Il 1° Raggruppamento
motorizzato, seppur senza grandi consistenze di uomini e materiali, partecipò
con valore agli scontri presso Mignano Montelungo, non lontano da Cassino,
dando l’avvio alla ricostruzione delle Forze Armate italiane, seppur tra mille
difficoltà frapposte dalle stesse autorità alleate, prima con il Corpo Italiano
di Liberazione e poi con i sei Gruppi di Combattimento.
Una volta
liberata Roma, il fronte italiano perse l’attenzione da parte di Londra,
Washington e Berlino. Dall’estate del 1944 le cose cambiarono su entrambi gli
schieramenti, concentrando gli sforzi sul fronte occidentale, apertesi le
ostilità in Normandia appena due giorni dopo il sopraggiungere degli Alleati nella
Capitale. Tuttavia gli scontri successivi in Italia non furono da meno dei
precedenti, considerata la lentezza con la quale gli Anglo-americani
procedettero lungo la Penisola. Le linee parallele di difesa, che i Tedeschi
avevano delineato nella zona tra Napoli e Roma, proseguirono anche in Italia
centrale, principalmente in prossimità del lago Trasimeno. Superata anche
Firenze, un altro inverno arrivò e la linea Gotica, che ricalcava grosso modo
parte del tracciato dell’operazione “Alarico”, permise alle unità germaniche di
bloccare il nemico e di costringerlo a trincerarsi, anche a causa del clima
rigido.
Dopo Montecassino
ed Ortona, anche qui i Tedeschi mostrarono una grinta e una capacità di
resistenza non comuni, per le quali gli Alleati ebbero la meglio solo per la
copiosità dei mezzi a disposizione e per la crescente stanchezza che la
Germania aveva accumulato dopo sei anni di guerra combattuta su tutti fronti del continente europeo. L’aspetto
militare dell’azione tedesca, se si considera che la campagna d’Italia durò circa
due anni, fu un capolavoro di resistenza bellica, anche a fronte dell’iniziale
propensione germanica a difendere solo il settentrione del Paese.
Altra faccenda
ovviamente è l’aspetto morale e criminale dell’esperienza. Numerosi potrebbero
essere gli episodi da elencare, in cui militari della Wehrmacht, della Gestapo
o delle SS si sono macchiati in territorio italiano, evidenziando agli occhi di
coloro che si occupano di storia militare come l’aspetto operativo e neutro di
una guerra tra due eserciti contrapposti possa essere stravolto da accadimenti
che esulano dai valori classici di onore e cavalleria o da quelli tecnici di
strategia e tattica.
Per questi motivi numerosi dei protagonisti di tale campagna furono
messi alla sbarra per l’emanazione di ordini criminali. Tra i tanti, che chi
più chi meno pagarono almeno con una detenzione, spiccano lo stesso Kesselring,
Herbert Kappler e Walter Reder. Sta di fatto che la posizione incerta avuta
dall’Italia durante il conflitto, come pure il mancato procedimento
nei confronti dei crimini di guerra commessi dagli Italiani in venti anni di
guerre fasciste, hanno portato un’imbarazzante e onnicomprensiva coltre di
oblio su ampia parte delle responsabilità dirette e indirette di molti eccidi
commessi nel nostro Paese dalle autorità politiche e militari tedesche.(La prima parte è stata pubblicata in data 19 settembre 2019)
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