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sabato 12 ottobre 2019

Conca Presena: attacco del battaglione Morbegno

APPROFONDIMENTI
Note sulla Prima Guerra Mondiale. Storia degli Alpini
 Battaglione Morbegno



9 GIUGNO 1915: L'EROICO E SFORTUNATO 
ATTACCO DEL BATTAGLIONE MORBEGNO A CONCA PRESENA 


Mario Nasatti 
Il Comando italiano conscio dell’importanza strategica del Passo Paradiso e della Conca di Presena e molto preoccupato per la situazione che si era creata dopo l’abbandono delle posizioni in quota il giorno antecedente lo scoppio delle ostilità, decide di riconquistare tali posizioni. Conta, fortemente, sul fatto che il cardine di giuntura tra i due Rayons avversari interessati cade tra i punti presidiati al Passo Paradiso e al rifugio del Mandrone, distanti tra loro 4,5 chilometri in linea d’aria. È noto che tali punti sono sempre particolarmente vulnerabili di per sé; a maggior ragione in questo caso, dato l’ampio spazio impervio che lasciano del tutto scoperto, inclusi i Passi Presena e Maroccaro, che adducono alle posizioni austriache del Paradiso, debolmente presidiate. Il Comando italiano, poi, sa che, oltre il Passo Maroccaro, la Vedretta di La situazione sembra dunque presentare discrete prospettive di successo: con tempo buono, si può riuscire ad avvicinarsi senz’essere notati, attraversare senza combattere il Passo Maroccaro, spiegarsi sulla vedretta e portarsi, al coperto dalla vista e dal fuoco avversari, fino a poco più di 400 metri dalle posizioni da attaccare, contando, per il successo, sulla forte superiorità numerica. Se tutto andrà bene, non solo verrà eliminata la grave minaccia pendente sul Tonale e sulla Valle Camonica, ma forse si spalancherà anche la porta di accesso alla Val Vermiglio. si estende per un certo tratto quasi piana, non visibile dal Passo Paradiso (oggi, a seguito della fortissima riduzione, sia dello spessore, che dell’estensione del ghiaccio, la situazione è del tutto mutata); quella circostanza, in un primo tempo, avrebbe occultato gli attaccanti, provenienti dal Maroccaro, agli occhi dei difensori; per di più il tratto superiore della vedretta risulta fuori dalla portata del tiro dei cannoni austriaci dei forti “Saccarana o Tonale” e “Presanella o Pozzi Alti”, gli unici in grado d’intervenire.

Sulle base di queste considerazioni – all’apparenza ineccepibili – viene redatto il piano, nel rispetto di tutte le regole dei manuali. Secondo un criterio in vigore, all’epoca, presso tutti gli eserciti, si agirà “in forze”, con una vigorosa “spallata”; un reparto risalirà la Val Narcanello, scavalcherà il Il percorso, da compiere in zone pressoché impervie e sconosciute, del tutto prive di sentieri, è difficile e complicato; per cui si ricorre alla collaborazione preziosa di Bortolo Cresseri di Zoanno (frazione di Ponte di Legno) 43 anni, guida alpina. Costui mette sull’avviso i militari: l’itinerario comporta il superamento di un dislivello in salita di almeno 1.700 metri, calcolati sulla carta; in realtà saranno ben di più, tenuto conto di un po’ d’inevitabili saliscendi. Sia ben chiaro, dunque, che, a prescindere dal combattimento, si richiederanno alla truppa buona capacità alpina e soprattutto doti notevoli di resistenza fisica. Ciò considerato, sul migliaio circa di uomini del battaglione, ne vengono selezionati 450; nel pomeriggio dell’8 giugno, in assetto di guerra, senza zaini, con mantello e coperta arrotolati nel telo tenda e portati a tracolla, munizioni, viveri a secco per due giorni, lasciano il campo di Precasaglio (nella Valle di Pezzo, a nord di Ponte di Legno); con loro, due sezioni di mitragliatrici (quattro armi in totale). passo detto ancora del Lago Inghiacciato secondo la denominazione del Payer (oggi Passo Pisgana, 2.935 metri) raggiungerà il Passo Maroccaro e da qui attaccherà frontalmente, dall’alto, il Passo Paradiso. Contemporaneamente, altri reparti effettueranno un’azione dimostrativa al Tonale; però se avranno successo, proseguiranno incontro al battaglione che effettuerà l’attacco frontale e tutti insieme cacceranno il nemico dall’intera zona. Per non compromettere la sorpresa – sulla quale si fa molto affidamento – l’artiglieria interverrà soltanto quando lo scontro sarà incominciato. Al Passo Tonale parteciperanno all’azione i Battaglioni “Valcamonica” e “Val d’Intelvi”, appena giunti dalle Giudicarie. Il compito dell’attacco principale è affidato al Battaglione “Morbegno”.
sentiero fino a Prà dell’Orto (1.630 metri, uno spiazzo erboso e sassoso in declivio, delimitato da abeti e da un fianco scosceso, posto sulle pendici nord-ovest del Castellaccio). Prosegue sempre più faticosamente in mezzo alla grossa morena, intervallata da larghe chiazze di neve, senza più alcuna traccia di sentiero, sulle pendici delle Cime Lagoscuro e Payer, fino a raggiungere la Vedretta del Pisgana, al cui piede infine viene ordinata una sosta, per dar tempo ai ritardatari di serrare sotto. Quando incominciano a salire la vedretta è calata la notte. Avanzano a tentoni, nel buio, perché è vietato accendere qualsiasi luce, in rigoroso silenzio, con l’eccezione di qualche “moccolo” soffocato, che non è proprio possibile trattenere. Di ramponi non se ne parla: i primi devono rompere a forza di colpi di punta degli scarponi chiodati la crosta gelata; gli ultimi scivolano di continuo nei profondi solchi lasciati dal passaggio e sulle lastre di ghiaccio vivo: è una fatica durissima. Al Passo Pisgana (2.933 metri) giungono con un’ora di ritardo: la circostanza peserà assai sul prosieguo dell’azione. Quando s’incamminano nell’ampia conca Mandrone sono le 4 e ormai albeggia; per fortuna, dalla Val Genova s’alza un nebbione gelato e denso che in breve costella le barbe di brina luccicante; il freddo pungente si insinua nelle ossa, tuttavia gli Alpini si rallegrano, perché, se fosse limpido, il transito di tutti quegli uomini non passerebbe certo inosservato agli Austriaci che presidiano i rifugi del Mandrone, laggiù in basso. Don Sedini, Cappellano del battaglione, angosciato per i suoi “ragazzi”, prega Dio, la Madonna ed i Santi che la nebbia persista e la sorpresa riesca appieno. Il reparto, diretto verso il Passo del Maroccaro, piccola finestra angusta e altissima contro il cielo, ha già incominciato a tracciare un lungo solco orizzontale sicuro nella neve della conca, quando, in breve, come accade spesso in montagna, la nebbia dapprima dirada, poi svanisce. Subito gli Alpini notano un movimento frenetico nei pressi dei rifugi; poi da laggiù risuonano a lungo, con un che di lugubre, le note di un grosso corno da caccia e si vedono tre sciatori arrancare affannosamente in direzione del Passo Presena: ritengono che corrano a mettere in allarme i commilitoni del Paradiso, così che la sorpresa verrà a mancare, perché occorrono ancora due ore buone solo per raggiungere il Passo del Maroccaro. In realtà, le staffette sono state mandate a chiedere aiuto contro l’attacco di una settantina di sciatori italiani: timore infondato, perché quelli, inviati dal rifugio “Garibaldi” attraverso il Passo Venezia (e non staccati dalla colonna diretta al Maroccaro, come riterranno gli Austriaci), non devono attaccare il Mandrone, ma limitarsi a neutralizzare eventuali azioni di disturbo di quel presidio sul fianco o alle spalle del “Morbegno”. Con l’angosciosa errata convinzione che il presidio del Paradiso, ormai avvertito, li stia attendendo, gli Alpini, nonostante la stanchezza per la lunghissima marcia faticosa, accelerano al massimo l’andatura e raggiungono il Passo Maroccaro. Sul passo, la guida Cresseri, il cui compito è terminato (veste anche lui l’uniforme grigioverde, ma senza le stellette) augura “in bocca al lupo” e si sente stringere il cuore: quei ragazzi, molti dei quali stanno andando a morire, gli ricordano i tre figli, Alpini pure loro, in linea altrove. Il Maggiore Castelli lo ringrazia e gli stringe la mano con gesto solenne, meravigliando gli Alpini che lo hanno sempre visto molto rigido e assai poco cordiale. Alle 6.45 la 44a e la 45a Compagnia escono dal Passo Maroccaro e si distendono in posizione di combattimento, incominciando a scendere sulla vedretta, ancora celate alla vista delle posizioni del Paradiso – 400 metri di quota più in basso – dalla conformazione del ghiacciaio. La 47a Compagnia rimane di riserva al passo, presso il comando di battaglione. La conca è bellissima, immacolata nel manto di neve. Tutto è silenzio, ma per poco: è destino che la sorpresa non debba riuscire. A sette chilometri in linea d’aria, a nord della Val Vermiglio, presso il forte “Mero”, alla quota 1.838, una sentinella scrupolosa e sveglia, scorge uno strano brulichio d’uomini sulla parte superiore della Vedretta di Presena. È molto probabile che si tratti di nemici, pensa, per cui s’affretta ad avvertire il suo comandante, Tenente Gustav Linert, del II Reggimento Landesschutzen, che proprio in quel momento sta rientrando da un’ispezione. Costui afferra il binocolo e ogni dubbio svanisce: s’attacca al telefono e tramite i comandi del fondovalle fa mettere in allarme il presidio del Paradiso e le artiglierie (tre obici da 100 millimetri) del forte “Presanella” ai Pozzi Alti; avverte direttamente il sovrastante (a quota 2.115) forte “Tonale” (o Saccarana) perché tenga pronti a intervenire i sei obici da 100 millimetri. Non appena gl’italiani, avanzando ulteriormente, entreranno nel campo di tiro (se questa versione è esatta – e non pare vi sia motivo di dubitarne – se ne deve dedurre che il presidio del Paradiso non teneva vedette in alto, sulla cresta, che avrebbero subito avvistato, per prime, gli attaccanti).


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