DIBATTITI
Riportiamo un contributo
al ricordo ed alla memoria di due combattenti
della Guerra di Liberazione
IV Fronte La resistenza all'estero
Niccolò Duranti*
I PARTE
La ricerca della storia, dei suoi protagonisti,
delle piccole pagine di vita locale, la microstoria insomma, è sempre più
importante per capire i grandi avvenimenti, per sentire più vicina una storia
che altrimenti sarebbe solo un libro, un fiume di parole che molto spesso non
sentiamo nostre. Molti cittadini non conoscono neanche la collocazione
temporale dei grandi eventi che hanno sconvolto il mondo, neppure quelli più
vicini o quelli che hanno potuto ascoltare dalla viva voce dei protagonisti,
figurarsi le storie dei militari italiani che dopo l’8 settembre scelsero di
proseguire la lotta affiancando quelle popolazioni che fino a pochi giorni
prima dovevano sottomettere e conquistare. Nell’arco di 75 anni molti piccoli –
grandi protagonisti di quelle vicende sono caduti nell’oblio o peggio ancora
sono stati nascosti perché poco funzionali allo scontro tra i due blocchi
durante la Guerra Fredda. Molti militari, divenuti partigiani per necessità e
convinzione da quell’autunno del ’43, risultarono dispersi a fine guerra o
sepolti in cimiteri locali nei paesini del fronte jugoslavo, quello di cui
tratterò in particolare in questo breve articolo, tanto che persino le famiglie
sono, tutt’ora, ignari delle sorti dei propri cari. Ne sono esempi due concittadini
di Osimo (AN) i cui nomi sono incisi sul marmo del monumento dedicato alla
Resistenza ma di cui non si conoscevano praticamente i fronti sul quale
combatterono né perirono perché la tradizione locale li voleva “morti in
Jugoslavia, uno aiuto cuoco della brigata Mameli, l’altro morto in
combattimento forse in Montenegro”: solamente andando a sfogliare il loro
fascicolo all’Archivio centrale dello Stato, sezione Commissione per
l’attribuzione della qualifica di partigiano, siamo stati in grado, un paio di
mesi fa, di ricostruire le loro vite e soprattutto gli scontri dove trovarono
la morte. Questa è la storia del Serg. Gino Marini e del Caporale MBVM Amedeo
Serloni. Per il Serloni in particolare l’ostacolo maggiore era dettato
dall’individuazione in quella che nella motivazione della decorazione viene
indicata come “Quota Pogliana (Ju)” e che non trovava riscontro in nessun testo
di storia militare.
Gino Marini, classe 1919, inviato sul fronte di
guerra nel 1940, aggregato alle truppe del presidio di Zara con il battaglione
mitraglieri “Cadorna”, per oltre 70 anni è stato semplicemente un disperso in
Jugoslavia. Ora siamo in grado di raccontare la sua storia, così come
testimoniata da un commilitone, Attilio Mancinelli di Ancona, nel 1949, davanti
alla Tenenza di Osimo. Racconta il Mancinelli che conobbe Gino Marini,
appartenente ad una Compagnia Mortai di stanza a Kistanje, il 9 settembre 1943
in procinto di imbarcarsi a Zara per far ritorno in Italia insieme a gran parte
del suo reparto: quell’imbarco tuttavia non avvenne mai perché il
sopraggiungere di truppe tedesche interruppe le operazioni facendo prigionieri
una gran parte dei militari italiani. Marini e Mancinelli riuscirono a fuggire
e, nei dintorni di Zara, furono avvicinati da alcuni partigiani slavi del
battaglione Dubajo: inizialmente promisero loro di aiutarli a rimpatriare ma
dopo una quindicina di giorni i due decisero invece di unirsi a quel
battaglione. Dopo circa un mese Marini e Mancinelli entrarono a far parte della
1° Batteria di Artiglieria della 2° Divisione dell’EPLJ e furono sottoposti ad
un corso da parte degli slavi stessi a Varkowine. Ultimato questo, venne loro
consegnato un pezzo d’artiglieria da 117 e furono inviati a Senj per compiere
azioni contro le imbarcazioni tedesche che compivano il tragitto tra Fiume e
Karlopag finché le forze preponderanti dei nemici costrinse loro a ritirarsi
dopo circa tre mesi di attività; furono quindi inviati verso il confine
italiano, dove avvenne la scissione tra gli elementi italiani e slavi del
battaglione. Dopo sei mesi passati a far parte di una compagnia di lavoratori
addetta alla manutenzione di una strada carrozzabile, decisero di aggregarsi
alla 1° Compagnia Rovignonese di partigiani italiani, il cui compito era quello
di sabotare e intralciare il passaggio tedesco per ferrovia e strada. Il 29
luglio 1944, verso le ore 17, ben nascosti dietro dei cumuli di pietre, il
gruppo di cui facevano parte i nostri due, attaccò una colonna motorizzata
tedesca. Lo scontro a fuoco durò circa 15 minuti e, nel tentativo da parte del
gruppo di 20 partigiani di ritirarsi, Gino Marini fu colpito da un proiettile
alla gola che lo uccise sul colpo. Mentre continuava la ritirata, tre compagni
rimasero sul posto per dare una sommaria sepoltura all’osimano, a cui, da un
paio di mesi, era stata attribuita la qualifica di sergente. Tre ore più tardi,
con la certezza che i tedeschi avessero fatto ritorno a Pola dopo aver
effettuato un rastrellamento nella zona, la pattuglia partigiana tornò a
raccogliere la salma del loro unico compagno morto in quell’azione per
seppellirla nel cimitero di una piccola cittadina tra Vignano e Kanfanar.
(continua in data 6 ottobre 2019)
Presidente della Sezione ANPI di Osimo (Ancona)
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