AVVENIMENTI
1.
GLI AVVENIMENTI
a.
Le operazioni di guerra
(1)
Terrestri. L’inizio della “grande offensiva” fu deciso
per l'alba del 24 ottobre con l'attacco della 4ª Armata nella regione del
Grappa, da effettuarsi col concorso della 12ª Armata a sinistra e con
l'appoggio dell' azione d'artiglieria della 6ª Armata (altopiano d'Asiago).
Il fuoco d'artiglieria iniziò, tra Brenta e Piave,
alle ore 03.00 del 24 ottobre e alle 7.15 le fanterie mossero all'attacco.
Malgrado l’impegno profuso, la 4ª Armata del Grappa iniziò la sua offensiva
ottenendo inizialmente scarsi risultati, vista la accanita resistenza
incontrata; tuttavia conseguì il risultato di distogliere dal settore di
sfondamento le tre Divisioni di riserva austriache del Gruppo Belluno. Il
Piave, che dal giorno 22 ottobre era in piena, stava decrescendo tanto che,
nelle prime ore del 24, truppe della 12ª Armata, britanniche ed italiane,
avevano potuto, secondo gli ordini, occupare nella regione delle Grave di
Papadopoli alcune isole. Ma a causa di avverse condizioni atmosferiche
nuovamente sopravvenute fu deciso che il forzamento del Piave, stabilito
inizialmente per la notte del 25, doveva essere differito. All’imbrunire del 26
ottobre il Generale Diaz diede l’assenso all’inizio dell’offensiva sul Piave.
La corrente era ancora molto forte, anche se
il rumore provocato dal turbinare delle acque, favorì la sorpresa.
I pontieri iniziarono subito i lavori per posizionare
i ponti (Allegato D, pag. VII), e, nella notte del 27 ottobre, riuscirono a
costruire, sotto una pioggia battente, e tra molte difficoltà, un ponte di
barche ad est di Pederobba e due davanti al Montello. Più in basso, inglesi ed
italiani, passano il Piave alle Grave di Papadopoli su un ponte di barche a
Salettuol, riuscendo, così, a realizzare tre piccole “teste di ponte” e a
resistere ai contrattacchi austriaci.
All’alba del 28 (Allegato D, pag. VII), il fiume portò via i ponti che erano stati
colpiti dall’artiglieria austriaca, lasciando isolate le teste di ponte. Pur
con il Piave in piena, venne posizionato un nuovo ponte di barche a Palazzon
dove, alle ore 12 del 28, il Generale Caviglia fece passare il XVIII Corpo
d’Armata che puntò con decisione verso nord, fiancheggiato ad est dal XIV e XI
Corpo della 10ª Armata, le cui avanguardie in serata arrivarono in vista del
fiume Monticano. Il giorno 29, l’azione congiunta dei Corpi XVIII e VIII
dell’8ª Armata di Caviglia spezzarono in due lo schieramento austroungarico,
secondo i disegni dell’Alto Comando italiano: quello meridionale venne
immobilizzato dalla l0ª Armata e quello settentrionale, ancora aggrappato alle
colline di Conegliano, minacciato di avvolgimento dall' 8° Corpo d'Armata. Il
XVII Corpo giunse al Monticano ed alle ore 23 dello stesso giorno entrò in
Conegliano.
La brillante operazione fu completata dall’XVIII Corpo
che, passato il Piave il mattino del 29 e legatosi con parte del XXII Corpo,
transitato nei giorni 27 e 28, si lanciò a sua volta all'attacco sulla
direttrice Susegana - Vittorio. Superata la linea nemica di Marcatelli,
s'impadronì di Susegana e spinse una colonna ad occupare Vittorio.
Nel frattempo,
sulla fronte della 4ª Armata, il nemico era passato alla controffensiva
mediante otto attacchi, tutti respinti. Così la 4ª Armata, pur non potendo
raggiungere sul terreno 1'obiettivo finale di interrompere materialmente le
comunicazioni fra le truppe nemiche della zona alpina e quelle del piano,
riuscì comunque nel compito di logorare le riserve che l'avversario teneva
nella conca di Feltre, impedendo loro di poter essere lanciate nella pianura ad
arginare la breccia ormai aperta dalle truppe dell' 8ª, 10ª e 12ª Armata. Le
operazioni militari nel settore dello sfondamento trovarono tenace resistenza
soltanto nei giorni 27, 28, 29, ma il giorno 30 ottobre avviene il crollo
dell’Esercito austroungarico, che si ritirò sempre più rapidamente. Alle ore
15.00 del 30 ottobre gli italiani entrarono in Vittorio. Nella notte dal 30 al
31 ottobre il grosso delle forze nemiche ricevettero improvvisamente l'ordine
di ritirarsi sulla fronte tra Fonzaso e Feltre.
La manovra di ripiegamento si compì col favore delle
tenebre e sotto la protezione di retroguardie ancora forti per numero. Il
Comando della 4ª Armata, tenuto informato di quanto accadeva negli altri
settori, ebbe la sensazione di questo movimento e ordinò alle sue truppe di
riprendere l'avanzata. Con un notevole sforzo, la 4ª Armata travolse le retroguardie nemiche
superando le posizioni lungamente contese e slanciandosi in avanti sulla conca
di Feltre.
Alla sera del 31 ottobre, mentre gli Italiani entrano
in Feltre, il grande Esercito Imperiale è in completa rotta tanto che l’Alto
Comando Italiano diramò una direttiva per l’inseguimento del nemico. Il giorno
3, quasi alla stessa ora in cui pattuglie di Cavalleria italiana entravano a
Trento e a Udine, i bersaglieri sbarcavano a Trieste ed il tricolore italiano veniva
issato sulla torre di San Giusto. Una commissione austriaca per l’armistizio
venne accolta il 3 novembre e l’atto ufficiale fu firmato ad Abano dal Generale
Badoglio e dal Generale Weber alle 18:40 dello stesso giorno, con validità a
decorrere dalle ore 15 del giorno successivo (Allegato B, pag. II).
(2)
Aeree. Alla battaglia di Vittorio Veneto l’aviazione
fornì un contributo di elevato valore materiale e morale, partecipando alla
battaglia finale con 600 velivoli e 7 dirigibili. Lo scontro in cielo non fu
meno cruento delle azioni terrestri. Le ripercussioni in campo avverso furono
tali che nei giorni successivi gli aeroplani nemici scomparvero quasi
totalmente dal cielo della battaglia. Bisogna anche parlare dell’aviazione
della Marina che, all’entrata in guerra, disponeva di 14 idrovolanti ai quali
vennero affidati compiti esplorativi ed offensivi svolti con particolare
perizia in concorso con le squadriglie terrestri. Le operazioni di
bombardamento vennero effettuate su obiettivi militari delle retrovie dell’Isonzo,
del Piave e dell’Albania, di Trieste, Pola, Parendo, Fiume, Cattaro, Durazzo e
su unità da guerra e navi ausiliarie nemiche naviganti fra i canali dalmati e
nell’arcipelago di Curzolane.
(3)
Navali. Dal marzo 1916 al maggio 1917 le operazioni
marittime austriache si focalizzarono sulla guerra sottomarina fuori
dall'Adriatico dove ottennero considerevoli successi. L'Adriatico divenne la
grande "base operativa" e le forze di superficie austro-ungariche,
quasi esclusivamente leggere, furono chiamate a sostenere lo sforzo, operando,
spesso con successo, come nella battaglia del Canale d'Otranto del 15 maggio
1917, contro il grande sbarramento antisommergibile lì posto in essere dagli
Alleati. Nel periodo compreso fra la battaglia del Canale d'Otranto e la fine
della guerra, l'arma subacquea restò lo strumento principale e decisivo della
guerra marittima degli Imperi centrali, con le forze di superficie in funzione
di supporto. Entrambe però fallirono. In particolare, il 10 giugno 1918
naufragò a Premuda, con l'affondamento della moderna corazzata Szent István ad
opera di una sezione di Mas italiani, il tentativo di vibrare un forte colpo
allo sbarramento di Otranto con un'azione in forze. Il 1918 fu anche l'anno
della crisi e del collasso dell'Impero. Unica azione degna di nota nel periodo
della battaglia di Vittorio Veneto fu l’affondamento della “Viribus unitis”.
(4)
Azione e guerra psicologica. Il 9 agosto del 1918
Gabriele D’Annunzio, al comando di una squadriglia italiana composta da 5 aerei
di ricerca, sorvolò in circolo Vienna lasciando cadere migliaia di volantini
tricolori che esortavano i cittadini ad arrendersi.
b.
Considerazioni riepilogative
(1)
Sull’impostazione, lo sviluppo ed i risultati delle
operazioni di guerra.
Nell’estate del 1918 la situazione dello scacchiere
occidentale sta cambiando, occorre agire vigorosamente in Italia, ma in che
modo? Il piano d’attacco italiano messo a punto dal Colonnello Cavallero,
all’epoca Capo Ufficio Operazioni del Comando Supremo e concordato con il
Generale Caviglia, Comandante dell’8ª Armata, prevedeva un ampliamento del
fronte da Pederobba alle Grave di Papadopoli. In particolare, secondo Caviglia,
era più conveniente tentare il passaggio del Piave su più punti per diminuire i
rischi e, una volta giunte un numero sufficiente di Divisioni di manovra nel
triangolo Sernaglia - Vittorio - Tezze, approfittare dello sfondamento per dare
uno sbocco strategico sia a nord che a sud-est per tagliare fuori l’Isonzo
Armee. Necessaria ed indispensabile per l’attuazione di questo sforzo
principale èerala conduzione di un’importante azione diversiva sul Grappa da
parte della 4ª Armata.
Per lo sviluppo dell’intera operazione era
fondamentale rinforzare l’8ª Armata con 2 Divisioni di Arditi e incrementare
numericamente le due ali dell’Armata.
Alla destra, la 10ª Armata, formata da 2 Divisioni
inglesi e 2 italiane, al comando del generale Lord Cavan, con il 232°
Reggimento di fanteria americano. Alla sinistra, la 12ª Armata affidata al
Generale francese Graziani.
L’inizio delle operazioni, previsto per il 10 ottobre,
era stato rimandato per la mole e la complessità della preparazione, unitamente
all’incognita rappresentata dal Piave, caratterizzato da piene che non
consentivano di posizionare i ponti. I punti scelti per il passaggio erano
Pederobba, Fontana del Buoro, Nervesa, Grave di Papadopoli. Si lavorava di
notte ed in silenzio mentre i nostri aerei avevano il compito di impedire
all’aviazione nemica di svolgere missioni di spionaggio. Il Generale Caviglia
capiva molto bene che per non ripetere un’altra Caporetto era fondamentale far
passare le truppe necessarie per rompere la cresta difensiva e mantenere la
porta aperta alla manovra.
L’artiglieria era predisposta sul terreno in maniera
che il tiro, oltre a neutralizzare quelle avversarie, poteva accompagnare le
varie fasi dell’attacco. L’operazione scattò il 24 ottobre e fino al 28
successivo segnò una crisi iniziale determinata da un‘insufficiente
preparazione d’artiglieria e dalla degenerazione della lotta in una battaglia
di tipo carsico.
Le alte
precipitazioni piovose iniziali, tenevano bloccata l’8ª Armata e le unità che
erano riuscite a passare il Piave su i due ponti di Fontana del Buoro e Nervesa
si trovano a corto di viveri, munizioni, coperte. Occorreva prendere una decisione
che fosse in grado di superare questo punto di criticità ed il Generale
Caviglia si assunse questa responsabilità. Egli ordinò al XVIII Corpo in
riserva di passare il Piave alle Grave di Papadopoli, mettendolo a disposizione
di Lord Cavan, che aveva già due Corpi sull’altra sponda. Le truppe devono
risalire la sponda sinistra del fiume verso Susegana per aprire la via all’VIII
Corpo per poi puntare entrambi su Conegliano e Vittorio. La notte del 28
ottobre vengono nuovamente gittati i ponti sul Piave, al fine di consentire
alle truppe sulla sponda sinistra di attaccare violentemente il nemico. Era
importante avanzare sempre, senza formare teste di ponte, evitare attacchi
frontali degli abitati ed accerchiarli.
Il 29 ottobre fu la giornata decisiva. Il Generale
Giardino aveva compiuto la sua missione sul Grappa ed il grosso della fanteria
aveva superato il Piave. Intervenne, quindi, la Cavalleria, i ciclisti e le
autoblindo che si lanciarono nell’inseguimento del nemico che, dal 30 ottobre,
aveva iniziato a ripiegare.
La guerra così vinta rappresentò un poderoso sforzo
economico che fece salire di oltre 5 volte l’indice dei prezzi, portò il debito
pubblico fino a 98.072 milioni, alla perdita del 58.93% della Marina mercantile
e di 128 aerei. La guerra che fu sostanzialmente terrestre causò 600.000 morti
ed oltre 1 milioni di feriti.
(2)
Sui riflessi esercitati su di esse dagli avvenimenti
politici ed economici verificatisi durante lo svolgimento.
L'intervento degli Stati Uniti fu foriero di nuove e
indispensabili forniture di viveri e materiale bellico. La grave crisi militare
servì a far unire tutte le forze politiche in un fronte nazionale che diede
allo Stato una nuova impostazione centrista. Persino i socialisti diedero il
loro appoggio, anche se contrari alla guerra per principio. L'accentramento del
potere nelle mani del Governo diede slancio alla produzione nazionale
coordinata finalmente verso un solo scopo: la vittoria. Fu possibile, infatti,
reintegrare tutto il materiale perso durante la ritirata.
Un dato certo è che gli italiani, soldati e civili, si
unirono veramente per cercare la vittoria. Il suo costo fu però enorme:
5.600.000 soldati dovettero essere riportati ad una vita civile che non era in
grado di riassorbili nella piena occupazione. Il loro posto in fabbrica era
stato preso da lavoratrici che costavano mediamente il 30% in meno e
l'industria bellica aveva avuto uno sviluppo che non poteva essere sostenuto in
tempo di pace, tanto che i licenziamenti non si fecero attendere.
Le promesse espansioni territoriali furono ridotte e
si limitarono a zone già densamente popolate che non potevano in alcun modo
ricevere altra popolazione immigrante. I contadini non ricevettero le terre
promesse ed in diversi casi si trovarono senza l'occupazione avuta prima della
guerra. Le donne, che avevano provato per la prima volta in Italia
l'indipendenza economica, non fecero valere il peso contrattuale che avevano
assunto, vedendosi progressivamente respingere verso una zona marginale del
mondo del lavoro. I socialisti, che tanto avevano influito sulla sorte della
guerra, erano stati duramente colpiti e indeboliti sia nell'ala moderata, sia
in quella massimalista. L'aver combattuto al fianco delle potenze occidentali
non ci aveva portato al loro livello di progresso sociale e gli effetti si
sarebbero notati col nascere dei primi partiti totalitari. L'Italia divenne
terreno fertile per loro in quanto terra di povertà e repressione sindacale con
40 milioni d'abitanti ed il 18% di disoccupati.
2.
CONSIDERAZIONI FINALI – AMMAESTRAMENTI
a.
Considerazioni finali riferite all’epoca del
conflitto
Partiamo dall’aspetto umano.
Importante fu la considerazione del fante non più come semplice automa da
combattimento, ma come risorsa da salvaguardare che fece aumentare il morale
della truppa.
Si determinò un passaggio netto alla guerra in movimento sostenuto
dall’addestramento e l’applicazione precisa dei principi fondamentali della
sorpresa e della rapidità d’azione. L’azione di disturbo sul Grappa, pagata a
caro prezzo dalla 4ª Armata, consentì di soddisfare il concetto fondamentale
dell’azione ideata dal Comando Supremo di separare, con deciso sfondamento, la
massa austriaca del Trentino da quella del Piave. Con la vittoria, l'Italia
raggiunse quelli che erano ritenuti, a torto o a ragione, i suoi confini
naturali, terminando la fase di unificazione iniziata nel lontano 1859.
Nel 1918, lo sfondamento delle linee
austro-ungariche fu determinato dalla “stanchezza del soldato”, dall’abilità,
ma anche dal crescente numero di armi meccaniche a disposizione degli eserciti
alleati. Con la diffusione dei
veicoli ruotati a motore, la guerra assunse una sua maggiore dinamicità.
Il Regio Esercito, che era entrato in guerra con circa 5.000 autocarri, al 30
settembre del 1918 ne contava più di 36.000. L’artiglieria svolse un ruolo
determinante, non solo per la superiorità espressa in termini numerici, ma
anche per l’eliminazione delle batterie nemiche e per il fuoco d’appoggio alla
fanteria.
Il Generale Caviglia, che assolutamente vietò
di creare capisaldi fortificati, esaltò l’Arma di Cavalleria nella decisiva
fase conclusiva dell’inseguimento, tesa alla riconquista di Trento e Trieste.
Durante il conflitto, si è andato affermando l'uso dell'aereo secondo le
più moderne accezioni: intercettazione, attacco al suolo, ricognizione e
bombardamento. I primi bombardamenti strategici ebbero più un effetto
psicologico che materiale, ma certamente contribuirono ad aprire un nuovo
scenario della guerra contemporanea. Molto più efficace fu il loro utilizzo nella
ricognizione effettuata con le macchine fotografiche in pellicola che permisero
di mappare facilmente il fronte ed avere, così, utili informazioni sulla
posizione del nemico. Molto diffuso era pure l'impiego dell'aereo da caccia,
sia nell'attacco diretto a terra, con il mitragliamento della fanteria nemica,
sia in funzione di intercettazione. L'aereo ebbe il compito di evitare lo
spionaggio aereo nemico e di appoggio alla fanteria.
Concludendo, si può affermare che la vittoria finale è stata ottenuta non
solo dalla strategia militare ma anche e soprattutto dal sistema Paese che ha
saputo cancellare velocemente la disfatta di Caporetto e si è adoperato in
un’intensa opera industriale nel settore bellico.
b.
Ammaestramenti di valore attuale
Il primo ammaestramento deriva dalla centralità dell’elemento umano, che
nel corso della guerra si è andato via
via valorizzato, che ha contribuito in maniera sostanziale al successo finale.
Questo concetto è ancora valido nell’odierno scenario, contraddistinto da un
maggiore ricorso alla tecnologia messa a disposizione del combattente moderno.
La battaglia fu condotta sulla base di una difesa dinamica di posizioni,
basata su una fronte caratterizzata da un moltiplicarsi e rafforzarsi delle
difese, in grado di fronteggiare ogni prevedibile attacco e,
contemporaneamente, di condurre una gigantesca offensiva al momento giusto e
nel punto più debole del nemico, ossia nel settore contermine tra Alpi e
pianura.
Da non sottovalutare l’aspetto di imporre la coscienza della nostra
superiorità. Essa fu condotta mediante
colpi di mano, svolti senza tregua su tutta la fronte per deprimere lo spirito
delle truppe avversarie. Oggi questa attività la possiamo definire con il
termine “operazioni psicologiche”, soprattutto nella conduzione delle Peace Support Operations.
Infine, il concorso di forze e di artiglierie alleate permise di
spingere l’azione in profondità e di non rimanere ad azione compiuta con forze
logore su posizioni non preparate ed esposte ad un potente ritorno offensivo.
Un ulteriore ammaestramento è dato dalla superiorità aerea che in questo
conflitto mosse i primi passi, determinando un importante passo verso la
vittoria finale. Oggi giorno, sulla base delle esperienze operative maturate,
si è compreso come sia indispensabile anticipare le operazioni terrestri con
una buona campagna aerea.
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