FONTI,TESTI E DOCUMENTI
ASSALTO
ALLA CIMA
Gino
Frontali Sottotenente medico
Monte
Seikofel, monte Covolo (Monte Croce di Comelico BOLZANO)
Sul
fronte alpino, dopo la fine della Seconda battaglia dell'Isonzo, proseguono gli
scontri. Il sottotenente medico Gino Frontali, in forza al 70° fanteria,
assiste all'offensiva per la conquista di monte Seikofel, o monte Covolo, in
Cadore.
Alle
nostre spalle verso destra sull'orlo del bosco rado d'abeti nani che maschera
le nostre riserve compare una catena di uomini che avanza carponi a sbalzi e si
ferma a terra. Ne vedo una trentina, il resto è nascosto da una piega del
terreno. Il movimento d'insieme ha qualcosa di sicuro e di fatale che mi dà una
curiosa commozione. Il mio riparo viene oltrepassato dagli assalitori. Sono le
14. Misuro con gli occhi la distanza che separa ancora dalla cima quei piccoli
segni grigi, che sembrano tanti "4" coricati: saranno forse 200
metri. Le nostre raffiche d'artiglieria si diradano. Fra l'una e l'altra
s'intercala qualche ta-pum, qualche breve serie di colpi di mitragliatrice.
Ahi, sono ancora deste quelle macchine maledette! Improvvisamente si fa un
grande silenzio, nel quale sento battere soltanto le mie tempie. Che fanno
ancora a terra i nostri fanti? Temo che perdano un tempo prezioso. Forse è
appena un attimo, che già qualcuno scatta, s'ode appena il segnale d'un
fischietto. Poi la linea si deforma, assume un andamento sinuoso, avanzato al
centro come il cuneo degli uccelli migratori: quivi è probabilmente un ufficiale.
Gridano e corrono, qualcuno sembra inciampare. Quanto spazio li separa ancora
dalla meta! Non arriveranno mai! Il nemico li vuole risparmiare?
Ahimè,
no, un gruppo compatto di corridori curvi sembra impennarsi e sfasciarsi come
un mazzo di fiori che si slega. Nello stesso tempo un nugolo di miagolii
s'infigge nella roccia del mio riparo, una sfuriata di frustate schioccanti la
sfalda a scheggia a scheggia. E il ton-to-ton lontano e brontolone delle
mitragliatrici del Hochgranten acquista un tono sarcastico. Il gridio giulivo
si mescola ad urli selvaggi: "Savoia" o "aiuto" o
"muoio". Intatti, sani e preoccupati vedo passare rasenti al mio
riparo i fanti d'una seconda ondata. Partono di corsa. Ahi, l'urlio aumenta. Il
lavoro delle mitragliatrici non dà tregua.
Si
rovesciano verso il mio riparo – dove ho preparato su l'erba il piccolo
armamentario dei miei mezzi di medicazione – ondate d'uomini urlanti, laceri
nelle vesti e nelle carni, tinti di rosso come vendemmiatori, agitati come
ubriachi. Cadono sfiniti o s'appoggiano alla roccia.
S'aggruppano
come greggi in attesa. Alcuni reclamano soccorso immediato, piangono per
impietosire – altri impallidiscono, impallidiscono in silenzio, in mezzo a una
pozza di sangue che s'allarga – altri agitano arti ciondolanti, ossa denudate,
che danno l'impressione del bianco delle lastre fotografiche scoperte alla luce
per errore.
Un
toscano fa una cantilena dondolando la testa e reggendo con due mani la sua
coscia fratturata – canta il suo dolore in poesia come certi mendicanti davanti
alle chiese.
Un
marchigiano, di Macerata, con una tranquillità da Muzio Scevola m'offre il
moncone strinato del suo avambraccio destro, dal quale una bomba ha mozzato la
mano.
Il
colonnello Guadagni (Pilade Guadagni, comandante el 70° dal 24 maggio al 24
agosto 1915, Ndr) è venuto a dare un'occhiata ai feriti, a un tratto scorge
gruppi d'uomini sani che arrivano a frotte con le facce sbigottite con gli
occhi sfuggenti.
"Ragazzi",
egli dice con voce chiara, "torniamo all'assalto" ha la rivoltella in
pugno e le parole miti sono accompagnate da un gesto che non lascia
alternative.
Mentre
passo da un ferito all'altro con un fremito di stanchezza nelle gambe, coi
calzoni inzuppati di sangue ai ginocchi, con le mani invischiate che sanno di
carne cruda, mi pare impossibile arrivare a soccorrere tutti: non basteranno le
fasce, le stecche, i lacci emostatici che ho con me. E nei brevi momenti di
scoramento levo la fronte al carnaio, a guardare con un rapimento improvviso le
immense solitudini nevose della Croda Rossa, di Cima 13, nitide nel freddo
sereno come paesaggi d'un altro pianeta.
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