APPROFONDIMENTI
La realtà della trincea fa cadere ogni interpretazione. Il dubbio di aver sbagliato.
(Medaglia d'Oro. Filippo Corridoni 1915)
L'illusione
della "guerra rivoluzionaria" fece però sentire ben presto le sue
drammatiche conseguenze e Corridoni, anche se in apparenza non palesò alcun
segno di grave turbamento, nel suo intimo molto soffrì, come vedremo, quella
profonda contraddizione, che egli in definitiva così ardentemente aveva
contribuito a creare e ad alimentare. Alcune memorabili lettere che egli
scrisse dalla trincea carsica sono in tal senso una prova inconfutabile[1].
Raggiunto
il settore di guerra, nella zona del Carso, Corridoni e i suoi volontari
vennero assegnati ad operazioni di retrovia. Questo fatto provocò una sua
immediata reazione e con Dino Roberto disertò il proprio reggimento e raggiunse
la linea del fuoco[2].
Non si trattò di un gesto scriteriato o spettacolare: egli volle protestare
contro un trattamento che non poteva condividere come volontario, il quale,
secondo lui, aveva accettato la guerra con motivazioni che gli imponevano di
farla veramente e con più decisione di ogni altro.
Sulla
sua vita in trincea e sui fatti salienti di essa rimandiamo a quanto ha
ricostruito diffusamente il Masotti[3].
Qui preme far rilevare alcuni aspetti poco noti come i difficili rapporti tra i
volontari e le truppe regolari, e l'atteggiamento del potere militare e civile
sui sovversivi al fronte.
Con
la circolare n. 2025 del 10 giugno 1915 il Ministro della Guerra comunicava a
tutti i comandanti militari di seguire attentamente e all'occorrenza di
stroncare ogni forma di propaganda sovversiva al fronte, soprattutto quella
fatta dai "fascisti", che si adopravano "a diffondere largamente
tra i soldati la propaganda rivoluzionaria sia pur raccomandando loro di
combattere intanto contro gli imperi centrali"[4].
Mussolini
dalle colonne de Il Popolo d'Italia, l'11 aprile aveva scritto Gli
interventisti disseminati dell'esercito, saranno di sprone agli altri e saranno
i migliori soldati perché sapranno la "ragione" della guerra. Data la
compagine prevalentemente "rurale" dell'esercito italiano, questa
infusione di elementi "idealisti", avrà, senza dubbio, benefiche
ripercussioni sull'esito della guerra.
I
volontari al fronte svolsero opera di propaganda e il più delle volte furono
d'esempio encomiabile, ma i loro rapporti con i soldati regolari registrarono
momenti assai delicati e non furono mai del tutto cordiali[5].
Corridoni e i suoi amici più volte conobbero l'elogio degli stessi ufficiali.
Egli metteva nell'attività di soldato tutto l'impegno che lo aveva distinto
nella vita di ogni giorno e operò in maniera veramente esemplare. Ebbe a volte
da ridire sulla combattività dei suoi volntari e diceva spesso loro:
"Ricordatevi che, più avanti si va, meno pericoli si corre"[6].
Non
bisogna però pensare ad un Corridoni spavaldo o legato ad un concetto
utopistico dell'eroe; egli non pretendeva dai suoi seguaci assurdi "atti
eroici", come può illuminare questo episodio. Ha scritto Attilio Peroni,
portando come fonte il volontario Secondo Laghi di Forlì, assai vicino a
Corridoni, che il segretario dell'USM
un
giorno fu comandato insieme ad altri due volontari di uscire dalla trincea e
portarsi a ridosso di un muricciolo, alto circa 30 cm., che distava un
centocinquanta metri dalla trincea medesima e a non più di venti dalle linee
nemiche. Corridoni ritenne il comando una assurdità e rispose al comandante che
egli come volontario e soldato aveva il dovere di andare avanti agli altri, non
quello di suicidarsi. Obbedì; ma, prima di uscire dalla trincea, chiamò come
testimoni tutti i presenti che se fosse morto in quell'assurda azione, non si
fosse, poi, detto e scritto che Corridoni era morto da eroe, ma che era stato
ucciso dai suoi stessi ufficiali[7].
Nella
vita di Corridoni, appena ventottenne, cominciava così a penetrare l'ombra
gelida della morte. Il coraggioso sindacalista pare ne sentisse le prime
avvisaglie con la crescita drammatica, nella sua coscienza, della
consapevolezza di una guerra che non era la guerra da lui voluta e sperata;
egli non temette mai i pericoli delle pallottole austriache e mostrò di saper
far fronte ad esse, ma cominciò a dubitare, interiormente, sulla validità della
causa della "guerra rivoluzionaria". Furono i morti, il sangue,
l'ottusità degli alti comandi, la mancanza di "ardore" e di
"fede" delle truppe italiane, il contatto vivo delle sue idee con la
realtà della guerra e uno smantellamento drammatico e irrefrenabile delle
stesse a provocare in lui una tremenda crisi spirituale?
Non
è facile giungere ad una risposta e forse ci è sufficiente l'avere compreso che
egli dovette affrontare, per la prima volta nella sua vita, il drammatico
confronto del suo passato coll'avvenire e trovare in esso un senso di fiducia.
Corridoni sembrò perdere veramente ogni convinzione nelle idee, che un tempo
aveva definito immortali; il dubbio che egli aveva sempre saputo respingere
sembrò paralizzarlo.
Confessò
a Maria Rygier
La
tensione nervosa che per 21 giorni, dietro l'imperativo categorico della mia
volontà, aveva sorretto le mie forze fisiche, appena scesi dalle colline di
fuoco, venne meno e diede luogo ad una specie di nirvana morale. Tutto ciò che
sapesse di lavoro fisico ed intellettuale mi infastidiva ed io sono stato bene
solo, lontano da tutti, steso in un prato per delle giornate, con corpo,
spirito ed intelletto disoccupati...sentivo che solo così potevo reintegrare le
mie forze ed immagazzinare nuove energie per le imminenti durissime prove.
Perchè, amica, se per un uomo di comune media o mediocre sensibilità la guerra
è così atroce, per chi ha l'altro sentire ed ha un cuore educato a
compassionare ogni umana sventura, la guerra è la cosa più orrenda che
pervertimento di malefico genio possa immaginare. Ebbene io debbo viverla la
guerra, io, per la mia predicazione dello scorso maggio, ho doveri superiori ad
ogni altro e la missione vuole ch'io impietri il mio cuore, che vigili i miei
sentimenti, domini ogni mia debolezza, comprima ogni repulsione, per essere
sempre pronto a dire agli altri la parola che rinfranchi, la invettiva che
inciti, la calda esortazione che mantenga tutti sulla via aspra e difficile del
doloroso ma santo dovere. Oh, le pene, i disagi, i pericoli ognor rinnovati e
rinnovatisi, ti giuro...non han presa sul mio spirito temprato alle lotte
difficili, e l'ala gelida del dubbio e pentimento non attenuerà mai il calore
delle mie convinzioni, che sono abbarbicate nei recessi più profondi del mio
cervello e del mio cuore, ma la realtà così orribile e terribile, ha affinato
siffattamente la mia sensibilità da farmi sentire ogni gioia ed ogni dolore
centuplicati nella loro essenza. È come se fossi scorticato e se ogni contatto
avvenisse sulla carne viva invece che sulla insensibile cute[8].
Da
questo momento parve che l'esistenza di Corridoni sia stata una continua, quasi
incosciente, ma sentita, ricerca drammatica della morte nel tentativo, forse,
di risollevare col proprio sangue una causa che la tragicità degli eventi
sembrò in lui definitivamente travolgere. "Ci facciamo tanto onore – egli
scrisse in quei giorni – ma la morte fa troppe breccie in mezzo a noi[9].
Testimoniò il suo fraterno amico Amilcare De Ambris
Egli
aveva la visione netta della sorte che il destino gli aveva riservato. Ma il
suo spirito eroico lo portava a correre là dove il rischio era maggiore, dove
la morte faceva brecce più spaventose.
Altri
hanno raccontato come egli abbia voluto partecipare al combattimento nel quale
trovò la sua morte, benché fosse ammalato, benché il medico lo avesse
formalmente diffidato a restare a riposo.
Non
volle osservare gli ordini del medico, non volle ascoltare i consigli degli
amici. Presagì la sua fine ma volle salire il suo calvario[10].
Al
fratello Baldino, che pure qualche giorno prima aveva esortato ad "essere
coraggioso", scrisse queste parole allorché venne a conoscenza del suo
ferimento nel primo scontro con gli austriaci nelle file del 12° reggimento di
fanteria.
Che
tu sia benedetto, fratello mio, per il tuo bello entusiasmo e per l'ardente
spirito di sacrificio che ti spinge ad offrirti per le imprese più difficili ed
arrischiate! Tutto ha un limite nelle cose e non v'è dovere che non abbia un
provvidenziale contrappeso in un dovere opposto. Ora se tu hai il dovere di
sacrificarti per la Patria, di dare ad essa giovinezza, sangue, vita, hai anche
il dovere di risparmiarti per non far cessare di vivere con te i nostri poveri
ricchi, già accasciati dalle non liete condizioni del nostro eroico fratello
Peppino.
Non
guardare a me, amato. Il mio caso è differente. Io volli la guerra – fui uno di
quelli che la imposero alla nazione riluttante perché inconscia – e questo mio
passato, di cui me ne vanto tanto, mi grava di un fardello di doveri ai quali
né posso, né voglio sottrarmi.
Tu
no – Tu offrendoti volontariamente come soldato hai dato già più di quello che
si poteva chiedere – onde moderati – o almeno – sii valoroso, ma con giudizio.
Non
vi è alcun dubbio, e tutte le fonti lo confermano, che Corridoni abbia
combattuto con grande coraggio, da vero eroe. I suoi compagni della 3°
compagnia del 32° fanteria, detta la "compagnia della morte", formata
in gran parte di volontari rivoluzionari, tentarono in ogni modo di proteggerlo
per le future battaglie, ma invano.
Noi
volontari eravamo un pò tutti gelosi di lui: intuivamo che altre battaglie ci
avrebbero attesi nel dopoguerra e desideravamo ancora avere in lui il nostro
condottiero. Ma Pippo mi rispose sdegnosamente che il suo posto era in linea
con noi, anzi un passo davanti a noi che pure dovevamo essere i primi[12].
E
in quei drammatici giorni non mancò il ricordo alla sua "Milano ed alla
indimenticabile Unione".
Caro
Decio.
Nell'attimo
in cui parto per le prove supreme, a te, per l'Unione Sindacale Milanese, il
mio pensiero più affettuoso ed appassionato. Filippo[13].
Come
giustamente ha scritto il suo amico Masotti
Egli
andava a morire per la libertà della Patria con l'ultimo pensiero volto alla
grande famiglia dei "suoi" operai per i quali aveva tanto sofferto e
dall'amore dei quali aveva tratto le sole grandi e vere sodisfazioni della sua
vita[14].
Il
giorno prima di cadere Corridoni scrisse ad Alceste De Ambris: "La gran
giornata è giunta. A te, maestro e fratello, l'estremo vale". E in un
ultimo, drammatico tentativo di vivificare i suoi ideali, scriveva ad Amilcare
Cipriani
A
te, mio caro tra i più cari amici miei, io invio il mio saluto, da queste terre
strappate agli austriaci ed ove io mi batto da tre mesi per l'Italia, per la
Francia, per il Belgio, per l'Ideale[15].
Secondo
testimoni oculari e secondo il comando delle truppe italiane, Corridoni, il 23
ottobre, verso le 5 di sera, cadde eroicamente sulla conquistata trincea
carsica, che egli aveva chiamato Trincea delle Frasche, mentre era a capo della
3° Compagnia del 32° Fanteria, Brigata Siena, detta la "Compagnia della
Morte"[16].
Due
giorni dopo dall'inizio della grande offensiva – narrava Dino Roberto una
settimana dopo dal lettuccio di un ospedale di Carpi, dove era stato ricoverato gravemente ferito,
partecipando alla stessa azione nella quale Corridoni aveva lasciato la vita –
la mia compagnia a cui appartenevano Corridoni, Croce, Bitti, Baldanchini,
Rabolini, Mercanti, Pandolfini, Gamberini, ecc. - tutti volontari milanesi –
ebbe l'ordine di staccarsi dalle retrovie per raggiungere la linea del fuoco.
Erano
circa le 11 del mattino.
Filippo
Corridoni non avrebbe dovuto muoversi dalle retrovie poiché pochi giorni prima
era stato operato di un flemmone. La ferita era tuttora aperta ed il capitano
medico aveva imposto al malato di non sottoporsi a nessuna fatica. Ma Corridoni
aveva insistito, reclamato, invocato, protestato: e all'alba della sua giornata
gli comunicarono il permesso di andare a battersi.,
siccome
egli aveva, con altri pochi volontari, già partecipato ad un'altra azione col
142°, durante la marcia di avvicinamento al fuoco nemico egli incoraggiava e
consigliava – da buon "anziano" come teneva a dirsi – i
"nuovi": Lasciate fare a me, diceva, che il battesimo del fuoco l'ho
avuto: ora mi tocca la cresima.
E
rideva con quel riso che gli illumionava tutta la faccia. I soldati lo
seguivano pieni di fiducia e di entusiasmo: era la fiducia, era l'entusiasmo
che palpitavano nelle sue parole.
Lo
rivedo, lo rivedo ancora: era, anche là, come tra i suoi operai: non chiamava
nessuno, ma tutti lo seguivano attratti dalla sua sicurezza, dal suo spirito,
dalla sua energia, dalla sua fierezza. Attraversando il campo di battaglia
parlava e ragionava e discuteva e incitava: anche coloro che lo seguivano non
sentivano il fischio delle pallottole che passavano fulminee sulle loro teste.
Eravamo già in una posizione avanzata. Io ero sempre accanto a lui: il nostro
patto era di non staccarsi mai. Invece la pattuglia ci ha divisi e per sempre.
-
Bada Pippo – gli gridò uno dei volontari – bada che se continui così ti
"pigliano" in testa.
-
Sei troppo alto, curvati quando passa una palla.
E
lui ridendo: - Sei matto fijo mio, non voglio diventar gobbo per i begli occhi
degli austriaci. Devi sapere che la palla che deve colpirmi non è stata ancora
fusa. E si rideva, mentre sui preparava la baionetta e si metteva a portata di
mano le bombe e si akllungava il passo sotto il fuoco infernale.
...Eravamo
presso l'ultima trincea quando Corridoni diede gli ultimi avvertimenti ai
compagni: Ricordatevi – amici cari, che più avanti si va, meno pericolo si
corre".
In
trincea rimaniamo pochi minuti. L'ordine di iniziare l'attacco alla prima
trincea nemica ci trova pronti con gli altri soldati. Corridoni ed io balziamo
sul muricciuolo e diamo l'ordine di praticare una breccia.
Poco
dopo il gruppo dei volontari scende nella vallata e raggiunge la trincea
austriaca. Contemporaneamente la nostra artiglieria allunga il tiro.
Il
taglio dei reticolati procede svelto e sicuro. Dopo una mischia sanguinosa la
trincea austriaca rimane per buona parte nostra. In questa prima fase cadde fra
gli altri Vincenzo Rabolini, appena ventenne, fedelissimo di Pippo. Lo raccolse
morente l'altro volontario, il Mercanti, che non l'abbandonò fin che non ebbe
esalato l'ultimo respiro.
Intanto
il combattimento si svolgeva sempre più accanito. La trincea austraica nella
quale con Corridoni alla testa, avevamo posto piede, era ancora tenuta alle due
stremità dagli austriaci. Da un momento all'altro potevamo esser presi da un
duplice fuoco di infilata. Tanto a destra che a sinistra improvvisammo dei
ripari con sacchi a terra e cumuli di pietre. Ma il pericolo diventava sempre
più grave: occorreva provvedere ai lati della breccia conquistata – circa 150
metri – mentre al centro una minima parte dei volontari avrebbe potuto tener
testa agli austriaci che dalla valle sottostante stavano organizzandosi pel
contrattacco.
In
quel momento fu necessario rompere il patto: Corridoni ed io dovemmo dividerci.
Io presentivo che Pippo non avrebbe avuto più misura nell'esporsi e nel
rascinare gli altri. Io vado a sinistra. Corridoni a destra. Ma il mio pensiero
è sempre all'amico. Nell'incerta luce del crepuscolo scorgo la sua alta figura
in cima al traversone di difesa, ne vedo i gesti, ne indovino le parole calde
di fede e di entusiasmo; mi fa paura; tremo per lui che, quasi per offrirsi
facile bersaglio, agita il berreto, chiama i commilitoni colla sinistra e
addita con la destra i punti più minacciati.
Ad
un tratto quando per il buio della sera le fiammelle dei fucili sembrano più
accese mi volgo ancora in cerca dell'amico: ma su quel traversone difeso con
tutto l'impeto dal baldo manipolo, l'alta figura incicatrice non c'è più.
Corridoni era caduto.
Nella
confusione della battaglia ecco un gruppo di volontari che gli erano accanto.
Domando pieno d'ansia e di sgomento di lui. Venivano i rinforzi verso la destra
e Corridoni dall'alto del traversone li accoglieva sorridendo e gridando: -
Avanti, avanti amici: Vittoria! Vittoria! - E ripeteva il grido di vittoria fra
un colpo e l'altro, tra un incitamento ai compagni ed un'imprecazione contro i
nemici.
La
battaglia era oltremodo violenta e i nostri soldati si spingevano avanti
sparando senza tregua. Un assalto ricaciò risolutamente gli austriaci e
Corridoni intona l'inno Oberdan:
Fuoco
per Dio su barbari, sulle nemiche schiere.
Ma
subito dopo la voce si tace. Egli cade riverso; una palla lo aveva colpito in
fronte.
Roberto
che, intanto, era riuscito a sondare la resistenza della sinistra facendo 400
prigionieri, non credeva alla morte di Pippo. Ma mentre – padrone ormai della
trincea – accompagnava la colonna dei prigionieri verso il comando, incontrò il
volontario Pandolfini ferito ad un braccio. Egli strinse con la mano sana la
mano di Roberto e aggrappandosi a lui, piangendo conferma: - "Sai Roberto,
ci hanno ucciso Pippo"[17].
Invano
i suoi pochi compagni superstiti cercarono il corpo nell'infuriare del
combattimento. Forse il destino ha voluto che così fosse, che anche le sue
spoglie si confondessero nella folla anonima dei caduti, ultimo dono dell'eroe
che, alla redenzione degli umili e alla libertà della Patria, aveva dato la sua
intelligenza e la sua giovane vita.
Il
corpo di Corridoni non venne mai più ritrovato e un mistero impenetrabile è
restato sulla sua fine, lasciando spazio a molteplici e disparate
interpretazioni. Scriveva qualche anno più tardi un volontario
E'
opinione di tutti che l'eroico volontario riposi in pace lassù, sulla pietraia,
sotto una croce consunta, senza epigrafe e senza nome. Ma ciò non è possibile.
Filippo Corridoni aveva degli amici, dei compagni; di più, dei fratelli che per
lui avrebbero tutto dato e sacrificato...Orbene, voi Dino Roberto, voi avv.
Palumbo, tu Giuseppe Veronesi, Italo Cecchi e tutti voi superstiti gloriosi di
quell'attimo infernale, siete ben certi che Filippo Corridoni sia morto alle
frasche? L'avete visto cadere?...Certo però che la morte, per meglio dire la
scomparsa della salma dell'eroe dalle frasche, costituisce un impenetrabile
mistero che sarebbe bene squarciare per conoscere la verità, tutta quanta la
verità[18].
La
morte di Corridoni fu accolta ovunque con grande e significativo rispetto. Fra
i suoi amici la notizia della sua fine eroica
provocò enorme sgomento, anche se essa non giungeva inaspettata, e un
vero e proprio timore di fronte all'avvenire: Corridoni per molti di loro aveva
impersonato troppo spesso un idelae di vita e insieme un esempio infrangibile.
Alceste De Ambris scrisse: "E' morto l'amico mio più caro! Il più puro, il
più nobile, il più bravo di tutti noi!...Filippo Corridoni è stato il più forte
fra i sindacalisti rivoluzionari italiani"[19].
Pietro Nenni scrisse:
Fra
l'infuriare della battaglia, fra l'acqua e il fango, stamattina il Popolo mi ha
recato una notizia che per un momento mi ha agghiacciato il sangue nelle vene.
Pippo Corridoni è morto! Chi può, mi son chiesto, rimpiazzare il vuoto?[20].
Mussolini
disse:
Filippo
Corridoni appartiene alla schiera esigua ed elettissima degli uomini che
morendo ricominciano a vivere[21].
Il
1 novembre 1915, a nove giorni dalla morte del fratello, il giovane Baldino
scrisse questa drammatica lettera all'altro fratello Giuseppe, in congedo a
Pausula, perché ferito
Peppe
carissimo, immagino il dolore che avrai provato nell'apprendere la morte del
nostro Pippo. Era inevitabile! Combatteva con troppo slancio e con troppa fede.
Io pure, credo non farò diversa fine. Ho nelle vene il suo sangue. Il sangue di
Corridoni. Come sarei contento di poter volare per qualche giorno fra le vostre
braccia e poi magari morire perché per noi i giorni, i minuti, i secondi sono
segnati. Povera la mamma ed il babbo nostro, come saranno abbattuti. Come
vorrei abbracciarli e baciarli, dargli il bacio del figlio che sente il dolor
figliale. Fa in modo, parlando con Alfonso, con Carlo Firmani di farmi ottenere
una breve licenza. Non posso più vivere così isolato. Cerca di consolarli. Un
bacio a te e alla Mariuccia. Tuo Baldino[22].
Il
2 novembre 1915, Ubaldo (Ubaldino) Corridoni cadde fulminato sul Podgora.
A
Milano, alle ore 15 del 31 ottobre 1915, su iniziativa dell'USM, del Fascio
Interventista e del Partito Repubblicano, un corteo di molte migliaia di lavoratori
e di cittadini, da Piazza Verziere, attraverso Porta Vittoria, raggiunse il
monumento delle Cinque Giornate, ove furono deposte corone commerorative per il
caduto alla Trincea delle Frasche. La Questura non autorizzò alcun discorso. Il
corteo si sciolse in silenzio, come in silenzio si era svolta la
commemorazione. Nonostante ciò fu predisposto un imponente servizio di ordine
pubblico:
1.
Mille uomini di fanteria nella Caserma Principe Eugenio di Savoia al corso di
Porta Vittoria;
2.
Cinquecento uomini, compreso il picchetto permanente di cento, nella Caserma
Garibaldi, in piazza S. Ambrogio;
A
Pausula, otto anni dopo, i giovani sindacalisti corridoniani di Milano
conseganrono alla mamma di Corridoni la bandiera rossa bordata di nero, i
colori simbolo del proletariato e della componente anarchica dell'Unione
Sindacale Milanese. La sua bandiera, che aveva accompagnato i volontari alla
stazione e che Corridoni "baciò devotamente al momento della
partenza"[24].
La mamma di Corridoni partecipò subito la notizia al compagno Amilcare De
Ambris.
E'
una reliquia santa per noi, e ci è doppiamente cara perché anche il povero
Baldino era presente a Pavia quando Pippo l'inaugurò.
Da
sabato il prezioso e caro vessillo è nelle nostre mani. Non so descriverle
quanta commozione ha invaso il nostro animo nel vederlo. L'abbiamo baciato e
ribaciato infinite volte e le nostre labbra si sono incontrate in un bacio
pieno d'amore con le labbra del nostro Pippo.
Amilcare,
noi le custodiremo fedelmente e gelosamente. Si dovrà passare sui nostri corpi
prima di contaminare il vessillo che è simbolo della fede dei nostri cari. Egli
ci parla del nostro Pippo, dei suoi entusiasmi, del suo sacrificio[25].
Il
23 ottobre 1923, anniversario della morte, nella casa di Pausula, fu esposta la
bandiera donata dai giovani corridoniani milanesi. I fascisti della città
impedirono la mesta commemorazione e Maria Corridoni, la Mariuccia di Pippo,
inviò questo telegramma ad Amilcare De Ambris
Ieri
abbiamo esposto cimelio sacro con tricolore. Fascisti locali hanno vivamente
protestato travisando nostro atto, inviando a casa maresciallo dei carabinieri
con ordine ritirare vessillo stop Mamma impressionata malata al letto stop
Impossibile venire a Parma stop. Dice Cesarino Rossi come sia stata turbata
ricorrenza pietosa, esprima nostro dolore, nostra protesta stop[26].
Intanto
nello stesso mese di ottobre, a Parma (la città del sindacalismo
rivoluzionario, unica a reggere agli squadristi fascisti di Balbo, con l'eroica
resistenza dell'Oltretorrente, guidata da Vittorio Picelli e da Altri sindacalisti
corridoniani parmensi), venne di fatto, vietata la commemorazione di Filippo
Corridoni da parte delle autorità fasciste. Il Questore di Parma spiegò a
Vittorio Picelli che la manifestazione pubblica e privata veniva vietata,
perché "la corona di fiori recava il nastro rosso"[27].
A
Milano, il 23 ottobre dello stesso anno, in una breve cerimonia commemorativa,
i compagni dello scomparso avevano deposto, presso il Monumento delle Cinque
Giornate, la corona di fiori che recava un nastro fiammante con la dicitura
"A Filippo Corridoni, i compagni dell'Unione Sindacale Milanese e i
volontari della Guerra rivoluzionaria"[28].
Questa
notizia riportata dal giornale socialista l'Avanti!, sollecitò
l'intervento del Questore di Parma, generale Sangiorgi, che, oltre a vietare la
Commemorazione, nel manifesto pubblicato dall'Unione Sindacale di quella città,
censurò la parola "Rivoluzionario" che l'estensore del manifesto
aveva messo per ricordare che Filippo Corridoni era stato un Sindacalista Rivoluzionario[29].
Il
3 aprile 1925 il Ministro della guerra concesse alla memoria di Filippo
Corridoni la Medaglia di Benemerenza per i volontari della Guerra
italo-austriaca 1915-1918.
il
15 ottobre, su proposta del Duce del fascismo Benito Mussolini, il Re concesse
a Filippo Corridoni la medaglia d'oro al valor militare.
[1]Le ultime e bellissime lettere di Corridoni soldato sono pubblicate in
parte da Y. DE BEGNAC, op. cit., e in parte dalla Rivista della Cultura,
N. Unico in onore di F. Corridoni, 1936, Roma.
[2]Cfr. F. Corridoni, La morte di Guarini e Reguzzini, 20 agosto
1915, riportato su L'Internazionale, 25 marzo 1916; G. Landi, Il
volontario ribelle, in Omaggio a Filippo Corridoni, N. Unico, Bologna 23
ottobre 1925; Lettera di Corridoni al babbo, 1 agosto 1915, in archivio
De Ambris; Dalle memorie del suo comandante di divisione, riportate da
Y. DE BEGNAC, op. cit., p. 835; D. ROBERTO, Relazione sull'operazione del 17
agosto 1915, in Il Popolo d'Italia, 3 settembre 1915.
[3]Cfr. T. MASOTTI, op. cit., pp. 164-226; Come combatterono i nostri
(Seconda lettera inedita di Filippo Corridoni), in L'Iinternazionale,
8 aprile 1916.
[4]A.C.S., P.N.F., SERIE vii, 25, Most. Riv. Fasc., II
parte, b. 30, fasc. offerto da Malusardi.
[5]P. MONELLI, Mussolini piccolo borghese, Milano 1968, p. 82; G.
LANDI, Da un diario di guerra, in Omaggio a Filippo Corridoni, cit.
[7]A. PERONI, Filippo Corridoni, Urbino 1970, p. 160. Cfr. pure S.
LAGHI, Fiabe dal vero, Imola 1969, pp. 100-103 e T. MASOTTI, op.
cit., pp. 137-138.
[8]Lettera di Corridoni a Maria Rygier, op. cit.
[9]AMILCARE DE AMBRIS, op. cit.
[10]Ibidem.
[12]Cfr. E. MALUSARDI, F. Corridoni, Torino 1930, p. 31.
[13]Lettera di Corridoni alla Signora Ida Bacchi del 18 settembre 1915, in T. MASOTTI, Corridoni, cit., p. 133; e 140. Decio Bacchi
sostituiva Corridoni alla guida dell'USM.
[15]Lettera di Corridoni ad Amilcare Cipriani, ottobre
1915, riportata da Y. DE BEGANC, OP. CIT., p. 856.
[16]Corridoni venne decorato con medaglia d'argento, che Mussolini,
diventato capo di governo, tramutò in oro. Sulla morte di Corridoni si veda: Filippo
Corridoni è caduto per la libertà, in Il Popolo d'Italia, 29 ottobre
1915; F. Corridoni è morto da eroe, in L'Internazionale, 6
novembre 1915; La trincea delle frasche, Notizie tratte dalla Relazione
ufficiale della campagna 1915; G. BARELLA, Come è caduto Filippo, in
Il Secolo, 30 ottobre 1915; La morte di Filippo Corridoni, in Il
Secolo, 29 ottobre 1915; A. DE AMBRIS, cORRIDONI, CIT., P. 41 SGG.
che riporta la fondamentale testimonianza della morte di Corridoni di Dino
Roberto, presente a quella sfortunata azione; L. MOTZO, Gli intrepidi sardi
della brigata Sassari, Cagliari 1930, p. 41; T. FRANZI, Come morì
Filippo Corridoni, in La volontà d'Italia, Roma, 12 novembre 1927.
[17]T. MASOTTI, op. cit., pp. 140-148. Cfr. L'Internazionale, 31
ottobre 1915 e Il Popolo d'Italia del 25-30 ottobre 1915. sempre dal
libro di T. Masotti, pp. 148-153, la versione della morte di Corridoni, data da
Roberto (l'inseparabile compagno che anche in quel tragico giorno gli fu
vicino), trova conferma nella testimonianza del capitano Antonio Leccese,
medico del reggimento: "Verso la metà d'ottobre Corridoni s'ammala di un
grosso ascesso con febbre e siamo costretti a mandarlo alla sezione di sanità.
Ma dopo qualche giorno, non guarito, egli ne vuole uscire per ritornare al
battaglione, così che la sera del 20 ottobre lo faccio chiamre per dirgli che
in quelle condizioni non può seguire il battaglione e deve ritornare alla
sezione.
- Signor Tenente, lei scherza. Mi deve far
partire.
- Impossibile, fra cinque o si giorni ci potrai
raggiungere.
Egli è addoloratissimo e mi prega:
- Senta, mi faccia soltanto mettere lo zaino
sulla carretta e vedrà che marcerò benissimo.
- Niente zaino sulla carretta e arrangiati da
te – gli urlò nella speranza che accetti di andare alla sezione.
Macché! La mattina seguente, lungo il percorso
Villesse-Fogliano, Corridoni è allegro, meraviglioso col suo zaino sulle spalle
e il sorriso di bambinob buono.
Durante le brevi soste ci tiene a scherzare.
- Come ti senti, Pippo?
- Benone.
Va là metti lo zaino sulla carretta.
Non c'è verso. Sorride e marcia benissimo.
E bisogna ubbidirgli.
Ho sempre pensato che la volonta eroica, con o
senza galloni, sia il più alto grado della gerasrchia. Corridoni riveste questo
grado.
Pomeriggio del 22 ottobre a Castelnuovo del
Carso.
Davanti al posto di medicazione passa la
compagnia di Corridoni per andare in linea.
Vedo Corridoni che è lì in mezzo, con l'ascesso
zaffato e doloroso:
- Corridoni, fammi il piacere, resta qui a dare
una mano a noi. La battaglia sarà lunga, avrai tempo... non andare in quelle
condizioni.
- Ne riparleremo al mio ritorno! - risponde in
fretta e corre via sorridendo.
23 ottobre.
Alle 15 comincia l'assalto. Un quarto d'ora
dopo cominciano ad arrivare i primi feriti.
- Visto Corridoni? - si chiede.
- Sì. Meraviglioso.
Ecco un ferito (il nome mi sfugge). Signor
tenente ha saputo? È morto Corridoni. E racconta:
- Appena usciti per l'assalto,. Pippo comincia
a correre innanzi a tutti. Giunge primo sulla trincea nemica, lì in piedi
dritto grida: Compagni correte. Ecco la vittoria! Vittoria! Vittoria! È colpito
in fronte e cade.
Tutti al 32° sono commossi e addolorati della
morte di Pippo. E nei suoi comandi si può parlare benevolmente di Corridoni.
Egli non è l'individuo sospetto, accompagnato da un voluminoso incartamento
della prefettura di Milano. È un valoroso. Sarà proposto per la... medaglia
d'argento".
[18]Cfr. B. BRUTI, Dal taccuino di un volontario, in Omaggio a
Filippo Corridoni, cit., p. 11.
Il corpo di Corridoni, alla fine della guerra,
come ci riferì la di lui sorella di Maria, fu oggetto di diverse ricerche, ma
tutte senza esito alcuno, nonostante l'impiego di mezzi assai rilevanti. Cfr.
pure quanto riporta Il Sindacato Operaio, 22 aprile 1922, di Parma, a
proposito dei lavori di un apposito comitato che i indacalisti corridoniani
costituirono per la ricerca del corpo dell'eroe. Le ricerche di questo comitato
diedero esito negativo, nonostante la testimonianza estremamente interessante
di un certo Aristide Pulga di Saliceto (San Giuliano di Modena). Il soldato
Pulga, che conobbe Corridoni durante la sua attività sindacale nel modenese,
riferì che Corridoni venne sepolto a Sdramina, presso la filanda Sagrado, nel
cimitero di guerra n. 2. "Io sono rimasto profondamente addolorato –
scrisse il Pulga – quando nell'assolvere alla pietosa missione alla quale ero
adibito, di seppellire i caduti, mi portarono il cadavere di Filippo Corridoni,
avendo io partecipato alle lotte combattute da Corridoni nel modenese. Pensai
allora di mettere la sua salma in una buca separata. Lo involsi in una tela da
campo e in un telo da tenda, poi lo sotterrai vicino al caminone della filanda,
nella seconda o terza buca". Riportato da Il Sindacato operaio 22
aprile 1922.
Cfr. anche La Relazione del giornalista
MARINO MERCURI, marzo 1968, che sostiene di avere individuato la tomba di
Corridoni. Questa relazione è conservata nella Segreteria del Comune di
Corridonia.
[21]Cfr. U. D'ORIO, Filippo Corridoni, Trieste 1935, p. 5.
[22]Lettera di Ubaldo Corridoni al fratello Giuseppe del 1 novembre 1915, conservata in Archivio De Ambris.
[23]A.S.M., FONDO CIT., cart. 469, Commemorazione di Filippo
Corridoni, documento del 30 ottobre 1915, n. 6859.
[25]Ibidem.
[26]Ibidem.
[27]Ibidem.
[28]Ibidem.
[29]Il testo del manifesto censurato è riportato in Appendice.
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