AVVENIMENTI
1. I
BELLIGERANTI – LE ORIGINI DEL CONFLITTO
a. I
belligeranti
(1)
Il territorio.
Gli avvenimenti si svolsero nella zona nord-est del
Paese. Le regioni interessate dai combattimenti si identificano con il Veneto,
il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia. L’area era delimitata a
nord dalle Alpi dolomitiche, che costituivano la vera e propria frontiera
naturale, e a sud dalla pianura padano-veneta, caratterizzata dalla presenza di
fiumi, torrenti e canali, e dal mare Adriatico le cui coste si presentano basse
e sabbiose. Il territorio avversario, che coincideva con l’intero Friuli e con
parte delle altre due regioni, presentava caratteristiche analoghe. Il regime
meteorologico del teatro di operazioni prevede inverni umidi in pianura e
freddi al Nord, spesso caratterizzati da precipitazioni a carattere piovoso e
nevoso, ed estati calde con elevati tassi di umidità.
(2)
La società umana.
La Grande Guerra fu
combattuta, da entrambe le parti belligeranti, da un numero impressionante di
effettivi. Ciò fu dovuto, principalmente, ad un incredibile “boom demografico”
le cui cause sono state sostanzialmente individuate in tre ordini di motivi:
gli effetti della rivoluzione industriale di fine ‘800, i processi di
urbanizzazione ed i progressi della medicina che avevano contribuito
notevolmente ad innalzare la qualità della vita. In particolare, la battaglia
di Vittorio Veneto vide schierati circa 912.000 soldati sul fronte italiano e
circa 1.070.000 su quello avversario.
(3)
La storia.
Il 1918 fu caratterizzato
dal fallimento delle grandi offensive tedesche e dal crollo degli Imperi
centrali. In realtà, già nell’anno precedente, si erano manifestati profondi
segnali di crisi politica, morale e tattica. In Germania, presa nella morsa del
blocco navale britannico, la situazione interna era peggiorata rapidamente e
l’opposizione delle masse operaie alla guerra aveva provocato grandi scioperi
nelle fabbriche di armamenti. Tuttavia, Hindenburg e Ludendorff proseguirono
determinati nell’obiettivo di mettere fuori campo Francesi e Inglesi prima che
gli effetti dell’intervento statunitense potessero farsi sentire in maniera
efficace. In Austria, devastata dalla fame a causa dell’assedio dell’Intesa, la
situazione politica ed economica era addirittura peggiore con gravi
ripercussioni sull’efficienza materiale e spirituale delle Forze Armate. Nel
marzo1917, l’Imperatore Carlo I, succeduto nel novembre 1916 a Francesco
Giuseppe, all’insaputa della Germania, aveva tentato invano la
stipula di una pace separata. In Italia, il Governo Boselli si era trovato a
fronteggiare un serpeggiante spirito di rivolta sfociato, a Torino, in una vera
e propria insurrezione repressa nel sangue. La grave situazione che si era
creata a livello internazionale aveva indotto il Papa, Benedetto XV, ad
avanzare, mediante una “Nota” inviata ai Capi degli Stati in guerra, proposte
per una pace di compromesso, ma la sua iniziativa era caduta nel vuoto.
(4)
Il potenziale economico.
A differenza dell’Austria, l’Italia visse, nel biennio
1917-18, una fase di forte sviluppo economico ed industriale. La 12a
battaglia dell’Isonzo aveva lasciato il Regio Esercito in carenza di armi,
munizioni, viveri e vestiti. La situazione di emergenza fece scattare un grande
piano nazionale; in pochi mesi venne ricostruito l’intero materiale
d’artiglieria perduto nell’ottobre-novembre del 1917 e ripristinati gli
equipaggiamenti ed i servizi. Oltre agli stabilimenti militari, tutte le
principali industrie nazionali furono coinvolte. Le industrie belliche, che nel
1915 erano 125, raggiunsero il numero di 5700 nel 1918 con 1 milione e 668 mila
occupati. Nel corso del conflitto, l’industria degli armamenti produsse 12.000
pezzi di artiglieria, 37.000 mitragliatrici ed oltre 70 milioni di proiettili.
Un buon apporto provenne anche dall’industria meccanica che, nel solo 1918,
produsse 20.000 automobili, 15.000 motori d’aviazione e 6523 aerei.
(5)
Gli ordinamenti civili.
(a)
Italia: il primo organo costituzionale dell’ordinamento
politico italiano era la Corona, costituita da una sola persona fisica, il Re,
organo supremo dello Stato e rappresentante della sua unità. Ad egli spettava
il comando di tutte le forze 1militari e la loro organizzazione. In
pratica, però, l’effettiva organizzazione delle forze stesse rientrava nelle
attribuzioni del Governo da cui dipendeva il Capo di Stato maggiore generale.
Il capo del Governo, nel 1918, era Vittorio Emanuele Orlando, il quale aveva
sostituito Paolo Boselli all’indomani degli eventi di Caporetto. Durante i mesi
precedenti la battaglia di Vittorio Veneto, fu Orlando a prendere parte alle
riunioni con gli alleati e ad intrattenere rapporti frequenti con il Comando
Supremo.
(b)
Austria: l’Impero austro-ungarico era retto
dall’Imperatore Carlo I, insediatosi dopo l’assassinio del suo predecessore,
l’Arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto il 28 giugno 1914. Per fronteggiare
un forte e sempre più minaccioso malcontento popolare sul fronte interno,
intraprese varie iniziative tra cui, il 23 giugno 1917, quella di concedere
un’amnistia generale che comprendeva anche i reati di alto tradimento.
(6)
Le Istituzioni militari.
(a) Italia:
Comandante Supremo, come detto, era il Re che delegava, in tempo di pace, il
Comando dell’Esercito al Ministro della Guerra, membro del Governo e suprema
autorità gerarchica per i militari, che si avvaleva della consulenza tecnica
del Capo di Stato maggiore dell’Esercito. Dal 1870 al 1914, il Regio Esercito
venne profondamente trasformato e potenziato con successivi provvedimenti
ordinativi, tanto da poter contare, all’inizio della guerra, di circa 875.000
uomini. Nel corso del conflitto, furono mobilitati, complessivamente, circa
5.900.000 uomini: nell’Esercito operante, circa 4.200.000; nel territorio,
circa 840.000; per le industrie, circa 860.000. Una menzione particolare
meritano le forze aeronautiche che, all’inizio della guerra, facevano parte
dell’Esercito e della Marina ed operavano alle dipendenze del Ministero della
Guerra e di quello della Marina. Le esigenze della guerra accrebbero di molto
il numero e l’efficienza delle forze tanto che Diaz decise di istituire un
Comando Superiore dell’Aeronautica.
(b) Austria:
l’Esercito austro-ungarico, nonostante appartenesse ad una delle più grandi
potenze europee dell’epoca, non era molto grande. Secondo il regolamento del
1899 nelle Forze Armate c’erano sette formazioni militari: l’Esercito regolare,
chiamato “comune”, le forze di “seconda linea” (la regia “Landwehr” e la
reale ungherese “Honved”), le forze di “terza linea”, costituite dagli
uomini delle classi più anziani (la regia Landsturm) e la cosiddetta “Ersatzreserve”
che costituiva “manodopera” poco addestrata di riserva per l’Esercito comune e
la Landwehr.
b. Le
origini del conflitto
(1)
Gli antefatti.
Dopo i risultati favorevoli
conseguiti nel corso dell’11a battaglia dell’Isonzo (o della
Bainsizza, svoltasi dal 17 agosto al 15 settembre), le truppe austro-ungariche
si erano rapidamente riorganizzate in vista di una battaglia di rottura che,
attraverso un’infiltrazione profonda, avrebbe consentito loro di penetrare nel
territorio del nord-est (Allegato C, pag. IV). L’offensiva, che prese il nome
di 12a battaglia dell’Isonzo (o battaglia di Caporetto), iniziò il
24 ottobre 1917 e fu condotta dalla 14a Armata al comando del Generale
Otto von Below. Le forze destinate alla rottura del fronte ed alla penetrazione
furono articolate in quattro gruppi.
2Avviate le operazioni con
un’intensa preparazione di artiglieria, gli Austro-ungarici conquistarono
rapidamente Plezzo e Tolmino, località che erano state indicate come il settore
di minore resistenza. Il successo dell’operazione fu dovuto anche all’abbandono
dello schema statico, tipico della guerra di trincea e di logoramento, a favore
di un nuovo concetto offensivo basato sulla rapidità di manovra e sulla
sorpresa. Occupata Caporetto ed impadronitosi delle testate delle valli,
l’avversario dilagò rapidamente verso il piano, fino a Cividale, Udine ed al
Tagliamento. L’aggravarsi della situazione sulla sinistra del fiume costrinse
il Generale Cadorna ad ordinare il ripiegamento verso il Piave che si concluse
il 9 novembre, giorno in cui il Generale Cadorna cedette il comando al Generale
Armando Diaz. La sostituzione era stata preceduta da una crisi istituzionale
che aveva causato la caduta del Governo Boselli (26 ottobre) e l’insediamento
di un Gabinetto presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.
Gli eserciti contrapposti si
riorganizzarono rapidamente in vista di una nuova offensiva. L’altopiano di
Asiago, grazie al limitato spessore della zona montana, fu prescelto dal
Generale Conrad per la battaglia decisiva che, qualora vinta, gli avrebbe
consentito di marciare su Vicenza e Bassano e raggiungere l’Adige o addirittura
la linea Mincio-Po.
La battaglia di Arresto (o
prima battaglia del Piave) si combatté sulla linea difensiva Monte Grappa -
Montello - mare. Le operazioni si svolsero in due periodi (dal 10 al 26
novembre e dal 4 al 26 dicembre 1917) durante i quali i tentativi di sfondare
il fronte, condotti dalle truppe del Generale Josef Krautwald, furono vani. Da
questo momento in poi, l’attività del Regio Esercito si concentrò sul
rafforzamento e l’organizzazione della linea di difesa a oltranza.
Alla vigilia della battaglia
del Solstizio (o seconda battaglia del Piave, svoltasi dal 15 al 23 giugno
1918), l’Italia disponeva di 53 Divisioni, mentre il nemico contava su 58
Divisioni.
Il piano messo a punto dal
Comando austriaco prevedeva di sferrare l’attacco su due fronti: il primo, a
cavallo del Brenta, avrebbe dovuto sfondare la fronte montana, scendere in
pianura e avvolgere le unità italiane schierate sul Piave; l’altro, doveva
essere condotto contemporaneamente sul Piave in direzione di Treviso-Mestre.
Gli ordini diramati dal Comando Supremo italiano, invece, erano quelli di assicurare
l’inviolabilità del fronte montano, realizzare uno schieramento elastico lungo
il Piave e mantenere una forte riserva per governare la battaglia.
Il 15 giugno, le fanterie
nemiche mossero all’attacco sull’Altipiano di Asiago, sul Grappa, sul Montello
e sul Piave, ma furono sostanzialmente contenute e respinte e nella notte tra
il 22 e il 23, sopraffatte dall’artiglieria 3italiana.
(2)
Le cause reali, remote e prossime.
La terza battaglia del Piave, o di Vittorio Veneto,
iniziò il 24 ottobre e fu lo scontro che segnò la fine della guerra sul fronte
italiano.
Tuttavia, la decisione di iniziare le operazioni in
questo periodo fu soprattutto di natura politica. All’indomani della battaglia
del Solstizio, i vertici militari si erano subito attivati per formare nuove
Divisioni, avevano chiesto ulteriore materiale bellico, nonché rappresentato
l’opportunità di avviare l’offensiva nella primavera successiva al termine dell’addestramento dei giovani della classe
del ‘900. Diaz, per sopperire alla mancanza di complementi, aveva chiesto al
Generale John Joseph Pershing, Comandante del contingente Statunitense in
Europa, di poter disporre di un più elevato numero di soldati americani, ma la
richiesta non venne accolta.
Infatti, mentre Diaz era convinto che l’eliminazione
del più debole degli Imperi centrali avrebbe trascinato nella catastrofe anche
la Germania, gli alleati attribuivano al fronte italiano solo compiti diversivi
e ritenevano che il grosso delle forze doveva essere impiegato sul fronte
franco-inglese.
Fra le diverse opzioni possibili, l’operazione del
Piave venne scelta dal Comando Supremo Italiano essenzialmente per due motivi:
primo, perché richiedeva meno tempo ed offriva maggiori possibilità di
sorpresa; secondo, perchè, a sfondamento avvenuto, avrebbe consentito di
conquistare Vittorio e di separare le armate austriache della pianura da quelle
della montagna. Il 23 settembre, il Generale Enrico Caviglia, Comandante dell’8a
Armata, molto apprezzato dal Re e negli ambienti militari, ricevette l’ordine di
predisporsi per l’inizio dell’operazione.
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