LE SUORE DEL MONASTERO DI SANTA
PRISCILLA E GLI EBREI: 1943-1945
di Antonella Troiani
Durante
l’occupazione nazista, le benedettine di Priscilla nascosero centinaia di
perseguitati con la complicità dell’ambasciatore del Reich presso la Santa
Sede, Ernst von Weizsäcker. L’operazione di occultamento non era esente da
rischi, poiché i tedeschi rastrellavano tutto il territorio italiano in cerca
di ebrei e partigiani; ma, per questi ultimi, era l’unico modo per sfuggire
miracolosamente al treno della morte che portava ad Auschwitz. Numerosissimi
sono stati gli ebrei salvati dalla rete di assistenza della Chiesa e un caso
emblematico per tutti è quello delle Suore
Oblate Benedettine di Priscilla, che durante gli anni oscuri della seconda
guerra mondiale, sotto la sagace direzione del loro fondatore, don Giulio
Belvederi, presso la loro casa alle Catacombe di Priscilla, nascosero centinaia
di perseguitati. Nonostante il tema
della persecuzione contro gli ebrei e il Vaticano sia stata una querelle
infinita e motivo di controversia accesa, fin dall’autunno del 1943, di fronte
ad una precipitazione degli eventi, la Santa Sede decise di provvedere ad
impartire direttive ai superiori dei vari ordini religiosi, i quali
spalancarono le porte dei propri conventi per accogliere, anche sotto mentite
spoglie, così come affermato da Giovanni
Preziosi, nel suo articolo apparso su L’Osservatore Romano di domenica 7 luglio 2013, tutti coloro i
quali erano in serio pericolo di vita. L’autore, sopracitato, sottolinea, che
le oblate benedettine di Priscilla- un piccolo ramo del grande tronco
benedettino, sorto agli inizi del 1937 nella casa sulla via Salaria presso le
Catacombe di Priscilla- si siano distinte in questa autentica gara di
solidarietà, prodigandosi a soccorrere tutti i perseguitati, ospitandoli nella
loro comunità e organizzando una duplice attività di protezione dei ricercati,
sotto la guida di don Belvederi, fondatore dell’ordine, e con la collaborazione
di Giulio Andreotti, presidente della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica
Italiana); unica associazione riconosciuta nelle università durante il
fascismo, nella quale si formerà buona parte della futura classe dirigente
democristiana. Secondo quanto affermato da suora Gloria Carli, la rete di
assistenza riusciva a produrre anche false carte d’identità degli ebrei e di
altri rifugiati, poiché le suore avevano una piccola tipografia, al servizio
dell’Archeologia cristiana; i documenti venivano stampati e poi vidimati con i
timbri delle città già liberate. Questa rete di assistenza, attenta e
meticolosa, era stata ideata da Giulio Andreotti il quale provvedeva alla
stampa e alla consegna diretta dei documenti agli ebrei nascosti in Vaticano.
La filiera era stata studiata e pianificata al dettaglio. Come affermato da G.
Preziosi nell’articolo già menzionato, uno degli organizzatori di questa rete è
stato un collaboratore di De Gasperi, nonché futuro segretario della Democrazia
Cristiana, Guido Gonnella, il quale provvedeva a recapitare una busta
contenente le false carte d’identità stampate nella tipografia delle suore
benedettine all’edicola dei giornali che si trovava nei pressi del colonnato di
piazza San Pietro. Dall’edicola, la busta veniva immediatamente prelevata e
portata in Vaticano dove si procedeva a regolarizzare i documenti; dopodiché il plico faceva il percorso inverso
per ritornare al mittente. Affinché la protezione non venisse scoperta, tutti
coloro che ne beneficiarono, avevano delle regole da osservare e dei comportamenti
da tenere. A un segnale prestabilito e convenzionale, in caso di pericolo,
passando per un accesso segreto, tutti gli “ospiti” si dileguavano nelle vicine
catacombe dove restavano fin quando l’allarme cessava. Nell’articolo, comparso sul
quotidiano della Santa Sede, si ricordano alcuni perseguitati che hanno
beneficiato della protezione. Si menziona uno dei Visconti di Modrone di Milano
e Lorenzo Camerino; quest’ultimo, di origine ebraica, beneficiò della
protezione delle oblate di Priscilla assieme alla sua famiglia composta dalla moglie,
Maria Molon, e dalla figlia Francesca, che al tempo dei rastrellamenti era
soltanto una bambina dell’età di cinque anni. La famiglia Camerino rimase
nascosta presso le catacombe di Priscilla fino al termine della guerra. Detta
notizia si evince da una lettera che la signora Maria Molon scrisse alle suore,
da Venezia, in occasione del Natale del 1945. La donna scrisse questa lettera
in ricordo del Natale 1943 trascorso nella casa di Priscilla. Rivolgendosi alla
Madre Reverenda, come riportato nell’articolo di G. Preziosi, scrisse “Il ritorno nella mia casa e la gioia di
ritrovare i miei cari non mi hanno fatto mai dimenticare e tanto meno mi fanno
dimenticare ora che si avvicina il Santo Natale, Lei e tutte le Suore di
Priscilla. La bontà veramente ispirata dal Signore, che è stata per noi tutti
fonte di coraggio e di speranza in uno dei momenti più tragici della nostra
vita, ha lasciato nel nostro cuore e nella nostra mente un’impronta che è
diventata la regola cui vorremmo conformare la nostra esistenza. Purtroppo le
contingenze del vivere quotidiano ci fanno tanto spesso sentire invece quanto
il costume delle buone Sorelle sia lontano dal nostro. E per questo davvero
tante volte vorremmo essere più vicini a Voi tutte per poter ancora dividere
della Vostra serenità. È così vivo in tutti noi il ricordo del Natale
trascorso nella Casa di Priscilla che in ogni ora di queste
nostre giornate riviviamo quella Festa del 1943 che è stata, nonostante la
tragicità dell’epoca, d’indimenticabile serenità”. Nella lettera, la
signora Molon, ricorda l’animo puro di monsignor Belvederi, considerato da
tutta la famiglia come un vero Padre. Un padre, con grandezza d’animo, di bontà
e di cultura; un padre che si è messo al servizio dell’umanità e di tutti i
perseguitati. Oltre alla famiglia Camerino, per un lasso di tempo più breve, è
ospite della casa di Priscilla, il professor Giorgio Del Vecchio, un accademico
di origini ebraiche, docente di filosofia del diritto e preside della facoltà
di giurisprudenza dell’università di Roma. Fu discriminato dal regime per
queste sue ascendenze. Ottenne ospitalità presso le suore benedettine, assieme
alla propria consorte, grazie ai buoni uffici dell’esponente democristiano
Guido Gonnella. Altra ospite, fu la celebre archeologa tedesca Hermine Speier
che, dall’aprile 1943, a seguito dell’estromissione dall’Istituto Archeologico
Germanico, perché di origine ebraica, venne assunta da Pio XI per riordinare
l’archivio fotografico dei Musei Vaticani. I rifugiati della casa di Priscilla,
durante il periodo di permanenza nel monastero, poterono godere della cura e
dell’attenzione che monsignor Giulio Belvederi dedicò loro. Sarà proprio don
Belvederi, negli anni successivi, a riconoscere quanto sia stata importante la
complicità dell’ambasciatore del Reich presso la Santa Sede, Weizsäcker,
affinché la gestapo non perquisisse la casa delle suore benedettine di
Priscilla. Padre Belvederi racconta di come l’ambasciatore abbia finto di non
sapere della rete clandestina allestita da tanti religiosi con il consenso
della Santa Sede per salvare i ricercati. L’ambasciatore Weizsäcker temeva che la deportazione degli
ebrei di Roma avrebbe potuto danneggiare l’immagine della Germania favorendo la
propaganda nemica. Inoltre, una
eventuale protesta del Papa, avrebbe peggiorato ancor più le cose mettendo in
imbarazzo i tedeschi e riducendo la possibilità di un compromesso di pace
negoziato dalla Santa Sede e scatenando, forse, episodi di resistenza e di
disordini pubblici. Ciò spinse l’ambasciatore Weizsäcker a fare in modo che gli
ebrei fossero segretamente avvertiti per disperdersi prima di essere arrestati.
Nonostante queste misure strategiche di protezione e le tattiche per nascondere
i perseguitati, il 16 ottobre 1943, il “sabato nero” del ghetto di Roma, le SS
invasero le strade romane e rastrellarono oltre mille ebrei. E’ la data che
segna l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre 1938 con la
promulgazione delle leggi razziali. A seguito, con la liberazione della
capitale, a opera degli alleati, e il ristabilimento dell’ordine pubblico, si
concluse il calvario dei tanti ebrei rifugiati, scampati al rastrellamento e
alla deportazione nei lager nazisti, perché nascosti nelle varie case religiose
sparse per tutta la città. Il 7 luglio 1944, fu il sostituto della Segreteria
di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, a nome del Papa, a ringraziare
l’unione delle comunità israelitiche d’Italia e la comunità romana che avevano
espresso la loro gratitudine e la loro riconoscenza al Pontefice Pio XII per
gli sforzi profusi allo scopo di far cessare le persecuzioni razziali.
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