DIBATTITI
Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto
Sabetta
“La fine della storia
siamo noi europei imbambolati nella nostra civiltà “gentile” mentre fuori la
foresta brucia. La villa nella giungla si congratula con sé stessa mentre la giungla
dilaga nella villa” ( 8, Editoriale, in Limes “La Guerra Continua”, 1/23)
Come è stato più volte sottolineato in questi anni, la pandemia è stata
un detonatore che ha portato all’esplosione delle tensioni nascoste, subissate
dalla quotidianità sia in ambito nazionale che internazionale, ultimo caso è la
polemica in atto, in questi giorni, sulla nuova motorizzazione elettrica da
imporre nell’U.E. entro il 2035.
Ad una prima
fase, nella primavera del 2020, di unità, dando un’agenda politica dove non esisteva
e creando uno slancio emotivo unitario, è subentrata una fase di scontri di
interessi, di emergere di malesseri nascosti, di sfruttamento
economico-speculativo delle possibilità date dall’affluire delle risorse per il
rilancio dell’economia, dalle necessità urgenti da risolvere, piegandole ai
propri interessi sotto la bandiera umanitaria della necessità a cui rispondere.
Come in
tutti i momenti di crisi sistemici una delle risposte è stata
l’esternalizzazione delle idee, trasformate in fede ideologica totalizzante, massimalismi
che si sono affermati in tutti i campi, da quello politico a quello
economico-naturalista.
Esempi
storici nell’età moderna sono numerosi, se si pensa ai casi maggiori delle
Rivoluzioni Inglese del XVII secolo, Francese del XVIII secolo e Russa del XX
secolo, dove la Rivoluzione portò a posizioni estremiste, fino, in molti casi,
a eliminare alcuni dei suoi stessi artefici.
Attualmente
in questa riformulazione del mondo globale e dei suoi rapporti interni, stiamo
assistendo alle estremizzazioni delle nuove ideologie nate dalle necessità
storiche dell’inizio del XXI secolo,
conseguenze della esponenziale crescita tecnologica unita all’esplosione
demografica.
Come in
tutte le crisi si innesta immediatamente un aspetto speculativo insito
nell’essere umano, quale accumulatore di risorse in termini di potere.
Si è più
volte evidenziato che la tecnologia non è di per sé asettica, essa è una
manifestazione ed esercizio di potere, il suo sviluppo può quindi essere
direzionato, come diffuso o concentrato, anche se non immediatamente evidente,
magari presi come siamo dall’euforia.
La stessa
transizione ecologica può diventare una fonte di speculazione e potere, agendo
sulla necessità del cambiamento non si ha la visione del rapporto breve
termine/lungo termine, si suggeriscono o impongono comportamenti e azioni che
dagli immediati proclami di vittoria si risolvono, nel lungo periodo, in nuovi
problemi se non disastri, economici ed ecologici.
Il Living Planet Report 2022 parla di una diminuzione
media della fauna selvatica tra il 1970 e il 2018 del 69%, con punte del 94% in
America Latina e Caraibi, mentre dati peggiori riguardano le specie d’acqua
dolce che in 50 anni hanno subito una riduzione media dell’83%, noi non
possiamo fare a meno della Terra, anche se talvolta ci raccontano di possibili colonizzazioni
di lontani pianeti, ma la Terra può fare a meno di noi.
Ci si
concentra prevalentemente dove vi è la possibilità industriale di una nuova
produzione, proponendo attività che si risolvono semplicemente in scostamenti
delle aree di inquinamento e squilibri economici, senza una valutazione di
impatto o tacendone parte dei risultati.
Nella
realtà, non detta, in molti casi quello che interessa è semplicemente creare
nuovi mercati, senza considerare le conseguenze ultime nella loro gestione,
basti pensare al problema della plastica che non è risolto alla fonte ma
scaricato alla foce sui consumatori, promettendo un recupero totale impossibile
e non solo parziale.
Ma anche sul
piano economico e geo-strategico la destrutturazione può condurre a visioni
massimaliste e non prudenziali, quasi profetiche, affascinanti ma pericolose
nel lungo termine, foriere di improvvisi risvegli.
Come si
tendono a tacere gli aspetti strategici ed economici delle nuove tecnologie
ecologiste che si vogliono sviluppare, così si è propagata negli anni ’90 una
visione edulcorata del nuovo millennio, dove interventi armati asettici,
crescita economica infinita, una illusione di libertà assoluta, hanno indotto a
non volere prendere in esame i segnali delle nuove conflittualità latenti.
“Possiamo quindi immaginare l’entusiasmo con
cui la maggioranza giovane e povera dell’umanità segue le battaglie del Donbass,
da cui importa solo crisi. Soprattutto fame. O come abbia valutato la nostra
scompigliata reazione alla tragedia del Covid – per i caoslandesi, specie
africani, una epidemia tra le altre. Semmai blanda. Né stupisce che costoro
valutano il nostro recente ecologismo tutt’altro che ecumenico, giacché la “decarbonizzazione”
li condurrebbe al sottosviluppo. Per i cinesi e russi occasione unica per
penetrare l’ex Terzo Mondo, che considera gli occidentali nella migliore
ipotesi disinteressati alla sua sorte, nella peggiore neocolonialisti viziosi”.
(13-15, Editoriale, Il Resto del Mondo
siamo noi, in Limes – La Guerra Grande, 7/22).
Vi è sempre
una possibile doppia visione di ciascun fenomeno, a seconda del punto di vista
che può essere quello economico o culturale, circostanza che induce talvolta a
considerare negativamente il nostro agire, anche in rapporto dei risultati tra
breve e lungo periodo.
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