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mercoledì 22 febbraio 2023

Destrutturazione e massimalismi

DIBATTITI

 


Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio  Benedetto  Sabetta

 

“La fine della storia siamo noi europei imbambolati nella nostra civiltà “gentile” mentre fuori la foresta brucia. La villa nella giungla si congratula con sé stessa mentre la giungla dilaga nella villa” ( 8, Editoriale, in Limes “La Guerra Continua”, 1/23)

            Come è stato più volte sottolineato in questi anni, la pandemia è stata un detonatore che ha portato all’esplosione delle tensioni nascoste, subissate dalla quotidianità sia in ambito nazionale che internazionale, ultimo caso è la polemica in atto, in questi giorni, sulla nuova motorizzazione elettrica da imporre nell’U.E. entro il 2035.

            Ad una prima fase, nella primavera del 2020, di unità, dando un’agenda politica dove non esisteva e creando uno slancio emotivo unitario, è subentrata una fase di scontri di interessi, di emergere di malesseri nascosti, di sfruttamento economico-speculativo delle possibilità date dall’affluire delle risorse per il rilancio dell’economia, dalle necessità urgenti da risolvere, piegandole ai propri interessi sotto la bandiera umanitaria della necessità a cui rispondere.

            Come in tutti i momenti di crisi sistemici una delle risposte è stata l’esternalizzazione delle idee, trasformate in fede ideologica totalizzante, massimalismi che si sono affermati in tutti i campi, da quello politico a quello economico-naturalista.

            Esempi storici nell’età moderna sono numerosi, se si pensa ai casi maggiori delle Rivoluzioni Inglese del XVII secolo, Francese del XVIII secolo e Russa del XX secolo, dove la Rivoluzione portò a posizioni estremiste, fino, in molti casi, a eliminare alcuni dei suoi stessi artefici.

            Attualmente in questa riformulazione del mondo globale e dei suoi rapporti interni, stiamo assistendo alle estremizzazioni delle nuove ideologie nate dalle necessità storiche  dell’inizio del XXI secolo, conseguenze della esponenziale crescita tecnologica unita all’esplosione demografica.

            Come in tutte le crisi si innesta immediatamente un aspetto speculativo insito nell’essere umano, quale accumulatore di risorse in termini di potere.

            Si è più volte evidenziato che la tecnologia non è di per sé asettica, essa è una manifestazione ed esercizio di potere, il suo sviluppo può quindi essere direzionato, come diffuso o concentrato, anche se non immediatamente evidente, magari presi come siamo dall’euforia.

            La stessa transizione ecologica può diventare una fonte di speculazione e potere, agendo sulla necessità del cambiamento non si ha la visione del rapporto breve termine/lungo termine, si suggeriscono o impongono comportamenti e azioni che dagli immediati proclami di vittoria si risolvono, nel lungo periodo, in nuovi problemi se non disastri, economici ed ecologici.

            Il Living Planet Report 2022 parla di una diminuzione media della fauna selvatica tra il 1970 e il 2018 del 69%, con punte del 94% in America Latina e Caraibi, mentre dati peggiori riguardano le specie d’acqua dolce che in 50 anni hanno subito una riduzione media dell’83%, noi non possiamo fare a meno della Terra, anche se talvolta ci raccontano di possibili colonizzazioni di lontani pianeti, ma la Terra può fare a meno di noi.

            Ci si concentra prevalentemente dove vi è la possibilità industriale di una nuova produzione, proponendo attività che si risolvono semplicemente in scostamenti delle aree di inquinamento e squilibri economici, senza una valutazione di impatto o tacendone parte dei risultati.

            Nella realtà, non detta, in molti casi quello che interessa è semplicemente creare nuovi mercati, senza considerare le conseguenze ultime nella loro gestione, basti pensare al problema della plastica che non è risolto alla fonte ma scaricato alla foce sui consumatori, promettendo un recupero totale impossibile e non solo parziale.

            Ma anche sul piano economico e geo-strategico la destrutturazione può condurre a visioni massimaliste e non prudenziali, quasi profetiche, affascinanti ma pericolose nel lungo termine, foriere di improvvisi risvegli.

            Come si tendono a tacere gli aspetti strategici ed economici delle nuove tecnologie ecologiste che si vogliono sviluppare, così si è propagata negli anni ’90 una visione edulcorata del nuovo millennio, dove interventi armati asettici, crescita economica infinita, una illusione di libertà assoluta, hanno indotto a non volere prendere in esame i segnali delle nuove conflittualità latenti.

            Possiamo quindi immaginare l’entusiasmo con cui la maggioranza giovane e povera dell’umanità segue le battaglie del Donbass, da cui importa solo crisi. Soprattutto fame. O come abbia valutato la nostra scompigliata reazione alla tragedia del Covid – per i caoslandesi, specie africani, una epidemia tra le altre. Semmai blanda. Né stupisce che costoro valutano il nostro recente ecologismo tutt’altro che ecumenico, giacché la “decarbonizzazione” li condurrebbe al sottosviluppo. Per i cinesi e russi occasione unica per penetrare l’ex Terzo Mondo, che considera gli occidentali nella migliore ipotesi disinteressati alla sua sorte, nella peggiore neocolonialisti viziosi”. (13-15, Editoriale, Il Resto del Mondo siamo noi, in Limes – La Guerra Grande, 7/22).

            Vi è sempre una possibile doppia visione di ciascun fenomeno, a seconda del punto di vista che può essere quello economico o culturale, circostanza che induce talvolta a considerare negativamente il nostro agire, anche in rapporto dei risultati tra breve e lungo periodo.

 

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