APPROFONDIMENTI
Massimo Coltrinari
4.Il Terzo Fronte.
Il fronte dell’Internamento
Il 1945 trova gli Internati prostrati
sotto il gioco dei nazisti. Qualche speranza che tutto finisca nasce da notizie
che trapelano oltre il filo spinato. Da Oriente avanza l’Armata Rossa, mentre
in Occidente, le Armate alleate avanzano verso i confini della Germania. La
propaganda tedesca dà molta enfasi alla offensiva delle Ardenne da parte
tedesca, ma presto tutto si esaurisce. In breve con la controffensiva alleata.
Il 27 gennaio 1945 viene raggiunto e liberato dalla Armata Rossa il complesso
dei campi di Auschwitz, che nel dopoguerra e ai nostri giorni assurgerà a data
di che cosa è stato l’olocausto, e tutto l’internamento nazista. Per il Terzo
fronte cala una volta per sempre il velo della scelta nazista di mascherare i
propri crimini. Via via che le Armate sovietiche e alleate avanzano si scoprono
i campi di internamento che i nazisti non fanno in tempo di cancellare e di
sopprimere tutti i loro occupati. L’esempio di Chelmo, uno dei sei campi di
sterminio, che fu letteralmente cancellato in tutte le sue componenti materiche;
un campo dove furono uccise circa un milione di persone. La reazione nazista a
questa situazione, l’avvinarci alla sconfitta definitiva sul campo e all’annientamento
totale, fa sì che per gli Internati, come vedremo, gli ultimi mesi prima della
liberazione, furono ancora più terribili. Mesi che si possono definire
“l’inferno nell’inferno” che, purtroppo, fecero ulteriori vittime. La
liberazione non significa la fine delle sofferenze. Gli Internati faticosamente
iniziano ad assaporare la libertà, che significa recuperare una condizione che
implica una presa di coscienza ulteriore di quello che si è subito e che spesso
fa sì che tale peso è tale che per molti diventa fatale. Il rimpatrio del Terzo
fronte è tumultuoso. Chi ha le forze e la possibilità cerca di raggiungere il
confine italiano e rientra in Patria. Pescantina, vicino Verona, è il punto di
riferimento per ogni Internato, come lo era stato Fossoli per il percorso
inverso. Il rimpatrio si esaurisce in due-tre mesi e gli Internati riprendono
la vita che avevano lasciato, nelle modalità le migliori possibili. Ma quasi
tutti se non tutti, si chiudono in un mutismo, in un silenzio, quasi in un
atteggiamento di colpevolezza e vergogna che fa sì che questa loro esperienza
rimase per molti anni confinata in loro stessi.
L’Internamento, ovvero la resistenza del filo spinato, o la “resistenza
del no” ancora oggi stenta ad essere considerato un fronte della Guerra di
Liberazione, una esperienza estranea agli aventi della lotta alla coalizione
antihitleriana, un negazionismo anche culturale oltre che materiale che
rappresenta un ulteriore affronto per gli Internati.
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