DIBATTITI
Prof. Sergio Benedetto
Sabetta
Ten. Cpl. Art.
Pe.
Le lotte economiche in atto nate e rafforzate dalla globalizzazione avvenuta in quest’ultimo ventennio e ulteriormente accentuate dalle problematiche evidenziate dalla pandemia, nate dalla ricerca della formazione di nuovi equilibri che sostituiscano il predominio americano in crisi affermatosi con il crollo del blocco orientale, ha portato alla riscoperta degli studi sull’arte della guerra, questo induce al recupero di alcuni concetti elaborati primariamente dai classici studi del Clausewitz.
Vi è
alla base una distinzione primaria tra guerra assoluta, portata
all’annientamento dell’avversario, guerra di fatto, in cui l’intensità
si limita all’abbattimento dell’avversario e guerra ad obiettivo limitato,
si pone, inoltre, in evidenza lo stretto
rapporto fra guerra e politica, ossia delle risorse finanziarie di cui si può e
ci si intende avvalere.
L’attacco
e, se vittorioso, la conseguente espansione deve avvenire entro determinati spazi e tempi pena l’esaurirsi delle risorse e il
capovolgimento della situazione, non può esservi una spinta continua a meno di
consumare l’avversario con un attrito costante puntando all’inferiorità di
mezzi e risorse della controparte.
Essendovi
una continua incertezza l’attrito,
quale elemento decisivo, dato dagli ostacoli previsti e imprevisti, dovrà
essere continuamente valutato in rapporto alle risorse disponibili e al quadro
politico-strategico, appare quindi evidente l’importanza decisiva dell’attrito.
La guerra come scienza non puramente tecnica
ma sostanzialmente morale non ha proprie leggi bensì solo principi e tendenze,
basti pensare all’importanza dell’elemento umano con tutte le sue abnegazioni
ed egoismi, non vi sono pertanto vere regole se non create dalla necessità del
momento e comunque basate sul carattere.
Nel
capo può non esservi né il genio, né la mente speculativa, bensì è sufficiente
e necessario un solido senso pratico che infonda fiducia ed energia nei suoi
collaboratori.
Nello
sfuggire allo svuotamento della personalità e alla conseguente paralisi della
volontà, occorre mantenere la calma e la visione esatta del contesto in cui si
opera, anche in rapporto alle difficoltà del momento.
Vi è, infatti, la necessità
di mantenere compatta ed efficiente una struttura sull’orlo del caos, esposta a
forti dinamiche ambientali e sollecitazioni interne, in cui le continue scelte
possono sempre precipitare l’organizzazione in una ingestibilità caotica, interviene perciò il fattore umano quale “antidoto” alla complessità.
Fondamentale
è la capacità di intuire i sottili nessi che collegano le azioni tra loro e le
conseguenze che ne derivano, in questo le difficoltà consistono non nel
conoscere le norme fondamentali quanto saperle applicare in situazioni incerte
e confuse.
Viene
meno la vecchia strategia di un programma
massimo, omnicomprensivo, da
ridurre eventualmente secondo gli obblighi delle circostanze, concezione propria dell’azione di un unico
corpo compatto in ambiente sostanzialmente stabile ( Federico
II di Prussia), ed entra in gioco una visione più dinamica in cui ad un
corpo flessibile diviso in unità autonome si adatta un programma di massima
circostanziato fino e non oltre al primo
scontro, non vincolante, pronto agli ulteriori sviluppi ( Napoleone
). Si inverte il rapporto nel programma
che da rigido riduzionista diventa adattabile in crescita dinamica.
Proprio
per la dinamicità dello strumento organizzativo umano, teso ad un notevole
sforzo, non possono esservi mosse predefinite e queste devono possedere una
intrinseca semplicità, considerando che il
successo è sempre proporzionale al rischio.
In questo appare al massimo grado il
rapporto tra la politica e la strategia, in quanto la vittoria può essere
consolidata solo in termini politici e
solo in questi termini può dare frutti duraturi nel tempo.
Come
ebbe a dire Napoleone,
nella sua corrispondenza, tre sono i
requisiti fondamentali per un buon
generale: concentrare le forze,
intraprendenza e massima risolutezza.
A questi il colonnello Vachée aggiunge: sorprendere il nemico con
l’imprevedibilità e la rapidità delle operazioni.
Parlare di un programma di massima non vuole dire che non
venissero curati i minimi particolari dell’organizzazione ( Armée
) da lui diretta, o che non si interessasse delle problematiche a lui
direttamente sottoposte delegando, senza sorvegliare.
Il decentramento serve in realtà a rendere
flessibile la struttura per sostenere qualsiasi imprevisto, ma il
segreto del successo è la capacità di
concentrare rapidamente le risorse nel punto prescelto, in modo che vi sia
sempre continuità tra la manovra e lo scontro.
La flessibilità deve comunque convivere strettamente con
l’equilibrio al fine di mantenere efficiente la struttura, squilibrando
al contempo l’avversario, occorre pertanto tenere sempre presente l’importanza
fondamentale della forza morale e dei fattori
psicologici.
Se la vittoria è originata dal coordinamento degli sforzi
e dalla rapidità secondo percorsi paralleli, la difficoltà risiede
nell’esecuzione per gli infiniti imprevisti che possono intervenire,
circostanza che impone la perseveranza fino a che ulteriori elementi non
impongano il cambiamento dell’azione.
L’obiettivo primario non potrà essere limitato all’occupazione
di aree, ma dovrà estendersi piuttosto, se non alla distruzione, quantomeno
alla significativa riduzione delle potenzialità avversarie.
L’autonomia operativa non deve comunque ledere la capacità
di coordinamento della direzione, al fine di mantenere l’unitarietà degli
sforzi e degli obiettivi, una volta impressa la direzione questa si mantiene
anche a livello tattico, pertanto sia chi agisce per linee interne e chi per
linee esterne a livello strategico lo farà anche a livelli inferiori, in altre
parole gli schemi tendono a ripetersi.
Maggiori sono le masse coinvolte e minore è l’importanza
della genialità del capo sostituita dal predominio del metodo e della tecnica
come previsto e dimostrato dal
Moltke , vi deve essere una grande autonomia dei
gradi inferiori entro ben precise direttive con una sincronizzazione delle
mosse tali da precedere e sorprendere l’avversario. La perfezione
del meccanismo deve permettere l’utilizzazione contemporanea di varie linee di
operazioni fino al convergere finale e imprevisto sull’obiettivo individuato e
ben determinato.
Dalla prima guerra mondiale ( Von Lossberg, Ludendorff ) furono acquisiti i principi della difesa in
profondità, ossia elastica, e delle infiltrazioni per ridurre l’attrito
e quindi le perdite in materiali, uomini e tempo. Successivamente
per la riduzione dell’attrito, nella seconda metà del novecento,
sfruttando tra l’altro i miglioramenti tecnologici intervenuti, si è potenziata l’informazione quale
unico strumento atto a ridurre inutili perdite in uomini e materiali e a
diminuire il rischio della soglia del caos.
Nella guerra i fattori morali, per quanto chiaramente
riconosciuti fin dall’epoca delle guerre rivoluzionarie della fine del
settecento, vengono molte volte, se non spesso, dimenticati in favore di un
puro tecnicismo in presenza di una potenza di mezzi superiore all’avversario,
per venire riscoperti quale panacea nel momento in cui vi è una propria
inferiorità tecnica, rimane pertanto difficile mantenere una giusta
integrazione in quanto perennemente dinamica tra capacità tecnica e fattori
morali.
Luttwak ha
evidenziato la logica della mossa paradossale al fine di ridurre
l’attrito, ma anche la capacità dell’avversario di riesaminare le proprie
sconfitte fino a capovolgere i termini del paradossale, rendendolo normale nel
valutare e contrastare preventivamente le mosse del nemico, si che il normale
verrà ad acquisire in questa nuova situazione una propria logica paradossale.
Di conseguenza nel regno della strategia uno stesso tipo
di condotta non può continuare all’infinito, ma dovrà evolversi
nel suo opposto, in una negazione di se stessa fino al completo
capovolgimento, questo a meno che non intervenga un mutamento esogeno nei rapporti tra partecipanti ( Luttwak ).
Più lo scontro si protrae e maggiore è la possibilità di
un capovolgimento, a seguito del progressivo attrito del vincitore e
dell’acquisizione delle capacità di contromossa dell’avversario, nonché delle
logiche che stanno alla base dell’organizzazione del vincitore iniziale.
Dobbiamo considerare che, come in un qualsiasi organismo vi
sarà una vasta reazione organizzativa che vanificherà le intenzioni
dell’avversario, anche nelle dinamiche di uno scontro il tempo gioca a favore
della riorganizzazione, entrano nuovamente in gioco lo spazio e la mobilità.
L’integrazione dell’elemento verticale della guerra con
quello orizzontale della propaganda e della politica risulta essere fondamentale in
un consolidamento della vittoria, questo tanto in una ipotesi di vittoria
immediata che di semplice superiorità acquisita progressivamente sul campo.
Bibliografia
·
D. G. Candler, Le campagne di Napoleone, Rizzoli, 1968;
·
H. Holborn, Storia della Germania moderna, Rizzoli,1973;
·
K. Von Klausewitz, Della guerra, Mondatori, 2000;
·
A. Vachée, Napoleon at work,
Londra, 1914;
·
E. N. Luttwak, Strategia, Rizzoli, 1989;
Per ulteriori approfondimenti :
·
A. Beaufre, Introduzione alla strategia, Il Mulino, 1966;
·
C. Jean, Il pensiero strategico, Franco Angeli, 1985;
·
B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale,
Mondadori, 1970;
·
R. A. Preston – S. F. Wise, Storia sociale della guerra, Mondadori,
1973;
·
C. Fair, Storia della stupidità militare, Mondadori, 1973;
·
F. Fischer, Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra
1914-1918, Einaudi, 1965.
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