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venerdì 3 febbraio 2023

Riflessioni strategiche in Clausewitz, Moltke e Luttwak

 DIBATTITI



Prof. Sergio Benedetto Sabetta

Ten. Cpl. Art. Pe.

 

         Le lotte economiche in atto nate e rafforzate dalla globalizzazione avvenuta in quest’ultimo ventennio e ulteriormente accentuate dalle problematiche evidenziate dalla pandemia, nate dalla ricerca della formazione di nuovi equilibri che sostituiscano il predominio americano in crisi affermatosi con il crollo del blocco orientale, ha portato alla riscoperta degli studi sull’arte della guerra, questo induce al recupero di alcuni concetti elaborati  primariamente dai classici studi del Clausewitz.

         Vi è alla base una distinzione primaria tra guerra assoluta, portata all’annientamento dell’avversario, guerra di fatto, in cui l’intensità si limita all’abbattimento dell’avversario e guerra ad obiettivo limitato, si pone, inoltre, in evidenza lo stretto rapporto fra guerra e politica, ossia delle risorse finanziarie di cui si può e ci si intende avvalere.

         L’attacco e, se vittorioso, la conseguente espansione deve avvenire entro determinati spazi e tempi pena l’esaurirsi delle risorse e il capovolgimento della situazione, non può esservi una spinta continua a meno di consumare l’avversario con un attrito costante puntando all’inferiorità di mezzi e risorse della controparte.

         Essendovi una continua incertezza l’attrito, quale elemento decisivo, dato dagli ostacoli previsti e imprevisti, dovrà essere continuamente valutato in rapporto alle risorse disponibili e al quadro politico-strategico, appare quindi evidente l’importanza decisiva dell’attrito.

         La guerra come scienza non puramente tecnica ma sostanzialmente morale non ha proprie leggi bensì solo principi e tendenze, basti pensare all’importanza dell’elemento umano con tutte le sue abnegazioni ed egoismi, non vi sono pertanto vere regole se non create dalla necessità del momento e comunque basate sul carattere.

         Nel capo può non esservi né il genio, né la mente speculativa, bensì è sufficiente e necessario un solido senso pratico che infonda fiducia ed energia nei suoi collaboratori.

         Nello sfuggire allo svuotamento della personalità e alla conseguente paralisi della volontà, occorre mantenere la calma e la visione esatta del contesto in cui si opera, anche in rapporto alle difficoltà del momento.

Vi è, infatti, la necessità di mantenere compatta ed efficiente una struttura sull’orlo del caos, esposta a forti dinamiche ambientali e sollecitazioni interne, in cui le continue scelte possono sempre precipitare l’organizzazione in una ingestibilità caotica, interviene perciò il fattore umano quale “antidoto” alla complessità.

         Fondamentale è la capacità di intuire i sottili nessi che collegano le azioni tra loro e le conseguenze che ne derivano, in questo le difficoltà consistono non nel conoscere le norme fondamentali quanto saperle applicare in situazioni incerte e confuse.

         Viene meno la vecchia strategia di un programma massimo, omnicomprensivo, da ridurre eventualmente secondo gli obblighi delle circostanze, concezione propria dell’azione di un unico corpo compatto in ambiente sostanzialmente stabile                 ( Federico II di Prussia), ed entra in gioco una visione più dinamica in cui ad un corpo flessibile diviso in unità autonome si adatta un programma di massima circostanziato fino e non oltre al primo scontro, non vincolante, pronto agli ulteriori sviluppi ( Napoleone ). Si inverte il rapporto nel programma che da rigido riduzionista diventa adattabile in crescita dinamica.

         Proprio per la dinamicità dello strumento organizzativo umano, teso ad un notevole sforzo, non possono esservi mosse predefinite e queste devono possedere una intrinseca semplicità, considerando che il successo è sempre proporzionale al rischio.

         In questo appare al massimo grado il rapporto tra la politica e la strategia, in quanto la vittoria può essere consolidata solo in termini politici e  solo in questi termini può dare frutti duraturi nel tempo.

         Come ebbe a dire Napoleone, nella sua corrispondenza, tre sono i requisiti fondamentali per un buon generale: concentrare le forze, intraprendenza e massima risolutezza. A questi il colonnello Vachée  aggiunge: sorprendere il nemico con l’imprevedibilità e la rapidità delle operazioni.

         Parlare di un programma di massima non vuole dire che non venissero curati i minimi particolari dell’organizzazione ( Armée ) da lui diretta, o che non si interessasse delle problematiche a lui direttamente sottoposte delegando, senza sorvegliare.

 Il decentramento serve in realtà a rendere flessibile la struttura per sostenere qualsiasi imprevisto, ma il segreto del successo è la  capacità di concentrare rapidamente le risorse nel punto prescelto, in modo che vi sia sempre continuità tra la manovra e lo scontro.

         La flessibilità deve comunque convivere strettamente con l’equilibrio al fine di mantenere efficiente la struttura, squilibrando al contempo l’avversario, occorre pertanto tenere sempre presente l’importanza fondamentale della forza morale e dei fattori  psicologici.

         Se la vittoria è originata dal coordinamento degli sforzi e dalla rapidità secondo percorsi paralleli, la difficoltà risiede nell’esecuzione per gli infiniti imprevisti che possono intervenire, circostanza che impone la perseveranza fino a che ulteriori elementi non impongano il cambiamento dell’azione.

         L’obiettivo primario non potrà essere limitato all’occupazione di aree, ma dovrà estendersi piuttosto, se non alla distruzione, quantomeno alla significativa riduzione delle potenzialità avversarie.

         L’autonomia operativa non deve comunque ledere la capacità di coordinamento della direzione, al fine di mantenere l’unitarietà degli sforzi e degli obiettivi, una volta impressa la direzione questa si mantiene anche a livello tattico, pertanto sia chi agisce per linee interne e chi per linee esterne a livello strategico lo farà anche a livelli inferiori, in altre parole gli schemi tendono a ripetersi.

         Maggiori sono le masse coinvolte e minore è l’importanza della genialità del capo sostituita dal predominio del metodo e della tecnica come previsto e dimostrato dal  Moltke ,  vi deve essere una grande autonomia dei gradi inferiori entro ben precise direttive con una sincronizzazione delle mosse tali da precedere e sorprendere l’avversario. La perfezione del meccanismo deve permettere l’utilizzazione contemporanea di varie linee di operazioni fino al convergere finale e imprevisto sull’obiettivo individuato e ben determinato.

         Dalla prima guerra mondiale ( Von Lossberg, Ludendorff ) furono acquisiti i principi della difesa in profondità, ossia elastica, e delle infiltrazioni per ridurre l’attrito e quindi le perdite in materiali, uomini e tempo. Successivamente per la riduzione dell’attrito, nella seconda metà del novecento, sfruttando tra l’altro i miglioramenti tecnologici intervenuti,  si è potenziata l’informazione quale unico strumento atto a ridurre inutili perdite in uomini e materiali e a diminuire il rischio della soglia del caos.

         Nella guerra i fattori morali, per quanto chiaramente riconosciuti fin dall’epoca delle guerre rivoluzionarie della fine del settecento, vengono molte volte, se non spesso, dimenticati in favore di un puro tecnicismo in presenza di una potenza di mezzi superiore all’avversario, per venire riscoperti quale panacea nel momento in cui vi è una propria inferiorità tecnica, rimane pertanto difficile mantenere una giusta integrazione in quanto perennemente dinamica tra capacità tecnica e fattori morali.

         Luttwak ha evidenziato la logica della mossa paradossale al fine di ridurre l’attrito, ma anche la capacità dell’avversario di riesaminare le proprie sconfitte fino a capovolgere i termini del paradossale, rendendolo normale nel valutare e contrastare preventivamente le mosse del nemico, si che il normale verrà ad acquisire in questa nuova situazione una propria logica paradossale.

         Di conseguenza nel regno della strategia uno stesso tipo di condotta non può continuare all’infinito, ma dovrà evolversi nel suo opposto, in una negazione di se stessa fino al completo capovolgimento, questo a meno che non intervenga un mutamento esogeno nei rapporti tra partecipanti ( Luttwak ).

         Più lo scontro si protrae e maggiore è la possibilità di un capovolgimento, a seguito del progressivo attrito del vincitore e dell’acquisizione delle capacità di contromossa dell’avversario, nonché delle logiche che stanno alla base dell’organizzazione del vincitore iniziale.      

         Dobbiamo considerare che, come in un qualsiasi organismo vi sarà una vasta reazione organizzativa che vanificherà le intenzioni dell’avversario, anche nelle dinamiche di uno scontro il tempo gioca a favore della riorganizzazione, entrano nuovamente in gioco lo spazio e la mobilità.

         L’integrazione dell’elemento verticale della guerra con quello orizzontale della propaganda e della politica  risulta essere fondamentale in un consolidamento della vittoria, questo tanto in una ipotesi di vittoria immediata che di semplice superiorità acquisita progressivamente sul campo.

 

 

Bibliografia

 

·        D. G. Candler, Le campagne di Napoleone, Rizzoli, 1968;

·        H. Holborn, Storia della Germania moderna, Rizzoli,1973;

·        K. Von Klausewitz, Della guerra, Mondatori, 2000;

·        A. Vachée, Napoleon at work, Londra, 1914;

·        E. N. Luttwak, Strategia, Rizzoli, 1989;

 

Per ulteriori approfondimenti :

 

·        A. Beaufre, Introduzione alla strategia, Il Mulino, 1966;

·        C. Jean, Il pensiero strategico, Franco Angeli, 1985;

·        B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, 1970;

·        R. A. Preston – S. F. Wise, Storia sociale della guerra, Mondadori, 1973;

·        C. Fair, Storia della stupidità militare, Mondadori, 1973;

·        F. Fischer, Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra 1914-1918, Einaudi, 1965.


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