DIBATTITI
di Luca Bordini
L'armistizio
dell’8 settembre 1943 segnava per l'Italia l’inizio di un periodo particolarmente
drammatico. «Una tragedia, in particolare, delle forze armate: fuggiasco il re,
al quale l’ordine del giorno Grandi nel Gran Consiglio aveva rivendicato la
“suprema iniziativa di decisione” in materia di politica estera e di guerra;
fuggiasco il suo governo; nessun piano operativo coordinato per far fronte alla
prevedibile reazione germanica; cancellato all’ultima ora quello di un
intervento aeronavale angloamericano»[1].
Otto mesi dopo, il 4 giugno 1944, gli americani entravano a Roma ed iniziavano
una lenta ma inarrestabile risalita della penisola. Contemporaneamente, il
Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che dirigeva la lotta politica e
l’attività militare della Resistenza nelle regioni settentrionali, intensificava
gli attacchi contro le forze nazifasciste con il duplice obiettivo di: liberare
il territorio dai tedeschi ed al tempo stesso creare, nelle zone liberate, forme
di governo indipendente. In piena Guerra di Liberazione, pertanto, nel cuore
della Repubblica Sociale Italiana nacquero molte piccole repubbliche partigiane
– che ebbero durata e incidenza molto diverse fra loro – ma una in particolare,
quella dell’Ossola, si impose su tutte come laboratorio politico-sociale in cui
fu sperimentata una forma di Stato democratico. In Piemonte, nella provincia
del Verbano Cusio Ossola già provincia di Novara, a nord del Lago
Maggiore laddove il territorio italiano si incunea in quello svizzero, nel 1944
fu realizzata la Repubblica dell’Ossola.
Questa si
diede un governo, una capitale (Domodossola) ed un esercito; in sostanza si
dotò di poteri autonomi riuscendo a resistere dal 10 settembre al 23 ottobre
del 1944.
Nell’agosto
1944, infatti, le divisioni partigiane di ispirazione cattolico-liberale Valdossola,
Piave, Valtoce e Beltrami, composte in prevalenza da militari
delle disciolte forze armate e da giovani che non avevano aderito alla chiamata
alle armi della Repubblica Sociale Italiana, iniziarono una sistematica e
risoluta attività militare contro le milizie fasciste e le unità tedesche.
Detta attività portò, ad un anno dalla sigla dell'armistizio con gli
anglo–americani, alla liberazione di tutta la Val d'Ossola e dei suoi abitanti
ad eccezione di Domodossola. Il 9 settembre 1944 le divisioni partigiane Valdossola
e Valtoce al
comando, rispettivamente, del maggiore Dionigi Superti e del tenente Alfredo Di
Dio, cinsero d’assedio la città in cui si erano rinchiuse le milizie fasciste insieme
a qualche centinaio di soldati tedeschi. I due comandanti partigiani, al fine
di evitare un inutile spargimento di sangue, soprattutto tra le famiglie al
seguito dei fascisti, consentirono agli avversari, con un atto di rara umanità in
quei drammatici momenti, di mettersi in salvo. Entrati in città, i partigiani
costituirono una giunta comunale, trasformata subito dopo in Giunta
Provvisoria di Governo della Zona liberata dell'Ossola, a capo della quale
fu posto Ettore Tibaldi, un medico e professore di patologia che a causa della
sua militanza socialista era stato costretto a riparare in Svizzera. Nel
governo della repubblica partigiana erano rappresentati tutti i partiti
antifascisti presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. «La
Repubblica dell’Ossola è certamente la più nota e celebrata: in essa si
dispiegò un’attività straordinaria di progettazione e di realizzazione in tutti
i campi. Non solo si ebbe la consueta attività di governo delle risorse, ma si
procedette alla creazione di una Giunta che investì con i suoi provvedimenti
l’intero arco della vita civile e politica della Valle. Dalla giustizia alla
scuola, all’organizzazione sindacale la costruzione del nuovo ordine fu
condotta con ampiezza di vedute e capacità di interpretare nel miglior modo le
necessità di rinnovamento della società italiana. Il limite di questa
esperienza, riconosciuto fin dai primi studi, fu che essa venne prodotta
dall’inserzione dall’esterno degli attori principali, provenienti in gran parte
dall’esilio nella vicina Svizzera, personalità d’alto profilo culturale e
morale. La popolazione fu chiamata a collaborare, ma senza che ci fosse il
tempo (e la capacità progettuale) di creare le strutture attraverso cui essa
potesse esprimere le proprie istanze. Sorsero sì i CLN, ma i loro componenti
furono per lo più indicati in base alla appartenenza ai partiti, senza che,
in molti casi,
questo dato fosse
basato su una verifica»[2].
Fra gli esponenti di spicco della giunta, Gisella Floreanini, la prima donna in
Italia a ricoprire una carica di governo (nel 1946 avrebbe fatto parte
dell’Assemblea Costituente) e l’avvocato socialista Ezio Vigorelli a cui fu
affidata la delicata amministrazione della giustizia. In questo particolare
incarico, il Vigorelli pose particolare attenzione alla tutela dei diritti
degli imputati, fascisti compresi. Molti progetti, tuttavia, restarono sulla
carta data la brevità dell’esperienza maturata nella zona liberata. Fra le
varie e molteplici esigenze della popolazione, le più urgenti erano
indubbiamente quelle relative all’approvvigionamento alimentare ed alla sanità.
«La prima responsabilità delle amministrazioni – civili o partigiane che siano – è il rifornimento di generi alimentari per le
popolazioni e le unità combattenti. Con l’Italia divisa in due, con strade e
linee ferroviarie costantemente bombardate, le normali vie di scambio sono
interrotte e i mercati totalmente disarticolati. Resistono solo i mercati locali,
alimentati dai contadini che ormai rifiutano di consegnare i loro prodotti
all’ammasso fascista, dove venivano pagati a un prezzo inferiore ai costi di produzione. Prima cura delle amministrazioni civili è
quella di fissare un prezzo ragionevole per il grano. Una seconda
preoccupazione comune a tutte le Zone Libere è la sanità pubblica: si tratta di
riattivare i servizi sanitari necessari sia per la popolazione che per i
partigiani feriti. Non è difficile farlo nelle grandi aree, dove si trovano
ospedali in grado di operare; è il caso di Domodossola»[3].
Pur fra tante difficoltà ripresero
i collegamenti ferroviari con la Svizzera, i servizi postali, telegrafici e
telefonici. Purtroppo, nonostante i migliori propositi e la ferma volontà della
giunta di portare avanti i tanti progetti, la scarsità di generi alimentari, che
affluivano solo dal vicino Canton Ticino, il mancato rifornimento di armamenti
e munizioni da parte degli Alleati, spianarono la strada ai tedeschi ed ai
fascisti per lanciare un’offensiva che avrebbe cancellato definitivamente la
repubblica partigiana.
Il 9 ottobre
1944, reparti della X Mas, della Muti,
battaglioni della Guardia Nazionale Repubblicana ed altre formazioni similari
furono lanciati all’attacco della zona libera dell’Ossola; «in tutto circa
3.600 uomini, come al solito scarsamente armati, contro 25.000 fascisti e
tedeschi dotati di artiglieria, carri e mortai in abbondanza e favoriti dalla
nebbia e dal maltempo. Il combattimento è impari, tanto più che viene a
mancare, benché più volte richiesto, l’aiuto aereo alleato»[4].
I
l comandante Alfredo Di Dio, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria, fu
tra i primi a cadere. I partigiani, isolati e senza alcuna possibilità di
rifornimenti, furono costretti dopo aspri combattimenti a cedere e ritirarsi. Migliaia
di civili, soprattutto donne e bambini, ripararono nella vicina Svizzera dove la
Croce Rossa aveva predisposto strutture di accoglienza. Il 14 ottobre, i primi
reparti fascisti rientrarono a Domodossola e decretarono definitivamente la
fine di quell'esperimento di democrazia che, seppur breve, lasciò degli
insegnamenti politici e sociali che sarebbero stati ripresi dall’Assemblea
Costituente nella stesura della nostra attuale Costituzione. L'esistenza della
libera repubblica dell'Ossola si concluse definitivamente il 23 ottobre.
Nel
1945 venne conferita alla Valle dell'Ossola la Medaglia d'Oro al Valor Militare
con
la seguente motivazione: "Mentre più spietata infieriva l’oppressione
germanica e fascista, con il valore e con il cruento sacrificio delle
formazioni Partigiane e con l'entusiastico concorso delle popolazioni,
insorgeva animosamente. Liberato il primo lembo di territorio alle frontiere,
costituitasi in libero reggimento di popolo, l'uno e l'altro difendeva contro
un nemico inferocito e preponderante per numero e per mezzi. Ravvivava così
negli Italiani la fede nell’avvento della democrazia e additava la via alla
insurrezione nazionale liberatrice".
Bibliografia
Augeri Nunzia, I cento e cento Fiori delle Giunte
repubblicane, da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale
Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014.
Battaglia
Roberto, Garritano Giuseppe, La
Resistenza italiana – Lineamenti di storia, Editori Riuniti, Roma, 1974.
Ganapini Luigi, Coscienza democratica: un valore aggiunto,
da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia,
numero speciale, 2014.
Spadolini Giovanni,
Prolusione Convegno Internazionale (Milano 7-8 settembre 1983), Otto settembre 1943 l’armistizio italiano 40
anni dopo, Ministero della Difesa-Comitato Storico «Forze Armate e Guerra
di Liberazione», Roma, 1985.
Sitografia
[1]
Giovanni Spadolini, Prolusione Convegno
Internazionale (Milano 7-8 settembre 1983) Otto settembre 1943 l’armistizio
italiano 40 anni dopo, Ministero della Difesa-Comitato Storico «Forze
Armate e Guerra di Liberazione», Roma, 1985.
[2]
Luigi Ganapini, Coscienza democratica: un
valore aggiunto, da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale
Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014, p. 11.
[3]
Nunzia Augeri, I cento e cento Fiori
delle Giunte repubblicane da periodico Patria Indipendente, Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014, pp. 15-16.
[4]
Roberto Battaglia, Giuseppe Garritano, La
Resistenza italiana – Lineamenti di storia, Editori Riuniti, Roma, 1974, p.
156.
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