Cerca nel blog

martedì 9 giugno 2020

La Libera Repubblica dell'Ossola

DIBATTITI


di Luca Bordini


L'armistizio dell’8 settembre 1943 segnava per l'Italia l’inizio di un periodo particolarmente drammatico. «Una tragedia, in particolare, delle forze armate: fuggiasco il re, al quale l’ordine del giorno Grandi nel Gran Consiglio aveva rivendicato la “suprema iniziativa di decisione” in materia di politica estera e di guerra; fuggiasco il suo governo; nessun piano operativo coordinato per far fronte alla prevedibile reazione germanica; cancellato all’ultima ora quello di un intervento aeronavale angloamericano»[1]. Otto mesi dopo, il 4 giugno 1944, gli americani entravano a Roma ed iniziavano una lenta ma inarrestabile risalita della penisola. Contemporaneamente, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che dirigeva la lotta politica e l’attività militare della Resistenza nelle regioni settentrionali, intensificava gli attacchi contro le forze nazifasciste con il duplice obiettivo di: liberare il territorio dai tedeschi ed al tempo stesso creare, nelle zone liberate, forme di governo indipendente. In piena Guerra di Liberazione, pertanto, nel cuore della Repubblica Sociale Italiana nacquero molte piccole repubbliche partigiane – che ebbero durata e incidenza molto diverse fra loro – ma una in particolare, quella dell’Ossola, si impose su tutte come laboratorio politico-sociale in cui fu sperimentata una forma di Stato democratico. In Piemonte, nella provincia del Verbano Cusio Ossola già provincia di Novara, a nord del Lago Maggiore laddove il territorio italiano si incunea in quello svizzero, nel 1944 fu realizzata la Repubblica dell’Ossola.
Questa si diede un governo, una capitale (Domodossola) ed un esercito; in sostanza si dotò di poteri autonomi riuscendo a resistere dal 10 settembre al 23 ottobre del 1944.
Nell’agosto 1944, infatti, le divisioni partigiane di ispirazione cattolico-liberale Valdossola, Piave, Valtoce e Beltrami, composte in prevalenza da militari delle disciolte forze armate e da giovani che non avevano aderito alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana, iniziarono una sistematica e risoluta attività militare contro le milizie fasciste e le unità tedesche. Detta attività portò, ad un anno dalla sigla dell'armistizio con gli anglo–americani, alla liberazione di tutta la Val d'Ossola e dei suoi abitanti ad eccezione di Domodossola. Il 9 settembre 1944 le divisioni partigiane Valdossola e Valtoce al comando, rispettivamente, del maggiore Dionigi Superti e del tenente Alfredo Di Dio, cinsero d’assedio la città in cui si erano rinchiuse le milizie fasciste insieme a qualche centinaio di soldati tedeschi. I due comandanti partigiani, al fine di evitare un inutile spargimento di sangue, soprattutto tra le famiglie al seguito dei fascisti, consentirono agli avversari, con un atto di rara umanità in quei drammatici momenti, di mettersi in salvo. Entrati in città, i partigiani costituirono una giunta comunale, trasformata subito dopo in Giunta Provvisoria di Governo della Zona liberata dell'Ossola, a capo della quale fu posto Ettore Tibaldi, un medico e professore di patologia che a causa della sua militanza socialista era stato costretto a riparare in Svizzera. Nel governo della repubblica partigiana erano rappresentati tutti i partiti antifascisti presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. «La Repubblica dell’Ossola è certamente la più nota e celebrata: in essa si dispiegò un’attività straordinaria di progettazione e di realizzazione in tutti i campi. Non solo si ebbe la consueta attività di governo delle risorse, ma si procedette alla creazione di una Giunta che investì con i suoi provvedimenti l’intero arco della vita civile e politica della Valle. Dalla giustizia alla scuola, all’organizzazione sindacale la costruzione del nuovo ordine fu condotta con ampiezza di vedute e capacità di interpretare nel miglior modo le necessità di rinnovamento della società italiana. Il limite di questa esperienza, riconosciuto fin dai primi studi, fu che essa venne prodotta dall’inserzione dall’esterno degli attori principali, provenienti in gran parte dall’esilio nella vicina Svizzera, personalità d’alto profilo culturale e morale. La popolazione fu chiamata a collaborare, ma senza che ci fosse il tempo (e la capacità progettuale) di creare le strutture attraverso cui essa potesse esprimere le proprie istanze. Sorsero sì i CLN, ma i loro componenti furono per lo più indicati in base alla appartenenza ai partiti, senza  che,  in  molti  casi,  questo  dato  fosse  basato  su una verifica»[2].


Fra gli esponenti di spicco della giunta, Gisella Floreanini, la prima donna in Italia a ricoprire una carica di governo (nel 1946 avrebbe fatto parte dell’Assemblea Costituente) e l’avvocato socialista Ezio Vigorelli a cui fu affidata la delicata amministrazione della giustizia. In questo particolare incarico, il Vigorelli pose particolare attenzione alla tutela dei diritti degli imputati, fascisti compresi. Molti progetti, tuttavia, restarono sulla carta data la brevità dell’esperienza maturata nella zona liberata. Fra le varie e molteplici esigenze della popolazione, le più urgenti erano indubbiamente quelle relative all’approvvigionamento alimentare ed alla sanità. «La prima responsabilità delle amministrazioni –  civili o partigiane che siano –  è il rifornimento di generi alimentari per le popolazioni e le unità combattenti. Con l’Italia divisa in due, con strade e linee ferroviarie costantemente bombardate, le normali vie di scambio sono interrotte e i mercati totalmente disarticolati. Resistono solo i mercati locali, alimentati dai contadini che ormai rifiutano di consegnare i loro prodotti all’ammasso fascista, dove venivano pagati a un prezzo inferiore ai costi di produzione.  Prima cura delle amministrazioni civili è quella di fissare un prezzo ragionevole per il grano. Una seconda preoccupazione comune a tutte le Zone Libere è la sanità pubblica: si tratta di riattivare i servizi sanitari necessari sia per la popolazione che per i partigiani feriti. Non è difficile farlo nelle grandi aree, dove si trovano ospedali in grado di operare; è il caso di Domodossola»[3].          

   Pur fra tante difficoltà ripresero i collegamenti ferroviari con la Svizzera, i servizi postali, telegrafici e telefonici. Purtroppo, nonostante i migliori propositi e la ferma volontà della giunta di portare avanti i tanti progetti, la scarsità di generi alimentari, che affluivano solo dal vicino Canton Ticino, il mancato rifornimento di armamenti e munizioni da parte degli Alleati, spianarono la strada ai tedeschi ed ai fascisti per lanciare un’offensiva che avrebbe cancellato definitivamente la repubblica partigiana.
Il 9 ottobre 1944, reparti della X Mas, della Muti, battaglioni della Guardia Nazionale Repubblicana ed altre formazioni similari furono lanciati all’attacco della zona libera dell’Ossola; «in tutto circa 3.600 uomini, come al solito scarsamente armati, contro 25.000 fascisti e tedeschi dotati di artiglieria, carri e mortai in abbondanza e favoriti dalla nebbia e dal maltempo. Il combattimento è impari, tanto più che viene a mancare, benché più volte richiesto, l’aiuto aereo alleato»[4]. I

l comandante Alfredo Di Dio, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria, fu tra i primi a cadere. I partigiani, isolati e senza alcuna possibilità di rifornimenti, furono costretti dopo aspri combattimenti a cedere e ritirarsi. Migliaia di civili, soprattutto donne e bambini, ripararono nella vicina Svizzera dove la Croce Rossa aveva predisposto strutture di accoglienza. Il 14 ottobre, i primi reparti fascisti rientrarono a Domodossola e decretarono definitivamente la fine di quell'esperimento di democrazia che, seppur breve, lasciò degli insegnamenti politici e sociali che sarebbero stati ripresi dall’Assemblea Costituente nella stesura della nostra attuale Costituzione. L'esistenza della libera repubblica dell'Ossola si concluse definitivamente il 23 ottobre. 
Nel 1945 venne conferita alla Valle dell'Ossola la Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: "Mentre più spietata infieriva l’oppressione germanica e fascista, con il valore e con il cruento sacrificio delle formazioni Partigiane e con l'entusiastico concorso delle popolazioni, insorgeva animosamente. Liberato il primo lembo di territorio alle frontiere, costituitasi in libero reggimento di popolo, l'uno e l'altro difendeva contro un nemico inferocito e preponderante per numero e per mezzi. Ravvivava così negli Italiani la fede nell’avvento della democrazia e additava la via alla insurrezione nazionale liberatrice".                  
           




Bibliografia

Augeri Nunzia, I cento e cento Fiori delle Giunte repubblicane, da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014.

Battaglia Roberto, Garritano Giuseppe, La Resistenza italiana – Lineamenti di storia, Editori Riuniti, Roma, 1974.

Ganapini Luigi, Coscienza democratica: un valore aggiunto, da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014.

Spadolini Giovanni, Prolusione Convegno Internazionale (Milano 7-8 settembre 1983), Otto settembre 1943 l’armistizio italiano 40 anni dopo, Ministero della Difesa-Comitato Storico «Forze Armate e Guerra di Liberazione», Roma, 1985.



Sitografia



[1] Giovanni Spadolini, Prolusione Convegno Internazionale (Milano 7-8 settembre 1983) Otto settembre 1943 l’armistizio italiano 40 anni dopo, Ministero della Difesa-Comitato Storico «Forze Armate e Guerra di Liberazione», Roma, 1985.
[2] Luigi Ganapini, Coscienza democratica: un valore aggiunto, da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014, p. 11.
[3] Nunzia Augeri, I cento e cento Fiori delle Giunte repubblicane da periodico Patria Indipendente, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, numero speciale, 2014, pp. 15-16.
[4] Roberto Battaglia, Giuseppe Garritano, La Resistenza italiana – Lineamenti di storia, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 156.


Nessun commento:

Posta un commento