SCENARI, REGIONI, QUADRANTI
Terrorismo:
Paesi del Sahel
di
Osvaldo Biribicchi
I
Paesi compresi in questa fascia sono: Mauritania, Mali, Burkina
Faso, Nigeria (la parte nord), Gambia, Guinea-Bissau, Niger, Senegal, Sudan, Ciad
e Eritrea.
Storicamente,
mi riferisco al periodo antecedente alla colonizzazione europea, nel Sahel esistevano
entità statuali molto importanti con un elevato livello di organizzazione
politica, economica, giuridica, accademica, militare, tecnica, scientifica, architettonica,
artigianale e medica[1]quali
l’Impero del Ghana, fra il IV e il XII secolo, che si estendeva su un
territorio comprendente parte dell’attuale Mauritania, Senegal e Mali. Intorno
all’VIII secolo si affacciarono nell’Africa saheliana i primi viaggiatori arabi
seguiti subito dopo dai commercianti attratti dallo splendore delle città che vi
sorgevano ma soprattutto dalle ricchezze, in particolare dall’oro. Alla caduta dell’Impero
del Ghana a causa di lotte interne tra i vari regni che lo costituivano si
affermò l’Impero del Mali con capitale Timbuctù dal XIII al XV secolo.
All’Impero del Mali fece seguito l’Impero Songhai, lungo il corso del
fiume Niger, che tra il XV ed il XVI secolo fu uno degli imperi più potenti
dell’Africa Occidentale. Più ad est, invece, sul Mar Rosso, si trovava il Regno
di Axum di cui si hanno testimonianze già a partire dal IV secolo a.C. e
comprendeva, intorno alla metà del terzo secolo d.C., i territori che oggi sono
dell’Etiopia, dell’Eritrea, di Gibuti, di una parte del Sudan, dell’Egitto
meridionale, della Somalia nonché, al di là del Mar Rosso, dello Yemen e
dell’Arabia Saudita.
Quelle
realtà statuali praticamente scomparirono con l’arrivo degli europei nel XVI
secolo.
Lo
scenario attuale dei Paesi saheliani è completamente capovolto, possiamo
affermare senza tema di essere smentiti che non c’è traccia del glorioso
passato dei popoli che vivono in questa regione dell’Africa. Non solo le popolazioni
saheliane hanno perso memoria del loro passato essendo impegnate nella quotidiana
lotta contro ogni sorta di avversità, ma sono tra le più povere del mondo nonostante,
paradossalmente, i territori in cui vivono siano ricchi di materie prime. È
sufficiente per rendersene conto consultare l’Indice di
Sviluppo Umano per Paese 2022, redatto annualmente dalle Nazioni Unite. Nelle
ultime dieci posizioni troviamo: Burkina Faso, Ciad, Mali e Niger (ultimo,
186°); poco sopra l’Eritrea al 179°, la Guinea-Bissau al 175° posto, il Gambia
171°, il Sudan 165°, il Senegal 163° e la Mauritania 158°. Una situazione,
dunque, disastrosa.
La
maggior parte dei Paesi del Sahel è afflitta da una preoccupante e perdurante instabilità
politica dovuta sostanzialmente a due fattori: uno di carattere naturale quale
la crescita demografica, i cambiamenti climatici, la lenta progressiva avanzata
del deserto del Sahara, con la conseguente scarsità di cibo e acqua, e da
ultimo anche la pandemia covid 19 che si aggiunge alle altre (febbre gialla, ebola,
morbillo, malaria, colera) che affliggono la regione; l’altro di carattere
strettamente umano ossia il terrorismo di matrice jihadista, i trafficanti di
essere umani ed il moltiplicarsi di bande criminali di vario genere. Infine,
l’aumento dei flussi migratori dovuti ad entrambi i fattori.
Il terrorismo, che è il tema di questa
breve relazione, è un male peggiore delle avversità naturali; è una pandemia
che provoca ogni anno decine di migliaia di morti, che provoca instabilità
politica, indebolisce le già fragili istituzioni governative, disorienta ed
ingenera paura tra i cittadini inducendoli ad abbandonare i propri villaggi le
proprie case, in ultima analisi impedisce ai governi di affrontare le vere ed
improcrastinabili sfide quali la realizzazione di efficienti sistemi sanitari
nazionali, il potenziamento dell’istruzione e della formazione professionale dei
propri giovani. Questa instabilità politica in una regione
ricchissima apre inevitabilmente le porte alla violenza di gruppi terroristici
e criminali. Tale violenza nel Sahel è cresciuta a partire dalla caduta nel
2011 del regime di Gheddafi allorché le milizie Tuareg, che avevano combattuto
a favore del leader libico, si sono riversate in massa nel nord del Mali
rompendo i già delicati equilibri etnici dell’area. La disintegrazione della
Libia, infatti, ha aggravato la situazione politica dei Paesi del Sahel aprendo
le porte a nuove e più temibili organizzazioni terroristiche, per lo più di
matrice jihadista, legate alla galassia di Al Qaeda e dell’Isis, ed a comuni
bande criminali. Questi gruppi armati si muovono con relativa disarmante
facilità negli ampi spazi sahelo-sahariani, in gran parte non controllati dai
Governi centrali, sequestrano cittadini stranieri, trafficano droga, armi,
esseri umani e oro da cui traggono i fondi per portare avanti i loro ricchi
traffici. L’oro, nell’ambito di queste attività criminose, ha assunto particolare
rilevanza e dato ulteriore linfa vitale alle formazioni terroristiche ed alle
bande criminali da quando nel 2012 è stato scoperto nel Sudan un importante
filone aurifero che attraversa tutto il Sahel. Nell’ultima decina d’anni, infatti,
nella striscia saheliana sono comparse le cosiddette miniere d’oro artigianali,
non controllate dagli apparati statali. Come efficacemente riporta Valeria
Cagnazzo, autore presso Pagine Esteri: Sudan,
Mali e Burkina Faso rientrano oggi tra i primi cinque produttori d’oro nel
continente africano. Le tonnellate di minerale estratte nei Paesi lungo questo
fiume hanno rimpiazzato in questi anni il cotone nel mercato delle
esportazioni. Il boom dell’oro, tuttavia, ha
attirato soprattutto le mire di gruppi parastatali. Almeno un terzo
dell’oro della zona saheliana, infatti, è estratto in maniera “artigianale” e
“informale”, ovvero da gruppi non statali, rappresentati da privati o da
organizzazioni illegali, spesso armate, che controllano le miniere, i
lavoratori che scavano nelle viscere del terreno e spesso anche le intere aree
abitate intorno alle riserve. […] La gestione delle
miniere d’oro da parte di attori non statali, inoltre, può avere un potere
distruttivo sui governi dei Paesi coinvolti o, in altri casi, rafforzarne i
regimi. In pieno stile neoliberista, infatti, in molte zone del Sahel le
estrazioni sono affidate a imprese private legate al governo: in cambio di una
completa autonomia, i proprietari dei giacimenti garantiscono un prezioso
supporto all’élite della capitale e la sicurezza della regione mediante un
proprio corpo armato. In altre aree, al contrario, in cui delle riserve d’oro
si sono appropriati gruppi di opposizione, l’estrazione “artigianale” assume un
potenziale deflagrante nei confronti dei fragili equilibri politici regionali.
La completa deregolamentazione della corsa all’oro, soprattutto laddove lo
Stato è assente, comporta la crescita del banditismo. I gruppi terroristici si
moltiplicano anche grazie a questa risorsa e il fiume dell’oro diventa lo
scenario di scontri armati per il controllo del sottosuolo.
L’estrazione del metallo prezioso al di
fuori del controllo statale ha contribuito a destabilizzare ulteriormente
l’assetto politico (tra il 2021 e l’inizio del 2022 si sono registrati cinque
colpi di Stato militari rispettivamente in: Ciad, Guinea, Mali, Sudan, Burkina
Faso) e sociale dell’area portando non solo nuova violenza ma anche lo
sfruttamento della mano d’opera locale composta soprattutto da minori. Parlare
di terrorismo non può prescindere da alcune doverose riflessioni: come è possibile
che degli Stati sovrani, con tutto il peso della propria organizzazione militare,
non riescano a controllare queste miniere d’oro, seppur situate in aree
periferiche e disagiate, mentre gruppi paramilitari che certamente non hanno (o
almeno non dovrebbero avere) alle spalle il supporto logistico delle forze
governative riescano con tanta facilità a controllare, gestire e commerciare
l’oro estratto da queste miniere informali. Un approfondimento a parte meriterebbe
quest’ultimo aspetto, ovvero chi compra questo materiale prezioso e attraverso
quali canali. Come è possibile che governi poveri (vedi l’Indice di Sviluppo
Umano) si lascino sfuggire una tale ricchezza. Orbene, in questo quadro saheliano si
inseriscono ed operano attivamente decine di organizzazioni criminali e
numerose formazioni terroristiche[2] (vedi allegato) che oltre
a contendersi il territorio tra loro attaccano indiscriminatamente i villaggi
provocando la fuga degli abitanti che cercano sicurezza nelle città meglio
difese. Normalmente, i media si concentrano e riportano solo gli atti di
terrorismo portati a termine da queste formazioni, episodi vili ed odiosi ma
che rappresentano solo l’atto finale eclatante di una attività che parte da
lontano. Queste azioni non potrebbero essere assolutamente realizzate, come sanno
bene i militari di qualsiasi esercito al mondo, senza una adeguata ed efficiente
organizzazione logistica che assicuri ai guerriglieri combattenti un costante
rifornimento di armi, munizioni, vettovaglie, carburante, pezzi di ricambio in
sintesi tutto ciò che occorre per il mantenimento di mezzi ed equipaggiamenti. Per
sconfiggere questi gruppi terroristici che agiscono di sorpresa, e pertanto
difficilmente fronteggiabili, sarebbe necessario colpire i loro “santuari”,
ovvero le loro basi, le loro linee di rifornimento.
È di tutta evidenza che il terrorismo nel
Sahel non si può vincere solo con l’impiego dello strumento militare, sono
necessari interventi coordinati di carattere politico-sociale; prioritariamente
dovranno essere creati posti di lavoro per i giovani i quali, diversamente,
andranno ad alimentare i ranghi delle formazioni terroristiche e criminali o,
in alternativa, i flussi migratori verso l’Europa e verso i vicini Paesi confinanti.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in una intervista
alla France Press, il 10 settembre 2021, commentando il ritorno al potere dei
Talebani in Afghanistan ha detto di «temere che l’esempio afghano possa
suscitare emulazione tra i jihadisti del Sahel, la
fascia di territorio dell’Africa subsahariana, dove sono attivi molti gruppi
terroristici. “È un pericolo reale”, ha precisato. Con la presa del potere da
parte dei talebani, ha concluso Guterres, “i gruppi terroristi nel Sahel possono
sentirsi euforizzati e nutrire ambizioni al di là di quanto pensavano qualche
mese fa”». Ci auguriamo solo che le parole del segretario generale delle
Nazioni Unite rimangano nel campo delle ipotesi.
1)
Formazioni terroristiche legate a
dinamiche etniche locali e di matrice jihadista nel territorio maliano
2)
Formazioni terroristiche d’area nel
Burkina Faso
3)
Front pour l’alternance et la concorde au
Tchad-FACT
4)
Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei Musulmani-JNIM
5)
Islamic State in the Greater Sahara-ISGS
6)
Islamic State in the Western Africa
Province-ISWAP
7)
Boko Haram
8)
Milizie di autodifesa locali nel Niger
9)
Ribelli di Tigray People Liberation
Front-TPLF
10)
Oromo Liberation Front-OLA, alias Shone
Group
11)
Al Shabaab-AS, collegata ad al Qaida.
Fonte: Relazione annuale sulla
Politica dell’informazione per la Sicurezza 2021.
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