APPROFONDIMENTI
NOTE E DISCUSSIONI
Massimo Baldoni
Lo sterminio degli ebrei, e con essi degli
omosessuali, dei rom e di altre categorie sociali, rimane une dei grandi buchi
neri nella storia del secolo scorso e della nostra civiltà. La domanda che ci
si pone, prendendo conoscenza della entità dello sterminio, dei modi e del
corollario di efferatezze, violenze gestite tutte con fredda scientificità e
lucidità, è: “ come è stato possibile?”.
Fenomeni di antisemitismo ve ne sono stati
nei secoli passati; reazioni violente contro i “diversi” sono presenti della
storia non recente, ma mai hanno assunto sistematicità e violenza come nel
periodo 1933-1945 in
Germania e paesi da essa occupati.
La risposta che viene data,
in sistema con forme di negazionismo più o meno velato, più o meno
giustificativo, è la classica risposta
che vuole essere definitiva ma che in realtà
è una “non-risposta”: è tutta colpa di un folle e della elite che lui ha
costruito intorno alla sua ideologia.
Una “non risposta” che nel nostro caso si
traduce nella asserzione che lo sterminio degli ebrei e delle altre categorie
di persone sia dovuta ad Adolf Hitler, ai suoi gerarchi ed al nazismo. Quindi
con la caduta del nazismo, simili efferatezze non si avranno più.
È
indubbio che costoro, “i pazzi” hanno una
parte e colpa di quanto è successo, ma accanto a loro devono essere
messi tanti personaggi, spesso al di sopra di ogni sospetto, che coinvolgono
strutture statali, scientifiche, sociali, sportive, accademiche e, senza voler
mancare del dovuto rispetto, ecclesiali. Ovvero, ancorché i “pazzi” sono stati
sconfitti e resi innocui, esiste la certezza, non il timore, che tutto quanto è
accaduto possa riaccadere.
In questa
nota, ancorché succintamente, vogliamo accennare a quel percorso che, in nome
di una cultura e di un retaggio storico si è arrivati a sterminare esseri umani
considerati “non esseri umani” ma alla pari di elementi nocivi infettanti e
pericolosi per la nostra salute fisica e mentale e quindi uccisi su scala
industriale.
Un
bambino non voluto
Nel 1938 nella famiglia Knauer nacque un
bambino gravemente deforme e handicappato. Gli mancava una gamba ed un braccio,
sembrava cieco,soffriva di convulsioni e fu diagnosticato “idiota” dal medico
di turno.[1] Dopo aver affidato il bambino alla clinica
pediatrica dell’università di Lipsia, il padre chiese al dott. Werner Katel,
direttore della clinica di ucciderlo. Questi si rifiutò ed il padre si appellò
direttamente a Hitler.[2] Dopo un breve approfondimento del caso,
descritto in nota, il bambino fu ucciso.
Senza che c’entrasse in alcun modo la
ideologia nazista che qui è succedane adella cultura tedesca in genere, questo
episodio mise in moto il programma di eutanasia[3], autorizzato per iscritto da Hitler
nell’ottobre 1939, ma retrodatato i 1 settembre 1939, data dello scoppio della
Seconda Guerra Mondiale. Come si vede, attenzione massima per la forma, nulla
per la vita di un bambino. Hitler autorizzò l’uccisione di persone (tedesche)
non conformi alle norme razziali tedesche;
Da
notare che il documento firmato da Hitler non aveva il carisma di legge, ma
nessun medico tedesco coinvolto lo mise mai in discussione o lo contestò
apertamente. Da qui l’assunto che i medici tedeschi, tutti i medici tedeschi,
potevano scegliere chi far vivere o morire, a loro arbitrio; quindi accanto al
“pazzo” Hitler dobbiamo mettere questa categoria, i medici tedeschi che
svolsero un ruolo di grande rilievo nello sterminio degli ebrei. Il sogno di
costoro era di purificare da ogni imperfezione ( definita da loro) il
patrimonio genetico tedesco.
Non vi è lo spazio per descrivere come si
ramificò l’organica della attuazione del programma di eutanasia. Si può dire
qui che la prima fase del programma di eutanasia prevedeva la eliminazione dei
bambini, molti dei quali, con gli standard odierni, avrebbero condotto una vita
normale: epilettici, ciechi, sordi,alcoolisti cronici ereditari, handicappati gravi, chiunque non rispondesse
ai canoni biomedici tedeschi. Dall’eutanasia dei bambini si passò a quella
degli adulti; alle categorie sopra descritte, si aggiunsero, coloro affetti da
sindrome depressivo-maniacale e simili.
Ma il passaggio dai bambini agli adulti
comportò un problema, il procedimento di eliminazione doveva essere adattato,
adottandone uno più efficiente che la semplice iniezione letale. Il dottor
Brand rammentò che una volta aveva perso i sensi respirando i fumi di una stufa
ma funzionante: proprio da questo ricordo nacque l’idea di usare le camere a
gas fisse per il programma di eutanasia per adulti. Furono individuati in
Germania e in Austria dei siti idonei per il programma di eutanasia, in massima
parte accanto ad ospedali e cliniche. Questi siti si trovavano a Limburg, Bernburg
sulla Saale, Grafeneck, nei pressi di Stoccarda, Sonnenstein, vinco a Prina, e
Hartheim, vicino a Linz.
Interessante conoscere come nacque la prima camera a gas. In un
carcere riconvertito ad ospedale a Brandebirg sulla Havel, si costrui’ una
camera a gas che sembrava una comune doccia. I responsabili del programma di
eutanasia si riunirono per vedere se le lro teorie erano giuste e potevano
avere un risvolto pratico. In questa riunione erano presenti P. Bouhler. K.
Brandt, L. Conti, H.Linden, tutti i medici interessati al programma i chimici
dell’Istituto che forniva il veleno, e
un certo C. Wirth, della polizia di Stoccarda, che sarà un dei più brutali
preparatori dell’Olocausto. La dimostrazione si svolse secondo il programma:
prima si uccisero alcuni pazienti con una iniezione letale; poi venne il pezzo
forte. Le vittime, nude, furono portate nella falsa doccia con l’assicurazione
che avrebbero fatto una semplice doccia. Anziché acqua fu pompato monossido di
carbonio. Il direttore della struttura fu assai compiaciuto dal successo della
sua dimostrazione, come lo furono tutti i presenti. La camera a gas di
Brandenburg fu il prototipo di tutte le altre camere a gas fisse. Rimaneva però
il problema dello smaltimento dei cadaveri. Dopo aver profanato i cadaveri che
avevano una qualche utilità commerciale ( denti d’oro o altro) venivano posti
su una lastra di metallo che veniva infilata in un forno crematorio per essere
ridotti in cenere. Chiunque faceva parte di questo programma era convinto che
la massificazione era il modo più rapido e umano per liberare i pazienti dai
loro mali e sofferenze.
Come tutte le scelleratezze umane, oltre ad un manto di legalità e
perbenismo, dovevano queste uccisioni rimanere segrete. Fu istituito un sistema
burocratico “alla tedesca”, estremamente efficiente che produceva cartelle
cliniche false, certificati di morte fraudolenti, e false lettere ai parenti
delle vittime, tutto con lo scopo di nascondere che cosa si stava facendo.
Queste bande di medici assassini erano così orgogliosi del loro lavoro che al
centro di Hadamar, il più efficiente, la Direzione organizzò una cerimonia
speciale per il raggiungimento della decimillesima vittima. Quando il cadavere
del n. 10.000 si trovò sulla lastra di metallo pronto a essere infilato nel
forno crematorio, circondato dai fiori, il Direttore e sovrintendete del centro
tenne un discorso e premiò i suoi collaboratori con birra a volontà.
Il programma di eutanasia andò avanti, anche se Hitler formalmente
volle nel 1941 fermarlo. Ma nonostante
questo si continuò ad uccidere, essendo diventato ormai pratica comune. Si
calcla che furono uccise 70723 persone. L’ultima vittima del programma di
eutanasia fu un bambini di quattro annidi nome Richard Jemme, ucciso a
Kaufbeuren il 29 maggio 1945
Un modello da imitare
Secondo le tesi negazioniste, aver ucciso “solo”70723 persone non è poi un
gran male, nel quadro degli stermini di massa del novecento. A parte la
aberrazione di questo assunto, occorre rilevare che il danno fatto dal
programma di eutanasia è molto più vasto: servì da modello e scuola per
l’Olocausto.
Il programma fu n terreno di addestramento e un modello da imitare
e lo si può sintetizzare in quattro punto:
1: Una ideologia razziale psudoscientifica che giustifica
l’uccisione equiparandola ad una cura
2. La camera a gas come metodo di uccisione “più umano”
3. I centro di uccisione del programma di eutanasia come scuole di
addestramento per il genocidio
5. Approfondimento della natura dei killer
Con riferimento al primo punto, il programma di eutanasia
rappresenta la realizzazione dei più profondi desideri dello Stato razzista e
dei suoi sostenitori. Vi era il desiderio nazista, e dal 1938, fascista ( anche
se da noi grazie alla cialtroneria congenita dei fascisti, per dirla alla Montanelli,
grazie a Dio non progredì oltre) di avere un patrimonio genetico puro,
immacolato e perfetto. Da qui il ruolo
del medico, che tradizionalmente si prende cura del paziente e lo guarisce, ma
che per i nazisti invece deve essere ribaltato. I medici e il personale
sanitario hanno il dovere di diventare “dei soldati biologici” e quindi
uccidere tutti quegli esseri umani non geneticamente puri, ovvero eliminare quelle vite che, per i
nazisti, non erano considerate degne di essere vissute.[4]
Con riferimento al secondo punto, il programma di eutanasia diede
un contributo straordinario al genocidio con l’invenzione delle camere a gas.[5] I centri di Limburg, Bernburg, Grafeneck,
Sonnenstein, e Hartheim, furono dei modelli per i campi di sterminio usati per
L’olocausto. Nulla fu improvvisato. Inoltre servirono da modelli per lo
smaltimento dei cadaveri. L’efficienza di questi centri convinsero Hitler ed
Himmler che le uccisioni di massa erano tecnicamente possibili e potevano
essere replicate su scala più grande ad est, lontani dagli occhi e dalle menti
tedesche.
Con riferimento al terzo punto, i centri di uccisione del programma
di eutanasia servirono da scuole di addestramento per tutti gli operatori del
genocidio. La stragrande maggioranza del personale che operò nei predetti
centri furono trasferito nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka[6] Qui si può fare l’elenco dei personaggi
che prima operanti nei centri di eutanasia poi protagonisti nei campi di
stermini; una lista lunga di cui mi fo grazia nella estenderla. Basta
citare Cristina Wirth che attuò le prime
massificazioni a Chelmo e poi operò su vasta scala, e il suo collega Franz
Stangl, sovrintendente del centro di Hartheim. Le carriere furono assicurate ai
partecipanti del programma di eutanasia: due cuochi del programma T4 Gustav
Munzberger e Kurt Franz furono i protsgnistia
Treblinka con il Franz che fu l’ultimo comandante.
Con riferimento al quarto punto, occorre una volta per tutte
sfatare che tutto questo fu commesso in nome “gli oridni vanno eseguiti”. La
natura di questi killer, come dimostra il programma di eutanasia, va ben oltre
l’asserzione di cui sorpa. La esecuzione di ordini è uno dei motivi ma non il
principali e nella lista è posto molto in basso del motivo per cui si uccidevano
vittime innocenti, siano essi bambini, adulti, ebrei, rom, omossessuali,
politici, ecc. Questi killer le uccisero per una serie di ragioni che possiamo
individuare nella ideologia, nel carrierismo,nel profitto personale, nel
piacere del dominio, nella mancanza di valori morali, nei valori etici e
civili, nel puro sadismo. E nonostante questo elenco ci si accorge che manca un
elemento. E questo può essere colto soltanto entrando nel mondo da incubo di
questi assassini di massa. Questo killer sono stati inseriti in un processo di brutalizzazione
crescente, sanzionato, rafforzato sanzionato dalla autorità finche tutti furono avviluppati in una
cultura di brutalità senza fine.
La strada che si sarebbe
intrapresa ad Auschwitz può essere intuita studiando la quotidianità del
programma di eutanasia e la crescente brutalità dei suoi partecipanti in un
vero e proprio addestramento per i compiti ancora più ardui che li aspettavano.
In una fabbrica di morti che produce solo cadaveri si fa presto a
perdere ogni sensibilità. Da questo assunto si comprende come discende e a che
cosa si possono riferire tutte le violenze e le brutalizazzioni soprattutto sul
fronte orientale che i tedeschi commisero nel corso della guerra, spesso con
criteri che andavano anche contro i loro interessi, che rappresenta uno dei
macigni che pesa sulla coscienza do ogni tedesco.
La domanda che ci siano posti all’inizio, riguardo all’olocausto,
“perché è successo tutto questo”, dopo quanto scritto sopra ha una risposta più
semplice.[7] In nota indichiamo come ci si può
documentare in maniera esauriente per comprendere meglio quanto accaduto. Il
regime del genocidio quale è stato quello nazista, e sostenuto dal regime
fascista, è tale non per incidenti di percorso, ma per un preciso e voluto portato
culturale. Se questo portato persiste ancora oggi nella nostra società, il
problema non è documentare il passato, che è già stato documentato (vedi nota
7), ma come affrontare il presente ed il futuro. Quanto dobbiamo aspettare per
avere una cerimonia come quella di Hadanar, con il direttore che festeggia con
tutto il personale della clinica, fra fiori, pasticcini e birra, il decillesimo
cadavere del “diverso” cremato?. Sebrenica, e le altre stragi o olocausti
contemporanei, stanno a dimostrare che la cultura della morte, del genocidio è
in essere e che l’industria che ne discende è attiva è funzionante sostenuta da
forme di negazionismo sempre più agguerrite.[8] Una azione di contrasto di questa tendenza
si impone, per non correre il rischio di essere come i tedeschi d’anteguerra
che vedevano senza guardare, assistevano senza agire, nella convinzione che il problema non era il
loro. Davanti alla cultura della morte, del genocidio ognuno di noi è sulla
lista: prima o poi il nostro turno sulla lastra d’acciaio arriva, come è
successo a tanti tedeschi di cui Richard Jemme, ucciso il 29 maggio 1945, può
essere considerato il simbolo:
[1] Friedlander H., The origins of
Nazi genocide: from euthanasia to the final solution, Chappel Hill, University of North Carolina Press , 1995.
[2] Si
legge nel volume di Kluas. P- Fischer, Storia dell’Olocausto. Dalle Origini
della giudeofobia tedesca alla soluzione finale nazista, Roma.
Newton & Compton Editori, 2000.da cui abbiamo tratto questa nota (vds anche
nota 8 per ulteriori considerazioni) “Tutte
le istanze di questo genere passavano in genere attraverso la cancelleria
privata del Fuhrer, la Kanzlei des Fuhrers, o KDF, diretta da Philipp Bouhler,
che riferì a Hitler sulla posizione di Knauer. Hitler ordinò allora ad uno dei
suoi medici personali il dottor Karl Brandt di raccoglie e informazioni sul
caso. A Brandt fu detto che se la diagnosi sul bambino era corretta, sarebbe
stato opportuno sottoporlo ad eutanasia. Brand si consultò con il dottor Catel,
il quale confermò la diagnosi e raccomandò la morte.” Inutile dire che i personaggi citati saranno
gli artefici e i protagonisti del programma di eutanasia, che verrà chiamato
dal nome della via della sede di Berlino T4
[3]
Siccome questo argomento è costantemente oggetto di negazionismo, è bene citare
lavori esaurienti in merito: Burleigh M., Death and Deliverance: Eutanasia
in Germany 1914-1945, Cambridge, England Cambridge Universty press, 1944;
Klee E., Eutanasie in NS-Sraat:die vernichtung lebensunwerten lebens, Frankfurt,
Fischer, 1983; Nowak K., Eutanasie und sterilisierung im dritten Reich, Weimar,
Hermann Bablaus, 1980; Schmuthl H-S, Rassenhygiene, Nationalsozualismus: von
der verhutung lebensunwetzen lebens 1890-1943, Gottingen , Vandenhoeck
&Ruprecht, 1987.
[4] Espressione di queste
teorie era il celebre biologo austriaco Konrad Lorenze, osannato nel periodo
prebellico e venerato dalla comunità scientifica germanica.
[5] Fino alla conferenze di
Wansee del 20 gennaio 1941, i Tedeschi perpetravo i massacri con metodo tanto
brutali quanto “artigianali” come le fucilazioni di massa. Questo, oltre a
comportare un notevole dispendio di munizioni, faceva si che qualche vittima in
un modo o nell’altro risucisse a sopravviere e diventare un pericoloso
testimone. Inoltre questi sistemi incidevano negativamente sul morale del
soldato tedesco che in molti casi prendeva coscienza che era un semplice
assassino. Tutte queste difficoltà furono appianate dalla introduzione delle
camere a gas.
[6] Più volte si è scritto che
esiste una profonda differenza tra campo di concentramento e campo di
sterminio: nel primo le condizioni di vita erao orrende ma si aveva la
possibilità teorica di sopravvivere, come infatti avvenne al momento della
liberazione; nel campo di sterminio
queste possibilità erano nulle. Chi arrivava veniva o ucciso subito oppure
fatto sopravvivere per le esigenze funzionali
del campo per non più di uno o due mesi. Come nei centri di eutanasia,
non vi era alcuna possibilità di sopravviveza. I campi di stermini, a fronte
degli oltre 10.000 campi di concentramento, erano solo sei oltre ai tre sopra
citati vi erano Auswhitz, con l’annesso campo di Birkneau , o Auswhitz II,
Chelmo e Metejur.
[7] Non
senza una qualche pena e disagio si è scritto questo articolo, consegnato come
al solito in ritardo a Patria. Quando si definisce il nazismo il regime del
genocidio spesso si è richiamati ad usare espressioni più consone, sopratutto
se si parla del fascismo suo alleato. Ma quanto è stato scritto è solo una
parte di quello che si dovrebbe sapere. Per questo indico la fonte da cui
quanto esposto è stato tratto. Kluas. P-
Fischer, Storia dell’Olocausto. Dalle Origini della giudeofobia
tedesca alla soluzione finale nazista, Roma. Newton & Compton Editori,
2000. Sopratutto il capitolo 8 “Prologo all’olocausto: dall’eutanasia alla
pulizia etnica”, pag. 329 e seg. Da questo capitolo ho tratto interi passi,
proprio nello scopo di invogliare il lettore di questa nota a procurarsi il
libro citato. L’autore, più di me,
dimostra come la tragedia dell’Olocausto è un risultato di una cultura, di
idee, di scelte, non di una attività di un “pazzo”, rimosso il quale tutto
ritorna come prima.
[8] Per
la negazione dello sterminio vds. Stern K, Holocaust denial, New York ,
American Jewish Committee, 1993; Lipstadt D., Denying the Holocaust:
the Growing assault in thurth and memory, Butz A.R., The Hoax of the
Twentieh Century, Torrance
California , Institute for
Historical Review, 1976. Staglich
W., Der Auschwitz-Mythos, Tubingen, Grabert, 1979.
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