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mercoledì 4 gennaio 2017

In memoria di Richard Jemme.

APPROFONDIMENTI

 NOTE E DISCUSSIONI

 Massimo Baldoni

Lo sterminio degli ebrei, e con essi degli omosessuali, dei rom e di altre categorie sociali, rimane une dei grandi buchi neri nella storia del secolo scorso e della nostra civiltà. La domanda che ci si pone, prendendo conoscenza della entità dello sterminio, dei modi e del corollario di efferatezze, violenze gestite tutte con fredda scientificità e lucidità,  è: “ come è stato possibile?”.
Fenomeni di antisemitismo ve ne sono stati nei secoli passati; reazioni violente contro i “diversi” sono presenti della storia non recente, ma mai hanno assunto sistematicità e violenza come nel periodo 1933-1945 in Germania e paesi da essa occupati.
 La risposta che viene data, in sistema con forme di negazionismo più o meno velato, più o meno giustificativo,  è la classica risposta che vuole essere definitiva ma che in realtà  è una “non-risposta”: è tutta colpa di un folle e della elite che lui ha costruito intorno alla sua ideologia.
Una “non risposta” che nel nostro caso si traduce nella asserzione che lo sterminio degli ebrei e delle altre categorie di persone sia dovuta ad Adolf Hitler, ai suoi gerarchi ed al nazismo. Quindi con la caduta del nazismo, simili efferatezze non si avranno più.
 È indubbio che costoro, “i pazzi” hanno una  parte e colpa di quanto è successo, ma accanto a loro devono essere messi tanti personaggi, spesso al di sopra di ogni sospetto, che coinvolgono strutture statali, scientifiche, sociali, sportive, accademiche e, senza voler mancare del dovuto rispetto, ecclesiali. Ovvero, ancorché i “pazzi” sono stati sconfitti e resi innocui, esiste la certezza, non il timore, che tutto quanto è accaduto possa riaccadere.
 In questa nota, ancorché succintamente, vogliamo accennare a quel percorso che, in nome di una cultura e di un retaggio storico si è arrivati a sterminare esseri umani considerati “non esseri umani” ma alla pari di elementi nocivi infettanti e pericolosi per la nostra salute fisica e mentale e quindi uccisi su scala industriale.

Un bambino non voluto

Nel 1938 nella famiglia Knauer nacque un bambino gravemente deforme e handicappato. Gli mancava una gamba ed un braccio, sembrava cieco,soffriva di convulsioni e fu diagnosticato “idiota” dal medico di turno.[1] Dopo aver affidato il bambino alla clinica pediatrica dell’università di Lipsia, il padre chiese al dott. Werner Katel, direttore della clinica di ucciderlo. Questi si rifiutò ed il padre si appellò direttamente a Hitler.[2] Dopo un breve approfondimento del caso, descritto in nota, il bambino fu ucciso.
Senza che c’entrasse in alcun modo la ideologia nazista che qui è succedane adella cultura tedesca in genere, questo episodio mise in moto il programma di eutanasia[3], autorizzato per iscritto da Hitler nell’ottobre 1939, ma retrodatato i 1 settembre 1939, data dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Come si vede, attenzione massima per la forma, nulla per la vita di un bambino. Hitler autorizzò l’uccisione di persone (tedesche) non conformi alle norme razziali tedesche;
 Da notare che il documento firmato da Hitler non aveva il carisma di legge, ma nessun medico tedesco coinvolto lo mise mai in discussione o lo contestò apertamente. Da qui l’assunto che i medici tedeschi, tutti i medici tedeschi, potevano scegliere chi far vivere o morire, a loro arbitrio; quindi accanto al “pazzo” Hitler dobbiamo mettere questa categoria, i medici tedeschi che svolsero un ruolo di grande rilievo nello sterminio degli ebrei. Il sogno di costoro era di purificare da ogni imperfezione ( definita da loro) il patrimonio genetico tedesco.
Non vi è lo spazio per descrivere come si ramificò l’organica della attuazione del programma di eutanasia. Si può dire qui che la prima fase del programma di eutanasia prevedeva la eliminazione dei bambini, molti dei quali, con gli standard odierni, avrebbero condotto una vita normale: epilettici, ciechi, sordi,alcoolisti cronici ereditari,  handicappati gravi, chiunque non rispondesse ai canoni biomedici tedeschi. Dall’eutanasia dei bambini si passò a quella degli adulti; alle categorie sopra descritte, si aggiunsero, coloro affetti da sindrome depressivo-maniacale e simili.
Ma il passaggio dai bambini agli adulti comportò un problema, il procedimento di eliminazione doveva essere adattato, adottandone uno più efficiente che la semplice iniezione letale. Il dottor Brand rammentò che una volta aveva perso i sensi respirando i fumi di una stufa ma funzionante: proprio da questo ricordo nacque l’idea di usare le camere a gas fisse per il programma di eutanasia per adulti. Furono individuati in Germania e in Austria dei siti idonei per il programma di eutanasia, in massima parte accanto ad ospedali e cliniche. Questi siti si trovavano a Limburg, Bernburg sulla Saale, Grafeneck, nei pressi di Stoccarda, Sonnenstein, vinco a Prina, e Hartheim, vicino a Linz.
Interessante conoscere come nacque la prima camera a gas. In un carcere riconvertito ad ospedale a Brandebirg sulla Havel, si costrui’ una camera a gas che sembrava una comune doccia. I responsabili del programma di eutanasia si riunirono per vedere se le lro teorie erano giuste e potevano avere un risvolto pratico. In questa riunione erano presenti P. Bouhler. K. Brandt, L. Conti, H.Linden, tutti i medici interessati al programma i chimici dell’Istituto che forniva il veleno,  e un certo C. Wirth, della polizia di Stoccarda, che sarà un dei più brutali preparatori dell’Olocausto. La dimostrazione si svolse secondo il programma: prima si uccisero alcuni pazienti con una iniezione letale; poi venne il pezzo forte. Le vittime, nude, furono portate nella falsa doccia con l’assicurazione che avrebbero fatto una semplice doccia. Anziché acqua fu pompato monossido di carbonio. Il direttore della struttura fu assai compiaciuto dal successo della sua dimostrazione, come lo furono tutti i presenti. La camera a gas di Brandenburg fu il prototipo di tutte le altre camere a gas fisse. Rimaneva però il problema dello smaltimento dei cadaveri. Dopo aver profanato i cadaveri che avevano una qualche utilità commerciale ( denti d’oro o altro) venivano posti su una lastra di metallo che veniva infilata in un forno crematorio per essere ridotti in cenere. Chiunque faceva parte di questo programma era convinto che la massificazione era il modo più rapido e umano per liberare i pazienti dai loro mali e sofferenze.
Come tutte le scelleratezze umane, oltre ad un manto di legalità e perbenismo, dovevano queste uccisioni rimanere segrete. Fu istituito un sistema burocratico “alla tedesca”, estremamente efficiente che produceva cartelle cliniche false, certificati di morte fraudolenti, e false lettere ai parenti delle vittime, tutto con lo scopo di nascondere che cosa si stava facendo. Queste bande di medici assassini erano così orgogliosi del loro lavoro che al centro di Hadamar, il più efficiente, la Direzione organizzò una cerimonia speciale per il raggiungimento della decimillesima vittima. Quando il cadavere del n. 10.000 si trovò sulla lastra di metallo pronto a essere infilato nel forno crematorio, circondato dai fiori, il Direttore e sovrintendete del centro tenne un discorso e premiò i suoi collaboratori con birra a volontà.
Il programma di eutanasia andò avanti, anche se Hitler formalmente volle  nel 1941 fermarlo. Ma nonostante questo si continuò ad uccidere, essendo diventato ormai pratica comune. Si calcla che furono uccise 70723 persone. L’ultima vittima del programma di eutanasia fu un bambini di quattro annidi nome Richard Jemme, ucciso a Kaufbeuren il 29 maggio 1945

Un modello da imitare
 Secondo le tesi negazioniste,  aver ucciso “solo”70723 persone non è poi un gran male, nel quadro degli stermini di massa del novecento. A parte la aberrazione di questo assunto, occorre rilevare che il danno fatto dal programma di eutanasia è molto più vasto: servì da modello e scuola per l’Olocausto.
Il programma fu n terreno di addestramento e un modello da imitare e lo si può sintetizzare in quattro punto:
1: Una ideologia razziale psudoscientifica che giustifica l’uccisione equiparandola ad una cura
2. La camera a gas come metodo di uccisione “più umano”
3. I centro di uccisione del programma di eutanasia come scuole di addestramento per il genocidio
5. Approfondimento della natura dei killer

Con riferimento al primo punto, il programma di eutanasia rappresenta la realizzazione dei più profondi desideri dello Stato razzista e dei suoi sostenitori. Vi era il desiderio nazista, e dal 1938, fascista ( anche se da noi grazie alla cialtroneria congenita dei fascisti, per dirla alla Montanelli, grazie a Dio non progredì oltre) di avere un patrimonio genetico puro, immacolato e perfetto.  Da qui il ruolo del medico, che tradizionalmente si prende cura del paziente e lo guarisce, ma che per i nazisti invece deve essere ribaltato. I medici e il personale sanitario hanno il dovere di diventare “dei soldati biologici” e quindi uccidere tutti quegli esseri umani non geneticamente  puri, ovvero eliminare quelle vite che, per i nazisti, non erano considerate degne di essere vissute.[4]

Con riferimento al secondo punto, il programma di eutanasia diede un contributo straordinario al genocidio con l’invenzione delle camere a gas.[5] I centri di Limburg, Bernburg, Grafeneck, Sonnenstein, e Hartheim, furono dei modelli per i campi di sterminio usati per L’olocausto. Nulla fu improvvisato. Inoltre servirono da modelli per lo smaltimento dei cadaveri. L’efficienza di questi centri convinsero Hitler ed Himmler che le uccisioni di massa erano tecnicamente possibili e potevano essere replicate su scala più grande ad est, lontani dagli occhi e dalle menti tedesche.
Con riferimento al terzo punto, i centri di uccisione del programma di eutanasia servirono da scuole di addestramento per tutti gli operatori del genocidio. La stragrande maggioranza del personale che operò nei predetti centri furono trasferito nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka[6] Qui si può fare l’elenco dei personaggi che prima operanti nei centri di eutanasia poi protagonisti nei campi di stermini; una lista lunga di cui mi fo grazia nella estenderla. Basta citare  Cristina Wirth che attuò le prime massificazioni a Chelmo e poi operò su vasta scala, e il suo collega Franz Stangl, sovrintendente del centro di Hartheim. Le carriere furono assicurate ai partecipanti del programma di eutanasia: due cuochi del programma T4 Gustav Munzberger e Kurt Franz furono i protsgnistia  Treblinka con il Franz che fu l’ultimo comandante.

Con riferimento al quarto punto, occorre una volta per tutte sfatare che tutto questo fu commesso in nome “gli oridni vanno eseguiti”. La natura di questi killer, come dimostra il programma di eutanasia, va ben oltre l’asserzione di cui sorpa. La esecuzione di ordini è uno dei motivi ma non il principali e nella lista è posto molto in basso del motivo per cui si uccidevano vittime innocenti, siano essi bambini, adulti, ebrei, rom, omossessuali, politici, ecc. Questi killer le uccisero per una serie di ragioni che possiamo individuare nella ideologia, nel carrierismo,nel profitto personale, nel piacere del dominio, nella mancanza di valori morali, nei valori etici e civili, nel puro sadismo. E nonostante questo elenco ci si accorge che manca un elemento. E questo può essere colto soltanto entrando nel mondo da incubo di questi assassini di massa. Questo killer sono stati  inseriti in un processo di brutalizzazione crescente, sanzionato, rafforzato sanzionato dalla autorità  finche tutti furono avviluppati in una cultura di brutalità senza fine.
 La strada che si sarebbe intrapresa ad Auschwitz può essere intuita studiando la quotidianità del programma di eutanasia e la crescente brutalità dei suoi partecipanti in un vero e proprio addestramento per i compiti ancora più ardui che li aspettavano.
In una fabbrica di morti che produce solo cadaveri si fa presto a perdere ogni sensibilità. Da questo assunto si comprende come discende e a che cosa si possono riferire tutte le violenze e le brutalizazzioni soprattutto sul fronte orientale che i tedeschi commisero nel corso della guerra, spesso con criteri che andavano anche contro i loro interessi, che rappresenta uno dei macigni che pesa sulla coscienza do ogni tedesco.


La domanda che ci siano posti all’inizio, riguardo all’olocausto, “perché è successo tutto questo”, dopo quanto scritto sopra ha una risposta più semplice.[7] In nota indichiamo come ci si può documentare in maniera esauriente per comprendere meglio quanto accaduto. Il regime del genocidio quale è stato quello nazista, e sostenuto dal regime fascista, è tale non per incidenti di percorso, ma per un preciso e voluto portato culturale. Se questo portato persiste ancora oggi nella nostra società, il problema non è documentare il passato, che è già stato documentato (vedi nota 7), ma come affrontare il presente ed il futuro. Quanto dobbiamo aspettare per avere una cerimonia come quella di Hadanar, con il direttore che festeggia con tutto il personale della clinica, fra fiori, pasticcini e birra, il decillesimo cadavere del “diverso” cremato?. Sebrenica, e le altre stragi o olocausti contemporanei, stanno a dimostrare che la cultura della morte, del genocidio è in essere e che l’industria che ne discende è attiva è funzionante sostenuta da forme di negazionismo sempre più agguerrite.[8] Una azione di contrasto di questa tendenza si impone, per non correre il rischio di essere come i tedeschi d’anteguerra che vedevano senza guardare, assistevano senza agire,  nella convinzione che il problema non era il loro. Davanti alla cultura della morte, del genocidio ognuno di noi è sulla lista: prima o poi il nostro turno sulla lastra d’acciaio arriva, come è successo a tanti tedeschi di cui Richard Jemme, ucciso il 29 maggio 1945, può essere considerato il simbolo:





[1] Friedlander H., The origins of Nazi genocide: from euthanasia to the final solution, Chappel Hill, University of North Carolina Press, 1995.
[2] Si legge nel volume di Kluas. P- Fischer, Storia dell’Olocausto. Dalle Origini della giudeofobia tedesca alla soluzione finale nazista, Roma. Newton & Compton Editori, 2000.da cui abbiamo tratto questa nota (vds anche nota 8 per ulteriori considerazioni)  “Tutte le istanze di questo genere passavano in genere attraverso la cancelleria privata del Fuhrer, la Kanzlei des Fuhrers, o KDF, diretta da Philipp Bouhler, che riferì a Hitler sulla posizione di Knauer. Hitler ordinò allora ad uno dei suoi medici personali il dottor Karl Brandt di raccoglie e informazioni sul caso. A Brandt fu detto che se la diagnosi sul bambino era corretta, sarebbe stato opportuno sottoporlo ad eutanasia. Brand si consultò con il dottor Catel, il quale confermò la diagnosi e raccomandò la morte.”  Inutile dire che i personaggi citati saranno gli artefici e i protagonisti del programma di eutanasia, che verrà chiamato dal nome della via della sede di Berlino T4
[3] Siccome questo argomento è costantemente oggetto di negazionismo, è bene citare lavori esaurienti in merito: Burleigh M., Death and Deliverance: Eutanasia in Germany 1914-1945, Cambridge, England Cambridge Universty press, 1944; Klee E., Eutanasie in NS-Sraat:die vernichtung lebensunwerten lebens, Frankfurt, Fischer, 1983; Nowak K., Eutanasie und sterilisierung im dritten Reich, Weimar, Hermann Bablaus, 1980; Schmuthl H-S, Rassenhygiene, Nationalsozualismus: von der verhutung lebensunwetzen lebens 1890-1943, Gottingen , Vandenhoeck &Ruprecht, 1987.
[4] Espressione di queste teorie era il celebre biologo austriaco Konrad Lorenze, osannato nel periodo prebellico e venerato dalla comunità scientifica germanica.
[5] Fino alla conferenze di Wansee del 20 gennaio 1941, i Tedeschi perpetravo i massacri con metodo tanto brutali quanto “artigianali” come le fucilazioni di massa. Questo, oltre a comportare un notevole dispendio di munizioni, faceva si che qualche vittima in un modo o nell’altro risucisse a sopravviere e diventare un pericoloso testimone. Inoltre questi sistemi incidevano negativamente sul morale del soldato tedesco che in molti casi prendeva coscienza che era un semplice assassino. Tutte queste difficoltà furono appianate dalla introduzione delle camere a gas.
[6] Più volte si è scritto che esiste una profonda differenza tra campo di concentramento e campo di sterminio: nel primo le condizioni di vita erao orrende ma si aveva la possibilità teorica di sopravvivere, come infatti avvenne al momento della liberazione;  nel campo di sterminio queste possibilità erano nulle. Chi arrivava veniva o ucciso subito oppure fatto sopravvivere per le esigenze funzionali  del campo per non più di uno o due mesi. Come nei centri di eutanasia, non vi era alcuna possibilità di sopravviveza. I campi di stermini, a fronte degli oltre 10.000 campi di concentramento, erano solo sei oltre ai tre sopra citati vi erano Auswhitz, con l’annesso campo di Birkneau , o Auswhitz II, Chelmo e Metejur.
[7] Non senza una qualche pena e disagio si è scritto questo articolo, consegnato come al solito in ritardo a Patria. Quando si definisce il nazismo il regime del genocidio spesso si è richiamati ad usare espressioni più consone, sopratutto se si parla del fascismo suo alleato. Ma quanto è stato scritto è solo una parte di quello che si dovrebbe sapere. Per questo indico la fonte da cui quanto esposto è stato tratto.  Kluas. P- Fischer, Storia dell’Olocausto. Dalle Origini della giudeofobia tedesca alla soluzione finale nazista, Roma. Newton & Compton Editori, 2000. Sopratutto il capitolo 8 “Prologo all’olocausto: dall’eutanasia alla pulizia etnica”, pag. 329 e seg. Da questo capitolo ho tratto interi passi, proprio nello scopo di invogliare il lettore di questa nota a procurarsi il libro citato.  L’autore, più di me, dimostra come la tragedia dell’Olocausto è un risultato di una cultura, di idee, di scelte, non di una attività di un “pazzo”, rimosso il quale tutto ritorna come prima.
[8] Per la negazione dello sterminio vds. Stern K, Holocaust denial, New York, American Jewish Committee, 1993; Lipstadt D., Denying the Holocaust: the Growing assault in thurth and memory, Butz A.R., The Hoax of the Twentieh Century, Torrance California, Institute for Historical Review, 1976. Staglich W., Der Auschwitz-Mythos, Tubingen, Grabert, 1979.

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