DIBATTITI
RIFLESSIONI
SU
UN VOLTO IGNOTO
ALFONSO LICATA e FERNANDO ACITELLI
Che
da un volto non si possa risalire ad un’identità, lascia l’animo
in tormento. Vorremmo che ogni busto, anche scheggiato, almeno di
quel tempo antico che è a noi più familiare, ovvero il
greco-romano, mostrasse, nel cartiglio, un nome. Di quel volto non
chiederemmo gli antenati e neppure i nomi dei genitori ma ci
accontenteremmo di quel
nome. Se questo accade, sembra tutto in ordine e la nostra
inquietudine subito si placa: dunque quel busto possiede un nome e
questo fatto, subito, ci infonde coraggio. Quei tratti, di uomo o di
donna, così egregiamente esposti nel marmo – pario o pentelico –
ci parlano proprio in virtù di quel nome che è alla base del busto.
Allora la nostra memoria, entrando in azione, elabora immagini e noi
diveniamo, non proprio inconsapevolmente, custodi di nomi o, per
meglio dire, di esistenze. Le possiamo ripetere a noi stessi o anche
citarle a chi condivide il nostro tempo, magari svelando il luogo
dove abbiamo visto quei busti con tanto di nome sotto, nel cartiglio.
L’identità svelata si fa amicizia.
Basta un nome e così, tra noi ed il busto, è l’amicizia ad
imporsi. Il busto diviene uno di famiglia, e possiamo citarlo ad ogni
momento. Quale differenza quando da un busto con cartiglio e nome,
magari di Germanico o di Agrippina minore, passiamo alla semplice
rappresentazione di tipi
umani,
come ad esempio volto di pugile, volto di rétore, volto di
giovinetto, volto di filosofo. Manca in essi più di qualcosa, manca
il nome, ovvero l’esile elemento dell’identità che in molti casi
ci aiuta a vivere e smuove subito la mente per archiviare
quell’esistenza. La storia ci riserva molte sorprese e questo non
soltanto da un punto di vista archeologico con nuovi tesori ad
emergere in punti ritenuti impensabili, ma anche come mancanza di
dati su alcune figure che hanno indubbiamente detto
la loro quando
ne fu tempo. E’ il caso del navigatore Lanzarotto Malocello il cui
volto non è neppure accennato. Per lui non avremmo preteso un busto
ma almeno un disegno dei suoi tratti. E com’è possibile che di un
navigatore, anzi, di colui che nel 1312 a bordo d’una nave – o
più navi – superò le Colonne d’Ercole raggiungendo le isole
Canarie, non si possegga un riferimento, sia pure minimo, del suo
volto? Nessuno s’occupò di lui oppure fu proprio lui che non lo
ritenne necessario. E così, quando arriviamo dinanzi al suo nome, il
silenzio si fa fragore. Avendo perlustrato, per quello che era
possibile, la traiettoria della sua vita, ebbene, nulla è uscito
fuori del suo volto e così il Malocello è un pensiero forte ma
trova la sua fragilità proprio nella mancanza d’un busto o d’un
disegno che possa svelarci i tratti. Egli rappresenta esattamente il
contrario di quanto abbiamo detto in precedenza a proposito di quei
volti anonimi bene allineati nelle sale di museo, cioè volto
di vecchio,
volto
di filosofo,
volto
di giovinetto.
In questo caso c’è il busto e a mancare è il nome, ovvero
l’identità. Nel caso di Lanzarotto Malocello il nome storicamente
brilla ma i tratti del viso sono in quell’altrove
che
spesso osiamo definire nulla.
Se torniamo nel nostro museo abituale, quello che ci conforta, cioè
quello che è riferibile al mondo romano, possiamo imbatterci in
statue di Cicerone, di Caligola, di Nerone, di Ottavia, di Adriano e
di sua moglie Lavinia (e addirittura dell’amante dell’imperatore,
Antinoo). Ma dentro di noi, sebbene lontani, ci urlano anche i busti
di Omero, di Pericle, di Demostene, di Aristotele, di Alessandro
Magno, di Plotino… Ebbene, passano mille e più anni e invece di
quietarci con una ritrattistica certa, ecco che i volti che
c’interessano e per i quali abbiamo speso con gioia molto del
nostro tempo, sono assenti, non rintracciabili, mai scolpiti né
disegnati. Il nostro stupore è al sommo e non sappiamo rassegnarci e
allora mettiamo in campo tutte operazioni di supporto, di sostegno
per Malocello e innanzitutto lavoriamo di fantasia dipingendone noi i
tratti interiormente e donandogli quanto era della sua epoca avendo
visto e incontrato molti tipi
umani.
Ecco allora che è stata nostra l’idea di una medaglia, d’un
flash
medievale in bronzo su cui aggrapparci. E ciò per colmare questa
lacuna e dare ad ognuno la possibilità di riconoscerlo tra la folla
della Storia. E’ nostra l’unica immagine, più sognata che vera,
ma non per questo meno attendibile. Sapevamo di capigliature e
abbigliamento in giovani uomini di quei secoli – il XIII e il XIV –
e allora ci
siamo lasciati andare,
per così dire, ovvero abbiamo “inciso” quanto ci sembrava
giusto, corretto e bene addentro in quel tempo storico. Poi la
traiettoria: Genova-Isole Canarie. E’ questa la nostra salvezza a
proposito di Lanzarotto Malocello. In mancanza del suo volto non
possiamo che rivolgerci alla sua splendida azione personale, quella
che, di fatto lo storicizza. Di questa traiettoria che poi,
metafisicamente, è quella di ognuno di noi, sappiamo abbastanza per
poter sentire amicizia nei suoi confronti, proprio quel sentimento
che avvertiamo quando in un museo, il cartiglio sotto un volto di
marmo ci avvisa essere quello il busto dell’imperatore Nerva,
Traiano, Caracalla e suo fratello Geta. Che gioia con Caracalla!
Esistono addirittura i volti dei suoi genitori, Settimio Severo e
Giulia Domna ed essi sono visibili e sicuramente li toccheremmo se
non vi fosse il sistema d’allarme…! Il poeta, il filosofo pongono
continuamente domande ed una in particolare nel caso di specie: e se
oltre al volto di Lanzarotto Malocello vi fossero anche quelli dei
suoi genitori, di quanto aumenterebbe la nostra gioia? Non
rispondiamo per non abusare di aggettivi e superlativi. Contentiamoci
di sapere che Malocello si mise per mare perché la vita di tutti i
giorni non gli bastava e di sicuro cercava in quell’ignoto del mare
qualcos’altro,
cioè il luogo dove l’orizzonte coincideva con il cielo e lì,
forse, sarebbe stato possibile poter, se non scovare, almeno sentire
l’odore (la sostanza) di Dio.
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