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lunedì 11 aprile 2016

L'Artico e gli Interessi delle Multinazionali nella Regione

SCENARI, REGIONI, QUADRANTI
Alessandra Caruso
Negli ultimi anni l’Oceano Artico è stato oggetto di una sempre più crescente attenzione a livello mondiale da parte delle grandi potenze economiche. A partire dagli anni Settanta si è andato trasformando, da terreno di scontro bipolare, a un’area mondiale dal crescente peso geografico-politico e geostrategico.
Un’accelerazione all’interesse globale verso questa regione è stata data dalle scoperte di giacimenti di combustibili fossili di vitale importanza - gas naturale e petrolio, sempre più sfruttabili grazie al progresso tecnologico che permette l’accessibilità dell’Artico alle attività industriali. Questa potenzialità è la principale fonte di attrazione ed una fonte latente di conflitto internazionale, non sempre inquadrabile in compromessi e in accordi internazionali. A giocare un fattore determinante è stato l’incremento del prezzo dell’energia degli ultimi anni, che ha reso conveniente alle compagnie petrolifere investire nell’area.
Allo sfruttamento di nuove risorse, si è aggiunto anche il problema dell’apertura di nuove rotte commerciali, conseguenza del crescente riscaldamento globale, che vede al Polo i suoi maggiori e più gravi effetti. L’apertura del Passaggio a Nord-ovest prossimo alle coste del Canada e del Passaggio a Nord est, che costeggia il territorio russo, permettono di accorciare le distanze, i tempi i percorrenza e di fruire in modo più veloce delle risorse disponibili. Entrambi gli stretti permettono di evitare l’ingorgo del Canale di Suez e del Canale di Panama, ma soprattutto zone politicamente instabili come il quadro mediorientale e le acque infestate dai pirati.
Questi fattori stanno creando grandi sconvolgimenti mondiali, sia economici che politici. I vantaggi economici, commerciali, e strategici hanno fatto riemergere vecchi e nuovi contrasti di sovranità territoriale, dalle quali può derivare una vera e propria “rivoluzione spaziale”. La questione tocca diverse problematiche tutte intrecciate tra loro: una revisione della ripartizione “settoriale” dell’Artico, un riesame dei principi di diritto internazionale del mare, una ristrutturazione dei traffici transcontinentali, e una potenziale perdita di potenza per i Paesi delle aree meridionali del pianeta, che basano il loro potenziale economico sulla disponibilità di ingenti fonti energetiche e la diminuzione del loro ruolo predominante nel mercato internazionale dell’energia.
Un altro fattore che aggrava i conflitti geopolitici in atto è l’incertezza dello status giuridico della regione e la mancanza di istituzioni internazionali forti che possano fornire una governance artica, a fronte di potenziali rivoluzioni commerciali e nuove fonti di energia da sfruttare. Si è di fronte a un cambiamento giuridico-politico-strategico di dimensioni epocali, capace di generare nuove concezioni spaziali e un ruolo geopolitico diverso per i Paesi che controllano o riusciranno a controllare una regione dalle immense potenzialità.
Una particolare analisi deve essere dedicata agli interessi delle multinazionali ed, in particolare, alle compagnie del petrolio in una regione ormai definita strategicamente “calda”. Lo “United States Geological Survey World Assessment 2000” ha stimato che sotto l'Oceano artico giaccia il 25% di risorse mondiali, nello specifico: 375 miliardi di barili di greggio, superiore anche a quelle dell'Arabia Saudita che si fermerebbero “solo” a 264,3 miliardi di barili, e 47,3 triliardi di metri cubi di gas. Il fatto che il petrolio artico sia diventato competitivo è dovuto all’aumento del prezzo dell’energia e al fatto di trovarsi in un’area in cui i conflitti e l’instabilità politica non mettono a rischio una fornitura costante e sicura - a differenza della zona mediorientale. Questo spiega l’interesse delle grandi compagnie petrolifere e degli Stati rivieraschi. I grandi protagonisti dello sfruttamento delle risorse artiche sono i colossi dell'energia russa Gazprom e Rosneft, seguiti dalla compagnia norvegese StatoilHydro - che ha dimostrato di saper affrontare con successo trivellazioni in condizioni climatiche ed ambientali estreme, in particolare nel giacimento di Snøhvit, nel Mare di Barents. Anche le due compagnie anglo-americane del petrolio e del gas Exxon e British Petroleum potrebbero beneficiare dello sviluppo delle risorse energetiche artiche. La Royal Dutch Shell (in Alalska e nell’Artico russo), l’Eni e la ExxonMobil (nelle acque russe) hanno già firmato importanti accordi per lo sfruttamento di risorse strategiche.


La grande sfida delle compagnie petrolifere però sarà quella di ammodernare le strutture preesistenti, utilizzare tecnologie più efficaci a condizioni meno onerose e ridurre le conseguenze di eventuali rischi ambientali dovuti a fuoriuscite accidentali di petrolio o incidenti delle petroliere dovuti alla presenza di iceberg galleggianti.

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