SCENARI, REGIONI, QUADRANTI
Alessandra Caruso
Negli
ultimi anni l’Oceano Artico è stato oggetto di una sempre più
crescente attenzione a livello mondiale da parte delle grandi potenze
economiche. A partire dagli anni Settanta si è andato trasformando,
da terreno di scontro bipolare, a un’area mondiale dal crescente
peso geografico-politico e geostrategico.
Un’accelerazione
all’interesse globale verso questa regione è stata data dalle
scoperte di giacimenti di combustibili fossili di vitale importanza -
gas naturale e petrolio, sempre più sfruttabili grazie al progresso
tecnologico che permette l’accessibilità dell’Artico alle
attività industriali. Questa potenzialità è la principale fonte di
attrazione ed una fonte latente di conflitto internazionale, non
sempre inquadrabile in compromessi e in accordi internazionali. A
giocare un fattore determinante è stato l’incremento del prezzo
dell’energia degli ultimi anni, che ha reso conveniente alle
compagnie petrolifere investire nell’area.
Allo
sfruttamento di nuove risorse, si è aggiunto anche il problema
dell’apertura di nuove rotte commerciali, conseguenza del crescente
riscaldamento globale, che vede al Polo i suoi maggiori e più gravi
effetti. L’apertura del Passaggio a Nord-ovest prossimo alle coste
del Canada e del Passaggio a Nord est, che costeggia il territorio
russo, permettono di accorciare le distanze, i tempi i percorrenza e
di fruire in modo più veloce delle risorse disponibili. Entrambi gli
stretti permettono di evitare l’ingorgo del Canale di Suez e del
Canale di Panama, ma soprattutto zone politicamente instabili come il
quadro mediorientale e le acque infestate dai pirati.
Questi
fattori stanno creando grandi sconvolgimenti mondiali, sia economici
che politici. I vantaggi economici, commerciali, e strategici hanno
fatto riemergere vecchi e nuovi contrasti di sovranità territoriale,
dalle quali può derivare una vera e propria “rivoluzione
spaziale”. La questione tocca diverse problematiche tutte
intrecciate tra loro: una revisione della ripartizione “settoriale”
dell’Artico, un riesame dei principi di diritto internazionale del
mare, una ristrutturazione dei traffici transcontinentali, e una
potenziale perdita di potenza per i Paesi delle aree meridionali del
pianeta, che basano il loro potenziale economico sulla disponibilità
di ingenti fonti energetiche e la diminuzione del loro ruolo
predominante nel mercato internazionale dell’energia.
Un
altro fattore che aggrava i conflitti geopolitici in atto è
l’incertezza dello status giuridico della regione e la mancanza di
istituzioni internazionali forti che possano fornire una governance
artica,
a fronte di potenziali rivoluzioni commerciali e nuove fonti di
energia da sfruttare. Si è di fronte a un cambiamento
giuridico-politico-strategico di dimensioni epocali, capace di
generare nuove concezioni spaziali e un ruolo geopolitico diverso per
i Paesi che controllano o riusciranno a controllare una regione dalle
immense potenzialità.
Una
particolare analisi deve essere dedicata agli interessi delle
multinazionali ed, in particolare, alle compagnie del petrolio in una
regione ormai definita strategicamente “calda”. Lo “United
States Geological Survey World Assessment 2000” ha stimato che
sotto l'Oceano artico giaccia il 25% di risorse mondiali, nello
specifico: 375 miliardi di barili di greggio, superiore anche a
quelle dell'Arabia Saudita che si fermerebbero “solo” a 264,3
miliardi di barili, e 47,3 triliardi di metri cubi di gas. Il fatto
che il petrolio artico sia diventato competitivo è dovuto
all’aumento del prezzo dell’energia e al fatto di trovarsi in
un’area in cui i conflitti e l’instabilità politica non mettono
a rischio una fornitura costante e sicura - a differenza della zona
mediorientale. Questo spiega l’interesse delle grandi compagnie
petrolifere e degli Stati rivieraschi. I grandi protagonisti dello
sfruttamento delle risorse artiche sono i colossi dell'energia russa
Gazprom e Rosneft, seguiti dalla compagnia norvegese StatoilHydro -
che ha dimostrato di saper affrontare con successo trivellazioni in
condizioni climatiche ed ambientali estreme, in particolare nel
giacimento di Snøhvit, nel Mare di Barents. Anche le due compagnie
anglo-americane del petrolio e del gas Exxon e British Petroleum
potrebbero beneficiare dello sviluppo delle risorse energetiche
artiche. La Royal Dutch Shell (in Alalska e nell’Artico russo),
l’Eni e la ExxonMobil (nelle acque russe) hanno già firmato
importanti accordi per lo sfruttamento di risorse strategiche.
La
grande sfida delle compagnie petrolifere però sarà quella di
ammodernare le strutture preesistenti, utilizzare tecnologie più
efficaci a condizioni meno onerose e ridurre le conseguenze di
eventuali rischi ambientali dovuti a fuoriuscite accidentali di
petrolio o incidenti delle petroliere dovuti alla presenza di iceberg
galleggianti.
Nessun commento:
Posta un commento