APPROFONDIMENTI
Giorgio
Madeddu
L’Isola dell’Asinara,
situata a nord ovest della Sardegna dista da questa circa 22 km ed è
raggiungibile solo per mare, l’isola ha una superfice di circa 50 km2,
lunghezza massima di 17,5 km e larghezza di circa 7 km. Amministrativamente
appartiene al Comune di Porto Torres (SS).
Dalla metà dell’800 sull’isola
è realizzata una stazione sanitaria di quarantena per i viaggiatori in arrivo
in Sardegna ed è istituita anche una colonia penale agricola. Successivamente,
intorno al 1885, vengono realizzati i caseggiati che ospiteranno i tre periodi
contumaciali destinati ad ospitare le persone sbarcate nell’isola. I così detti
“Periodi” saranno di fondamentale importanza per lo smistamento dei prigionieri
di guerra austro ungarici che giunsero sull’isola nel dicembre 1915 provenienti
da Valona.
L’Asinara si presenta
come un’isola montuosa e brulla, scarse le risorse idriche naturali per cui si
dovete far ricorso alla messa in opera di cisterne per la raccolta dell’acqua
piovana e per gli approvvigionamenti via mare.
Con l’arrivo del
piroscafo “Tolemaide”, avvenuto nel mese di agosto del 1915, la pace e la
routine degli ergastolani della colonia penale veniva turbata profondamente,
dal piroscafo sbarcarono poco più di un migliaio di prigionieri di guerra
austro ungarici catturati nelle fronti italiane nei primi mesi di guerra.
Nel successivo mese di
dicembre le Forze Armate italiane sono chiamate a svolgere la loro prima
“missione umanitaria” all’estero. La Marina e l’Esercito in coordinamento con
le forze armate inglesi e francesi sbarcarono a Valona in Albania con il
duplice intento di portare in salvo quel che restava dell’esercito serbo in
ritirata e accogliere i prigionieri di guerra austro ungarici trascinati dai
serbi in quella che è ricordata come la “marcia della morte nei Balcani”. Iniziata
a Niš nell’ottobre del 1915, la marcia si concludeva a metà dicembre nel porto
di Valona dove giungevano circa 25.000 ombre d’uomini, logori nelle vesti e
distrutti nel corpo e nella mente, unici sopravvissuti di quei 70.000 / 100.000
che iniziarono la marcia.
Originariamente diretti
in Francia per essere impiegati in attività lavorative, il diffondersi di primi
casi di colera e tifo esantematico, indusse gli alleati a chiedere all’Italia
di farsi carico dei prigionieri di guerra austro ungarici. Esaminate le diverse
opportunità di collocazione nei nuovi campi realizzati sul territorio italiano,
la scelta cade sul campo dell’Asinara, unico in grado di preservare la terra
ferma dall’eventuale diffusione delle malattie di cui prigionieri erano affetti.
Il 18 dicembre giunsero
al largo dell’Asinara i piroscafi Dante Alighieri e America, gli sbarchi
successivi sono indicati nella tabella estratta dal “Diario” del generale
Carmine Ferrari comandante del campo di concentramento.
L’arrivo dei
prigionieri è descritto dai militari italiani presenti sull’isola, con parole
di pietà, “… soltanto chi li vide imbarcare a Valona o, soprattutto,
sbarcare all’Asinara, ne conobbe lo stato miserando!”[1] e ancora,
“Nessuna parola potrà mai descrivere lo spettacolo offerto dallo sbarco di
quei disgraziati. Lacere le uniformi militari o gli abiti borghesi, che
coprivano malamente quei corpi affranti dalle sofferenze; alcuni seminudi,
altri avvolti in tela da sacco od in sdrucite coperte; per la maggior parte
scalzi, altri con scarpe a brandelli o con sandali o con le caratteristiche
calze serbe, altri infine coi piedi doloranti, avvolti in pochi cenci, scesero
sulla spiaggia, mal reggentisi in piedi, e pur trascinando il povero fardello
di quanto avevano potuto salvare dopo così lungo e così doloroso viaggio.”[2]
Gli autori
contemporanei, quindi lontani dagli accadimenti del tempo, al contrario, spesso
si concentrano su aspetti specifici, utilizzando per descrivere i fatti,
termini come ecatombe, disperati, dannati, estrapolando
singoli episodi dal contesto storico generale.
Il campo dell’Asinara,
pensato inizialmente per accogliere circa 6.000 prigionieri, dal dicembre 1915
al febbraio 1916, vide lo sbarco di poco più di 24.000 prigionieri austro
ungarici provenienti da Valona di cui 15.547 infetti dal colera. L’isola si
trova ad affrontare una pesante emergenza sanitaria; gli ufficiali sani verranno
man mano trasferiti presso il secondo campo di prigionia della Sardegna, quello
di Monte Narba di cui si dirà in seguito, e nei campi di Cittaducale,
Portoferraio e Muro Lucano.
Mentre per la truppa,
occupati tutti gli alloggiamenti preesistenti, furono allestiti diversi accampamenti
utilizzando le tende Roma.
Nell’area di Fornelli
furono organizzati quattro reparti ciascuno identificato con il nome del
piroscafo di sbarco dei prigionieri, “Duca di Genova”, “Re Vittorio”, “Indiana”
e “Dante Alighieri (2° sbarco)”; nell’area degli Stretti i reparti “Sinaj”, “Dante
Alighieri (1° sbarco)”, “Regina Elena”, “Armenia”, “Jonio”, “Folkenston”,
“Candiano”, “Indiana”, “Città di Cagliari”.
Ulteriori campi furono
realizzati a Cala Reale, Campo Perdu, Tumbarino e furono occupate, secondo
criteri sanitari specifici, anche le strutture dei tre Periodi contumaciali.
L’Asinara,
assolutamente inadeguata per la gestione di una così grande massa di
prigionieri, nonostante la grave epidemia falcidiasse ogni giorno circa una
cinquantina di vittime, si trasformò in un gigantesco cantiere. In brevissimo
tempo, anche grazie alla fattiva collaborazione dei prigionieri di guerra,
vennero innalzate le tende ospedale “Sarzotto”, realizzate le latrine e istituito
un servizio inumazioni in grado di gestire, nel pieno rispetto delle norme
igienico – sanitarie, le sepolture dei caduti. Di pari passo furono realizzate le prime
cucine gestite, in parte, dagli stessi prigionieri, i forni per il pane, le
lavanderie e persino lo spaccio per generi di conforto a cui si accedeva con la
moneta stampata sull’isola. In brevissimo tempo i diversi campi assunsero un
aspetto ordinato e man mano che l’epidemia andava scemando, sotto diretta
supervisione del Generale Carmine Ferrari, furono allestiti gradevoli giardini
e realizzati alcuni monumenti ad opera di importanti artisti provenienti dai
paesi dell’Impero. Non fu trascurato l’insegnamento dell’italiano tramite il
“sistema Berlitz” né la pratica religiosa.
Al fine di curare al
meglio malattie comuni e ferite, molti prigionieri, esenti da malattie
contagiose, furono trasferiti negli ospedali militari di Cagliari e Sassari.
Esaurita la fase
epidemica, fu redatto un elenco per nazionalità dei prigionieri dell’Impero
austro ungarico, tra serbi, croati, boemi, ungheresi, austriaci, rumeni,
polacchi, ruteni, slovacchi, bulgari, sloveni, germanici, turchi, greci, russi
e italiani gli uomini presenti sull’isola assommavano a 16.730 di cui 300
italiani e 52 germanici, per questi ultimi si dispose il trasferimento presso
l’Isola di Ventotene.
La
tabella è estratta dal prospetto riportato nel “Diario” del gen. Carmine Ferrari:
Data |
Piroscafo |
Prigionieri imbarcati |
Deceduti |
Prigionieri sbarcati |
||||
|
|
Sani |
Infetti |
Nella traversata |
In rada |
Infetti |
Sani |
Totale |
18.12.15 |
Dante Alighieri |
1995 |
- |
- |
- |
- |
1995 |
1995 |
18.12.15 |
America |
1721 |
- |
10 |
- |
- |
1711 |
1711 |
20.12.15 |
Cordova |
1400 |
- |
1 |
- |
- |
1499 |
1499 |
24.12.15 |
Valparaiso |
1470 |
- |
2 |
- |
10 |
1458 |
1468 |
27.12.15 |
Duca di Genova |
3141 |
- |
300* |
- |
2841 |
- |
2841 |
27.12.15 |
Re Vittorio |
3085 |
- |
53 |
- |
3032 |
- |
3032 |
30.12.15 |
Natal |
- |
776 |
1 |
- |
776 |
- |
776 |
30.12.15 |
Indiana |
- |
2423 |
34 |
- |
2389 |
- |
2389 |
01.01.16 |
Dante Alighieri |
- |
2841 |
1 |
- |
2840 |
- |
2840 |
02.01.16 |
Sinaj |
- |
1500 |
70 |
- |
1430 |
- |
1430 |
02.01.16 |
Armenia |
- |
764 |
8 |
- |
756 |
- |
756 |
03.01.16 |
Regina Elena |
. |
1020 |
1 |
- |
1019 |
. |
1019 |
18.01.16 |
Jonio |
- |
481 |
27 |
- |
454 |
- |
454 |
28.01.16 |
Folkenston |
370 |
- |
- |
- |
- |
370 |
370 |
13.02.16 |
Folkenston |
257 |
- |
7 |
- |
- |
250 |
250 |
21.02.16 |
Città di Cagliari |
326 |
- |
1 |
- |
- |
325 |
325 |
27.02.16 |
Re d’Italia ** |
6 |
- |
- |
- |
- |
6 |
6 |
07.03.16 |
Konig Albert |
|
|
|
|
|
|
|
08.03.16 |
Candiano |
178 |
|
|
|
|
178 |
178 |
|
|
|
|
|
|
|
||
|
Totali |
24.039 |
522 |
15547 |
7.970 |
23.517 |
*La cifra è approssimativa risulta la
dicitura: “Nel costituto è detto circa 300”
**Si tratta di nave ospedale che
trasporta 390 soldati italiani e 11 serbi
Con disposizione della
Commissione Centrale per i prigionieri di guerra n. 7077 dell’aprile 1916 si
ordinava al Presidio Militare dell’Asinara di tenere pronti 5.000 prigionieri
per essere inviati in Francia, il 19 maggio ancorava a Cala Reale la nave militare
francese Seine, il giorno successivo presero avvio le operazioni di imbarco di
un primo scaglione di prigionieri, la nave prese il largo, diretta a Tolone,
intorno alle ore 16. Nei giorni seguenti diverse navi francesi fecero spola tra
l’Asinara e Tolone.
La Chiesa cattolica,
più volte, intervenne a tutela dei prigionieri di guerra assieme
all’ambasciatore di Spagna in Italia, incaricato della cura degli interessi dei
sudditi austro ungarici, questi possono considerarsi i testimoni certi e
affidabili del trattamento usato dagli italiani nei confronti dei prigionieri
internati all’Asinara.
Il 17 maggio 1916 alle
ore 10 dalla sede del comando Militare ebbe inizio una solenne processione, il
vescovo mons. Cleto Cassani adornato di mitra e pastorale, preceduto dal clero,
si recava alla cappella realizzata a Cala Reale per impartire la sua
benedizione. Benedetto l’altare, fu
celebrata la Messa. Al solenne rito
partecipo anche don Noseda, inviato del governo svizzero, a tal proposito si
osserva che, il Ministero degli Esteri italiano aveva acconsentito alla
proposta elvetica di inviare un sacerdote in Italia e uno in Austria Ungheria
al fine di poter visitare i rispettivi prigionieri di guerra.
Nel pomeriggio del 17
il vescovo e don Noseda lasciarono l’Asinara. Il primo luglio il vescovo di
Sassari rendeva noti i contenuti di una lettera inviata dal cardinale,
segretario di stato, Pietro Gasparri che, a nome del Papa Benedetto XV, oltre
esprimere vivo conforto per l’esito della visita del vescovo all’Asinara,
tributava al vescovo ben meritato encomio, “Ma anche agli
instancabili cappellani ed agli altri superiori dei buoni prigionieri, e
nominalmente ai generali Ferrari e Gibelli, Sua Santità vuole giunga, per il
tramite della V.S. una parola di lode e di ringraziamento, non solo per la
devozione con cui hanno coadiuvato la S.V. nell’adempimento della sua missione,
ma specialmente per le amorevoli cure che essi, ispirandosi ai più nobili
sentimenti di carità cristiana, hanno per tanti infelici, degenti in captività,
confortando, col caldo affetto di un padre attento e pietoso, le sofferenze
della prolungata lontananza dei poveri prigionieri dalla famiglia e dalla
patria.”[3]
Il 24 luglio lasciava
l’Asinara l’ultimo scaglione di prigionieri destinati a Tolone, complessivamente
i prigionieri inviati in Francia furono 16.262.
Liberati i campi
dell’Asinara dalla presenza dei prigionieri provenienti da Valona, la
Commissione prigionieri di guerra chiese la disponibilità ad alloggiare
sull’isola i prigionieri evasi da altri campi, la risposta fu naturalmente
affermativa. Dal luglio 1916 e ben oltre
il 4 novembre del 1918 continuarono ad affluire sull’isola i prigionieri catturati
dall’esercito italiano nelle diverse fronti di combattimento, ma non solo,
finirono all’Asinara i prigionieri delle terre irredente liberati dalla
prigionia in Russia per essere sottoposti a periodo di osservazione al fine di
evitare la propagazione nel Regno delle “nuove idee” della Russia dei Soviet e
gli ormai ex prigionieri russi liberati dai soldati della Ia Armata
italiana durante l’avanza nel Trentino e nel Tirolo del novembre 1918.
La detenzione inoperosa
di migliaia di prigionieri di guerra sull’Asinara mal si conciliava con la
scarsità di manodopera nei diversi settori produttivi della Sardegna e
dell’Italia intera; a partire dal mese di marzo del 1916 la Sottoprefettura di
Iglesias indirizza una circolare ai direttori delle miniere con la quale si
chiede di conoscere lo stato della manodopera nelle miniere e se vi sia la
necessità di forza lavoro da destinare ai lavori minerari. La necessità di
definire precise regole sulla concessione dei prigionieri di guerra da
impiegare nel lavoro vedrà i “distaccamenti prigionieri di guerra” pienamente
operativi solo nei primi mesi del 1917.
Il campo dell’Asinara
da luogo di semplice internamento si andrà man mano configurando come centro
amministrativo per la gestione dei prigionieri di guerra austro ungarici
inviati nei paesi della Sardegna per essere impiegati nel lavoro. Dall’Asinara,
migliaia di prigionieri di guerra raggiusero le diverse destinazioni di lavoro
e all’Asinara i prigionieri rientrarono, nei primi mesi del 1919, per essere
riavviati ai rispettivi paesi natali, lasciando, in un centinaio di cimiteri
sardi, circa mille prigionieri - lavoratori in quei luoghi deceduti.
Diversa sorte toccò
agli ex prigionieri russi, denominati “profughi militarizzati russi”, per essi
fu necessaria la stipula della “Convenzione italo – russa” di Copenaghen sullo
scambio dei prigionieri ed internati civili. La situazione di questi soldati
era atipica rispetto alle altre nazionalità, infatti, sull’Asinara si dovete
procedere al “plebiscito di libera scelta” ovvero i prigionieri
dovettero, prima della liberazione, comunicare se intendevano aderire
all’esercito contro rivoluzionario dell’Ammiraglio Kolčak, a quello bolscevico
o a quello ucraino.[4]
L’ingegnere Vodovosov,
delegato del governo soviettista di Russia per il rimpatrio, al fine
dell’organizzazione delle fasi del ritorno in patria, chiese al governo
italiano l’autorizzazione affinché due membri del comitato comunista
dell’Asinara potessero raggiungerlo a Roma per meglio coordinare i trasferimenti.
A fine di settembre del 1919 rimanevano sull’Asinara ancora 4.500 russi.
Con telegramma del 13
luglio 1920, Vodovosov si congratulava con il ministero
dell’Interno italiano perché, con la partenza “… jersera da Messina tutti ex
militari russi finora internati Asinara iniziasi praticamente ripresa rapporti
Italia Russia Soviettista…” il telegramma concludeva esaltando il “…
ristabilimento completo definitivi tutti rapporti tra popoli Italia Russia
legati profondi sentimenti affetto amicizia.”[5]
Abbastanza controversa anche
la questione dei prigionieri slavi, dure polemiche si svilupparono tra il Regno
d’Italia e la neo costituita Jugoslavia (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni) a
causa della richiesta della Legazione Serba di rimpatrio, via Bari, degli
ufficiali austro ungarici per l’arruolamento nell’esercito jugoslavo, non
limitandosi alla richiesta dei soli slavi, ma pretendendo la consegna di
ufficiali tedeschi e di altre nazionalità. Al diniego italiano e la sospensione
del rimpatrio degli ex prigionieri slavi, una vera offensiva diplomatica anti
italiana fu scatenata dalla Serbia, dapprima con proteste formali al Congresso
della Pace di Versailles e, a seguire, con campagna di stampa internazionale:
la “Gazette de Lausanne” pubblicò un lungo articolo sulle informazioni fornite
dai serbi sul trattamento dei prigionieri all’Asinara, l’Obzor di Zagabria del
28 novembre titolava: L’Asinara - sepolcro dei nostri prigionieri in Italia.
Tutti gli articoli facevano comunque riferimento a diversi articoli pubblicati,
in Italia, dall’ “Avanti”. Ragusa (Dubrovnik) fu tappezzata con un manifesto di
violente accuse all’Italia sul trattamento dei prigionieri jugoslavi.[6]
Paradossalmente, nel
1930 fu realizzato a Belgrado “Il Monumento alla Gratitudine verso la Francia” quale
riconoscimento per il sostegno militare e culturale fornito durante la Grande
Guerra.
La storiografia
contemporanea non ha ancora raggiunto un giudizio condiviso sugli eventi della
prigionia di guerra sull’isola dell’Asinara, purtroppo le polemiche
dell’inverno 1919 – 20 continuano a sopravvivere, spesso più frutto di vecchie
contrapposizioni che di reali contrapposizioni sulla scorta
dell’interpretazione storica di nuove fonti.[7]
[1] Ferrari G.C., Relazione del campo di prigionieri colerosi
all'Isola dell'Asinara nel 1915 – 1916, Provveditorato Generale dello Stato,
Roma 1929
[2] Carandini
N., Il lungo ritorno – a cura di Oddone Longo ed Elisa Majnoni, Gaspari Editore
2005
[3] Ferrari
G.C., Relazione del campo di prigionieri colerosi all'Isola dell'Asinara nel
1915 – 1916, Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1929
[4] A.C.S.,
P.C.M. B. 169
[5] Ibidem
[6] A.C.S., P.C.M.
B. 169 - Ritornano……. Dopo innumerevoli
patimenti sopportati sull'Isonzo insanguinato e attraverso gli abissi delle
Alpi rocciose; ritornano gli schiavi martoriati, ritornano i padri nostri, i
fratelli nostri, i figli nostri …..
Ritornano
a noi esausti, miseri e cadenti dopo aver sopportato gravi torture sui campi di
battaglia sui quali erano stati gettati dal feroce gracidio della nera aquila
bicipite. Costretti ad abbandonare le loro case e spandere il sangue per il
proprio nemico, son caduti nelle mani di un nemico ancora più sanguinario il
cui dominio ha impresso sui loro pallidi volti e sulle stanche membra il
marchio della miseria e delle privazioni …..
I
loro occhi sono infossati, le loro gambe esauste, le braccia senza forza …. Il
loro sguardo torbido addolorato, tutto il loro essere miserando, ci pregano e
supplicano: “Aiuto, Aiuto”.
ad
abbandonare le loro case e spandere il sangue per il proprio nemico, son caduti
nelle mani di un nemico ancora più sanguinario il cui dominio ha impresso sui
loro pallidi volti e sulle stanche membra il marchio della miseria e delle
privazioni …..
I
loro occhi sono infossati, le loro gambe esauste, le braccia senza forza …. Il
loro sguardo torbido addolorato, tutto il loro essere miserando, ci pregano e
supplicano: “Aiuto, Aiuto”.
Jugoslavi!
Aiutateli!
Il
manifesto datato in Ragusa il 20 gennaio 1920 prosegue ancora con un lungo
elenco di accuse all’Italia ed è firmato da: Il Comitato Centrale per il
ricevimento dei prigionieri di guerra dall’Italia.
Il
manifesto datato in Ragusa il 20 gennaio 1920 prosegue ancora con un lungo
elenco di accuse all’Italia ed è firmato da: Il Comitato Centrale per il
ricevimento dei prigionieri di guerra dall’Italia.
[7]
Bibliografia aggiuntiva. Residori S., «Nessuno e’ rimasto ozioso» La
prigionia in Italia durante la Grande Guerra. Franco Angeli, Milano, 2019;
Terranova G., Ischia M., Dai Balcani all’Asinara. Il Calvario dei
Landstürmer tirolesi nella Prima Guerra Mondiale. Comitato Storico
Riccobona, Pergine Valsugana, 2017; Agnelli G., L’ecatombe dell’isola
dell’Asinara. L’episodio più atroce e pietoso della guerra europea.
Quindicimila vittime del colera. Il regime del bastone tra i prigionieri.
Biancardi Editore, Lodi (MI), 1961; Mossa V., I Cabilli. Ilisso Edizioni,
Nuoro, 2016; Posse Bràzdovà A., Interludio di Sardegna, Tema Editore,
Cagliari, 1998
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