UNA FINESTRA SUL MONDO
Antonella Troiani
Il
blitz che, lo scorso 16 gennaio, ha colpito l’impianto di In Amenas, a 30 Km
dal confine che separa l’Algeria dalla Libia, dimostra che l’onda lunga del
jihad islamico è arrivata nell’Africa Saheliana. L’azione, guidata da Mokhtar
Belmokhtar, figura di spicco del terrorismo nel Sahara-Sahel, ex combattente
qaedista, e ora capo del Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue, è
stata una rappresaglia contro l’intervento francese in Mali e l’appoggio
fornito alle operazioni dall’Algeria. L’azione perpetrata a In Amenas, dunque,
non è stata terroristica, ma una vera e propria azione militare, pianificata
con cura e attuata da uomini esperti, ben armati e ben addestrati alla guerra irregolare.
E’ un’azione che va collocata nel contesto del jihad regionale, la cornice di
un quadro maghrebino-saheliano, all’interno del quale diversi gruppi competono
tra loro per accaparrare territorio nella regione e colpire l’Occidente, senza
la necessità di oltrepassare i confini; si perpetrano azioni , stando seduti
nel salotto di casa propria. E’ qui che si dipana l’impasse del rebus algerino,
ovvero culla della cellula di Al Qaeda nel Maghreb e protagonista della nuova
ondata jihadista nel Sahara. L’Algeria è
il punto di irraggiamento del salafismo, che trova terreno di coltura nella sua
forma più estrema e violenta. Ciò è dovuto anche alla natura del territorio,
desertico, impervio e poco controllato nel quale fin dalla loro nascita trovano
rifugio gruppi salafiti-jihadisti e qaedisti. L’entrata in scena del primo
partito islamico in Algeria si ha nel 1989, a seguito dell’introduzione del
multipartitismo; il partito in questione è il FIS, ovvero Fronte Islamico di
Salvezza, appoggiato dal suo braccio destro armato il GIA (Gruppo Islamico
Armato). Gli anni novanta algerini si caratterizzano come gli anni di piombo,
in quanto l’escalation della violenza diventerà la costante di quel periodo, la
cui degenerazione partorisce un nuovo gruppo terroristico: il GSPC (Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento). Il gruppo è guidato
dall’emiro Abdelmalek Droukdel, il quale mostra immediatamente un forte
interesse per le realtà jihadiste globali. Il gruppo, stanziatosi nella regione
della Cabilia, a nord-est dell’Algeria, è figlio di un jihad regionale i cui
padri sono stati quegli arabi-afghani veterani del jihad antisovietico in
Afghanistan negli anni ’80 che vennero convocati in Sudan da Osama Bin Laden
per formare il primo avamposto della allora nascente avanguardia islamista, Al
Qaeda (la base) da cui diffondere il jihad nel mondo: nei Balcani (Bosnia,
1992), nel Corno d’Africa (Somalia, 1993), nel Caucaso (Cecenia, 1996) e ancora
in Afghanistan (con i talebani, 1996). Insomma, ovunque fosse in corso un
conflitto che coinvolgesse musulmani. Nel 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle,
Al Qaeda raggiunge lo zenit; colpisce dall’interno il simbolo dell’Occidente e
smaschera la sua vulnerabilità: l’America. All’indomani dell’attacco
terroristico, avendo raggiunto un importante risultato politico ed
organizzativo- dimostrare al mondo che Al Qaeda ancora esiste ed è molto forte-
inizia la seconda fase di mutamento della cellula qaedista che si palesa con
l’accentramento della propria attività nelle mani dei gruppi regionali. Uno dei
gruppi locali più importanti nasce nel 2007 in Algeria sotto la sigla AQMI (Al
Qaeda nel Maghreb Islamico). In realtà risale al settembre 2006 l’adesione
ufficiale ad Al Qaeda del GSPC algerino; l’allora vice di Bin Laden, Ayman
al-Zawahiri, in occasione del 5° anniversario degli attacchi dell’11 settembre
annunciò alla umma islamica la bušrā (buona notizia) dell’adesione del GSPC
all’organizzazione terroristica. Il gruppo ha un cervello indipendente da Al
Qaeda “central” e sviluppa un nuovo fronte che tenta di infiltrarsi nel tessuto
sociale e culturale del paese. Infatti la particolarità di AQMI sta nella
specificità del jihadismo algerino, caratterizzato da una evoluzione e da uno
sviluppo che hanno risentito della globalità qaedista, ma che hanno mantenuto
dei caratteri locali non rintracciabili negli altri gruppi del network, sia
dalla eterogeneità di tradizioni e scuole islamiche presenti nella regione del
Maghreb e del Sahel, spesso influenzate dal forte retaggio delle culture
etnico-tribali dell’area. A seguito dell’attentato perpetrato da AQMI, l’11
dicembre 2007, contro gli uffici delle Nazioni Unite ad Algeri, si ha la
rottura definitiva tra Droukdel, capo di AQMI, e Belmokhtar, veterano della
guerra civile algerina nelle fila del GIA. L’uno, Droukdel, personifica la
leadership di AQMI in Cabilia, l’altro, Belmokhtar, la leadership saheliana,
che ha portato alla nascita del MUJAO (Movimento per l’Unità ed il Jihad
nell’Africa Occidentale), gruppo di ispirazione qaedista composto
prevalentemente da miliziani della Mauritania, del Mali e del Niger e
specializzato nel business dei rapimenti. Nel 2012 Belmokhtar fonda il
Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue e si spinge sempre più verso il
deserto, dove ricopre un ruolo centrale nel controllo delle rotte del traffico
di stupefacenti ed armi nel Sahel, senza abbandonare la vocazione ideologica e
lo scopo politico della propria militanza qaedista rivolti ad una dialettica
globale del jihad. I fattori di novità del nuovo modus operandi da parte del
movimento jihadista nordafricano è emerso durante la guerra in Mali. Si è
approfittato della fragilità o dell’assenza delle istituzioni politiche statali
per sostituirsi ad esse ed imporre una propria amministrazione, basata
sull’applicazione rigorosa della sharia. Negli ultimi anni, Al Qaeda ha
cambiato il modo in cui essa stabilisce radici locali in una nuova area,
prestando molta più attenzione alle peculiarità locali e lo sviluppo di agende
e narrazioni specifiche per paese. In un contesto politico in transizione come
quello del Nord Africa, la spinta destabilizzante di Al Qaeda potrebbe trovare altro
spazio d’azione e rappresentare per il jihadismo globale non più una mera
organizzazione, bensì una vera e propria ideologia. Per quanto non esistano
certezze circa l’effettiva complicità dell’Algeria nella crisi del Sahel, un
punto fisso resta: Algeri è l’attore inevitabile della regione, da coinvolgere
in tutti i modi per la risoluzione della situazione nella fascia sahelo-sahariana,
e chiave di volta delle strategie antiterroristiche nell’area.
La Carta illustra i gruppi attivi e i
principali focolai di instabilità e insicurezza nella regione
maghrebina-saheliana
Antonella Troiani, dott.ssa
magistrale in Relazioni Internazionali e studentessa del master di II livello
in Geopolitica e Sicurezza Globale, Università degli studi di Roma “La
Sapienza”.
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