Massimo Coltrinari
Non
si può comprendere a pieno gli eventi del 1914 se non ci si sofferma, anche per
un solo attimo, sulle vicende di politica estera italiana nella seconda metà
dell’800.
La
costituzione dello stato unitario italiano nasce, nella sostanza, nella volontà
francese, ed in particolare di Napoleone III di limitare, contenere e ridurre
il predominio dell’Austria in Italia. La stessa spedizione “repubblicana” del
1849 da parte della Francia, che, “manu militari”, soppresse e cancellò la
Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, espressione massima a metà
dell’ottocento delle aspirazioni unitarie e progressiste italiane, non aveva
altro scopo che sottomettere, iniziando un protettorato che durerà fino al
1864, lo Stato Pontificio ed il Governo di Pio IX; nel contempo estrometteva e
riduceva l’influenza dell’Austria su Roma ed il Lazio.
L’Austria,
peraltro, aveva annesse ai suoi territori la Lombardia ed il Veneto e tramite Principati
ad essa legata, tutta l’Italia centrale. In più, tramite legami dinastici,
faceva sentire la sua influenza anche nel Regno delle Due Sicilie. In pratica
l’Italia, che a Vienna era considerata una semplice espressione geografica, era
sotto l’influenza austriaca. Rimaneva il Regno di Sardegna, che nel 1848 aveva
dichiarato la guerra all’Austria innalzando la bandiera tricolore della
indipendenza nazionale. Era stato sconfitto, ma rimaneva l’unico Stato in cui
l’Austria non aveva influenza né diretta né indiretta.
In
quello che noi italiani chiamiamo il “decennio di preparazione” (1850-1859) il
Regno di Sardegna aveva sempre ottenuto l’appoggio francese. Nel 1855, per
iniziativa del Cavour, il Regno di Sardegna partecipa alla spedizione in Crimea,
accanto a Francesi e a Britannici con un Corpo di spedizione di 15.000 uomini.
Più che un successo militare fu un successo diplomatico e politico in quanto
questa partecipazione permise, al Congresso della Pace a Parigi del 1856, al
Cavour di porre la questione della unificazione italiana al concerto
internazionale ed alla attenzione di tutte le Nazioni. L’attentato di Felice
Orsini a Napoleone III nel 1857 rinsalda ancor più l’alleanza con la Francia e
due anni dopo, nel 1859, i Francesi scendono in Italia per combattere contro
gli Austriaci accanto al Regno di Sardegna. È la seconda guerra di
indipendenza, che si concluderà con l’armistizio di Villafranca, ma che darà
l’avvio a quel biennio “mirabilis” in cui il Regno di Sardegna, grazie ai
plebisciti, acquisisce la Lombardia e l’Italia Centrale. A seguire, per
arginare e portare nell’alveo moderato la Spedizione dei Mille, che per il suo
successo e per le influenze di Mazzini e del partito d’Azione mirava a
costituire una Repubblica nell’Italia meridionale, il Regno di Sardegna invade
le Marche e l’Umbria e raggiunge Napoli nell’ottobre del 1860. Con l’incontro
di Teano l’Italia era unità, anche se mancavano ancora Roma, Venezia, Trento e
Trieste. Il 17 marzo 1871 il Regno d’Italia fu proclamato. La grande protettrice
dell’Italia che permise tutto questo è indubbiamente la Francia, che in dieci
anni riuscì, con la costituzione del Regno d’Italia a limitare e a ridurre il
predomino Austriaco nella penisola. Nel 1864, con le Convenzioni di settembre
tra la Francia e l’Italia si stabilisce che l’Italia rinuncia a Roma,
lasciandola al Papa con il territorio circostante, il cosiddetto Patrimonio di
San Pietro corrispondente all’odierno Lazio, e la Francia avrebbe ritirato la
guarnigione che teneva dal 1849. A dare valore a questa convenzione, l’Italia
spostò la capitale da Torino a Firenze, come segno manifesto di rinuncia a Roma
come Capitale del Regno d’Italia.
Acquisito
il Veneto con la terza guerra di indipendenza, rimaneva aperta la questione di
Roma. L’occasione venne con la sconfitta di Napoleone III a Sedan contro il
Tedeschi nel 1870. L’Italia interpretò la Convenzione di settembre come un
patto sottoscritto con Napoleone III e non con la Francia. Caduto Napoleone
III, la Convenzione non aveva più valore: quindi invase il Patrimonio di San
Pietro ed entrò a Roma il 20 settembre 1870 proclamando Roma capitale d’Italia,
ed aprendo non solo la questione con la Santa Sede, la nota questione romana
che fu risolta solo nel 1929, ma una controversia ed una inimicizia con la
Francia che durò fino al Patto di Londra del 1915.
La
Francia per oltre un cinquantennio non ci perdonò mai l’entrata a Roma e ci fu
nemica ed avversaria in ogni circostanza, soprattutto nelle vicende economiche
e coloniali. In questo clima di contrapposizione, che non fu attenuato
dall’iniziativa di Garibaldi e dai suoi volontari che nel 1871 era accorso a
combattere a fianco dei Francesi contro i Tedeschi, sul finire degli anni
settanta la Francia, nonostante le promesse e le assicurazioni, di iniziativa
occupò Tunisi, che l’Italia considerava, come tutta la Tunisia, di sua
pertinenza geopolitica. È il famoso “Schiaffo
di Tunisi” che procurò una “ferita” diplomatica molto profonda in Italia
che non si sarebbe rimarginata tanto facilmente. Le polemiche che ne seguirono
furono roventi: non vi è lo spazio qui di discutere se l’Italia fosse una
vittima della protervia francese oppure, molto più verosimilmente, vittima dei
propri errori diplomatici, alcuni anche madornali; quello che qui si vuole sottolineare
è che tra l’Italia e la Francia si avviò una contrapposizione di lungo periodo.
L’Italia
prese atto che in Europa non aveva amici. Lontana l’Inghilterra nel suo
splendido isolamento, ovvero intenta a curare solo e solamente i suoi
interessi, nemica la Francia, occorreva rivedere le posizioni con l’Austria, la
nemica ereditaria del Risorgimento e con la Germania e la Russia.
Negli
anni ottanta l’assillo principale dei nostri governanti era una invasione
marittima. Si era consci che la nostra flotta non era in grado di difendere il
Paese. Nella riunione del 3 marzo 1882 la Commissione per la difesa dello Stato
si soffermava su Taranto Venezia ed Ancona:
“Per Taranto all’unanimità “riconobbe
la necessità che venga con la massima sollecitudine costruito ivi un arsenale
marittimo” sia per dare alla Marina una base “indispensabile” nel Mar Ionio,
sia perché vi si riconosceva il punto più idoneo e difendibile per installare
uno stabilimento marittimo. La difesa della Piazza di Venezia doveva interessare
la laguna ed il fronte a terra, in appoggio all’ala destra di un esercito che
operasse tra l’Adige e il Piave, occorreva inoltre costruire galleggianti
armati di cannone per la difesa locale. Ancona pur mancando di requisiti
significativi, doveva essere attrezzata come base di appoggio della flotta in
Adriatico, cercando di ricavarne il massimo profitto. ……… ’aggiunga che il
porto di Ancona, anche nelle attuali condizioni, quando non fosse da noi
difeso, potrebbe servire per operazioni di sbarco nel nostro territorio. Ne
deriva che esso sia validamente fortificato per mare e per terra e che venga
messo in condizioni di potere all’evenienza accogliere la nostra squadra”.[1]
[1]
Coltrinari M., Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il
1915. I primi sei mesi. Dall’euforia interventista
alla realtà della trincea, Roma, Editrice Nuova Cultura,
2017
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