Cerca nel blog

giovedì 18 maggio 2023

La Questione Romana: 50 anni di discordie con la Francia 170 -1914

APPROFONDIMENTI



 Massimo Coltrinari

Non si può comprendere a pieno gli eventi del 1914 se non ci si sofferma, anche per un solo attimo, sulle vicende di politica estera italiana nella seconda metà dell’800.

La costituzione dello stato unitario italiano nasce, nella sostanza, nella volontà francese, ed in particolare di Napoleone III di limitare, contenere e ridurre il predominio dell’Austria in Italia. La stessa spedizione “repubblicana” del 1849 da parte della Francia, che, “manu militari”, soppresse e cancellò la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, espressione massima a metà dell’ottocento delle aspirazioni unitarie e progressiste italiane, non aveva altro scopo che sottomettere, iniziando un protettorato che durerà fino al 1864, lo Stato Pontificio ed il Governo di Pio IX; nel contempo estrometteva e riduceva l’influenza dell’Austria su Roma ed il Lazio.

 

L’Austria, peraltro, aveva annesse ai suoi territori la Lombardia ed il Veneto e tramite Principati ad essa legata, tutta l’Italia centrale. In più, tramite legami dinastici, faceva sentire la sua influenza anche nel Regno delle Due Sicilie. In pratica l’Italia, che a Vienna era considerata una semplice espressione geografica, era sotto l’influenza austriaca. Rimaneva il Regno di Sardegna, che nel 1848 aveva dichiarato la guerra all’Austria innalzando la bandiera tricolore della indipendenza nazionale. Era stato sconfitto, ma rimaneva l’unico Stato in cui l’Austria non aveva influenza né diretta né indiretta.

 

In quello che noi italiani chiamiamo il “decennio di preparazione” (1850-1859) il Regno di Sardegna aveva sempre ottenuto l’appoggio francese. Nel 1855, per iniziativa del Cavour, il Regno di Sardegna partecipa alla spedizione in Crimea, accanto a Francesi e a Britannici con un Corpo di spedizione di 15.000 uomini. Più che un successo militare fu un successo diplomatico e politico in quanto questa partecipazione permise, al Congresso della Pace a Parigi del 1856, al Cavour di porre la questione della unificazione italiana al concerto internazionale ed alla attenzione di tutte le Nazioni. L’attentato di Felice Orsini a Napoleone III nel 1857 rinsalda ancor più l’alleanza con la Francia e due anni dopo, nel 1859, i Francesi scendono in Italia per combattere contro gli Austriaci accanto al Regno di Sardegna. È la seconda guerra di indipendenza, che si concluderà con l’armistizio di Villafranca, ma che darà l’avvio a quel biennio “mirabilis” in cui il Regno di Sardegna, grazie ai plebisciti, acquisisce la Lombardia e l’Italia Centrale. A seguire, per arginare e portare nell’alveo moderato la Spedizione dei Mille, che per il suo successo e per le influenze di Mazzini e del partito d’Azione mirava a costituire una Repubblica nell’Italia meridionale, il Regno di Sardegna invade le Marche e l’Umbria e raggiunge Napoli nell’ottobre del 1860. Con l’incontro di Teano l’Italia era unità, anche se mancavano ancora Roma, Venezia, Trento e Trieste. Il 17 marzo 1871 il Regno d’Italia fu proclamato. La grande protettrice dell’Italia che permise tutto questo è indubbiamente la Francia, che in dieci anni riuscì, con la costituzione del Regno d’Italia a limitare e a ridurre il predomino Austriaco nella penisola. Nel 1864, con le Convenzioni di settembre tra la Francia e l’Italia si stabilisce che l’Italia rinuncia a Roma, lasciandola al Papa con il territorio circostante, il cosiddetto Patrimonio di San Pietro corrispondente all’odierno Lazio, e la Francia avrebbe ritirato la guarnigione che teneva dal 1849. A dare valore a questa convenzione, l’Italia spostò la capitale da Torino a Firenze, come segno manifesto di rinuncia a Roma come Capitale del Regno d’Italia.

 

Acquisito il Veneto con la terza guerra di indipendenza, rimaneva aperta la questione di Roma. L’occasione venne con la sconfitta di Napoleone III a Sedan contro il Tedeschi nel 1870. L’Italia interpretò la Convenzione di settembre come un patto sottoscritto con Napoleone III e non con la Francia. Caduto Napoleone III, la Convenzione non aveva più valore: quindi invase il Patrimonio di San Pietro ed entrò a Roma il 20 settembre 1870 proclamando Roma capitale d’Italia, ed aprendo non solo la questione con la Santa Sede, la nota questione romana che fu risolta solo nel 1929, ma una controversia ed una inimicizia con la Francia che durò fino al Patto di Londra del 1915.

 

La Francia per oltre un cinquantennio non ci perdonò mai l’entrata a Roma e ci fu nemica ed avversaria in ogni circostanza, soprattutto nelle vicende economiche e coloniali. In questo clima di contrapposizione, che non fu attenuato dall’iniziativa di Garibaldi e dai suoi volontari che nel 1871 era accorso a combattere a fianco dei Francesi contro i Tedeschi, sul finire degli anni settanta la Francia, nonostante le promesse e le assicurazioni, di iniziativa occupò Tunisi, che l’Italia considerava, come tutta la Tunisia, di sua pertinenza geopolitica. È il famoso “Schiaffo di Tunisi” che procurò una “ferita” diplomatica molto profonda in Italia che non si sarebbe rimarginata tanto facilmente. Le polemiche che ne seguirono furono roventi: non vi è lo spazio qui di discutere se l’Italia fosse una vittima della protervia francese oppure, molto più verosimilmente, vittima dei propri errori diplomatici, alcuni anche madornali; quello che qui si vuole sottolineare è che tra l’Italia e la Francia si avviò una contrapposizione di lungo periodo.

 

L’Italia prese atto che in Europa non aveva amici. Lontana l’Inghilterra nel suo splendido isolamento, ovvero intenta a curare solo e solamente i suoi interessi, nemica la Francia, occorreva rivedere le posizioni con l’Austria, la nemica ereditaria del Risorgimento e con la Germania e la Russia.

Negli anni ottanta l’assillo principale dei nostri governanti era una invasione marittima. Si era consci che la nostra flotta non era in grado di difendere il Paese. Nella riunione del 3 marzo 1882 la Commissione per la difesa dello Stato si soffermava su Taranto Venezia ed Ancona:

 

“Per Taranto all’unanimità “riconobbe la necessità che venga con la massima sollecitudine costruito ivi un arsenale marittimo” sia per dare alla Marina una base “indispensabile” nel Mar Ionio, sia perché vi si riconosceva il punto più idoneo e difendibile per installare uno stabilimento marittimo. La difesa della Piazza di Venezia doveva interessare la laguna ed il fronte a terra, in appoggio all’ala destra di un esercito che operasse tra l’Adige e il Piave, occorreva inoltre costruire galleggianti armati di cannone per la difesa locale. Ancona pur mancando di requisiti significativi, doveva essere attrezzata come base di appoggio della flotta in Adriatico, cercando di ricavarne il massimo profitto. ……… ’aggiunga che il porto di Ancona, anche nelle attuali condizioni, quando non fosse da noi difeso, potrebbe servire per operazioni di sbarco nel nostro territorio. Ne deriva che esso sia validamente fortificato per mare e per terra e che venga messo in condizioni di potere all’evenienza accogliere la nostra squadra”.[1]



[1] Coltrinari M., Le Marche e la Prima Guerra Mondiale: il 1915. I primi sei mesi. Dall’euforia interventista

 alla realtà della trincea, Roma, Editrice Nuova Cultura, 2017  

Nessun commento:

Posta un commento