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venerdì 26 luglio 2019

“Nous sommes dans un cul-de-sac”


 APPROFONDIMENTI
La caduta del fascismo rappresenta
 per gli Italiani il dovere di fare una scelta


Storia di Lucia Ottobrini


Osvaldo Biribicchi


Maria, Leda, nomi di battaglia di Lucia Ottobrini, Medaglia d'Argento al Valor Militare, la prima gappista italiana che, sistematicamente, a partire dal 9 settembre 1943, ha condotto azioni individuali e di gruppo contro i nazifascisti. È una delle quattro ragazze, assieme a Carla Capponi, Marisa Musu e Maria Teresa Regard, dei Gruppi Armati Patriottici romani fondati dopo l'8 settembre 1943. Nel libro L'ordine è già stato eseguito di Alessandro Portelli, Donzelli Editore, la Ottobrini è citata quattordici volte. Leggendo questo libro sulla Resistenza romana rimasi subito incuriosito dalla figura di questa giovanissima combattente, per metà alsaziana e metà romana. La immaginai forte, determinata, forse anche spietata, di poche parole e, al tempo stesso, generosa e di grande sensibilità d'animo. Due posizioni contrastanti tra loro. Ma chi era e chi è questa donna che non riuscivo ad inquadrare perfettamente? Cercai altri libri, articoli di giornale per conoscerne meglio la storia, la vita. La svolta c'è stata quando, grazie all'amico Giovanni Cecini, autore del Libro I soldati ebrei di Mussolini edito da Mursia, ho conosciuto il Professore Mario Fiorentini, classe 1918, insigne matematico, esponente di spicco della Resistenza romana ed italiana, decorato con tre Medaglie d’Argento al Valor Militare, tre Croci di Guerra al Merito, la Medaglia Donovan dell’Office of Strategic Services (USA), la Medaglia della Special Force (Regno Unito) e, cosa più importante, marito di Lucia Ottobrini. L’incontro, già di per sé eccezionale, con il Professor Fiorentini mi ha consentito di conoscere Lucia di persona. Alla travolgente loquacità di Mario, fonte inesauribile di aneddoti e storie legate al suo passato di combattente, affascinante affabulatore che, con incredibile disinvoltura, passa da argomentazioni matematiche a temi legati alla cultura, all'arte, al teatro, all'impegno sociale, fa da contrappunto la austera riservatezza di Lucia. Lei, cattolica convinta, tollerante verso le altri fedi religiose, non ama parlare del suo passato in generale né, tanto meno, di quel tragico periodo che va dall'8 settembre 1943 al 25 luglio 1945 in cui fu protagonista prima della guerriglia urbana a Roma poi, dopo la nota azione di Via Rasella, della guerra partigiana in montagna, nel settore Tiburtino.
Lucia, seconda di nove figli, nasce nel 1924 a Roma ove vi rimane fino all'età di cinque mesi, ossia fino al momento in cui i suoi genitori decidono di trasferirsi in Francia, a Mulhouse, una ricca e laboriosa città dell'Alsazia meridionale, a ridosso delle frontiere con la Svizzera e la Germania, dove i bisnonni materni erano emigrati alla fine dell'Ottocento ed avviato una solida attività commerciale. Mulhouse è una città a vocazione industriale e mineraria che, negli alterni passaggi di mano, dopo la Grande Guerra era tornata a far parte della Francia. È in questa città, ove convivono sfruttati e mal pagati minatori ed operai italiani, polacchi, cecoslovacchi e francesi, che Lucia cresce e si forma, ove acquisisce quella coscienza sociale, quella sensibilità verso gli emarginati verso i più deboli che non l'abbandoneranno più e andranno a formare la base su cui poggerà il suo successivo impegno politico, la sua lotta armata contro il nazifascismo, contro le ingiustizie. La famiglia di Lucia, comprendendo in questo termine anche i tanti cugini e zii, è bella e numerosa. Tutti si vogliono bene e, soprattutto, sono molto uniti fra loro e con la comunità italiana di Mulhouse. Una vecchia foto di famiglia, in bianco e nero, scattata in occasione di un matrimonio, li ritrae tutti insieme, vicini, stretti. Nell'osservare la foto, si rimane affascinati, oltre che dal ragguardevole numero di componenti di questa famiglia, dai volti sereni delle persone, dagli sguardi fieri. Tutti, grandi e piccoli, eleganti nei loro abiti, sono caratterizzati dalla compostezza di portamento, segno esteriore di una agiatezza raggiunta attraverso non pochi sacrifici ed un duro ed intelligente lavoro. Ebbene, con l'occupazione della Francia, nel 1940, da parte dei tedeschi, questa famiglia viene direttamente e tragicamente colpita, spezzata dai nazisti. Alcuni parenti ebrei vengono brutalmente prelevati nelle loro case, deportati e gasati ad Auschwitz. Idealmente, è come se quella foto in bianco e nero venisse stracciata.
Per Lucia è un colpo particolarmente duro che le fa crescere dentro una rabbia sorda, profonda verso ogni forma di prepotenza, di arroganza, di ingiustizia. A seguito di questi eventi, Lucia ed i suoi fanno ritorno a Roma, in una casa assegnata loro dallo Stato nel periferico e povero quartiere di Primavalle.
È un periodo di grande avvilimento. I genitori vanno alla ricerca di un lavoro, lei è assunta come operaia al Ministero del Tesoro. L'avvicinamento all'antifascismo avviene attraverso la conoscenza, nella primavera del 1943, del giovane Mario Fiorentini di famiglia ebrea piccolo-borghese. Fiorentini è in contatto con gli ambienti culturali ed artistici della città. È in amicizia con scrittori come Ugo Betti, Giorgio Caproni, Francesco Jovine, Sibilla Aleramo, Sandro Penna e Vasco Pratolini; con pittori come Vedova, Turcato, Guttuso, Purificato. Conosce registi, quali Squarzina, Lizzani, Gerardo Guerrieri, Vito Pandolfi, Mario Landi ed attori di teatro e cinema come Gassman, Lea Padovani, Nora Ricci, Caprioli e Bonucci. L'intesa fra i due giovani è immediata, naturale; si completano a vicenda. Lucia, educata e cresciuta in un ambiente sociale avanzato, multireligioso; che parla correntemente, oltre all'italiano, il francese ed il tedesco; che considera la Francia, messa in ginocchio dai nazisti ed aggredita dall'Italia, la sua seconda patria; che ha avuto nella sua numerosa famiglia dei parenti ebrei deportati e gasati ad Auschwitz; lei alsaziana proveniente da una realtà che l'ha portata a conoscenza, ancor prima degli stessi ebrei piccolo-borghesi romani, delle spaventose realtà dei campi di sterminio nazisti, accoglie con estrema naturalezza i principi antifascisti. Nella prima metà del 1943 frequenta, insieme a Mario Fiorentini, gli ambienti culturali ed artistici di Roma e partecipa alle prime azioni politiche: comizi lampo e manifestazioni di protesta. Il primo incarico politico, affidatogli da Laura Lombardo Radice, consiste nella raccolta di indumenti, medicine e cibo per i prigionieri politici. Nello stesso periodo, Mario entra in contatto con gli antifascisti di “Giustizia e Libertà”, di ispirazione democratica e repubblicana. Ed è nelle file di questo movimento politico, dal carattere popolare ed interpartitico, che, dopo la caduta del Fascismo nell'agosto del 1943, Lucia, Mario e Franco di Lernia, guidati da Fernando Norma, partecipano agli Arditi del Popolo. All'appuntamento dell'8 settembre 1943, quando i tedeschi occupano Roma, Lucia arriva dunque preparata: politicamente, spiritualmente e militarmente. Lei, rispetto a Mario, che in seguito sarebbe diventato suo marito, il compagno affettuoso della sua vita, agli altri giovani intellettuali, ai suoi coetanei è politicamente in vantaggio per il semplice motivo che ha conosciuto prima di loro, in Alsazia, la brutalità dei nazisti. La Ottobrini, fortemente ideologizzata e con un bagaglio di sofferenze anche più pesante e tragico di quello di Mario, che pure aveva subito le leggi razziali, che aveva visto, il 16 ottobre 1943, portar via brutalmente dai nazisti i suoi genitori i quali solo fortunosamente erano riusciti ad evitare la deportazione ad Auschwitz, non esita nemmeno un istante a scendere in campo contro gli occupanti. Il 10 settembre, dopo che si erano spenti i furiosi combattimenti iniziati la notte dell'8 con l'attacco dei paracadutisti tedeschi alle postazioni del I Reggimento Granatieri nei pressi del ponte della Magliana e proseguiti a Porta San Paolo, Lucia e Mario sono in via del Tritone, all'angolo di via Zucchelli, ad osservare muti ed angosciati il transito dei carri armati e delle truppe tedesche di occupazione. Lo sfilamento non è ancora terminato che Mario prende Lucia per un braccio ed esclama “nous sommes dans un cul-de-sac”. Subito dopo, vanno alla Pineta Sacchetti, al Flaminio, a Monteverde a raccogliere le armi abbandonate nelle caserme, soprattutto bombe ed esplosivi. In questa particolare e concitata ricerca, gli iniziatori della guerriglia urbana sono guidati da un Ufficiale dell'Esercito, il Tenente Prat. Ai primi di ottobre del 1943 è, insieme a Mario Fiorentini, tra i fondatori dei Gruppi Armati Patriottici Centrali i quali hanno lo scopo di indebolire il potenziale bellico nazista a Roma ed impedire che la “Città Aperta” venga utilizzata per il transito delle colonne di rifornimenti dirette al fronte. I GAP romani sono quattro, divisi in otto zone che coprivano l'intero perimetro urbano; ognuna di esse ha un comandante militare, un commissario politico ed un responsabile organizzativo.
La Ottobrini partecipa alle più importanti ed audaci azioni militari dei GAP romani. Fra le più importanti e conosciute, senza contare i ripetuti improvvisi attacchi a colpi di bombe agli automezzi e carri armati tedeschi in sosta ed in transito per il fronte, quella del 4 marzo 1944 davanti alla caserma dell'81° Reggimento di fanteria in via Giulio Cesare, per ottenere la liberazione dei civili arrestati; l'attacco, il 10 marzo, al Battaglione “Onore e Combattimento” della Guardia Nazionale Repubblicana in via Tomacelli; l'attacco in via Rasella, il 23 marzo 1943, alla Compagnia del Reggimento di Polizia SS “Bozen”, formato da altoatesini che avevano optato per la cittadinanza tedesca. Questa azione è pianificata da Fiorentini, fondatore e comandante del Gap Centrale Antonio Gramsci. 
L'attacco, fulmineo, portato a termine da diciassette gappisti, fra cui la Ottobrini e la Capponi, comandati da Carlo Salinari, provoca la morte di trentatre tedeschi, ventotto sul colpo e cinque in ospedale a causa delle gravissime ferite riportate. Un centinaio i feriti. Nessun gappista, invece, rimane ucciso o ferito; nessuno viene catturato. In via Rasella si svolge una vera e propria battaglia. Dopo aver fatto esplodere l'ordigno al passaggio dei militari, i gappisti attaccano a colpi di bombe e d'arma da fuoco i tedeschi, ingaggiano con questi una violentissima sparatoria. Ogni SS ha  cinque o sei bombe a mano appese alla cintola. Anche queste scoppiano e contribuiscono ad accrescere il numero delle vittime. La compagnia SS viene praticamente annientata da un manipolo di guerriglieri che, dopo l'azione, svanisce nel nulla. I tedeschi sono furibondi, dal punto di vista militare il durissimo attacco subito, peraltro nel cuore di Roma, è uno smacco umiliante mai accaduto prima nelle città dell'Europa occupata. Il giorno dopo segue la fulminea tremenda rappresaglia tedesca alle Fosse Ardeatine, ove vengono trucidate 335 persone di età compresa fra i 14 ed i 75 anni. Dopo l'azione di via Rasella, “Maria” e “Giovanni”, ricercati dai nazisti, vengono inviati dalla giunta militare del CLN a dirigere le operazioni nella zona di Tivoli e Castelmadama.  Intanto, a pochi chilometri da Roma, ad Anzio, gli Alleati sbarcati due mesi prima, alle prime luci del 22 gennaio 1944, sono ancora li, inchiodati dai tedeschi. I romani che aspettavano da un momento all'altro l'ingresso degli anglo-americani in città avrebbero dovuto aspettare sino alla domenica del 4 giugno.
Di quel periodo, Lucia ricorda, con il dolore nel cuore, i terribili devastanti bombardamenti americani che si abbattevano quotidianamente sulla povera gente, quella stessa gente che l'8 settembre 1943 aveva festeggiato l'armistizio come la fine di un periodo buio, che aveva visto in quell'armistizio il ritorno a casa di figli e mariti dai lontani fronti di guerra e guardato con ottimismo all'immediato futuro. Lei non comprendeva il senso di quelle devastazioni che colpivano duramente più la popolazione che i tedeschi. Tivoli fu quasi interamente rasa al suolo, case ed ospedali distrutti. Dopo quei bombardamenti, viene inviata sulle alture di Castel Madama per dirigere un nucleo partigiano al quale è affidato il compito, fra gli altri, di preservare una centrale idroelettrica che i tedeschi intendono far saltare. "Niente di particolarmente eroico", afferma in una intervista, "eravamo gente costretta a lottare e non guerrieri in cerca di gloria".
 Sempre di questo periodo, il Professor Fiorentini ama raccontare la pietà di Lucia sia nei confronti dei civili, stremati dai continui, quanto inutili, bombardamenti anglo-americani, che dei tedeschi. A questo riguardo, racconta di quando Lucia, con il cuore straziato, vide una colonna di giovanissimi soldati germanici che, provati dai durissimi combattimenti, stanchi ma orgogliosi, cantavano “Andiamo a casa dove staremo bene”. Nell'ascoltare questa struggente canzone, la gappista alsaziana che capiva il tedesco scoppiò a piangere. In questo episodio è, forse, racchiusa la complessa e profonda personalità di  Lucia Ottobrini.
Sulla sua scelta politica e militare di combattere il nazifascismo, ha dichiarato: “La principale motivazione della mia scelta antifascista fu sicuramente l'entrata in guerra contro la Francia, la mia seconda patria, l'infamia di un'aggressione contro un Paese che era stato già piegato dai tedeschi. Poi le leggi razziali. Molta gente, specie nel "popolino", aveva creduto in una matrice proletaria del fascismo e in una certa propensione ad occuparsi della povera gente e questo spiega il consenso di massa che il fascismo, e il fascino personale di Mussolini, avevano conseguito. Con i fallimenti della campagna di Grecia e di Russia, si capì subito però che la guerra non sarebbe stata la passeggiata imprudentemente promessa. Fu il fatto di aver passato la prima parte della mia esistenza in un ambiente proletario e i miei trascorsi in Francia, che fecero maturare in me la coscienza di stare dalla parte degli operai e del popolo”.
Nel 1953 le è stata assegnata la medaglia d'Argento al Valore Militare con la seguente motivazione:"Ottobrini Lucia di Francesco e di Domenica De Nicola, Roma, classe, 1924, partigiana combattente. Giovane e ardimentosa partigiana, dava alla causa della Resistenza a Roma e nel Lazio, apporto entusiastico e infaticabile. Raccoglieva e trasportava armi, procurava notizie, contribuiva validamente alla organizzazione di numerosi atti di sabotaggio. Con coraggio virile non esitava ad impugnare le armi battendosi più volte a fianco dei compagni di lotta, sempre dando esempio di impareggiabile ardimento e facendosi ricordare tra le figure rappresentative della Resistenza romana. Zona di Roma, settembre 1943- giugno 1944)".
Ad oltre sessantacinque anni di distanza da quei dolorosi giorni in cui tutti, uomini e donne, furono chiamati a delle scelte difficili e drammatiche, in Lucia rimane un profondo senso di umanità. Un senso di pena per tutte le vittime di quel periodo, compresi quei giovani tedeschi, di cui parlava la lingua, che con la paura nel cuore cantavano “A casa, a casa, che li staremo meglio”. 

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