APPROFONDIMENTI
Convinti gli Austriaci di aver sconfitto l'Italia
nella loro supponenza non riconobbero in questa
sconfitta l'inizio della loro disfatta
La Battaglia d'Arresto
novembre 1917
di
Luigi
Marsibilio
Alla data del 10 novembre 1917 complessivamente, per il nuovo imminente
urto, a prescindere dalla diversa efficienza materiale e morale, le forze che
si fronteggiavano sul Piave erano le seguenti:
Italiani
▪
Altopiano
di Asiago 6 Divisioni
▪
Monte
Grappa 4 "
▪
Montello
e Piave
11 "
Austro – Tedeschi
▪
Sinistra
del Conrad 7 Divisioni
▪
Krauss e
Krobatin 5 "
▪
Scotti 3
"
▪
Stein e Hofacker 12
"
▪
Boroevic 19
"
Ma, poiché le nostre truppe dell’altipiano d’Asiago erano più
efficienti e meglio sistemate e le Armate nemiche attestate al Piave
presentavano un grande scaglionamento in profondità, lo sforzo massimo fu
sopportato dal settore del Grappa, dove la resistenza era affidata soltanto al
valore degli uomini.
Il Comando Supremo austro-ungarico prescriveva il 9 novembre:
“Lo stato dell’Esercito italiano richiede dappertutto una condotta
attiva ed energica. Il generale Conrad attaccherà il 12 dal settore di Asiago
in direzione sud. Possibilmente occorrerà esercitare una energica pressione
contemporanea fra il Brenta ed il Piave”.
Il Conrad perseguendo la sua antica concezione, decise di attaccare
sull’altopiano dei Sette Comuni, avendo come primo obiettivo la linea Asiago –
M. Lòngara – M. Lisser, mentre le truppe di fondo valle dovevano tendere a
Primolano. L’ala destra del XX Corpo d’Armata austriaco (IX brigata da
montagna) doveva raggiungere il solco Fonzaso – Arsiè, venendo così a saldare
la massa d’attacco con la destra del generale Krauss.
Quest’ultimo ordinò alle sue ali di sfondare per le valli del Brenta e
del Piave, mentre colonne fiancheggianti dovevano dare la scalata al Grappa e
raggiungere la piana di Crespano. Il Boroevic a sua volta, voleva tentare
ovunque gli riuscisse, il passaggio del Piave, cercando di stabilire qualche
testa di ponte.
Da parte italiana - come magistralmente mise in luce il maresciallo
Giardino (1) – due necessità antitetiche, ma ugualmente imperiose, ispiravano
la nostra azione:
‒
economizzare
al massimo le scarsissime truppe, non disseminandole in difese locali di
secondaria importanza e schierarle senz’altro sulla linea di resistenza ad
oltranza;
‒
ritardare
il più possibile l’avanzata del nemico per dar tempo ai rinforzi di accorrere e
rinsaldare le linee e per permettere al Comando Supremo la costituzione di
qualche prima riserva. Ciò che indurrà ad occupare e tenacemente difendere
posizioni antistanti alla linea principale, per guadagnare tempo e logorare
l’avversario.
Tutti i comandanti, consci della tremenda situazione e delle sue
ineluttabili esigenze, dovevano regolare caso per caso la loro azione, reggendo
il timone con mano ferma, per evitare gli scogli che ad ogni momento potevano
consigliare un cambiamento di rotta. Difficoltà grandissima che, aggiunta agli
altri elementi della situazione strategica, tattica e morale, rendeva più
difficile il compito delle nostre armi.
Il nuovo Comando Supremo era a Padova e considerava freddamente il
presente e l’avvenire. Il generale Diaz che aveva sempre retto il suo Comando
con calma, era coadiuvato dai due Sottocapi Giardino e Badoglio.
____________
(1) Cfr. Giardino: op. cit.
Durante la battaglia di arresto gli austriaci, passati all’offensiva
sull’altopiano di Asiago, vennero contenuti nei giorni 10 e 11 novembre.
Riattaccarono il giorno 12
sull’altopiano di Asiago, nella regione delle Melette e sul Grappa e,
nella notte sul 12, anche sul Piave.
Dal 18 al 22 novembre si ebbero nuovi violenti attacchi austro-tedeschi
sull’altopiano di Asiago e sul Grappa e noi perdemmo monte Pertica; ma i nemici
non riuscirono a superare la nostra strenua difesa, anche se rinnovarono i loro
tentativi il 25 ed il 26 novembre contro le nostre posizioni del Grappa; dal 4
dicembre contro le Melette; il giorno 6 sul basso Piave, il giorno 11
nuovamente sul Grappa, dove gli
austriaci riuscirono ad occupare prima lo Spinoncia, il colle della Berretta,
il colle Caprile e l’Asolone ed infine, il 23 dicembre, con un formidabile
attacco sull’altopiano di Asiago, che ebbe qualche successo; mentre tuttavia la
nostra tenace resistenza impediva agli austriaci di scendere in val Brenta.
Reputo interessante richiamare alcune note del generale Giuseppe
Francesco Ferrari, allora comandante del XX Corpo d’Armata. Egli, dopo la
guerra, fu comandante di Armata e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
“La battaglia cosiddetta di arresto, del novembre-dicembre 1917, in
sostanza si è combattuta tutta a cavallo del Brenta, sul fronte degli Altipiani
e del Grappa. Si accese fra il 10 ed il 12 novembre sul fronte del XXII e del
XX Copro d’Armata e vi infuriò ininterrotta fino al 5 dicembre, quando
finalmente la preponderanza in termini di numero e mezzi del Conrad riuscì a
strapparci il gruppo delle Melette. Successo sterile, per rispetto a quello
sognato dal Conrad, che si era proposto, ingaggiando quella battaglia, di
scendere per l’Altopiano e per il fondo di val Brenta, fra Vicenza e Bassano,
alle spalle dello schieramento sul Piave, segnando così l’irreparabile e
decisiva sorte delle nostre armi. L’avere salvato l’Esercito ed il Piave da
questo estremo pericolo è onore e merito che va tutto rivendicato ai Corpi
della 1ª e della 4ª Armata che, in quel difficilissimo momento, in cui tutto
faceva difetto, di fronte ad un nemico imbaldanzito dalla grande vittoria
ottenuta sull’Isonzo, seppero opporre una resistenza che lo stesso nemico,
sorpreso e fiaccato, qualificò in un bollettino di guerra di quei giorni quale
eroica.
E sullo stesso altipiano di Asiago, pochi mesi dopo, svanì per il
valore degli stessi Corpi un altro sogno di vittoria del nemico, rendendo così,
per la seconda volta, a noi favorevoli le sorti della guerra. Basta gettare uno
sguardo sulla carta di quei luoghi per rendersi conto del grave, irreparabile
danno che una vittoria austriaca sull’Altopiano avrebbe segnato per noi, in
confronto con una eguale vittoria sul Piave, per la possibilità che a noi
sarebbe in tal caso sempre rimasta, di una ulteriore difesa arretrata. Decisa
la ritirata della 4ª Armata dal Cadore, il XX Corpo, schierato sull’altipiano
della Marcèsina, fronte ad ovest, ebbe l’ordine di occupare il gruppo delle
Melette, ripiegando la sua destra lungo la val Gàdena, tra Foza e Valstagna,
allacciandosi poi alla difesa del Grappa, alle Rocce Anzini ed al colle
Moschin.
Il ripiegamento del XX Corpo doveva avvenire contemporaneamente a
quello del XVIII, schierato sulla destra, in val Sugana, e che sul Grappa,
doveva poi costituire l’ala sinistra della 4ª Armata. Il giorno 7 novembre,
stabilito per il ripiegamento dei due Corpi d’Armata parve ai due comandanti
(generale Ferrari e generale Tettoni) prematuro, sicché di loro iniziativa essi
decisero di ritardarlo di 24 ore. L’iniziativa non ebbe a tutta prima la piena
approvazione dell’autorità superiore; ma i fatti la dimostrarono opportuna e
vantaggiosa. Essa infatti permise, non solo di sgomberare l’ingente materiale,
specie di munizioni e viveri, agglomerato in modo particolare sull’altopiano
della Marcèsina e di eseguire il preventivo ripiegamento delle grosse
artiglierie, senza il sacrificio di un solo pezzo: risultato per quei momenti
assai prezioso; ma altresì, di coprire la depressione di Arten, consentendo ad
un notevole nucleo di truppe della 4ª Armata (bloccato alla stretta di Quero,
dove il nemico lo aveva prevenuto di sfuggire alla cattura, gettandosi in val
Brenta, al sicuro da ogni offesa. Il ripiegamento del XX Corpo, per quanto
fatto a malincuore, fu eseguito il giorno 9 novembre con l’ordine e la
regolarità di una manovra; il nemico non osò disturbarlo e, quando si mosse,
non avendo avanti a sé che un velo di pochi arditi (100 su tutto il fronte XX
Corpo d’Armata), avanzò titubante e con ogni cautela, cosicché l’11 novembre
tutto il Corpo d’Armata, intatto, era schierato sulle nuove posizioni.
Le prime avvisaglie in fondo a val Brenta mostrarono come il nemico
ritenesse il nostro movimento retrogrado segno di una menomata volontà di
resistenza, per la quale fosse da considerarsi ormai a lui aperta la strada di
Bassano. Infatti, quasi subito dopo il nostro ripiegamento, un reparto
austriaco venne ad urtare a S. Marino contro il battaglione alpini “Tirano”,
che sbarrava la valle, e vi fu catturato. Al comandante del reparto (una
compagnia) fu sequestrato un biglietto, nel quale era contenuto l’ordine di
scendere su Valstagna e possibilmente su Bassano.
La battaglia ebbe poi il suo epilogo il 5 dicembre. L’avversario riuscì
ad avere ragione della nostra resistenza che, in quelle condizioni di
inferiorità di numero e di mezzi, fu un vero miracolo di valore delle brave
truppe della 29ª divisione. Fra le tante considerazioni che suggerisce quella
bella difesa delle Melette, ve n’è una che mi sembra non debba essere taciuta,
per l’importanza speciale dell’insegnamento che essa contiene. Il XX Corpo
d’Armata, ala destra di una Armata di sei Corpi d’Armata (la 1ª), non coinvolti
nelle vicende di quei giorni, rimase quasi solo (con la destra del XXII Corpo),
per tutto il tempo in cui durò la battaglia sull’Altopiano, a sostenere l’urto
avversario.
Qualche battaglione venne bensì a sostituire quelli che le durissime
azioni man mano logoravano, ma con questo concorso a spizzico, non poteva
essere e non fu possibile mutare le sorti della battaglia, più volte rinnovata
dalla parte avversaria con Divisioni fresche”, contro le quali le nostre truppe
combatterono eroicamente.
L’esercito italiano, riordinato e rifornito di mezzi durante l’inverno,
non tardò a dar prova di aver ritrovato il suo spirito offensivo, in varie
azioni di dettaglio, compiute durante l’inverno e la primavera. Fra queste: la
riconquista della linea M. Valbella – Col del Rosso, Col d’Echele (detta anche
“battaglia dei tre monti” e svoltasi tra il 27 ed il 29 gennaio 1918); la
riconquista del M. Corno di Vallarsa (10 maggio) e di parte della testa di
ponte austriaca di Capo Sile, sul basso Piave (27 maggio); infine, le operazioni
nella zona Tonale – Adamello (25 maggio), che ci diedero il possesso delle
posizioni di cima Presena, monte Maroccaro e monte Zigolon, che dominavano la
val Camonica.
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