APPROFONDIMENTI
Nota breve per l'inizio di una ricerca
riguardante Amedeo d'Aosta nel quadro di un progetto sulla prigionia in Kenya
e la costruzione del movimento nazionalista dei Mau Mau e la formazione dello stato kenyota indipendente.
Francesco Atanasio*
La figura di Amedeo di
Savoia, Duca d’Aosta, Vicerè d’Etiopia. M.O.V.M., è quasi sempre presentata con
le cadenze dell’agiografia anche perchè la sua vita vi si presta ampiamente. Gli anni del suo governo in
Africa Orientale coronarono la sua eccezionale carriera militare, conclusasi in
un alone di leggenda sull’Amba Alagi il 19 maggio 1941 e la morte, dopo breve
malattia, in prigionia il 2 marzo 1942.
All’indomani
della prematura scomparsa non si contarono gli scritti celebrativi a firma
anche di personalità come Orio Vergani, Giovanni Ansaldo, Mario Pomilio, Vittorio
Gorresio. Nel dopoguerra più d’una le biografie da quella di Amedeo Tosti,
apprezzato storico militare, a quella di Raffaele Paulucci di Valmaggiore, eroe
del 1918 e luminare della medicina: fra tutte spicca il volume di Alfio
Berretta, pubblicato nel 1948 per la Garzanti: corrispondente dei principali
quotidiani nazionali era stato con il Duca fino alla prigionia. Nel 1952 seguirà
la più ampia opera dal titolo Con Amedeo d’Aosta in Africa Orientale
Italiana in pace e in guerra, edito da Ceschina. La sua testimonianza diretta consegna il Duca
nella sua straordinaria umanità con dovizia di particolari, ma anche di dati e
notizie rilevanti sulle sue scelte politiche e militari.
L’Istituto del
Nastro Azzurro nel 1954 pubblicherà un volume celebrativo, con il proemio di Nino
di Villa Santa, contenente gli scritti di Aldo Valori, Pietro Maravigna, Francesco
Scaglione, Vittorio Beonio-Brocchieri, Carlo Curcio: personalità oggi quasi
ignote, ma le cui biografie rivelano lo spessore culturale ed etico dell’Italia
nella prima metà del Novecento. La pubblicazione, che in appendice citava gli
scritti “africanisti” del Duca e l’allora
già imponente bibliografia sulla sua figura, rimane a tutt’oggi l’’unica che dia
conto della complessa personalità come uomo d’armi e come colonizzatore.
L’Italia
repubblicana, che cercava di recuperare al tavolo dei negoziati di pace almeno
le colonie dell’età liberale e che nel 1950 riceverà dall’Onu l’amministrazione
fiduciaria della Somalia, iniziava anch’essa a studiare il proprio passato in
Africa e proprio nel decennale
della morte del Duca istituiva con decreto interministeriale un “Comitato per la documentazione dell’opera
d’Italia in Africa”, cui fu affidato il compito di “illustrare l’attività svolta dal governo nei territori africani già
soggetti alla sovranità d’Italia”: soppresso nel 1984, ha prodotto 40 tomi,
ma sono stati classificati come “opera di semplice compilazione” e nulla dice
di Amedeo d’Aosta.
Una svolta nella rilettura delle esperienze
coloniali italiane la si avrà con le ricerche di Angelo Del Boca iniziate nel
1977 e conclusesi nel 1988 e che suscitarono violentissime polemiche con
personalità del passato regime come Alessandro Lessona e le associazioni dei
reduci dell’Africa: ma gli appena tre anni del mandato vicereale di Amedeo non
potevano che avere nel complesso pochi riferimenti. Nel 1985 Edoardo Borra, darà
alle stampe una biografia del Vicerè dal titolo Da Addis Abeba a Nairobi. Ricordi di un fedelissimo, edita da
Mursia, spesso citata da quanti si avvicinano alla sua figura. L’autore, personalità di rilievo per i suoi incarichi
sanitari e per quelli di “diplomatico” ufficioso negli anni’30 in Africa Orientale,
fu anche il medico personale del Duca che seguirà in prigionia e raccoglierà
molte delle sue confidenze. E’ l’unico testo che cita Nicola La Banca che nel
suo Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, edito nel 2002 da Il
Mulino, che ripercorre tutta l’esperienza coloniale italiana e ha censito nella
parte dedicata ai riferimenti bibliografici di ben 74 pagine la quasi totalità
della produzione scientifica sul tema. Se la ricerca storiografica è continuata
con gli studio di Carcangiu e Negash (2007), Sbacchi ( 2009) e Di Rienzo (2016), nel 2017 Giuseppe Pardini
ha aperto nuovi spazi con un suo lavoro sui progetti di espansione coloniale
con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940. Al riguardo si è rivelato quanto
mai rilevante per conoscere meglio la figura del Duca il suo articolo sul
n.1/2018 di Nuova Storia Contemporanea: “La
nascita dell’Impero di Roma e la diplomazia britannica”: in appendice
Pardini ha pubblicato alcuni rapporti delle autorità consolari inglesi in
Etiopia, conservati nell’Archivio del Ministero dell’Africa Italiana, e fra di
essi emerge quello del Console generale ad Addis Abeba, Hugh Stonehewer Bird,
del 2 gennaio 1939, indirizzato al ministro degli esteri Halifax. Scrive il
Console, esperto diplomatico e profondo conoscitore della realtà coloniale che “…il Duca, che aveva assunto la carica di
Vicerè il 26 dicembre 1937, è stato infaticabile…ha visitato…quasi ogni angolo
dell’Africa Orientale italiana…per quanto riguarda l’organizzazione la macchina
amministrativa lavorava in dicembre 1938 assai meglio che un anno prima… Si
hanno prove evidenti della personale popolarità del Duca…la presenza ad Addis
Abeba della Duchessa d’Aosta ha contribuito a creare una sensazione di normalità…Dal punto di
vista personale …il primo anno di governo del Duca deve essere considerato un
completo successo.”
Il rapporto continua esaminando i
risultati positivi dell’azione del Vicerè, dopo i gravi errori di Graziani, con
il passaggio da un’amministrazione di carattere militare a una civile, la
soppressione dei tribunali di guerra, l’apparizione della Polizia coloniale. Al
pari positivo è il giudizio del Console sul Duca per “la sua decisione di seguire verso gli indigeni una politica di clemenza
e di attrazione, suggellata con la
concessione di amnistie, la soppressione del sistema schiavistico, il
ristabilimento dell’ordine pubblico, il ripristino della ferrovia verso Gibuti,
l’avvio di cantieri per la costruzione di un ramificato sistema viario e di
opere di valorizzazione economica del territorio, l’aver instaurato rapporti
cordiali con le gerarchie del celero copto e i musulmani, ma anche con i
sudditi britannici e le autorità coloniali limitrofe.
Le conclusioni del Console, ammessa
la rilevanza del riconoscimento internazionale del giovanissimo Impero italiano
da parte dell’Inghilterra con gli accordi di Pasqua del 16 aprile 1938 e della
Francia nel successivo settembre, individuano nello sviluppo economico e nei
rapporti con gli Etiopici “le chiavi più
importanti del futuro” dell’Africa orientale italiana. Che queste “chiavi”
fossero nelle mani di Amedeo d’Aosta è una pagina di storia ancora da scoprire
e andrebbe fatta senza apologie, ma senza giudizi negativi preconcetti. E’
indubbio che la “partita” coloniale era ancora tutta da giocare e solo
l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, contro cui si batterà sia il Duca che
Italo Balbo, anch’egli impegnato nella valorizzazione della “Quarta Sponda”, la
farà andare tragicamente in pezzi.
Note Biografiche
Primogenito di Emanuele Filiberto di
Savoia ed Elena di Francia, era nato a Torino il 21 ottobre 1898: insignito da
Umberto I del titolo di Duca delle Puglie, studia a Napoli presso il Collegio
Militare della Nunziatella e poi a Eton in Inghilterra. Nel maggio del 1915, ancora
minorenne, con il consenso di Vittorio Emanuele III e del padre, si arruola
volontario da soldato semplice nel reggimento artiglieria a cavallo “Voloire”:
promosso ufficiale per meriti di guerra, viene ripetutamente decorato al valor
militare partecipando agli scontri sul Carso, la Bainsizza e il Piave.
(Sarà citato anche all’ordine del giorno dell’Esercito francese). Nel 1919 è in
Somalia con lo zio Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi: qui matura le sue prime esperienze di
“africanista” e si innamora delle genti e dei costumi di quel continente. Nel
1924 si laurea presso la facoltà di giurisprudenza di Palermo con tesi in
diritto coloniale dal titolo “I rapporti giuridici fra gli Stati moderni e
le popolazioni indigene delle loro colonie”:. Nel 1925 è con reparti meharisti
in Libia e partecipa a tutte le principali operazioni fino alla
riconquista del Fezzàn. Nel 1926, maturata la sua passione per il volo,
consegue il brevetto di pilota: il 5 novembre 1927 a Napoli in una cornice
di tripudio popolare sposa Anna di Francia, da cui avrà due figlie, Margherita
e Cristina. Nel 1931, alla morte del padre, assume il titolo di Duca d’Aosta.
Transitato all’Arma Aeronautica e trasferita la propria residenza a Trieste, è
comandante di Stormo, poi di Brigata e infine nel 1936 di Divisione aerea a
Gorizia. Il 14 dicembre 1937 è nominato Viceré d’Etiopia: ora ha la possibilità
di attuare quanto aveva scritto nella sua tesi di laurea. Amedeo affermava che l’azione coloniale “dei popoli di cultura superiore è conforme
a giustizia solamente quando – pur muovendo dagli interessi particolari della
metropoli – coordini questi interessi a quelli delle popolazioni indigene,
informandoli tutti agli scopi supremi della civiltà; determini una solidarietà
di vita e opere, un intensificarsi di cooperazione e di mutualità fra gli
elementi sociali, e si faccia organo di progresso educando degli indigeni…Di
qui la negazione dell’asservimento degli indigenti e dello sfruttamento
egoistico del loro territorio; l’aspirazione ad un solidale cooperare di forze
armonicamente convergenti al benessere collettivo dei colonizzatori e degli
indigeni…Occorre un indirizzo più aderente alla realtà delle popolazioni…che
assicuri…su basi concrete di condizioni, interessi e finalità l’attuazione di quel
principio di associazione fra lo Stato dominante e le popolazioni coloniali che
potrà ottenersi favorendo il progresso morale e materiale di quelle popolazioni
sotto la ferma tutela della sovranità italiana”. Il Vicerè puntava sullo
sviluppo dell’agricoltura (per il quale
erano presenti 4 uffici agrari, 19 sezioni agrarie, 10 aziende di orientamento,
20 vivai, 2 stazioni zoocteniche, 22 stazioni di monta), delegato all’Opera
Nazionale Combattenti che creerà enti pubblici di colonizzazione a Uoggherà, a
Gimma e a Cercer per assorbire dall’Italia manodopera bracciantile. Furono suoi
obbiettivi anche la colonizzazione di capitali mediante estese concessioni a privati (che nel 1941 ammontavano a 200 con
160.000 ettari messi a frutto) e quella a carattere industriale sull’esempio
del Tessenei eritreo. In un censimento dei primi mesi del 1940 risultavano
operare in A.O.I. 1.225 imprese
manifatturiero-industriali, 1436 commerciali e 576 agricole a carattere
individuale. Un vasto programma di opere
pubbliche doterà l’Etiopia di infrastrutture che saldandosi a quelle già
presenti in Eritrea e in Somalia faceva dell’Africa Orientale Italiana una
colonia di espansione demografica eccezionale per il nostro Paese. Fu
incrementata anche l’agricoltura indigena con la distribuzione di sementi,
corsi di istruzioni agraria, l’utilizzo di trebbiature meccaniche favorendo la
coltivazione del frumento al posto dell’orzo, si arginò nel 1939 un’epidemia di
cavallette. Il personale ascendente, la conoscenza delle varie lingue africane,
le competenze acquisite sul “campo” fecero del Duca una personalità
leggendaria, che “conquistava” italiani e indigeni, anche quelli ribelli, che
spesso cedettero le armi grazie al suo personale intervento come i ras Zandiè
Asfau, Basciai Uoldiè e Olona Dinkel. La decisione di far restaurare i castelli
diruti di Gondar impressionò il clero copto e l’aristocrazia locale, con i
quali seppe intessere preziosi rapporti di collaborazione, riscattando
l’immagine dell’Italia compromessa dalla repressione di Graziani, alla pari
dell’edificazione – con il contributo dell’Ordine di Malta - del grande
lebbrosario di Selaclacà nella regione di Axum (padiglioni, laboratori, asili,
la chiesa cattolica e la copta, il cinematografo),circondato da una tenuta agricola
con tre villaggi ospitanti 2000 indigenti.
*Collegio degli scrittori Rivista QUADERNI
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