Camilla Filipponi, già studentessa della V F all’Istituto “Colomba
Antonietti” di Roma, durante la Giornata della Memoria” di qualche hanno fa ha
portato alla attenzione dei suoi compagni questa breve nota che traccia le
vicende di una famiglia, ebrea, in fuga durante la guerra. Come una ragazza di 18 anni
percepisce e vive quei avvenimenti emerge dalle righe sotto riportate. Noi siamo sempre convinti che, andando al di
là del valore letterario, di ricostruzione storico-scientifico, il dato da sottolineare
che una giovane della quarta generazione successiva a quella dei protagonisti
“vive” quei avvenimenti e vi partecipa. Crediamo che sia un esempio di come la
Memoria venga preservata ed alimentata. Con gli anni Camilla, e tante ragazze e
ragazzi come lei, elaboreranno in modo più articolato questa Memoria e saranno testimoni nel tempo
partecipi e consapevoli di quello che è stato. (n.d.r.)
Breve Storia di una
famiglia in guerra
di Camilla Filipponi
Si chiama Angelo Di Cave ed è di religione
ebraica, all’epoca dei fatti la famiglia
era composta da padre, madre e tre sorella più grandi.
Vivevano a
Velletri ( in provincia di Roma, nell’area dei Castelli Romani), dove il padre,
insieme al fratello, avevano avviato due grandi negozi di tessuti e
abbigliamento, una fabbrica di mobili con 3 grandi magazzini e una fabbrica di
reti per letti.
Erano quindi una famiglia molto
agiata, pur facendo una vita molto semplice a causa naturalmente della guerra.
Quando furono promulgate le leggi
razziali, le sue
sorelle furono espulse dalla scuola statale, nonostante avessero ottimi voti,
mentre lui iniziò privatamente la prima elementare.
Il Fascio (inteso
qui come l’Autorità politico amministrativa, n.d.r.) concesse al padre
alcune piccole deroghe in quanto più volte ferito nella guerra del 1915/1918.
Rinunciò alla pensione di invalidità, in
quanto sosteneva che dopo la guerra, la
Patria aveva più bisogno di lui, che lui
dei loro soldi ed è per questo che rinunciò
ad ogni piccolo privilegio che veniva concesso dallo Stato perché non
voleva servirsi dei loro favori, l’unica cosa che avrebbe voluto era la
libertà.
A Giugno del
1943 si trasferirono tutti insieme presso la
famiglia dello zio, nella villa in campagna sempre fuori Velletri,
perché l’aviazione Inglese bombardava incessantemente il centro del
paese in quanto la cittadina era un’importante stazione ferroviaria, usata dai
tedeschi per lo scambio delle truppe.
I primi giorni
del mese di settembre dello stesso anno,
il commando tedesco di Roma stabilì che la Comunità Ebraica
doveva versare 50 kg
di oro in cambio della non persecuzione e deportazione degli ebrei
romani. Grazie anche alle offerte di
molti cattolici riuscirono in tre giorni a raccogliere i 50
kg di oro e consegnarli ai Tedeschi, i quali riconfermavano quanto da
loro promesso.
Dopo circa un
mese da questi fatti, alle ore 5,00 della mattina del 16 Ottobre, anche gli ebrei romani furono
strappati dalle loro case e dai loro parenti senza distinzione tra uomini,
donne, bambini, neonati e anziani. Durante questo triste rastrellamento, furono presi i suoi nonni materni ( la nonna
morì prima di arrivare in Germania,
mentre in nonno di professione giornalista, riuscì a sopravvivere per alcuni
mesi nel campo di sterminio di Auschwitz , dove poi fu ucciso nelle camere a gas), poi furono
prese le sorelle del padre con i mariti e quattro figli di otto,sei, quattro e
due anni. Successivamente persero il fratello sempre del papà con la moglie e
le bambine di tre e due anni, i due zii
della madre ed infine altre undici persone di famiglia. Di tutte queste persone elencate, nessuno è tornato dai campi di
concentramento.
Fortunatamente
tutta la sua famiglia si salvò,
nonostante questi lunghi e interminabili nove mesi di fughe e
persecuzioni, furono costretti a
continui spostamenti, sempre sparsi per le campagne di Velletri.
Ricorda che
trascorsero 25 giorni in una grotta
insieme con altre 40 persone di
Velletri, di cui alcune gravemente ferite,
altre molto malate, naturalmente tutto ciò senza ricevere le dovute
cure. In quei giorni vissuti al buio e
freddo, non avevano niente dove potersi
riposare, infatti la notte dovevano dormire sdraiati a terra
come bestie, nell’umidità e nella sporcizia, non potevano uscire a cercare cibo perché la grotta si trovava in un luogo situato tra le truppe tedesche, posizionate a circa 300 metri di fronte, e le truppe americane posizionate alle
loro spalle a circa un chilometro, i due
schieramenti si sparavano giorno e notte
ininterrottamente, finchè un giorno,
le truppe americane riuscirono a
colpire la posizione tedesca, ma si allontanarono senza liberarli.
Durante questi 25 giorni sia lui che la sua famiglia soffrirono la
fame, è ciò che ricorda tristemente, ma
solo oggi, a distanza di anni
lo giustifica, fu il fatto che
allora, ognuno pensava solo a se stesso
. Infatti anche se alcune delle persone presenti con lui nella grotta avevano
da mangiare, queste non lo divisero con nessuno, perché
in quei terribili giorni, non si
sapeva che fine uno avrebbe fatto, non
sapevi quanto dovevi stare nascosto, non sapevi se ti avrebbero liberato gli americani o saresti stato catturato dai tedeschi,
quindi dovevano sopravvivere con quel
poco da mangiare che avevano, quindi si
viveva alla giornata.
Per concludere questa breve storia, la quale
credo sia servita ad offrire un
ulteriore testimonianza degli stati d’animo di quel periodo i quali hanno
segnato la storia
Italiana e non solo, il Sig. Di Cave ricorda che
Velletri fu distrutta al 90%, e tutto
ciò che possedevano tra le aziende e le
case, fu
distrutto dai bombardamenti e saccheggiato. Loro per i primi mesi
post-guerra riuscirono a sopravvivere
grazie all’aiuto di alcuni
parenti che vivevano a Roma, e che fortunatamente erano riusciti a salvare
almeno la casa.
Lazio 1943.
Una immagine emblematica di quegli anni terribili
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