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Il rientro in Italia della Brigata "Marche" dall'Albania ha avuto un risvolto tragico. l'8 giugno 1916 il piroscafo "Re Umerto" fu silurato all'uscita di Valona. Tutto il 55° Reggimento fanteria, circa 1900, andò perduto nel repentino affondamento della nave.
Riportiamo la testimonianza di uno dei pochi superstiti
Fra
i superstiti vi è il Capitano Luigi Cova, nato a Treviso l’11 novembre 1891,
che in una lettera ai famigliari così diescrive la tragedia di cui fu
protagonista:
“..Non vi so descrivere che successe all’atto
del siluramento: erano oltre 2000 persone che urlavano, che invocavano aiuto,
che piangevano, che inpazzivano, che si sparavano, che si abbracciavano per
morire… Che strazio! In mezzo a tutta questa scena orrenda, il mio spirito però
rimase imperplesso e passato l’attimo di indecisione sul da farsi, mi
precipitai in una lancia vicina….Non appena montato, un disperato, taglia il
capo solo delle funi di sostegno; la lancia si rovescia e tutti facciamo un
volo di 12 metri in mare. In tale frangente molti soldati andaro a sbattere
contro il fianco della nave ancora in moto, altri contro altre scialuppe
ridotte a pezzi, altri ancora che non sapevano nuotare trovarono la morte
immediata in acqua. Non so come e perché io in tale volo non riportassi che una
contusione al polso destro, un’altra al braccio sinistro ed una terza forse più
pericolosa al costato destro. Ad ogni modo la forza della disperazione mi
sostenne e nonostante fossi completamente vestito e non indossassi il salvagente,
mi mantenni a galla per tre quarti d’ora. In cinque minuti il povero “Principe
Umberto”colava a picco ed il mare ingoiava migliaia di persone; sullo specchio
d’acqua debolmente illuminato dalla luna non si vedeva che ombre nere che
lottavano con la morte, il silenzio del mare tranquillo era rotto dalle voci
che imploravano aiuto, che disperatamente chiamavano la mamma, la moglie i
figli…..Io cercavo un rottame di legno qualsiasi per poter resistere più a
lungo in mare. La fortuna mi assecondò: m’incontrai con il capitano Marcias ed
un soldato della mia compagnia che erano appoggiati ad una tavola; mi unii a
loro e così riposando ora sul braccio sinistro, ora sul destro potei assicurare
la mia salvezza. Le due torpediniere di scorta non appena la nave fu silurata
cercarono il sottomarino infame, ma non riuscirono a catturarlo, dopo di che
corsero in aiuto ai naufraghi.
Io fui raccolto dopo ben tre quarti d’ora di
bagno dalla torpediniera “Espero” ove mi furono prodigate le prime amorose
cure.. Poco dopo giunse anche il capitano Ghirardi pesto alle ossa; ci
abbracciammo e piangemmo a lungo. Al ritorno al porto di Valona, ove giungemmo
verso le 2 di notte, ci trasbordarono sul piroscafo “Vittorio Emanuele” ove trovammo
il comandante la piazza di Valona, Tenente Generale Piacentini, il quale mi
strinse la mano e mi ammirò perché mentre salivo a bordo, seppure a stento,
fumavo avidamente una sigaretta regalatamida un marinaio. Era l’eccitazione del
momento che mi faceva forte: durante la notte mi accorsi di stare male, febbere
altissima, delirio… Dei 220 uomini della compagnia sono rimasto con 82, ho
perduto tutti gli
ufficiali”[1]
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