APPROFONDIMENTI
di
Antonella Troiani
Durante
l’occupazione nazista, le benedettine di Priscilla nascosero
centinaia di perseguitati con la complicità dell’ambasciatore del
Reich presso la Santa Sede, Ernst von Weizsäcker. L’operazione di
occultamento non era esente da rischi, poiché i tedeschi
rastrellavano tutto il territorio italiano in cerca di ebrei e
partigiani; ma, per questi ultimi, era l’unico modo per sfuggire
miracolosamente al treno della morte che portava ad Auschwitz.
Numerosissimi sono stati gli ebrei salvati dalla rete di assistenza
della Chiesa e un caso emblematico per tutti è quello delle Suore
Oblate Benedettine di Priscilla,
che durante gli anni oscuri della seconda guerra mondiale, sotto la
sagace direzione del loro fondatore, don Giulio Belvederi, presso la
loro casa alle Catacombe di Priscilla, nascosero centinaia di
perseguitati. Nonostante il tema della persecuzione contro gli ebrei
e il Vaticano sia stata una querelle infinita e motivo di
controversia accesa, fin dall’autunno del 1943, di fronte ad una
precipitazione degli eventi, la Santa Sede decise di provvedere ad
impartire direttive ai superiori dei vari ordini religiosi, i quali
spalancarono le porte dei propri conventi per accogliere, anche sotto
mentite spoglie, così come affermato da Giovanni Preziosi, nel suo
articolo apparso su L’Osservatore
Romano
di domenica 7 luglio 2013, tutti coloro i quali erano in serio
pericolo di vita. L’autore, sopracitato, sottolinea, che le oblate
benedettine di Priscilla- un piccolo ramo del grande tronco
benedettino, sorto agli inizi del 1937 nella casa sulla via Salaria
presso le Catacombe di Priscilla- si siano distinte in questa
autentica gara di solidarietà, prodigandosi a soccorrere tutti i
perseguitati, ospitandoli nella loro comunità e organizzando una
duplice attività di protezione dei ricercati, sotto la guida di don
Belvederi, fondatore dell’ordine, e con la collaborazione di Giulio
Andreotti, presidente della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica
Italiana); unica associazione riconosciuta nelle università durante
il fascismo, nella quale si formerà buona parte della futura classe
dirigente democristiana. Secondo quanto affermato da suora Gloria
Carli, la rete di assistenza riusciva a produrre anche false carte
d’identità degli ebrei e di altri rifugiati, poiché le suore
avevano una piccola tipografia, al servizio dell’Archeologia
cristiana; i documenti venivano stampati e poi vidimati con i timbri
delle città già liberate. Questa rete di assistenza, attenta e
meticolosa, era stata ideata da Giulio Andreotti il quale provvedeva
alla stampa e alla consegna diretta dei documenti agli ebrei nascosti
in Vaticano. La filiera era stata studiata e pianificata al
dettaglio. Come affermato da G. Preziosi nell’articolo già
menzionato, uno degli organizzatori di questa rete è stato un
collaboratore di De Gasperi, nonché futuro segretario della
Democrazia Cristiana, Guido Gonnella, il quale provvedeva a
recapitare una busta contenente le false carte d’identità stampate
nella tipografia delle suore benedettine all’edicola dei giornali
che si trovava nei pressi del colonnato di piazza San Pietro.
Dall’edicola, la busta veniva immediatamente prelevata e portata in
Vaticano dove si procedeva a regolarizzare i documenti; dopodiché
il plico faceva il percorso inverso per ritornare al mittente.
Affinché la protezione non venisse scoperta, tutti coloro che ne
beneficiarono, avevano delle regole da osservare e dei comportamenti
da tenere. A un segnale prestabilito e convenzionale, in caso di
pericolo, passando per un accesso segreto, tutti gli “ospiti” si
dileguavano nelle vicine catacombe dove restavano fin quando
l’allarme cessava. Nell’articolo, comparso sul quotidiano della
Santa Sede, si ricordano alcuni perseguitati che hanno beneficiato
della protezione. Si menziona uno dei Visconti di Modrone di Milano e
Lorenzo Camerino; quest’ultimo, di origine ebraica, beneficiò
della protezione delle oblate di Priscilla assieme alla sua famiglia
composta dalla moglie, Maria Molon, e dalla figlia Francesca, che al
tempo dei rastrellamenti era soltanto una bambina dell’età di
cinque anni. La famiglia Camerino rimase nascosta presso le catacombe
di Priscilla fino al termine della guerra. Detta notizia si evince da
una lettera che la signora Maria Molon scrisse alle suore, da
Venezia, in occasione del Natale del 1945. La donna scrisse questa
lettera in ricordo del Natale 1943 trascorso nella casa di Priscilla.
Rivolgendosi alla Madre Reverenda, come riportato nell’articolo di
G. Preziosi, scrisse “Il
ritorno nella mia casa e la gioia di ritrovare i miei cari non mi
hanno fatto mai dimenticare e tanto meno mi fanno dimenticare ora che
si avvicina il Santo Natale, Lei e tutte le Suore di Priscilla. La
bontà veramente ispirata dal Signore, che è stata per noi tutti
fonte di coraggio e di speranza in uno dei momenti più tragici della
nostra vita, ha lasciato nel nostro cuore e nella nostra mente
un’impronta che è diventata la regola cui vorremmo conformare la
nostra esistenza. Purtroppo le contingenze del vivere quotidiano ci
fanno tanto spesso sentire invece quanto il costume delle buone
Sorelle sia lontano dal nostro. E per questo davvero tante volte
vorremmo essere più vicini a Voi tutte per poter ancora dividere
della Vostra serenità. È così
vivo
in tutti noi il ricordo del Natale trascorso
nella
Casa
di Priscilla che in ogni ora di queste nostre giornate riviviamo
quella Festa del 1943 che è stata, nonostante la tragicità
dell’epoca, d’indimenticabile serenità”. Nella
lettera, la signora Molon, ricorda l’animo puro di monsignor
Belvederi, considerato da tutta la famiglia come un vero Padre. Un
padre, con grandezza d’animo, di bontà e di cultura; un padre che
si è messo al servizio dell’umanità e di tutti i perseguitati.
Oltre alla famiglia Camerino, per un lasso di tempo più breve, è
ospite della casa di Priscilla, il professor Giorgio Del Vecchio, un
accademico di origini ebraiche, docente di filosofia del diritto e
preside della facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma.
Fu discriminato dal regime per queste sue ascendenze. Ottenne
ospitalità presso le suore benedettine, assieme alla propria
consorte, grazie ai buoni uffici dell’esponente democristiano Guido
Gonnella. Altra ospite, fu la celebre archeologa tedesca Hermine
Speier che, dall’aprile 1943, a seguito dell’estromissione
dall’Istituto Archeologico Germanico, perché di origine ebraica,
venne assunta da Pio XI per riordinare l’archivio fotografico dei
Musei Vaticani. I rifugiati della casa di Priscilla, durante il
periodo di permanenza nel monastero, poterono godere della cura e
dell’attenzione che monsignor Giulio Belvederi dedicò loro. Sarà
proprio don Belvederi, negli anni successivi, a riconoscere quanto
sia stata importante la complicità dell’ambasciatore del Reich
presso la Santa Sede, Weizsäcker, affinché la gestapo non
perquisisse la casa delle suore benedettine di Priscilla. Padre
Belvederi racconta di come l’ambasciatore abbia finto di non sapere
della rete clandestina allestita da tanti religiosi con il consenso
della Santa Sede per salvare i ricercati. L’ambasciatore
Weizsäcker temeva che la deportazione degli ebrei di Roma avrebbe
potuto danneggiare l’immagine della Germania favorendo la
propaganda nemica. Inoltre, una eventuale protesta del Papa, avrebbe
peggiorato ancor più le cose mettendo in imbarazzo i tedeschi e
riducendo la possibilità di un compromesso di pace negoziato dalla
Santa Sede e scatenando, forse, episodi di resistenza e di disordini
pubblici. Ciò spinse l’ambasciatore Weizsäcker a fare in modo che
gli ebrei fossero segretamente avvertiti per disperdersi prima di
essere arrestati. Nonostante queste misure strategiche di protezione
e le tattiche per nascondere i perseguitati, il 16 ottobre 1943, il
“sabato nero” del ghetto di Roma, le SS invasero le strade romane
e rastrellarono oltre mille ebrei. E’ la data che segna l’ultima
tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre 1938 con la
promulgazione delle leggi razziali. A seguito, con la liberazione
della capitale, a opera degli alleati, e il ristabilimento
dell’ordine pubblico, si concluse il calvario dei tanti ebrei
rifugiati, scampati al rastrellamento e alla deportazione nei lager
nazisti, perché nascosti nelle varie case religiose sparse per tutta
la città. Il 7 luglio 1944, fu il sostituto della Segreteria di
Stato, monsignor Giovanni Battista Montini, a nome del Papa, a
ringraziare l’unione delle comunità israelitiche d’Italia e la
comunità romana che avevano espresso la loro gratitudine e la loro
riconoscenza al Pontefice Pio XII per gli sforzi profusi allo scopo
di far cessare le persecuzioni razziali.
Nessun commento:
Posta un commento