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mercoledì 8 novembre 2017

Il ritorno di Mussolini sulla scena politica italiana

APPROFONDIMENTI

  Di Alessia Biasiolo*

L’Agenzia Stefani, il 16 settembre 1943, comunicò importanti notizie, citando l’ufficiosa agenzia di stampa tedesca Deutsches Nachrichten Bureau.
Benito Mussolini aveva ripreso la suprema direzione del Fascismo in Italia e aveva emanato sei ordini del giorno, datati 15 settembre e tutti firmati MUSSOLINI:
Ordine del giorno del Governo n. 1
“Ai fedeli camerati in tutta Italia.
Da oggi, 15 settembre 1943, assumo nuovamente la suprema direzione del Fascismo in Italia.”
Ordine del giorno del Governo n. 2
“Nomino Alessandro Pavolini alla carica provvisoria di Segretario del Partito
Nazionale Fascista che, da oggi, si chiamerà Partito Fascista Repubblicano.”
Ordine del giorno del Governo n. 3
“Ordino che tutte le autorità militari, politiche, amministrative e scolastiche, nonché tutte quelle che vennero esonerate dalle loro funzioni da parte del Governo della capitolazione, riprendano immediatamente i loro posti e i loro uffici.”
Ordine del giorno del Governo n. 4
“Ordino l’immediato ripristino di tutte le istituzioni del Partito, con i seguenti compiti:
a)   di appoggiare efficacemente e cameratescamente l’Esercito germanico che si batte sul territorio contro il comune nemico;
b)   di dare al popolo immediata, effettiva assistenza morale e materiale;
c)   di riesaminare la posizione dei membri del Partito in rapporto al loro contegno di fronte al colpo di Stato della capitolazione e del disonore, punendo esemplarmente i vili traditori.”
Ordine del giorno del Governo n. 5
“Ordino la ricostituzione di tutti i reparti e le formazioni speciali della Milizia Volontaria per la Sicurezza dello Stato.”
Ordine del giorno del Governo n. 6
“Completando gli ordini del giorno precedenti ho incaricato il luogotenente generale Renato Ricci del Comando in capo della M.V.S.N.”
Il Fascismo, quindi, creatura di Mussolini riconosciuta in tutto il mondo, doveva tornare sulla scena politica italiana e non solo. Di certo la situazione non era delle migliori per Mussolini. Non avrebbe voluto essere liberato dai tedeschi; non avrebbe voluto essere condotto subito in Germania senza prima vedere accolta la sua richiesta di essere portato alla Rocca della Caminate; non voleva di nuovo, dopo due mesi di prigionia, essere trattato come un pacco, ma, allo stesso tempo, non poteva negare di essere stato liberato dal suo fedele alleato. Hitler, dal canto suo, pur se lo aveva avvertito di prendere misure contro quelle che erano sembrate manovre contro il governo del dittatore italiano, non poteva evitare di sospettare che anche Mussolini, nei difficili giorni dello sbarco angloamericano in Sicilia, stesse pensando all’eventualità di sganciarsi dall’ormai scomodo alleato nazista, senza pensare che sarebbe stato anticipato e scalzato dal Re. Comunque, era necessario ricostituire quell’idea di compattezza e di forza unanime in modo da cercare di fermare l’avanzata nemica e ringalluzzire gli animi dei propri soldati. Hitler aveva imparato dal maestro politico italiano molto e ne aveva, in fondo, ricevuto l’imprimatur: perderlo avrebbe significato uno smacco enorme, proprio nel momento in cui la situazione in Europa si faceva sempre più critica per i regimi nazifascisti.
Senza contare che l’alleanza era a tre: il patto Tripartito con il Giappone poteva vacillare se Mussolini non fosse tornato al suo posto e, anche questo, sarebbe stato nefasto per la politica hitleriana.
In Italia, il popolo  avrebbe salutato il ritorno del Capo, del Duce, festosamente in molti casi. Sia al Nord che al Sud, anche nei territori occupati dagli angloamericani, coloro che credevano e si identificavano negli ideali fascisti tirarono un respiro di sollievo sapendo che Mussolini era ancora vivo, stava abbastanza bene ed era pronto a tornare sulla scena politica. La questione al momento non sembrava, per parte nazifascista, avrebbe complicato ancor più quella situazione di incertezza che in fondo regnava in Italia in quel momento. Confusione, comunque, che aveva colpito anche i capi nazisti al momento dell’annuncio della sostituzione di Mussolini con Badoglio, fatto assolutamente inaspettato in quei giorni di luglio. Tranne forse per Hitler, che sembra rimase l’unico in grado di avere idee chiare sul da farsi. Infatti, per Hitler la situazione non era altro che un modo abietto di comportarsi, con le affermazioni di fedeltà espresse da Badoglio stesso giudicate dal Führer soltanto strumentali. Egli era convinto sin da subito che il governo italiano stesse preparando il tradimento e che Mussolini non solo non si fosse dimesso spontaneamente, ma che fosse stato vittima di un colossale complotto. Il 27 luglio, Hitler aveva affermato che la crisi italiana fosse diretta contro la Germania, fomentata da inglesi e americani, in modo che, ritiratasi l’Italia dalla guerra, la posizione tedesca fosse pericolosamente precaria. Probabilmente, secondo lui, Badoglio aveva già condotto trattative con il Re e gli Alleati precedentemente al 25 luglio, in modo da preparare i piani, e l’asserzione del nuovo capo del governo italiano che la guerra continuava accanto all’alleato tedesco come se niente fosse accaduto, era soltanto un prendere tempo affinché l’Italia non venisse occupata dalle truppe tedesche. Forse la prossima manovra sarebbe stato un ulteriore sbarco degli Alleati in Italia, in modo da impadronirsi delle basi militari che avrebbero potuto permettere di bombardare la Germania meridionale facilmente. Era necessario muoversi in fretta, quindi, e ricostituire un governo fascista quanto prima, per evitare il disgregarsi della situazione italiana. Così, una volta liberato Mussolini, il piano stava procedendo con una certa rapidità. Era stato abbandonato il progetto, dettato probabilmente dalla veemenza del momento, di un colpo di mano su Roma per catturare il Re e Badoglio in modo da favorire l’immediata rinascita del governo fascista. Se Mussolini non fosse stato trovato e liberato o se fosse stato ucciso nel frattempo, il neo governo sarebbe stato affidato a Farinacci, che era già stato convocato nel quartier generale hitleriano dal momento che si era rifugiato nell’Ambasciata tedesca di Roma.
Incontrato Farinacci, Hitler ne aveva avuto un’impressione negativa. Non aveva davanti un fascista lucido e convinto delle proprie idee, ma un uomo annientato, frustrato dalle vicende delle ultime ore; quasi si era propensi a pensarlo come uno degli aderenti al complotto contro il Duce del quale, durante il colloquio, non faceva altro che dettare le criticità. Quindi divenne evidente che non gli si poteva affidare nulla di grande, di certo non la direzione del nuovo governo, e non rimaneva che controllarlo affinché restasse sotto l’influenza tedesca e non cadesse nelle mani nemiche.
Naturalmente la questione italiana divenne argomento di dibattito in seno al governo tedesco. Molti pensavano fosse inutile cercare di ricostituire un governo fascista; altri (tra cui Rommel) pensavano che fosse il caso di prendere subito possesso dell’Italia senza intermediari e che fosse meglio inquadrare i soldati italiani subito nell’esercito tedesco. Insomma, il caso italiano era un problema sotto molti punti di vista. Göbbels l’11 settembre scriveva che, se da un lato era giusto liberare Mussolini, dall’altro lato sarebbe stato meglio non farlo, per non avere un altro interlocutore del quale tenere conto e fare tutto come si voleva in un’Italia occupata dai tedeschi. Infatti, ad esempio, con Mussolini presente forse Hitler non avrebbe avuto il coraggio di togliere il Tirolo meridionale all’Italia, mentre Göbbels riteneva indispensabile riaverlo, assieme alla linea di confine delle Venezie. Cioè tutto quanto era un tempo austriaco, sarebbe dovuto tornare in mano tedesca.
La situazione all’arrivo di Mussolini in Germania era quanto mai complicata sul piano politico e militare, mentre non si teneva conto dell’effetto pratico che le dichiarazioni degli ultimi due mesi, da parte di Badoglio, di Mussolini e degli altri attori sulla scena, aveva avuto sul popolo italiano (e per il quale riserveremo una trattazione specifica).
Anche perché l’uscita dell’Italia dal conflitto aveva sconvolto per la sua modalità sin da subito i tedeschi, mentre all’atto della resa pubblica dell’armistizio dell’8 settembre tutto era già pronto, compresa l’imminente liberazione del Duce.
Hitler il 10 settembre aveva detto alla radio: “… lo stesso giorno in cui il maresciallo Badoglio aveva sottoscritto l’armistizio, egli ricevette l’incaricato d’affari germanico e l’assicurò che lui, maresciallo Badoglio, non avrebbe mai tradito la Germania, che noi dovevamo aver fiducia in lui, e che lui avrebbe dato prova colle sue azioni di essere degno di tale fiducia, e che, soprattutto, l’Italia non pensava affatto di capitolare. Il giorno stesso della capitolazione, il Re chiamò l’incaricato d’affari tedesco e gli diede ampie assicurazioni che l’Italia non avrebbe mai capitolato, e che sarebbe rimasta fedele alla Germania nella buona e nella cattiva sorte. Un’ora dopo che era stato reso noto il tradimento, il Capo dello Stato Maggiore italiano Roatta, dichiarò, di fronte al nostro plenipotenziario militare, essere quella una volgare menzogna e una invenzione della propaganda inglese”. E il discorso non si chiudeva solo con questi esempi, peraltro moderati rispetto all’intenzione di essere più duro ed esprimere chiaramente quello che pensava. Infatti, secondo Göbbels, se Hitler si aspettava il tradimento italiano, non lo aspettava in modo così disonorevole, tanto che le sue decisioni furono subito chiare. Approvò l’indipendenza dell’Albania e della Croazia che venne autorizzata ad occupare la Dalmazia; sistemò sotto la direzione di due gauleiter Alto Adige, Tirolo, Trentino e Venezia Giulia, e decretò che l’Italia doveva essere divisa in due zone: una operativa e l’altra occupata, sotto il comando di Rommel e di Kesselring rispettivamente, con Speer per armamenti e produzione. L’incarico a Speer venne confermato e ratificato il giorno della notizia della liberazione di Mussolini, ad indicare che Hitler non aveva intenzione comunque di cambiare le proprie decisioni sulla sorte italiana. Poche sono le informazioni circa i due giorni di colloqui tra Hitler e Mussolini, una volta che questo arrivò in Germania. Tutto si riassume in prese d’atto che Hitler non volle modificare la sua politica in Italia e in appunti che non possono essere verificati, dal momento che degli incontri non vennero redatti verbali e che non ci furono testimoni. Sembra che l’amicizia tra i due uomini non fosse più tale e non si potesse rinnovare per la personalità del Duce che, anziché essere temerario e dimostrare di avere il carisma rivoluzionario di chi aveva aspettato la liberazione personale per vendicarsi e modificare il corso degli eventi, ci si adattava. Era troppo “italiano”, insomma, incapace di voler sovvertire il mondo come Hitler e Stalin, ebbe a scrivere Göbbels. Il Führer si impegnò a convincere Mussolini di formare un nuovo governo fascista per vincere la guerra. Questo era l’imperativo perché una volta vinto il conflitto l’Italia, ora occupata per questioni operative dalla Germania, sarebbe stata ristabilita nei suoi pieni diritti. Hitler fu intransigente sul punto del governo fascista, che doveva essere dichiarato subito, con i pieni poteri in mano al Duce e la dichiarazione della monarchia deposta, e sulla necessità di punire con la morte i traditori, cioè i membri del Gran Consiglio del Fascismo che avevano deposto Mussolini, primo fra tutti suo genero, Galeazzo Ciano. Altrimenti l’Italia sarebbe stata terra bruciata, peggio della Polonia. Mussolini non credeva nella possibilità di risorgere del fascismo; non credeva nella possibilità di vincere la guerra; non voleva tornare sulla scena politica. Era stanco e sfiduciato, pensava di essere malato gravemente, forse di cancro. Soprattutto, se Badoglio e il Re si erano assunti la responsabilità di portare l’Italia nella guerra civile, egli non voleva condividere quella responsabilità. Da quanto confidato alla moglie prima di recarsi a Rastenburg, piuttosto che al figlio Vittorio o alla figlia Edda, sembra che Mussolini intendesse ritirarsi forse anche in Svizzera, ma la sua non era stata una decisione definitiva. Tutto era rimesso ai ragionamenti con Hitler, forse alla richieste dell’alleato stesse, per il bene dell’Italia. Essere prigioniero dei tedeschi, ancora Duce, per evitare al Paese un male peggiore, pian piano fu la scelta che Mussolini maturò. Non era forse pienamente convinto della possibilità dei tedeschi di vincere la guerra, ma certo pensava che potessero organizzarsi al meglio per dare filo da torcere ai nemici. E forse, con il ritorno del fascismo nella Repubblica Sociale, si poteva ipotizzare, se non sperare, in un cambiamento delle sorti che al momento erano alquanto confuse. Mussolini si oppose a denominare il suo governo “Stato fascista italiano”, non era intenzionato a dimostrare velleità di comando, né tantomeno si illuse che avrebbe avuto grande libertà politica o organizzativa. Tuttavia, alla fine, accettò la proposta del Führer proprio perché convinto che questi avrebbe potuto rendere le sorti dell’Italia davvero terribili in mancanza dell’appoggio di quell’alleato che, per quanto stanco e sfiduciato, aveva ancora un certo appeal politico su molti italiani.
Si vedrà nel tempo che l’impegno di Mussolini nella gestione della R.S.I. non fu quello che ci si poteva attendere. Mantenne quasi sempre, infatti, quel senso di delusione e di scoraggiamento che diventava evidente a chi lo frequentava a Gardone Riviera.

*Comm. Alessia Biasiolo, del Collegio degli Scrittori "Quaderni" del Nastro Azzurro.


Bibliografia essenziale
Giorgio Bocca: “La repubblica di Mussolini”, Mondadori, Milano, 1997
Luigi Bolla: “Perché a Salò. Diario della Repubblica Sociale Italiana        ”, Bompiani, Milano, 1982
Frederick William Deakin: “Storia della Repubblica di Salò”, Einaudi, Torino, 1970
Renzo De Felice: “Mussolini l’alleato”, Einaudi, Torino, 1997
Benito Mussolini: “Pensieri del Gran Sasso d’Italia”

Arrigo Petacco, Sergio Zavoli: “Dal Gran Consiglio al Gran Sasso”, Mondadori, 2013

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