APPROFONDIMENTI
Di Alessia Biasiolo*
L’Agenzia
Stefani, il 16 settembre 1943, comunicò importanti notizie, citando l’ufficiosa
agenzia di stampa tedesca Deutsches Nachrichten Bureau.
Benito
Mussolini aveva ripreso la suprema direzione del Fascismo in Italia e aveva
emanato sei ordini del giorno, datati 15 settembre e tutti firmati MUSSOLINI:
Ordine del giorno del
Governo n. 1
“Ai
fedeli camerati in tutta Italia.
Da
oggi, 15 settembre 1943, assumo nuovamente la suprema direzione del Fascismo in
Italia.”
Ordine del giorno del
Governo n. 2
“Nomino
Alessandro Pavolini alla carica provvisoria di Segretario del Partito
Nazionale
Fascista che, da oggi, si chiamerà Partito Fascista Repubblicano.”
Ordine del giorno del
Governo n. 3
“Ordino
che tutte le autorità militari, politiche, amministrative e scolastiche, nonché
tutte quelle che vennero esonerate dalle loro funzioni da parte del Governo
della capitolazione, riprendano immediatamente i loro posti e i loro uffici.”
Ordine del giorno del
Governo n. 4
“Ordino
l’immediato ripristino di tutte le istituzioni del Partito, con i seguenti
compiti:
a)
di
appoggiare efficacemente e cameratescamente l’Esercito germanico che si batte
sul territorio contro il comune nemico;
b)
di
dare al popolo immediata, effettiva assistenza morale e materiale;
c)
di
riesaminare la posizione dei membri del Partito in rapporto al loro contegno di
fronte al colpo di Stato della capitolazione e del disonore, punendo
esemplarmente i vili traditori.”
Ordine del giorno del
Governo n. 5
“Ordino
la ricostituzione di tutti i reparti e le formazioni speciali della Milizia
Volontaria per la Sicurezza dello Stato.”
Ordine del giorno del
Governo n. 6
“Completando
gli ordini del giorno precedenti ho incaricato il luogotenente generale Renato
Ricci del Comando in capo della M.V.S.N.”
Il
Fascismo, quindi, creatura di Mussolini riconosciuta in tutto il mondo, doveva
tornare sulla scena politica italiana e non solo. Di certo la situazione non
era delle migliori per Mussolini. Non avrebbe voluto essere liberato dai
tedeschi; non avrebbe voluto essere condotto subito in Germania senza prima vedere
accolta la sua richiesta di essere portato alla Rocca della Caminate; non
voleva di nuovo, dopo due mesi di prigionia, essere trattato come un pacco, ma,
allo stesso tempo, non poteva negare di essere stato liberato dal suo fedele
alleato. Hitler, dal canto suo, pur se lo aveva avvertito di prendere misure
contro quelle che erano sembrate manovre contro il governo del dittatore
italiano, non poteva evitare di sospettare che anche Mussolini, nei difficili
giorni dello sbarco angloamericano in Sicilia, stesse pensando all’eventualità
di sganciarsi dall’ormai scomodo alleato nazista, senza pensare che sarebbe
stato anticipato e scalzato dal Re. Comunque, era necessario ricostituire
quell’idea di compattezza e di forza unanime in modo da cercare di fermare
l’avanzata nemica e ringalluzzire gli animi dei propri soldati. Hitler aveva
imparato dal maestro politico italiano molto e ne aveva, in fondo, ricevuto
l’imprimatur: perderlo avrebbe significato uno smacco enorme, proprio nel
momento in cui la situazione in Europa si faceva sempre più critica per i regimi
nazifascisti.
Senza
contare che l’alleanza era a tre: il patto Tripartito con il Giappone poteva
vacillare se Mussolini non fosse tornato al suo posto e, anche questo, sarebbe
stato nefasto per la politica hitleriana.
In
Italia, il popolo avrebbe salutato il
ritorno del Capo, del Duce, festosamente in molti casi. Sia al Nord che al Sud,
anche nei territori occupati dagli angloamericani, coloro che credevano e si
identificavano negli ideali fascisti tirarono un respiro di sollievo sapendo
che Mussolini era ancora vivo, stava abbastanza bene ed era pronto a tornare
sulla scena politica. La questione al momento non sembrava, per parte
nazifascista, avrebbe complicato ancor più quella situazione di incertezza che
in fondo regnava in Italia in quel momento. Confusione, comunque, che aveva colpito
anche i capi nazisti al momento dell’annuncio della sostituzione di Mussolini
con Badoglio, fatto assolutamente inaspettato in quei giorni di luglio. Tranne
forse per Hitler, che sembra rimase l’unico in grado di avere idee chiare sul
da farsi. Infatti, per Hitler la situazione non era altro che un modo abietto
di comportarsi, con le affermazioni di fedeltà espresse da Badoglio stesso giudicate
dal Führer soltanto strumentali. Egli era convinto sin da subito che il governo
italiano stesse preparando il tradimento e che Mussolini non solo non si fosse
dimesso spontaneamente, ma che fosse stato vittima di un colossale complotto.
Il 27 luglio, Hitler aveva affermato che la crisi italiana fosse diretta contro
la Germania, fomentata da inglesi e americani, in modo che, ritiratasi l’Italia
dalla guerra, la posizione tedesca fosse pericolosamente precaria.
Probabilmente, secondo lui, Badoglio aveva già condotto trattative con il Re e
gli Alleati precedentemente al 25 luglio, in modo da preparare i piani, e
l’asserzione del nuovo capo del governo italiano che la guerra continuava
accanto all’alleato tedesco come se niente fosse accaduto, era soltanto un
prendere tempo affinché l’Italia non venisse occupata dalle truppe tedesche.
Forse la prossima manovra sarebbe stato un ulteriore sbarco degli Alleati in
Italia, in modo da impadronirsi delle basi militari che avrebbero potuto
permettere di bombardare la Germania meridionale facilmente. Era necessario
muoversi in fretta, quindi, e ricostituire un governo fascista quanto prima,
per evitare il disgregarsi della situazione italiana. Così, una volta liberato
Mussolini, il piano stava procedendo con una certa rapidità. Era stato
abbandonato il progetto, dettato probabilmente dalla veemenza del momento, di
un colpo di mano su Roma per catturare il Re e Badoglio in modo da favorire
l’immediata rinascita del governo fascista. Se Mussolini non fosse stato
trovato e liberato o se fosse stato ucciso nel frattempo, il neo governo
sarebbe stato affidato a Farinacci, che era già stato convocato nel quartier
generale hitleriano dal momento che si era rifugiato nell’Ambasciata tedesca di
Roma.
Incontrato
Farinacci, Hitler ne aveva avuto un’impressione negativa. Non aveva davanti un
fascista lucido e convinto delle proprie idee, ma un uomo annientato, frustrato
dalle vicende delle ultime ore; quasi si era propensi a pensarlo come uno degli
aderenti al complotto contro il Duce del quale, durante il colloquio, non
faceva altro che dettare le criticità. Quindi divenne evidente che non gli si
poteva affidare nulla di grande, di certo non la direzione del nuovo governo, e
non rimaneva che controllarlo affinché restasse sotto l’influenza tedesca e non
cadesse nelle mani nemiche.
Naturalmente
la questione italiana divenne argomento di dibattito in seno al governo
tedesco. Molti pensavano fosse inutile cercare di ricostituire un governo
fascista; altri (tra cui Rommel) pensavano che fosse il caso di prendere subito
possesso dell’Italia senza intermediari e che fosse meglio inquadrare i soldati
italiani subito nell’esercito tedesco. Insomma, il caso italiano era un
problema sotto molti punti di vista. Göbbels l’11 settembre scriveva che, se da
un lato era giusto liberare Mussolini, dall’altro lato sarebbe stato meglio non
farlo, per non avere un altro interlocutore del quale tenere conto e fare tutto
come si voleva in un’Italia occupata dai tedeschi. Infatti, ad esempio, con
Mussolini presente forse Hitler non avrebbe avuto il coraggio di togliere il
Tirolo meridionale all’Italia, mentre Göbbels riteneva indispensabile riaverlo,
assieme alla linea di confine delle Venezie. Cioè tutto quanto era un tempo
austriaco, sarebbe dovuto tornare in mano tedesca.
La
situazione all’arrivo di Mussolini in Germania era quanto mai complicata sul
piano politico e militare, mentre non si teneva conto dell’effetto pratico che
le dichiarazioni degli ultimi due mesi, da parte di Badoglio, di Mussolini e
degli altri attori sulla scena, aveva avuto sul popolo italiano (e per il quale
riserveremo una trattazione specifica).
Anche
perché l’uscita dell’Italia dal conflitto aveva sconvolto per la sua modalità
sin da subito i tedeschi, mentre all’atto della resa pubblica dell’armistizio
dell’8 settembre tutto era già pronto, compresa l’imminente liberazione del
Duce.
Hitler
il 10 settembre aveva detto alla radio: “… lo stesso giorno in cui il
maresciallo Badoglio aveva sottoscritto l’armistizio, egli ricevette
l’incaricato d’affari germanico e l’assicurò che lui, maresciallo Badoglio, non
avrebbe mai tradito la Germania, che noi dovevamo aver fiducia in lui, e che
lui avrebbe dato prova colle sue azioni di essere degno di tale fiducia, e che,
soprattutto, l’Italia non pensava affatto di capitolare. Il giorno stesso della
capitolazione, il Re chiamò l’incaricato d’affari tedesco e gli diede ampie
assicurazioni che l’Italia non avrebbe mai capitolato, e che sarebbe rimasta
fedele alla Germania nella buona e nella cattiva sorte. Un’ora dopo che era
stato reso noto il tradimento, il Capo dello Stato Maggiore italiano Roatta,
dichiarò, di fronte al nostro plenipotenziario militare, essere quella una
volgare menzogna e una invenzione della propaganda inglese”. E il discorso non
si chiudeva solo con questi esempi, peraltro moderati rispetto all’intenzione
di essere più duro ed esprimere chiaramente quello che pensava. Infatti,
secondo Göbbels, se Hitler si aspettava il tradimento italiano, non lo
aspettava in modo così disonorevole, tanto che le sue decisioni furono subito
chiare. Approvò l’indipendenza dell’Albania e della Croazia che venne
autorizzata ad occupare la Dalmazia; sistemò sotto la direzione di due
gauleiter Alto Adige, Tirolo, Trentino e Venezia Giulia, e decretò che l’Italia
doveva essere divisa in due zone: una operativa e l’altra occupata, sotto il
comando di Rommel e di Kesselring rispettivamente, con Speer per armamenti e
produzione. L’incarico a Speer venne confermato e ratificato il giorno della
notizia della liberazione di Mussolini, ad indicare che Hitler non aveva
intenzione comunque di cambiare le proprie decisioni sulla sorte italiana.
Poche sono le informazioni circa i due giorni di colloqui tra Hitler e
Mussolini, una volta che questo arrivò in Germania. Tutto si riassume in prese
d’atto che Hitler non volle modificare la sua politica in Italia e in appunti
che non possono essere verificati, dal momento che degli incontri non vennero
redatti verbali e che non ci furono testimoni. Sembra che l’amicizia tra i due
uomini non fosse più tale e non si potesse rinnovare per la personalità del
Duce che, anziché essere temerario e dimostrare di avere il carisma
rivoluzionario di chi aveva aspettato la liberazione personale per vendicarsi e
modificare il corso degli eventi, ci si adattava. Era troppo “italiano”,
insomma, incapace di voler sovvertire il mondo come Hitler e Stalin, ebbe a
scrivere Göbbels. Il Führer si impegnò a convincere Mussolini di formare un
nuovo governo fascista per vincere la guerra. Questo era l’imperativo perché
una volta vinto il conflitto l’Italia, ora occupata per questioni operative
dalla Germania, sarebbe stata ristabilita nei suoi pieni diritti. Hitler fu
intransigente sul punto del governo fascista, che doveva essere dichiarato
subito, con i pieni poteri in mano al Duce e la dichiarazione della monarchia
deposta, e sulla necessità di punire con la morte i traditori, cioè i membri
del Gran Consiglio del Fascismo che avevano deposto Mussolini, primo fra tutti
suo genero, Galeazzo Ciano. Altrimenti l’Italia sarebbe stata terra bruciata,
peggio della Polonia. Mussolini non credeva nella possibilità di risorgere del
fascismo; non credeva nella possibilità di vincere la guerra; non voleva
tornare sulla scena politica. Era stanco e sfiduciato, pensava di essere malato
gravemente, forse di cancro. Soprattutto, se Badoglio e il Re si erano assunti
la responsabilità di portare l’Italia nella guerra civile, egli non voleva
condividere quella responsabilità. Da quanto confidato alla moglie prima di
recarsi a Rastenburg, piuttosto che al figlio Vittorio o alla figlia Edda,
sembra che Mussolini intendesse ritirarsi forse anche in Svizzera, ma la sua
non era stata una decisione definitiva. Tutto era rimesso ai ragionamenti con
Hitler, forse alla richieste dell’alleato stesse, per il bene dell’Italia.
Essere prigioniero dei tedeschi, ancora Duce, per evitare al Paese un male
peggiore, pian piano fu la scelta che Mussolini maturò. Non era forse
pienamente convinto della possibilità dei tedeschi di vincere la guerra, ma
certo pensava che potessero organizzarsi al meglio per dare filo da torcere ai
nemici. E forse, con il ritorno del fascismo nella Repubblica Sociale, si
poteva ipotizzare, se non sperare, in un cambiamento delle sorti che al momento
erano alquanto confuse. Mussolini si oppose a denominare il suo governo “Stato
fascista italiano”, non era intenzionato a dimostrare velleità di comando, né
tantomeno si illuse che avrebbe avuto grande libertà politica o organizzativa.
Tuttavia, alla fine, accettò la proposta del Führer proprio perché convinto che
questi avrebbe potuto rendere le sorti dell’Italia davvero terribili in
mancanza dell’appoggio di quell’alleato che, per quanto stanco e sfiduciato,
aveva ancora un certo appeal politico su molti italiani.
Si
vedrà nel tempo che l’impegno di Mussolini nella gestione della R.S.I. non fu
quello che ci si poteva attendere. Mantenne quasi sempre, infatti, quel senso
di delusione e di scoraggiamento che diventava evidente a chi lo frequentava a
Gardone Riviera.
*Comm.
Alessia Biasiolo, del Collegio degli Scrittori "Quaderni" del Nastro Azzurro.
Bibliografia
essenziale
Giorgio
Bocca: “La repubblica di Mussolini”, Mondadori, Milano, 1997
Luigi
Bolla: “Perché a Salò. Diario della Repubblica Sociale Italiana ”, Bompiani, Milano, 1982
Frederick
William Deakin: “Storia della Repubblica di Salò”, Einaudi, Torino, 1970
Renzo
De Felice: “Mussolini l’alleato”, Einaudi, Torino, 1997
Benito
Mussolini: “Pensieri del Gran Sasso d’Italia”
Arrigo
Petacco, Sergio Zavoli: “Dal Gran Consiglio al Gran Sasso”, Mondadori, 2013
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