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mercoledì 12 luglio 2023

L'U.E. nella transizione globale

 DIBATTITI

Sergio  Benedetto  Sabetta

                Nel pensiero unico dell’economia di mercato affermatosi con il crollo della Cortina di ferro, in cui non vi è la necessità di accordi, secondo l’insegnamento di Keynes, per evitare i “fallimenti” di mercato già verificatosi varie volte nella storia, il libero mercato diventa uno “stato di natura” di cui la governance democratica è una semplice sovrastruttura politica.

               Viene meno la necessità di trattati sistemici tra sfere di influenza, essendo i meccanismi dell’economia di mercato sufficienti a tenere insieme le singole nazioni, anzi a spingerle progressivamente verso modelli di governance democratici nella prospettiva di una ineluttabile prosperità comune.

               Una visione talmente radicata che nemmeno la grave crisi del 2008, richiamando la crisi del 1929 foriera degli sconvolgimenti degli anni trenta del ‘900, ha scalfito nonostante il suo allargarsi nel decennio successivo con gli attacchi speculativi e l’Italia nel 2011, fino a Portogallo e Irlanda (PIGS).

               La risposta dell’U. E. è la “politica dell’austerità” ispirata dalla Troika, intesa a stabilizzare l’Euro senza dovere coinvolgere di Stati dai conti pubblici privi di disavanzo, si evita così di condividere il debito, solo l’intervento massiccio della BCE di Draghi stabilizza il sistema Euro che altrimenti rischierebbe di essere travolto.

               L’interpretazione della crisi finanziaria come mero rischio redistributivo persiste per un decennio, fino alle crisi della pandemia e della guerra in Ucraina, quando viene varato per gli anni 2021-2027 il PNRR nel quale vie è una visione unitaria dell’economia europea  e del suo rilancio attraverso una condivisione unitaria del debito.

               A livello globale si assiste ad un cambiamento del modello concorrenziale dell’ultimo trentennio, con un rimpatrio in Occidente dei processi di produzione riguardanti le attività strategiche, quali i sistemi di difesa e sicurezza, mentre la Cina, visto il blocco sulla “via della seta”, cerca di sviluppare nuovi mercati in Asia e Africa.

               Se gli USA, possedendo un sicuro approvvigionamento a bassi costi di materie prime ed energia, puntano alle produzioni innovative e a costi contenuti, l’Europa viene a trovarsi priva di una visione geo-strategica da affiancarsi necessariamente a quella geo-economica, non avendo una sufficienza né energetica né sulle materie prime.

               L’attentato del 2001 alle Torri Gemelle equivale alle crisi del 2020 e 2022 che modificano  i paradigmi strategici ed economici in Europa,  già modificati implicitamente dall’allargamento ad Est tra il 2004 e il 2007 di cui premessa ne è stato il Trattato di Nizza anch’esso del 2001, ne è dimostrazione il “Trimarium” e la crescente importanza di Varsavia per gli USA nello scacchiere europeo (AA.VV., La Polonia Imperiale, Limes, 2/2023).

               Nel constatare che il libero mercato non assicura di per sé la democrazia viene meno l’illusione illuministica della pace universale, fondata sul calcolo razionale delle pure convenienze economiche, riemerge pertanto il “sovranismo razionalistico” quale interesse del particolare contrapposto all’universale.

               La crisi di questo triennio, 2020-2021, e la volontà in Europa di rilanciare l’economia sulla riconversione delle attività in green, viene a scontrarsi su problematiche che rischiano di trasformare la Next Generation EU in un catalogo di buone intenzioni.

               Si deve considerare che la Cina è passata da una riserva e capacità di produzione di “terre rare” dal 70% al 90% delle quote di mercato, es. i pannelli solari e le batterie elettriche, inoltre alla fine del 2021 ha provveduto alla statalizzazione di tutto il settore con la creazione del colosso “China Rare Earth Group” (Il Sole 24 Ore Plus 24 del 13/8/22 e il Corriere della Sera del 30/6/22: “ La Cina è la signora dei pannelli solari: all’Italia serve una filiera”).

               Attualmente la Cina ha il 67% di produzione di germanio e il 61% di silicio metallico, nonché il 79% del mercato dei pannelli solari, anche attraverso accordi economici e strategici con numerosi paesi forniti di disponibilità delle risorse minerarie e dei suoi bassi costi di produzione pianificati.

               Si passa, quindi, da una dipendenza del gas russo ad una dipendenza tecnologica dal colosso cinese, nella mancanza di una visione unitaria tra geo-economia e geo-strategia, dove nello sviluppare una economia sostenibile non si considerano i 17 minerali strategici necessari, né, è stato da più parti giustamente osservato, l’abbattimento dell’inquinamento non può concentrarsi solo in Europa, per il suo peso totale di circa il 9% in ambito mondiale, né troppo velocemente per non finire in una dipendenza strategica.

               Vi è inoltre una mancanza di chiarezza, cercando di sostituire il recupero della crescente energia elettrica necessaria con il ricorso al nucleare, o il voler applicare lo stesso modello in contesti diversi, basti pensare alle recenti problematiche edilizie sia in termini di costi che di qualità dei materiali (La droga Superbonus. Un’ overdose di edilizia da cui bisogna uscire, in La Repubblica 27/2/23), né si è fatta chiarezza, nel rapporto inquinante tra auto, navi e trasporto aereo, forse per salvare importanti settori economici.

               Le crisi degli ultimi tre anni hanno inoltre evidenziato l’abuso del debito pubblico e privato, circostanza che indebolisce ulteriormente il modello economico attuale.

               Il venir meno del sistema di Bretton Woods nel 1971 ha aperto le porte all’inventiva finanziaria ed alla conseguente speculazione, deresponsabilizzando gli Stati sulla propria moneta e sulla sua suo stabilità, venendo meno il rapporto tra economia e finanza, fino a raggiungere un ammontare ad oggi di 300 mila miliardi di dollari, pari al 360% del PIL mondiale.

               Questo ha favorito la “trappola della liquidità”, disincentivando gli investimenti a lungo termine e i conseguenti rischi, necessari negli investimenti sui cambiamenti attuali, ma anche ponendo una debolezza verso i Super Stati con surplus economico (Il fallimento del sistema finanziario mondiale, in La Guerra Grande, Limes, 7/2022).

 


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