DIBATTITI
Tra
collaborazione e diffidenza
Sergio Benedetto Sabetta
Resta tuttavia una entità di incerta definizione ben
lontana da una unione di tipo federale, in cui convivono organi parlamentari,
Corte di Giustizia e un Consiglio Europeo assomigliante ad una conferenza
internazionale, la vocazione generale non può pertanto trasformarsi in
competenza generale, considerando il principio delle competenze di attribuzione
per cui i poteri di azione della Comunità devono ridursi ai soli previsti dal
trattato C.E.
Si tratta di un sistema di poteri a
carattere tassativamente chiuso, dove ogni potere a pena di invalidità deve
indicare la propria base giuridica, solo nell’ipotesi di cui all’art. 308 C.E.
“il Consiglio, deliberando all’unanimità
su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo,
prende le disposizioni del caso”
(teoria dei poteri impliciti).
Il ricorso a tale teoria ha comportato un grosso
fenomeno di “auto espansione” delle
competenze comunitarie (sent. 12/7/1973, c. 8/73, Massey-Ferguson), circostanza che ha provocato una reazione di
alcuni Stati membri per cui è stato introdotto il principio generale di
sussidiarietà in materia di competenze (Trattato
di Maastricht), nella difficoltà della distinzione tra competenze esclusive
e quelle concorrenti si è introdotto con il trattato di Amsterdam i principi di sussidiarietà e di proporzionalità in rapporto alla
dimensione o agli effetti dell’azione da intraprendere.
La matrice internazionalista della C.E.
si rileva dalla mancanza della divisione dei poteri propria degli Stati di
origine liberale, vi è infatti nell’organizzazione comunitaria la
compartecipazione di più organi all’esercizio della medesima funzione al fine
della tutela dei vari interessi degli Stati rappresentati, essendo inoltre
priva di un proprio apparato amministrativo diffuso sul territorio deve
avvalersi delle amministrazioni degli Stati membri, nasce l’esigenza di
affermare il principio di una leale cooperazione tra la Comunità e gli Stati
membri.
Un principio su cui la Corte di Giustizia nel
valorizzarlo ha fondato una obbligazione risarcitoria a carico degli stessi
Stati membri per i danni causati ai singoli dalla inattuazione delle
disposizioni comunitarie (sent. 19/11/1991, c. 6 e 9/90, Francivigh), inoltre ha riaffermato l’obbligo per tutte le autorità
degli Stati membri di garantire il rispetto delle norme comunitarie nell’ambito
della propria competenza (Sent. 12/7/1990, c. 81/88, Germania c/o Commissione).
Il sistema così delineato fa emergere
chiaramente le difficoltà di rapporti tra una C.E. insicura, nata per fini
economici di reciproca assicurazione nel tentativo di evitare futuri conflitti,
e il sogno derivante da una necessità storica di costituire un organismo dalle
competenze più generali, che possa porsi in termini paritari tra le nuove potenze
extraeuropee.
Una organizzazione che viene tuttavia a scontrarsi con
strutture statali ben più vecchie e consolidate, portatrici di proprie
tradizioni, culture e storie frequentemente conflittuali in un rapporto di
alternanza tra supremazia e vassallaggio, di rivolte e sanguinose repressioni,
dove i sorrisi nascondono profonde differenze, difetti e pregi, ma anche
reciproci sospetti, come evidenziato anche recentemente con i provvedimenti
post - pandemia e sulla protezione ambientale dove necessità e visioni diverse
si sono manifestate tra mondo mediterraneo e nordico.
L’accelerazione dinamica che si è
voluti imprimere comporta automaticamente una alta frequenza di attriti e
conflitti a tutti i livelli di un equilibrio sistemico complesso, vi è un ondeggiare
continuo tra accentramento e riaffermazione di autonomie che si traducono
paradossalmente in ulteriori frammentazioni, come il nazionalismo ottocentesco
di riunificazione si è trasformato in una deriva di divisioni rendendo
ulteriormente complesso il quadro istituzionale, trasformando la Comunità in un
contenitore poliedrico di sogni, speranze, diffidenze e rancori.
Gli Stati moderni nati come Nazioni diventano semplici
contenitori di sub-sistemi nazionali, territori minori contenenti altre nazioni
con proprie culture e reti autoriproducentesi, il cui tessuto di unione è
formato dal minimo comune denominatore di una burocrazia accentrata, ma anche
in molti casi delegittimata, e dagli interessi economici costruiti nel tempo (Putnam, Schiavone, Salvadori, Romano).
Il crescere della complessità nel
rendere difficoltosa la relazione tra i suoi membri deve procedere in modo
selettivo, fino a differenziarsi in sottosistemi e nell’automoltiplicarsi, nel
ripetere se stesso si distingue dall’ambiente esterno (Luhman), si ha di fatto una stratificazione che conduce
necessariamente alla gerarchizzazione delle diseguaglianze interne.
Interviene quindi una differenziazione funzionale
all’interno del sistema in una lotta al prevalere, dove di fatto il rapporto
graduale delle funzioni tra loro è regolato sommariamente con una conseguente
maggiore flessibilità ma anche complessità, ben superiore alla semplice
stratificazione, questi mutamenti di differenziazione e complessità muta anche
il significato dell’ambiente in cui vive il singolo, dove la complessità crea
nuove proprietà (Simon).
Nel sistema Comunitario raffrontiamo
realtà e culture differenti, le stesse disposizioni non solo hanno esiti
diversi ma sono viste e sentite in forma diversa, possono creare scontri e
ulteriori differenze, il tecnicismo è solo un inquadramento dai risultati non
sempre previsti, le singole culture e gli occhi con cui si guardano i dati
possono dare risultati diversi, l’attuazione di un principio è sempre qualcosa
di soggettivo che può trasformarsi in un rigetto.
Lo stesso concetto di Comunità Europea è qualcosa di
flessibile, che si vuole evolvere verso una Unione che non può essere una unità
monolitica, la pressione verso una omogeneità può essere fonte di malumori e
rigetti se intesa in termini autoritari e di sopraffazione, secondo la nostra
storia millenaria, il termine U.E. derivando da quello di Comunità ha in sé una
logica, l’essenza di qualcosa di più di un semplice “nome” che tuttavia risente
della storia complessa del continente.
Si deve considerare che il “nome”
oltrepassa il semplice concetto essendo il centro di una logica che come tale
esige una risposta, l’uomo è esigenza di
una libertà la quale deve interagire con la realtà del mondo e la
problematicità dell’esistenza stessa, la creazione è per l’uomo il momento
massimo di libertà che gli sia dato ma anche l’accettazione di una temporalizzazione
con la rinuncia alle eterne possibilità.
L’esigenza di eternità riemerge con le istituzioni
fonte di una riunificazione legislativa dove passato e futuro vengono
riassorbiti nel presente, la libertà viene pertanto limitata dal solo esistere,
ma rinasce dal rapporto volontà – scelta che ridefinisce la relazionalità e in
questa coappartenenza vi è una dipendenza espressione di una libertà
temporalizzata, è la possibilità della scelta e quindi della volontà che deve
essere garantita (Rosenzweig).
Quello che permane della libertà di
scelta sono i suoi frutti, essendo la scelta un evento che produce altri
eventi, ma la scelta coinvolge soprattutto nelle istituzioni gli altri, così
che il fondamento del mondo è all’esterno di una semplice visione inclusiva, nella
temporalizzazione storica dei fermenti alcuni vengono a perdersi nel tempo
perché inattuali, in un possibile e probabile futuro riemergere.
Viene quindi meno la tentazione di una totalità
unidimensionale del pensiero proprie di tutte le epoche, nella ricerca di una
impossibile unità sistematica del mondo, il sistema non è una struttura
architettonica statica bensì individualità in relazione, in un rapporto che da
oggettivo diventa soggettivo quale cornice del sistema, si ha il mantenimento
di un pluriverso nell’unità del sistema stesso (Rosenzweig, Baccarini),
superando la rigida totalità unitaria hegeliana, ponendosi tra l’essere e il
dover essere kantiano in una valutazione della intersoggettività che non sia la
negazione della singolarità (Husserl).
Nessun commento:
Posta un commento