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domenica 2 luglio 2023

Il problemattico sistema della U.E.

 DIBATTITI


Tra collaborazione e diffidenza

  

Sergio Benedetto Sabetta

  

          La Comunità Europea all’art. G del trattato di Maastricht sancisce la sua definitiva trasformazione dai rapporti strettamente economici in una struttura a vocazione generale, dove all’unione economica e monetaria si affiancano obiettivi politici e sociali, quali l’occupazione e i diritti dei cittadini, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (Trattato di Amsterdam).

Resta tuttavia una entità di incerta definizione ben lontana da una unione di tipo federale, in cui convivono organi parlamentari, Corte di Giustizia e un Consiglio Europeo assomigliante ad una conferenza internazionale, la vocazione generale non può pertanto trasformarsi in competenza generale, considerando il principio delle competenze di attribuzione per cui i poteri di azione della Comunità devono ridursi ai soli previsti dal trattato C.E.

          Si tratta di un sistema di poteri a carattere tassativamente chiuso, dove ogni potere a pena di invalidità deve indicare la propria base giuridica, solo nell’ipotesi di cui all’art. 308 C.E. “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso” (teoria dei poteri impliciti).

Il ricorso a tale teoria ha comportato un grosso fenomeno di “auto espansione” delle competenze comunitarie (sent. 12/7/1973, c. 8/73, Massey-Ferguson), circostanza che ha provocato una reazione di alcuni Stati membri per cui è stato introdotto il principio generale di sussidiarietà in materia di competenze (Trattato di Maastricht), nella difficoltà della distinzione tra competenze esclusive e quelle concorrenti si è introdotto con il trattato di Amsterdam i principi di sussidiarietà e di proporzionalità in rapporto alla dimensione o agli effetti dell’azione da intraprendere.

          La matrice internazionalista della C.E. si rileva dalla mancanza della divisione dei poteri propria degli Stati di origine liberale, vi è infatti nell’organizzazione comunitaria la compartecipazione di più organi all’esercizio della medesima funzione al fine della tutela dei vari interessi degli Stati rappresentati, essendo inoltre priva di un proprio apparato amministrativo diffuso sul territorio deve avvalersi delle amministrazioni degli Stati membri, nasce l’esigenza di affermare il principio di una leale cooperazione tra la Comunità e gli Stati membri.

Un principio su cui la Corte di Giustizia nel valorizzarlo ha fondato una obbligazione risarcitoria a carico degli stessi Stati membri per i danni causati ai singoli dalla inattuazione delle disposizioni comunitarie (sent. 19/11/1991, c. 6 e 9/90, Francivigh), inoltre ha riaffermato l’obbligo per tutte le autorità degli Stati membri di garantire il rispetto delle norme comunitarie nell’ambito della propria competenza (Sent. 12/7/1990, c. 81/88, Germania c/o Commissione).

          Il sistema così delineato fa emergere chiaramente le difficoltà di rapporti tra una C.E. insicura, nata per fini economici di reciproca assicurazione nel tentativo di evitare futuri conflitti, e il sogno derivante da una necessità storica di costituire un organismo dalle competenze più generali, che possa porsi in termini paritari tra le nuove potenze extraeuropee.

Una organizzazione che viene tuttavia a scontrarsi con strutture statali ben più vecchie e consolidate, portatrici di proprie tradizioni, culture e storie frequentemente conflittuali in un rapporto di alternanza tra supremazia e vassallaggio, di rivolte e sanguinose repressioni, dove i sorrisi nascondono profonde differenze, difetti e pregi, ma anche reciproci sospetti, come evidenziato anche recentemente con i provvedimenti post - pandemia e sulla protezione ambientale dove necessità e visioni diverse si sono manifestate tra mondo mediterraneo e nordico.

          L’accelerazione dinamica che si è voluti imprimere comporta automaticamente una alta frequenza di attriti e conflitti a tutti i livelli di un equilibrio sistemico complesso, vi è un ondeggiare continuo tra accentramento e riaffermazione di autonomie che si traducono paradossalmente in ulteriori frammentazioni, come il nazionalismo ottocentesco di riunificazione si è trasformato in una deriva di divisioni rendendo ulteriormente complesso il quadro istituzionale, trasformando la Comunità in un contenitore poliedrico di sogni, speranze, diffidenze e rancori.

Gli Stati moderni nati come Nazioni diventano semplici contenitori di sub-sistemi nazionali, territori minori contenenti altre nazioni con proprie culture e reti autoriproducentesi, il cui tessuto di unione è formato dal minimo comune denominatore di una burocrazia accentrata, ma anche in molti casi delegittimata, e dagli interessi economici costruiti nel tempo (Putnam, Schiavone, Salvadori, Romano).

          Il crescere della complessità nel rendere difficoltosa la relazione tra i suoi membri deve procedere in modo selettivo, fino a differenziarsi in sottosistemi e nell’automoltiplicarsi, nel ripetere se stesso si distingue dall’ambiente esterno (Luhman), si ha di fatto una stratificazione che conduce necessariamente alla gerarchizzazione delle diseguaglianze interne.

Interviene quindi una differenziazione funzionale all’interno del sistema in una lotta al prevalere, dove di fatto il rapporto graduale delle funzioni tra loro è regolato sommariamente con una conseguente maggiore flessibilità ma anche complessità, ben superiore alla semplice stratificazione, questi mutamenti di differenziazione e complessità muta anche il significato dell’ambiente in cui vive il singolo, dove la complessità crea nuove proprietà (Simon).

          Nel sistema Comunitario raffrontiamo realtà e culture differenti, le stesse disposizioni non solo hanno esiti diversi ma sono viste e sentite in forma diversa, possono creare scontri e ulteriori differenze, il tecnicismo è solo un inquadramento dai risultati non sempre previsti, le singole culture e gli occhi con cui si guardano i dati possono dare risultati diversi, l’attuazione di un principio è sempre qualcosa di soggettivo che può trasformarsi in un rigetto.

Lo stesso concetto di Comunità Europea è qualcosa di flessibile, che si vuole evolvere verso una Unione che non può essere una unità monolitica, la pressione verso una omogeneità può essere fonte di malumori e rigetti se intesa in termini autoritari e di sopraffazione, secondo la nostra storia millenaria, il termine U.E. derivando da quello di Comunità ha in sé una logica, l’essenza di qualcosa di più di un semplice “nome” che tuttavia risente della storia complessa del continente.

          Si deve considerare che il “nome” oltrepassa il semplice concetto essendo il centro di una logica che come tale esige una risposta, l’uomo è  esigenza di una libertà la quale deve interagire con la realtà del mondo e la problematicità dell’esistenza stessa, la creazione è per l’uomo il momento massimo di libertà che gli sia dato ma anche l’accettazione di una temporalizzazione con la rinuncia alle eterne possibilità.

L’esigenza di eternità riemerge con le istituzioni fonte di una riunificazione legislativa dove passato e futuro vengono riassorbiti nel presente, la libertà viene pertanto limitata dal solo esistere, ma rinasce dal rapporto volontà – scelta che ridefinisce la relazionalità e in questa coappartenenza vi è una dipendenza espressione di una libertà temporalizzata, è la possibilità della scelta e quindi della volontà che deve essere garantita (Rosenzweig).

          Quello che permane della libertà di scelta sono i suoi frutti, essendo la scelta un evento che produce altri eventi, ma la scelta coinvolge soprattutto nelle istituzioni gli altri, così che il fondamento del mondo è all’esterno di una semplice visione inclusiva, nella temporalizzazione storica dei fermenti alcuni vengono a perdersi nel tempo perché inattuali, in un possibile e probabile futuro riemergere.

Viene quindi meno la tentazione di una totalità unidimensionale del pensiero proprie di tutte le epoche, nella ricerca di una impossibile unità sistematica del mondo, il sistema non è una struttura architettonica statica bensì individualità in relazione, in un rapporto che da oggettivo diventa soggettivo quale cornice del sistema, si ha il mantenimento di un pluriverso nell’unità del sistema stesso (Rosenzweig, Baccarini), superando la rigida totalità unitaria hegeliana, ponendosi tra l’essere e il dover essere kantiano in una valutazione della intersoggettività che non sia la negazione della singolarità (Husserl). 

              


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