DIBATTITI
Sergio Benedetto
Sabetta
Già in un
editoriale a titolo “L’Italia di Draghi
ed il contesto internazionale”, pubblicato nei Quaderni del Nastro Azzurro n.4/2021, si parlava delle
problematiche dell’Italia, delle sue fragilità, in una crisi pandemica tanto
socio-economica che geo-strategica e dell’avvento di Mario Draghi quale garante superpartes sia nell’ambito interno che
esterna, tanto internazionale che nell’U.E.
Nel
conflitto che emergeva a livello internazionale, l’Italia si trovava, come del
resto l’Europa, sbilanciata verso la costruenda “via della seta” e la dipendenza dalle fonti energetiche russe,
nonché cerealicole ucraine.
La sua
posizione quale ponte al centro del Mediterraneo la espone alle pressioni
migratorie strumentalizzate sia dai vari fronti politico strategici che
economici e criminali, a cui si aggiunge la possibilità di utilizzare il
territorio italiano come stanza di compensazione nelle ondate migratorie e base
di lancio per la sponda Sud-Est del Mediterraneo.
Le sue
fratture storiche interne e l’individualismo per gruppi che la caratterizza, la
rendono idonea alle manovre esterne essendo venuta meno l’occasione di un
adeguato rinnovamento istituzionale e culturale negli anni ’90 del Novecento, a
seguito della crisi di tangentopoli, preferendo aderire ad una visione
edulcorata dell’Europa di Maastricht, propria del massimalismo europeista, e
senza volere accorgersi dei nuovi conflitti che si aprivano sia a livello
globale che tra gli stessi alleati del fronte occidentale. (L. Incisa di Camerana, La vittoria
dell’Italia nella terza guerra mondiale, Laterza 1996).
Uno
strano ripetersi, secondo modalità diverse, delle problematiche apertesi negli
anni successivi alla Grande Guerra nella ricerca di una nuova leadership, una visione
universalistica e pacifista che ha impedito il formarsi di una chiara visione
geo-strategica ed economica, lasciandoci alla mercé di influssi e pressioni
estere, come chiaramente evidenziato nel post-pandemia.
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Nell’attuale
crisi geo-strategica, Draghi non
risultava più sufficiente per imporre una presenza dell’Italia in ambito
internazionale, essendo il suo mandato specificamente economico e dovendo
superare il tradizionale pacifismo della Nazione, nonché il timore di rappresaglie
russe.
Anche la
mancanza di solidi apparati statali che fungessero da filtro tra i litigiosi
schieramenti politici nazionali hanno pesato, nel rischio di trasformare il
territorio nazionale in una nuova arena dei potentati esteri in lotta tra loro.
Il
tramonto della Pax Americana e le problematiche, anche finanziarie, create
nello scontro in atto si possono vedere sia nei fallimenti delle banche
americane che negli scontri per le vie di Parigi, con il rischio di
destabilizzare i già precari equilibri dell’UE, ma anche nel progressivo
disarticolarsi del Medio Oriente.
Ad una
perdita di centralità del Mediterraneo, con lo spostamento della linea di
conflitto ad Est, si affianca l’insufficienza dei nostri mezzi militari dopo
anni di una politica di equilibrio tra tutti i potentati, in una ristrettezza
economica nelle possibilità finanziarie, dove a fronte dell’ingente somma da
investire nel riarmo della Germania,
l’Italia non riesce a mettere sul piatto somme considerevoli.
Anche
nell’ipotesi coordinamento a gruppi, la debolezza istituzionale dell’Italia
unita alla sua mancanza culturale unitaria in termini di obiettivi, mezzi e
interessi, ossia strategica la pone in posizione di svantaggio.
D’altronde
le politiche economiche pro-cicliche previste dal Trattato sul Fiscal Compact
del marzo 2012 e adottato dall’Italia con Legge Costituzionale n. 1/2012
prevedono politiche di austerità, momentaneamente sospese nel 2020 per la crisi
epidemica, ma già contestata a partire dal 2021 (Regolamento UE 2021/241).
(AA.VV.,
La fine della pace, Limes, 3/2022).
La
politicizzazione dell’apparato pubblico effettuata a partire con le riforme
della fine del ‘900 a seguito delle crisi degli anni Novanta, ha comportato una
mancanza di costanza e unitarietà nell’agire del pubblico, tutto teso a evitare
di assumere responsabilità e al contempo di soddisfare le attese immediate dei
politici, ossia fino alla prossima elezione.
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Con la
fine della guerra fredda si è avuta un’ulteriore disgregazione dell’identità
unitaria con tentativi di recuperi identitari verso aspetti preunitari, ai
quali si sono sovrapposti partiti personali o digitali, in cui riunire gli interessi
personali o di gruppo nella ricerca di nuove identità futuribili, ricerca di
incerte collocazioni geopolitiche, in quella che Caracciolo definisce “terra
incognita” (L. Caracciolo, Terra incognita. Le radici geopolitiche della crisi
italiana, Laterza 2001).
Si
finisce per delegare agli altri, nonostante l’apparenza di un nostro
decisionismo, sia la nostra collocazione che le nostre funzioni, alcuni
successi imprenditoriali non possono supplire al vuoto ideale e politico che si
è creato, tutto teso al personalismo identitario, dove veniamo continuamente
scossi dalle ricorrenti crisi che la globalizzazione comporta, fino a cadere
nel vecchio motto cinquecentesco: “Francia
o Spagna basta che se magna”.
La fine
della guerra fredda nella globalizzazione del neoliberismo o
neoistituzionalismo parve riportare al centro del dibattito i principi
dell’idealismo kantiano, quale “fine della storia”, in contrapposizione al
realismo internazionalistico di Tucidide,
Machiavelli ed Hobbes.
Nessuno
Stato agisce da solo ma cerca di ottenere una supremazia attraverso alleanze,
sia per espandersi che per assicurarsi una propria stabilità interna, questo
sia in termini militari che economici, tuttavia vi è una differenza fra la
politica estera e interna, mentre la prima può agire ad impulsi, con periodi di
stasi, nella seconda vi deve essere una continuità d’azione.
Michael Brecher definisce lo stato di
crisi sotto tre condizioni:
a)
Minaccia
ai valori fondamentali della Comunità,
b)
Alta
probabilità di trovarsi coinvolti in ostilità;
c)
Tempo
limitato per reagire alla minaccia.
Si deve tuttavia aggiungere la
narrazione che colui che osserva si fa dei fatti, come se fosse oggettiva,
senza valutare la possibile soggettività della loro interpretazione. ( L. Bonanate, Prima lezione di relazioni
internazionali, Laterza 2010).
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