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venerdì 7 luglio 2023

L'Italia in abito internazionale

 DIBATTITI



Sergio  Benedetto  Sabetta

 

               Già in un editoriale a titolo “L’Italia di Draghi ed il contesto internazionale”, pubblicato nei Quaderni del Nastro Azzurro n.4/2021, si parlava delle problematiche dell’Italia, delle sue fragilità, in una crisi pandemica tanto socio-economica che geo-strategica e dell’avvento di Mario Draghi quale garante superpartes sia nell’ambito interno che esterna, tanto internazionale che nell’U.E.

               Nel conflitto che emergeva a livello internazionale, l’Italia si trovava, come del resto l’Europa, sbilanciata verso la costruenda “via della seta” e la dipendenza dalle fonti energetiche russe, nonché cerealicole ucraine.

               La sua posizione quale ponte al centro del Mediterraneo la espone alle pressioni migratorie strumentalizzate sia dai vari fronti politico strategici che economici e criminali, a cui si aggiunge la possibilità di utilizzare il territorio italiano come stanza di compensazione nelle ondate migratorie e base di lancio per la sponda Sud-Est del Mediterraneo.

               Le sue fratture storiche interne e l’individualismo per gruppi che la caratterizza, la rendono idonea alle manovre esterne essendo venuta meno l’occasione di un adeguato rinnovamento istituzionale e culturale negli anni ’90 del Novecento, a seguito della crisi di tangentopoli, preferendo aderire ad una visione edulcorata dell’Europa di Maastricht, propria del massimalismo europeista, e senza volere accorgersi dei nuovi conflitti che si aprivano sia a livello globale che tra gli stessi alleati del fronte occidentale. (L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra mondiale, Laterza 1996).

               Uno strano ripetersi, secondo modalità diverse, delle problematiche apertesi negli anni successivi alla Grande Guerra nella ricerca  di una nuova leadership, una visione universalistica e pacifista che ha impedito il formarsi di una chiara visione geo-strategica ed economica, lasciandoci alla mercé di influssi e pressioni estere, come chiaramente evidenziato nel post-pandemia.

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               Nell’attuale crisi geo-strategica, Draghi non risultava più sufficiente per imporre una presenza dell’Italia in ambito internazionale, essendo il suo mandato specificamente economico e dovendo superare il tradizionale pacifismo della Nazione, nonché il timore di rappresaglie russe.

               Anche la mancanza di solidi apparati statali che fungessero da filtro tra i litigiosi schieramenti politici nazionali hanno pesato, nel rischio di trasformare il territorio nazionale in una nuova arena dei potentati esteri in lotta tra loro.

               Il tramonto della Pax Americana e le problematiche, anche finanziarie, create nello scontro in atto si possono vedere sia nei fallimenti delle banche americane che negli scontri per le vie di Parigi, con il rischio di destabilizzare i già precari equilibri dell’UE, ma anche nel progressivo disarticolarsi del Medio Oriente.

               Ad una perdita di centralità del Mediterraneo, con lo spostamento della linea di conflitto ad Est, si affianca l’insufficienza dei nostri mezzi militari dopo anni di una politica di equilibrio tra tutti i potentati, in una ristrettezza economica nelle possibilità finanziarie, dove a fronte dell’ingente somma da investire nel riarmo  della Germania, l’Italia non riesce a mettere sul piatto somme considerevoli.

               Anche nell’ipotesi coordinamento a gruppi, la debolezza istituzionale dell’Italia unita alla sua mancanza culturale unitaria in termini di obiettivi, mezzi e interessi, ossia strategica la pone in posizione di svantaggio.

               D’altronde le politiche economiche pro-cicliche previste dal Trattato sul Fiscal Compact del marzo 2012 e adottato dall’Italia con Legge Costituzionale n. 1/2012 prevedono politiche di austerità, momentaneamente sospese nel 2020 per la crisi epidemica, ma già contestata a partire dal 2021 (Regolamento UE 2021/241).

               (AA.VV., La fine della pace, Limes, 3/2022).

               La politicizzazione dell’apparato pubblico effettuata a partire con le riforme della fine del ‘900 a seguito delle crisi degli anni Novanta, ha comportato una mancanza di costanza e unitarietà nell’agire del pubblico, tutto teso a evitare di assumere responsabilità e al contempo di soddisfare le attese immediate dei politici, ossia fino alla prossima elezione.

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               Con la fine della guerra fredda si è avuta un’ulteriore disgregazione dell’identità unitaria con tentativi di recuperi identitari verso aspetti preunitari, ai quali si sono sovrapposti partiti personali o digitali, in cui riunire gli interessi personali o di gruppo nella ricerca di nuove identità futuribili, ricerca di incerte collocazioni geopolitiche, in quella che Caracciolo definisce “terra incognita” (L. Caracciolo, Terra incognita. Le radici geopolitiche della crisi italiana, Laterza 2001).

               Si finisce per delegare agli altri, nonostante l’apparenza di un nostro decisionismo, sia la nostra collocazione che le nostre funzioni, alcuni successi imprenditoriali non possono supplire al vuoto ideale e politico che si è creato, tutto teso al personalismo identitario, dove veniamo continuamente scossi dalle ricorrenti crisi che la globalizzazione comporta, fino a cadere nel vecchio motto cinquecentesco: “Francia o Spagna basta che se magna”.

               La fine della guerra fredda nella globalizzazione del neoliberismo o neoistituzionalismo parve riportare al centro del dibattito i principi dell’idealismo kantiano, quale “fine della storia”, in contrapposizione al realismo internazionalistico di Tucidide, Machiavelli ed Hobbes.

               Nessuno Stato agisce da solo ma cerca di ottenere una supremazia attraverso alleanze, sia per espandersi che per assicurarsi una propria stabilità interna, questo sia in termini militari che economici, tuttavia vi è una differenza fra la politica estera e interna, mentre la prima può agire ad impulsi, con periodi di stasi, nella seconda vi deve essere una continuità d’azione.

               Michael Brecher definisce lo stato di crisi sotto tre condizioni:

a)      Minaccia ai valori fondamentali della Comunità,

b)      Alta probabilità di trovarsi coinvolti in ostilità;

c)      Tempo limitato per reagire alla minaccia.

Si deve tuttavia aggiungere la narrazione che colui che osserva si fa dei fatti, come se fosse oggettiva, senza valutare la possibile soggettività della loro interpretazione. ( L. Bonanate, Prima lezione di relazioni internazionali, Laterza 2010).

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