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Il blog è espressione del Centro Studi sul Valore Militare - Ce.S.Va.M.- istituito il 25 settembre 2014 dal Consiglio Nazionale dell'Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valore Militare.Lo scopo del CEsVAM è quello di promuovere studi sul Valore Militare.E' anche la continuazione on line della Rivista "Quaderni" del Nastro Azzurro. Il Blog è curato dal Direttore del CEsVAN, Gen. Dott. Massimo Coltrinari (direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org)
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domenica 31 luglio 2022
sabato 30 luglio 2022
Editoriale Luglio 2022
Nel solco di quanto scrivemmo lo scorso marzo nell'editoriale dedicato a quel mese, e poi in quello di Aprile, di Maggio di Giugno e adesso di Luglio, si è in grado di affermare che la pianificazione predisposta ad inizio anno è stata rispettata in tema di completamento di ricerche nel quadro dei Progetti in essere.
In questo mese è uscito il settimo volume dall'inizio anno, un volume inserito nel quadro del Progetto "Dizionario minimo della Guerra di Liberazione".
Con questo volume si realizza la pubblicazione uno degli otto volumi dedicati a questa ricerca. (vds www.stroiainlaboratorio.blogspot.com)
Il titolo del volume è: "Dizionario minimo della Guerra di Liberazione". "1944. GLOSSARIO"., Roma-Viterbo, per i tipi della Società Editrice Archeo Ares - Si riporta il testo della IV di Copertina, del volume:
Glossario 1944. Il volume raccoglie i lemmi più significativi dei dodici mesi, quelli del 1944, della Guerra di Liberazione, che sono stati articolati tenendo presente l’approccio adottato per questo Dizionario, ovvero si considera la Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti: il Regno del Sud, il movimento partigiano, l’internamento sia in Germania che in altri paesi, soprattutto neutrali, la resistenza dei militari italiani all’estero, la prigionia. Questi fronti si sono formati contro il nemico rappresentato nella coalizione hitleriana, nel contesto della campagna d’Italia condotta dalla Nazioni Unite. I lemmi vengono presentati inizialemnte secondo la forma alfabetica classica, poi sono suddivisi per comparti, che sono 9, per facilitare una ricerca più immediata e poi come glossario vero e proprio nella forma più concisa possibile. A corredo, oltre alla bibliografia è stata predisposta una cronologia essenziale dei principali eventi del 1944. Per l’uso di questo glossario si consiglia di consultare prioritariamente il volume dedicato ai Percorsi di Ricerca /Indici.
Il presente volume è parte integrante della didattica del
Master di 1° Livello in
“Storia Militare Contemporanea 1796 – 1960” presso Università
“Nicolò Cusano” Telematica Roma.
venerdì 29 luglio 2022
Copertina Luglio 2022
Anno LXXXIII, Supplemento on line, VII , 2022, n. 78
2022
giovedì 28 luglio 2022
Le Vicende dei Militari Italiani in Russia. II Parte
ARCHIVIO
Luigi Barzini. Corriere della Sera/CSIR.
Gli Italiani nella Campagna di Russia. La Battaglia di Pawlograd. IV
Fronte del Don. Novembre
Nota
Questo secondo articolo di
Luigi Barzini descrive il cmapo di battaglia e la battaglia di Pawlograd, Nella
descrizione emerge nella sua interezza le condizoni e di dati di situazione dei combattimenti in
terra sovietica. Le condizoni meteoroligiche sono difficli, il fango che fa la
sua prima grande apparizione, la neve che è già presente e già a novembre
comincia ad incidere sui movimenti, anche quelli ordinari. In queste righe ci
si accorge che la situazione è difficle e che la progressione offensiva è molto
contneuta. Rughe che se lette in retrospettiva fanno presagire che si sarebbe
abbattuta sulle truppe italiane una volta che i russi sarebbero passati
all’offensiva. Rughe di inquietitudine e soprende che la censura le abbia fatte
pubblicare, forse nella convizone di informare l’opinione pubblica che il front
orientale non era una cosa semplice.
mercoledì 27 luglio 2022
La lotta degli Ucraini per la loro indipendenza (1945-1956)
DIBATTITI
Nella nota precedente abbiamo descritto le operazioni
condotte del O.U.N./U.P.A l'organizzazione nazionalista di resistenza Ucraina
contro i Tedeschi, che furono condotte fino alla Liberazione del paese da parte
dell'Armata Rossa. Inizio subito una altra guerra contro la stessa Armata Rossa
che vide impegnata negli anni e ben oltre una forza di oltre 30.000 soldati
sovietici dal 1944
A partire dal 1945 l’O.U.N./U.P.A. incrementò in maniera
indiscriminata le azioni terroristiche in Ucraina con l'intento di ostacolare
gli sforzi di ricostruzione sovietici e ritardare la collettivizzazione nella
regione colpendo le infrastrutture russe e ucraine sospette di collaborare col
Partito Comunista.
Nel contempo le autorità sovietiche organizzarono una serie
di operazioni di controguerriglia colpendo i gruppi Partigiani e la popolazione
sospettata di fornire appoggio diretto o indiretto ai ribelli.
Il punto di svolta nella lotta contro l’O.U.N./U.P.A. arrivò
nel 1947 a seguito dell'attentato mortale al vice Ministro della Difesa polacco
generale Karl Swierczewski, filo russo. Questo si inserisce in altro aspetto
della lotta partigiana ucraina: la lotta contro i polacchi, altro nemico
storico dell’Ucraina.
I Sovietici cambiarono una strategia, stabilendo una rete di
raccolta di informazioni all'interno della O.U.N./U.P.A e spostare il focus
della loro azione contro i nazionalisti Ucraini con operazioni basate sulla
infiltrazione, lo spionaggio e l'azione di polizia
Negli anni 1947-48 la resistenza O.U.N./U.P.A fu così
indebolita da permettere ai sovietici di avviare la collettivizzazione su larga
scala dell'Ucraina occidentale; le autorità sovietiche riuscirono a conquistare
il consenso ed il supporto della popolazione locale attraverso significativi
investimenti economici in Ucraina occidentale. Veniva meno il sostegno dei
contadini al movimento della resistenza.
Per quanto riguarda la lotta al contrasto guerrigliero i
sovietici intensificarono ulteriormente l'attività di intelligence e di
propaganda
La situazione divenne così critica che il 3 settembre 1949 in
leader O.U.N./U.P.A sciolse le unità armate combattenti e le integrò nelle
strutture del Quartier Generale Organizzazione integrando il personale nella
struttura politica dello O.U.N./U.P.A il 5 marzo 1950 Roman Shukneyvych fu
assassinato in un agguato vicino a
Leopoli. Con la scomparsa del suo leader l’O.U.N./U.P.A perse
progressivamente rapidamente la propria capacità di combattimento Ciò
nonostante l'attività prosegui con sporadiche azioni che continuò fino alla
metà degli anni ’50. Con la cattura dell'ultimo comandante l'organizzazione Vasyl
Kuk avvenuta il 24 maggio 1954 il movimento nazionalista si ridusse ai minimi
termini
Pur riconoscendo la sopravvivenza di sporadici e isolati
gruppi di insorti, un rapporto della
polizia segreta Sovietica indica che la liquidazione di unità Armate e
clandestine ucraine è stato terminata entro l’inizio del 1956 con il loro
totale annientamento.
Il significato della ricostruzione storica di tutto il
movimento nazionalista sottolinea come l’Unione Sovietica dovette lottare per
ben dieci anni dal 1944 al 1956 per venire a capo di questo movimento. Ovvero
impose la sovietizzazione all’Ucraina, che lottò disperatamente per potersi
dare un altro ordinamento. Non essendo sostenuto da potenze esterne ed
abbandonato dall’occidente per via degli accordi di Yalta, l’O.U.N. alla fine
dovette soccombere.
Ciò significa che
Mosca ha dovuto sempre combattere per imporre la sua politica Kiev. Gli eventi
del 24 febbraio 2024 non possono non essere intesi in un contesto storico, dove
la guerra e la violenza bellica sono stati gli strumenti utilizzati per imporre
le proprie volontà a Kiev.
Per chi volesse approfondire questa tematica, per comprendere
le vicende di oggi si segnalano le seguenti opere che si reputano abbastanza
documentate per avere documenti oggettivi per sostenere la tesi che l’Ucraina è
stata nell’ultimo secolo si è sempre dovuta difendere dai suoi vicini.
Solchanyk R., The
politics of Stae buldings: centre-periphery relations in post-soviet Ukraine”, Glasgow
Univeristy of Glaglow, 1994.
Magocsi P.R., A History
of Ukraine, Toronto, University of Toronto Press Incorporated, 1996
Komenetsky I., Hitler’s
occupation of Uktaine – 1941-1944, Milwakee, Marquette University press, 1956
Zhukov Y., Small Wars
and Insergencies,
Waschington, D.C., Routkedge, 2007
martedì 26 luglio 2022
Giuliano Evangelisti. Iconografia di Guerra
ARCHIVIO
lunedì 25 luglio 2022
Antonio Trogu. Turchia: Unione Europea e NATO
GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE
La Turchia e’ uno Stato dell’Asia occidentale e, in piccola parte, dell’Europa sud-orientale, il cui territorio è diviso in due regioni peninsulari: la Tracia (detta anche Turchia europea), e l’Asia Minore, o Anatolia (con le prospicienti isole di Imbro e Tenedo e altre più piccole), separate dallo Stretto del Bosforo, dal Mare di Marmara e dallo Stretto dei Dardanelli; appartengono alla Turchia, inoltre, una sezione dell’altopiano armeno e il lembo settentrionale della Mesopotamia. La Turchia confina a N con il Mar Nero; a NO con la Bulgaria e la Grecia; a O con il Mar Egeo; a S con il Mare Mediterraneo, la Siria e l’Iraq; a E con l’Iran, l’Armenia e la Georgia.
La
Turchia moderna è stata fondata nel 1923 dai resti dell'Impero Ottomano
sconfitto dall'eroe nazionale Mustafa KEMAL, che in seguito fu insignito del
titolo di Ataturk o "Padre dei Turchi". Sotto la sua guida, il paese
ha adottato riforme sociali, legali e politiche radicali. La Turchia è entrata
a far parte dell'ONU nel 1945 e nel 1952 è diventata membro della NATO. Nel
1963 la Turchia è diventata membro associato della Comunità Europea.
E’
una Repubblica parlamentare con un parlamento unicamerale, la grande assemblea
nazionale composta da 550 membri, eletti per un mandato quadriennale con
sistema proporzionale e a maggioranza qualificata nomina anche il presidente
della repubblica.
L’attuale
Presidente della Turchia e’ Recep
Tayyip Ergodan; Erdoğan ha iniziato la sua carriera politica da
conservatore con un’identità islamista e negli ultimi anni, con
l’obiettivo di ottenere il consenso dell’estrema destra nazionalista (MHP), di
cui è dal 2018 alleato, ha
iniziato a utilizzare un retorica fortemente nazionalista, islamista.
Con
il varo del sistema presidenziale del 2018 ha accentrato gran parte dei poteri
nelle sue mani e controlla il 90% dei media passando da un sistema parlamentare a un potere presidenziale, da un
assetto istituzionale laico ereditato da Mustafa Kemal Ataturk, fondatore nel
1923 della repubblica turca moderna sulle rovine dell'impero ottomano, a una
linea islamica e autoritaria.
Erdoğan
dal 2002 vince le elezioni ma ha subito una bruciante sconfitta nei maggiori
centri urbani del paese nelle elezioni locali del marzo 2019.
La
Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato in seguito al Consiglio
europeo di Helsinki del dicembre 1999.
Nella
riunione del 16 e 17 dicembre 2004 il Consiglio europeo ha deciso che
la Turchia soddisfaceva sufficientemente i criteri per l'avvio dei negoziati di
adesione.
I
negoziati di adesione sono stati avviati nell'ambito di una conferenza
intergovernativa (CIG) il 3 ottobre 2005. Il 3 ottobre 2005 il
Consiglio ha inoltre convenuto un quadro di negoziazione con la Turchia.
Il
18 febbraio 2008 il Consiglio ha adottato il partenariato per
l'adesione riveduto con la Turchia.
Il
29 novembre 2015 i capi di Stato o di governo dell'UE hanno tenuto
una riunione con la Turchia che ha segnato una tappa importante nello sviluppo
delle relazioni UE-Turchia e negli sforzi di gestione della crisi migratoria.
L'UE
e la Turchia hanno deciso di rilanciare il processo di adesione della Turchia
all'Unione europea. Il dialogo ad alto livello tra le due parti è stato rafforzato attraverso
incontri più frequenti e strutturati.
Il
7 marzo 2016 i capi di Stato o di governo dell'UE hanno tenuto una
riunione con la Turchia per rafforzare la cooperazione riguardo alla crisi
migratoria e dei rifugiati.
Nella riunione
del Consiglio europeo del 19 ottobre 2017, i leader dell'UE hanno
tenuto un dibattito sulle relazioni con la Turchia.
I
leader hanno discusso della Turchia anche in occasione della riunione informale
del febbraio 2018. Nel marzo 2018 il Consiglio europeo ha condannato
fermamente le continue azioni illegali della Turchia nel Mediterraneo orientale
e nel mar Egeo.
Il
26 marzo 2018 i leader dell'UE hanno ospitato il presidente turco
Recep Tayyip Erdoğan nella residenza Evksinograd a Varna, in Bulgaria. L'UE era
rappresentata da Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, da Jean-Claude
Juncker, presidente della Commissione europea, e da Boyko Borissov, primo
ministro della Bulgaria.
I
leader hanno tenuto una discussione sulle relazioni UE-Turchia e sulle prospettive
future, le discussioni hanno riguardato:
·
la cooperazione in materia di gestione dei flussi migratori
·
l'interesse condiviso nella lotta al terrorismo
·
lo Stato
di diritto in Turchia
·
le recenti azioni della Turchia nel Mediterraneo
orientale e nel mar Egeo
·
il coinvolgimento della Turchia in Siria
Nel
giugno 2019 il Consiglio europeo ha espresso seria preoccupazione per
le attività di trivellazione illegali della Turchia nel Mediterraneo
orientale e ha sottolineato l'impatto negativo di tali azioni nell'intero
ambito delle relazioni UE-Turchia.
Nell'ottobre 2019
i leader dell'UE hanno discusso delle relazioni con la Turchia, anche alla luce
dell'azione militare della Turchia nel nord-est della Siria.
Nel
dicembre 2019 i leader dell'UE hanno discusso delle relazioni con la
Turchia, alla luce delle azioni turche nel Mediterraneo orientale e nel mar
Egeo. Hanno denunciato il memorandum d'intesa Turchia-Libia sulla delimitazione
delle giurisdizioni marittime e ribadito la loro piena solidarietà a Grecia e
Cipro su tale questione.
Nell'aprile
e agosto 2020 alcuni Stati membri hanno sollevato la questione del
deterioramento della situazione nel Mediterraneo orientale e delle relazioni
con la Turchia. L'1 e 2 ottobre 2020 il Consiglio europeo ha ribadito
piena solidarietà a Grecia e Cipro e sottolineato che è nell'interesse
strategico dell'UE avere un contesto stabile e sicuro nel Mediterraneo
orientale e sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente
vantaggiose con la Turchia.
Nel
novembre 2020, in occasione della loro videoconferenza, i leader dell'UE
hanno nuovamente condannato l'azione unilaterale della Turchia nel
Mediterraneo orientale. Nel dicembre 2020 il Consiglio europeo ha preso
atto del ritiro della nave Oruç Reis da parte della Turchia e ha insistito su
un allentamento costante delle tensioni in modo da rendere possibile la rapida
ripresa dei colloqui esplorativi diretti tra Grecia e Turchia. I leader dell'UE
hanno anche ribadito l'interesse strategico dell'UE a sviluppare relazioni
di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia e hanno
sottolineato l'importanza di mantenere aperti i canali di comunicazione tra
l'UE e la Turchia.
In
occasione della videoconferenza del marzo 2021, i leader
dell'UE hanno accolto con favore l'allentamento delle tensioni nel
Mediterraneo orientale e invitato la Turchia ad astenersi da nuove provocazioni
o azioni in violazione del diritto internazionale.
Ma
i negoziati per l’ammissione della Turchia all’UE sono da tempo congelati e le relazioni
ufficiali tra Turchia e Unione Europea, stanno attraversando una fase di difficoltà.
Negli
ultimi anni i governi del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) di
Recep Tayyip Erdogan hanno adottato in politica estera un approccio sempre più
marcatamente populista, di cui la retorica antioccidentale è diventata
progressivamente una componente centrale. Da considerare poi la crisi dei
rifugiati che ha rappresentato una leva negoziale fortissima per Erdogan nei
rapporti con l’UE, anche sotto il profilo finanziario.
Uno
dei principali strumenti geopolitici in mano a Erdoğan è il controllo delle
frontiere verso l’Europa. Osservando gli avvenimenti degli ultimi anni emerge
una strategia ben pianificata Erdoğan, “agendo” sui confini, è stato capace di
delineare nuove traiettorie migratorie, ribaltare i rapporti di forza,
esasperare la crisi umanitaria (prima lungo le coste greche e la rotta
balcanica, poi lungo il confine turco-siriano), e imporre nuove politiche agli
Stati europei, oggi tutti su una posizione difensiva.
Presidente
di un paese membro della NATO, capo della Fratellanza Musulmana, in passato
alleato di Israele e ora acerrimo nemico dello stato ebraico, avversario di
Putin in Siria e in Libia ma comunque con un canale diplomatico aperto con il
Cremlino ha cambiato spesso le sue posizioni, soprattutto in politica estera,
dove sembra utilizzare uno scacchiere a geometria variabile in base alle
convenienze.
La
Turchia sembra essere sempre più lontana dall’Occidente, alla base vi e’ la delusione nei confronti degli alleati
occidentali e le critiche verso quello che è stato considerato il “double
standard” di Bruxelles nel processo di adesione della Turchia all’Unione
europea, il sostegno statunitense alle forze curde nella lotta allo Stato
islamico in Siria, la mancata estradizione di Fetullah Gulen, il predicatore
islamico da decenni residente negli Stati Uniti e ritenuto responsabile del
fallito golpe. Questo ha spinto la Turchia verso una più stretta
convergenza con la Russia, anche in un settore altamente sensibile come quello
della difesa. Dal canto suo, Mosca ha avuto buon gioco nel cercare di
attrarre Ankara nella propria sfera di influenza o quanto meno cercare di allentare le alleanze statunitensi, che
nell’ambito della sicurezza e della difesa includono la Turchia in qualità di
membro della NATO. L’acquisto del sistema di difesa missilistico S-400 dalla
Russia nel 2017 ha accresciuto le tensioni con Washington, preoccupata per le
possibili interferenze russe con il sistema di difesa NATO. Ciò ha
portato all’espulsione di Ankara dal programma di sviluppo degli
F-35 e a sanzioni statunitensi al settore della difesa turco sulla base
del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA)
del 2017, che prevede misure restrittive nei confronti di tutti i Paesi che
acquistano componenti di difesa dalla Russia.
Su
questo sfondo, l’antiamericanismo è cresciuto in ampi strati della
società turca e di pari passo si è ridotto il sostegno nei confronti
dell’Alleanza Atlantica. D’altro canto, l’interrogativo su dove sta andando la
Turchia è una domanda che spesso negli ultimi anni si sente al di là
dell’Atlantico e a Bruxelles, dove i negoziati per l’adesione di Ankara
all’Unione Europea sono bloccati da tempo. Senza dubbio il perseguimento
di una autonomia strategica da parte della Turchia, accompagnato da una
politica estera assertiva nel suo vicinato mediterraneo e mediorientale, è
stato fonte di non pochi contrasti con gli alleati occidentali.
Nel momento in cui
l'attenzione del mondo è focalizzata sull'invasione russa dell'Ucraina e su
come isolare la Russia finanziariamente, politicamente e diplomaticamente, la
Turchia ha intrapreso un percorso di equilibrio unico. Ankara è stato
l'unico membro della NATO che non ha aderito ad alcuna sanzione contro la
Russia .
Anche l'opinione pubblica
sembra sostenere la politica del presidente Recep Tayyip Erdogan sul
conflitto. In effetti, le percezioni della NATO in Turchia sono piuttosto
negative, anche in un momento in cui paesi come la Finlandia e la Svezia hanno
chiesto di aderire all'organizzazione.
La Turchia di Erdogan non ha fretta di vedere una NATO
rafforzata, attualmente potrebbe essere più vicina nello spirito alla
Russia di Putin di quanto non lo sia alle nazioni democratiche del mondo
occidentale. L'affinità tra leader autoritari e autocrazie non va
sottovalutata. La NATO rafforzata e rinvigorita non sembra essere una
priorità per Erdogan.
La posizione di Ankara ha anche
scatenato un dibattito sull'adesione della Turchia alla NATO. "La
Turchia è un membro della NATO, ma sotto Erdogan non aderisce più ai valori che
stanno alla base di questa grande alleanza", ha affermato il 18
maggio un editoriale del Wall Street Journal.
In questa situazione il segretario Generale della NATO Jens
Stoltenberg, in una conversazione telefonica con il presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha affermato
che la Turchia è un importante paese della NATO con un'importanza strategica
per quanto riguarda l'Europa, la Russia, l'Iraq e la Siria". In una
intervista al quotidiano tedesco Bild, ha ricordato
le preoccupazioni della Turchia per l'adesione della Finlandia e della Svezia
alla NATO. "Le domande di adesione
di due paesi sono un momento storico che dobbiamo accogliere. La partecipazione
rafforzerà tutti noi, non solo Finlandia e Svezia", ha affermato
Stoltenberg ricordando che i paesi della NATO, anche la Svezia, la
Finlandia e l'UE considerano il PKK come un'organizzazione terroristica.
E’ evidente che la guerra in Ucraina ha dato alla Turchia
l’occasione di trovarsi al centro di una intensa attività
diplomatica sul piano internazionale potendo così riavviare rapporti
logorati da frizioni e divergenze, soprattutto con gli alleati occidentali,
nonché di uscire dall’angolo in cui è stata negli ultimi anni anche a causa di
una politica estera particolarmente assertiva sul piano regionale. Da
Bruxelles, dalle capitali europee e da
Washington sono giunti sostegno e plauso per l’azione diplomatica di Ankara nel
conflitto ucraino, mentre si sono intensificati i contatti tra Erdoğan, perno
della mediazione turca, e diversi leader mondiali. Si tratta certamente di un
risultato importante per il leader turco in un’ottica di prestigio sul piano
internazionale, ma anche di riavvicinamento ai partner della NATO ma
questo riavvicinamento rischia di bloccarsi di fronte alla richiesta di
adesione di Finlandia e Svezia, che il presidente turco ha fino a due giorni
fa, esplicitamente dichiarato di non
sostenere a dispetto del favore di tutti gli altri partner.
Nel
corso del vertice NATO di Madrid del 28 giugno 2022 la Turchia ha ritirato il
veto per l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. I tre Paesi hanno firmato
un memorandum d’intesa. La firma è avvenuta alla presenza del segretario
generale della Nato, Jens Stoltenberg, del presidente turco Recep Tayyip
Erdogan, del presidente finlandese Sauli Niinisto e della premier
svedese Margaret Andersson, al termine di una riunione durata quasi
quattro ore.
La Turchia è un alleato della NATO dal 1952 e ospita il
comando delle forze terrestri della NATO a Smirne, nonché il radar AN/TPY-2
come parte della difesa missilistica della NATO
, le forze di terra turche hanno continuato una revisione nell'ambito del
programma "Force 2014" con l'intento di produrre una forza del 20-30%
più piccola, più altamente addestrata, caratterizzata da maggiore mobilità e
potenza di fuoco e capace di operazioni congiunte e combinate la Marina turca è
una potenza navale regionale che vuole sviluppare la capacità di proiettare
potenza oltre le acque costiere della Turchia ed è fortemente coinvolta nelle
operazioni NATO, multinazionali e ONU; i suoi ruoli includono il controllo
delle acque territoriali e la sicurezza delle linee di comunicazione marittime.
L'aviazione turca ha adottato un "Concetto di difesa aerospaziale e
missilistica" nel 2002 e sta sviluppando un sistema integrato di difesa
missilistica; con una mossa controversa, ha acquistato il sistema di difesa
aerea russo S-400 per circa 2,5 miliardi di dollari nel 2019. Inoltre negli
ultimi anni ha assunto crescenti responsabilità internazionali di mantenimento
della pace, incluso il mantenimento di una forza sostanziale sotto la NATO in
Afghanistan fino al ritiro nel 2021 e, negli ultimi anni, ha costruito basi militari
di spedizione in Qatar, Somalia, Cipro settentrionale e Sudan.
La
Turchia porta avanti disegni politici autonomi e gioca su tutti i tavoli. E
l’atteggiamento nella guerra in Ucraina non fa eccezione. Da un lato la Turchia
arma Kyiv da ben prima dell’invasione russa; ciononostante, Erdogan,
soprattutto dopo il compromesso raggiunto in Siria sulla sostanziale
accettazione del legittimo governo di Damasco a lungo avversato e gli accordi
energetici siglati con Mosca, da tempo cerca l’intesa con Vladimir Putin.
Ankara si è però unita alle condanne della Nato per l’aggressione ma non ha
appoggiato le sanzioni contro Mosca, tanto che la Russia non ha inserito la
Turchia nell’elenco delle nazioni “ostili” che include tutti i membri
dell’Ue e del Patto Atlantico
Secondo
la tesi sostenuta in un recente editoriale del New York Times, Recep
Tayyip Erdogan è un alleato sempre più inaffidabile per il blocco
euroatlantico. L’atteggiamento ostruzionista del presidente turco
sull’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato è solo l’ultimo esempio del suo
schema di ‘gioco’. Ora il suo obiettivo è diventare gran mediatore ed eventuale
garante di un accordo tra Russia e Ucraina, con lo sguardo però rivolto alle
elezioni del 2023 in cui cerca la riconferma. Infatti, con un sostegno interno
in calo, in un momento in cui la Turchia sta entrando in un ciclo elettorale
critico, Erdogan sta cercando un profilo internazionale più alto per dimostrare
il suo ruolo globale agli elettori turchi.
domenica 24 luglio 2022
La Resistenza dell’Ucraina per costruire uno stato indipendente (1932-1956)
DIBATTITI
L nota presente è dedicata allo studio dell'Organizzazione
Ucraini Nazionalisti O.U.N. che ha dato vita ad un vero e proprio “braccio
armato”, una organizzazione militare denominata Forze Insorgenti Ucraine, O.P.A
L’O.U.N. e l’O.P.A. è stato un movimento di resistenza
nazionale ucraino che si poneva come fine l'indipendenza del Popolo ucraino
dall'Unione Sovietica. Come noto, l’Ucraina entrò a far parte della Unione
Sovietica nel 1922. In movimento ha avuto il suo ambito d'azione in Ucraina tra
gli anni ‘30 e gli anni ’50. L'ambiente geografico delle operazioni
O.U.N./O.P.A. è stato essenzialmente limitato alla regione ovest è sud-ovest
dell'Ucraina in virtù della presenza di zone montagnose che favorivano il
rifugio degli insorgenti.
Nella nota precedente
abbiamo fatto cenni alla politica sovietica in Ucraina. Stalin nel 1927 iniziò
per gli Ucraini un periodo di epurazione e di pulizia etnica e il fortissimo
risentimento.[1]
O.N.U. nata con finalità politiche a Vienna nel 1929 dalla
fusione di organizzazioni nazionaliste ed associazioni studentesche
nazionaliste ucraine sosteneva l'idea di uno Stato indipendente ucraino. Il suo
primo leader fu il colonnello Konovalets, che rimase alla guida del Movimento
fino al 1938 allorquando Stalin ne ordinò l'assassinio. La seconda assemblea
del O.N.U tenutasi nel 1939 a Roma determinò la nomina di Andrea Melnyk a capo dell'organizzazione.
Durante la Seconda Guerra Mondiale in seno all’O.U.N. sorsero
due correnti chiamate Melnykivtsi e Banderivtsi guidate rispettivamente da Melnik da Stepan Bamdera, la seconda di matrice
rivoluzionaria rispetto alla prima di ispirazione moderata.
Il governo di Mosca, dal canto suo, considerò sempre il
nazionalismo del O.U.N: come una minaccia terribile ed avviò una massiccia
campagna di propaganda anti-Ucraina che spinse il movimento ad accogliere con
favore l'occupazione nazista del paese ed a proclamare nel giugno del 1941
l'indipendenza dell'Ucraina. Tale iniziativa determinò la reazione di Hitler
che ordinò la cattura e l'imprigionamento dei due capi del movimento tra cui
Bandera e Melnik. la ferocia dell'occupazione nazista in Ucraina spinse O.U.N.
nel 1942 a dotarsi di un vero e proprio strumento armando l’U.P.A, con a capo il patriota Shuknevichs che nel
1944, dopo il ritiro delle truppe naziste è stato Presidente del Consiglio di Liberazione
dell' Ucraina (UHVR).
L’O.U.N. riceve l’apporto e la cooperazione della popolazione
ucraina ma anche il supporto e la solidarietà delle comunità di slovacchi,
ebrei, georgiani, e tartari, ed anche delle comunità di italiani.
Dall’Occidente, ovvero dagli Alleati non arriva alcun rifornimento.
Informazioni quantitative sul O.U.N. sono disponibili limitatamente al 1944 e
provenienti da fonti dell’intelligence tedescco. Inn base a tali dati il numero
di organici O.U.N. ammonta a 80.000 – 100.000.[2]
L’Organizzazione di comando e controllo del O.U.N. – U.P.A. è caratterizzata
dall’integrazione con la politica-amministrazione dell'insurrezione che ne
connota le posizioni di vertice. La classe dirigente dell’organizzazione era
costituita essenzialmente dalla “intellighenzia” Ucraina mentre le truppe era
composta essenzialmente da contadini.
Il principale
atto politico del O.U.N: diretta da Stefan Bandera fu la creazione il 30 giugno
1941 di un nuovo governo indipendente dell'Ucraina con Yaroslav Stetko come
primo ministro. Questo venne
immediatamente sciolto ed arrestato insieme a Bandera e tutti i capi
nazionalisti furono deportati dalla Gestapo come prigionieri in Germania per il
resto della guerra. Hitler, come detto, non voleva alcun Stato Ucraino. In ciò
era sulla stessa linea di Mosca.
Dal punto di
vista militare O.U.N. sviluppò delle azioni significative di guerra partigiana
nei confronti del occupante tedesco, ottenendo di risultati di tutto rilievo. Il
primo attacco significativo contro il tedesco
avvenne il 7 febbraio del 1943 dove venne conquistata la cittadina di Volodymyrec
in cui venne distrutto un battaglione di polizia tedesca ed un reparto di
cosacchi inquadrati nell'esercito tedesco.
Ancora più significativo l’attacco che nel maggio del 1943 fu
condotto da una unità dell’O.U.N.
denominata “Revenge of Polissya” che riuscì ad assassinare il comandante delle SA a
tedesca Viktor Lutze sull'autostrada tra Kowe e Brest-Litovsk. Con questa azione
fu confermata la vulnerabilità delle linee di riferimento e comunicazioni
tedesche. Vi furono anche altri tipi di attacchi contro le forze tedesche di
carattere partigiano di una certa consistenza che possono essere paraganata nel
loro insieme come quelle condotte nel nord italia nella seconda metà del 1944.
Queste operazioni furono condotte fino alla completa liberazione dell’Ucraina
da parte dell’Armata Rossa.
Tutta l’azione del
O.U.N. e del suo braccio armato fu condotta contro le forze tedesche e
ungheresi. Ma la liberazione del Paese non significò la fine dell’impegno delle
forze di resistenza nazionaliste. Il nemico ora era l’Unione Sovietica e si
rivolsero contro l’Armata Rossa. Inizia un'altra guerra.
Nel 1944 si deve registrare l’uccisone del generale sovietico
Nikolai Vatunin e l’anninetamento alcune settimane dopo di un battaglione della
NEVD, la polizia politica sovietica da parte dell’O.U.N./U.P.A. vicino a Rivne
diedero iniziò ad una campagna su larga scala che inizialemnte coinvolse ben
30.000 soldati sovietici.
In pratica è la edizione del 1945 ed anni seguenti della
guerra attuale: russi contro ucraini, che durò per oltre dieci anni. (continua)
[1] Nel
1932-33 lo stesso Stalin provocò una carestia che uccise
almeno 7
milioni di ucraini; anche in seguito il paese fu ulteriormente decimato causa
di deportazione di esecuzioni di intellettuali. Stalin combatte anche i
principali simboli religiosi del paese distruggendo più di 253 chiese e
cattedrali. Durante le depurazione del 1937 -39 milioni di ucraini vennero assassinati o deportati nei campi di
concentramento sovietici
[2] Nello
stesso periodo, il 1944, in Italia il movimento partigiano al Nord era di molto
inferiore per quantità numerica.
sabato 23 luglio 2022
venerdì 22 luglio 2022
Prigionia di Guerra. Riflessioni e considerazioni sul Rimpatrio dagli Stati Uniti
DIBATTITI
Dizionario minimo della Guerra di Liberazione
Compendio 1945.
Gli americani avevano interesse a
far rientrare i prigionieri italiani, proprio nel momento in cui i soldati
americani, smobilitati, ritornavano negli Stati Uniti. Se questo rimpatrio non
avvenne con la celerità necessaria, lo si deve ad altre ragioni, che investono
i rapporti all’interno della coalizione antihitleriana.
Sul trattamento dei prigionieri di
guerra si discusse a lungo anche all’interno dell’alleanza, ma senza
raggiungere un accordo comune. I sovietici si mostrarono disposti a concessioni
su molti punti, ma furono irremovibili sulla questione dei prigionieri. Quando
questa venne sollevata nelle discussioni della Commissione Consultiva Europea,
la delegazione sovietica sostenne che tutti i militari tedeschi sarebbero stati
considerati alla fine della guerra prigionieri di guerra per un tempo
indefinito perché potessero essere utilizzati per la ricostruzione dell’Unione
Sovietica. Allo stesso modo, nonostante la dichiarazione di Potsdam in cui si
asseriva che i prigionieri di guerra giapponesi sarebbero stati rimandati a
casa, il governo sovietico si rifiutò di rimpatriare i propri prigionieri, e li
uso come lavoro coatto in Siberia.
Il clima che si era instaurato
sulla questione dei prigionieri di guerra e la pressione dell’opinione pubblica
spinse i governi anglo-americani a cercare garanzie per i propri soldati
prigionieri non solo nei confronti delle forze dell’Asse, ma anche nei
confronti dell’URSS. A Yalta fu raggiunto un accordo militare con l’Unione Sovietica
secondo cui ogni governo poteva mandare una missione negli altri paesi perché
si occupasse dei propri soldati ex-prigionieri, ma l’Unione Sovietica non dette
poi l’autorizzazione all’ingresso di queste missioni sul proprio territorio.
L’atteggiamento spregiudicato dell’URSS
nei confronti della questione dei prigionieri di guerra fece temere agli
alleati occidentali per la sorte dei loro soldati, catturati dai tedeschi e che
sarebbero stati poi liberati dall’Armata Rossa. Non si può comprendere ad
esempio l’accordo fatto dagli anglo-americani a Yalta con l’Unione Sovietica
sul forzato rimpatrio dei soldati sovietici prigionieri venutisi a trovare
nelle zone occupate dagli alleati, che tante polemiche ha sollevato in questi
ultimi anni, se non si tiene presente che gli anglo-americani temevano
possibili ritorsioni sovietiche sui loro prigionieri in caso di un rifiuto. Pur
conoscendo la sorte che sarebbe toccata ai prigionieri sovietici al loro
ritorno in patria, i due governi decisero di rimandarli indietro perché: “se la
scelta è tra procurare difficoltà ai nostri uomini prigionieri o far morire dei
russi, la decisione è semplice”.
E proprio in questo senso è
significativa la testimonianza di Franco Saraceni.
“Gen.
1946. Nel porto militare di New York la Victory, ci porterà in Italia,
fiancheggia una nave militare russa. Dalla coperta possiamo vedere 30/40 uomini
che salgono incatenati a bordo di quella nave ed indossano le divise in uso ai
prigionieri di guerra, sono P.O.W.!
A
quella vista un cappellano americano che stava augurandoci un felice rientro in
famiglia si allontana defilandosi in luogo appartato; possiamo scorgerlo che
prega inginocchiato con i pugni contratti sotto il mento.
Quegli
uomini erano traditori o disertori russi passati nell’esercito tedesco e
catturati dagli americani con la resa della Germania. Erano i superstiti di
centinaia di loro; gli altri avevano scelto di suicidarsi o farsi uccidere per
pietà. L’uno aveva aiutato vicendevolmente l’altro”.
Un’altra tragedia a significare che
il rimpatrio non era desiderato da tutti.
Comunque
anche gli anglo-americani utilizzarono i prigionieri nelle loro mani, in aperta
violazione della convenzione di Ginevra, sia per l’industria di guerra, sia
come manodopera agricola anche dopo la fine del conflitto. E’ indicativo il
fatto che la Gran Bretagna utilizzo il più alto numero di prigionieri di guerra
nel settembre 1946, a più di un anno di distanza dalla fine del conflitto, con
301.000 uomini trasportati da varie parti del mondo, per sopperire alla
scarsità di manodopera nella ricostruzione industriale e nell’agricoltura. I
prigionieri tedeschi sostituirono gradualmente gli italiani, il cui rimpatrio
ebbe inizio nel dicembre 1945, mentre per i tedeschi il rimpatrio ebbe inizio
soltanto nell’ottobre del 1946 e si concluse solo nel 1948”.
Nell’Italia del 1946 il rimpatrio
non significò, spesso, la gioia del rientro in famiglia. Molti problemi cronici
della società italiana con la guerra non solo non si erano risolti, ma molto
aggravati. Ciò significò per molti prigionieri essere di nuovo alle prese con
la sopravvivenza.
Franco Saraceni così sostenne
questo aspetto del ritorno:” Il saggio
parla. Al campo di Raritan godeva la stima di molti benché mostrasse di non
avere disposizione a legarsi di amicizia. Parlava poco di sé e della propria
famiglia. Sapeva bene ascoltare ed era pronto ad aiutare i compagni nel modo
migliore.
Al
rientro in Patria, dal ponte della Victory, ammutolì alla vista di Napoli
colpita e dilaniata. Questa è la volta che il saggio mi rivolge la parola per
primo”.
“E’
la guerra che volge tutto in peggio, specialmente gli uomini. Tu non devi
rattristarti troppo perché forse il brutto te lo sei lasciato alle spalle.
Tornerai a Roma per ricominciare a vivere come saprai e meglio potrai. Io
invece vado in Abruzzo, la mia terra, che spesso sogno la notte, per riabbracciare
i miei e restare un po’ di tempo con loro. Per vivere, appena possibile, rifarò
il bagaglio e via verso una terra straniera. Mi attende una miniera e un’altra
baracca come quella che tu hai conosciuto da prigioniero ed io dalla prima
gioventù.
Quindi
non rattristarti, sei un privilegiato senza saperlo. A me invece augurami buona
fortuna perché ne ho veramente bisogno”.
giovedì 21 luglio 2022
Il quadro di battaglia del Regio Esercito al 10 giugno 1940. I Coloniali
MUSEI, ARCHIVI E BIBLIOTECHE
8.2. Reale Corpo Truppe Coloniali della
Somalia
Motto “non assegnato”
Campagne di Guerra:
1911-1912, Italo Turca
1913-1927, di Libia
1935-1936, Italo-Etiopica.
Ricompense al V.M.:
. Alla Bandiera:
1 Medaglia d’Oro,
. Ai Battaglioni:
2 d’Argento, 8 di Bronzo, 7 Croci di Guerra.
. Agli Ufficiali e Truppa:
4 Medaglie d’Oro, 209 d’Argento, 479 di Bronzo,
713 Croci di
Guerra.
Perdite in Combattimento:
. Ufficiali: morti 51, feriti
6
. Truppa: morti 1095, feriti 1303, dispersi, 2.
Festa (non è indicata)
Trae origine dalle “Guardie del Benadir” che
la società Filnardi prima, la Società del Benadir poi e infine lo Stato
Italiano accrebbero e riunirono in un corpo per provvedere ai servizi interni
della colonia. Nel 1907 il corpo delle “Guardie del Benadir” cedette il posto
ad un “Reale Corpo Truppe Indigene” che fu ordinato su 6 compagnie, 5 di
fanteria ed 1 di artiglieria, e che poi venne accresciuto, nel 1908, in vista
delle occupazioni territoriali , con la costituzione del “Reale Corpo truppe
coloniali della Somalia” formato di ascari al comando di ufficiali del R.
Esercito e di agenti locali agli ordini di ufficiali dei CC.RR. Durante la
guerra italo-austriaca il R. Corpo delle
Truppe Coloniali della Somalia venne portato a 3 battaglioni , successivamente
fu creato, per le operazioni dell’oltre Giuba, un corpo ausiliario che riprese
il nome di “Reale Corpo provvisorio di occupazione”; venne infine, nel 1926,
provveduto alla riorganizzazione del
Corpo notevolmente ampliandolo. Per la guerra itali-etiopica 1935-1936 il Reale
Corpo mobilitò 5 comandi di raggruppamento, 12 battaglioni, 5 reparti
mitraglieri, 6 gruppi di Dubat, 15 compagnie presidiarie, 1 battaglione carri
veloci, 1 compagnia genio, 1 gruppo di batterie autotrainate, 7 batterie
cammellate , 8 sezioni cannoni da 70, 1 autoreparto.
Le truppe del reale Corpo della Somalia
parteciparono ampiamente agli eventi del 1896 in Somalia; a tutte le vicende
della nostra espansione; alle operazioni in Libia nel 1914 , col I Battaglione
“Benadir” che vi guadagnò l croce i guerra al valor militare per le mirabile
prove di saldezza e di disciplina offerte nei combattimenti del Sud bengasino;
alle operazioni nei sultanati; allo scontro di Ual Ual, ed alla conquista imperiale,
meritando per il fulgido eroismo ed il generoso contributo di sangue e di sacrificio
dato negli aspri combattimenti sostenuti al servizio di S.M. il Re e della
patria italiana la suprema ricompensa
della medaglia d’oro al valor militare concessa al copro nel novembre
1938.
mercoledì 20 luglio 2022
I Rapporti tra Russia ed Ucraina.
DIBATTITI
Kiev si allontana da Mosca
Non sono tutte rose e fiori i
rapporti, nel secolo breve, dalla caduta dell’Impero degli Zar e dalla
Rivoluzione d’ottobre del 1917 al 2014, i rapporti tra Mosca e Kiev, e quelli
tra Kiev e Mink, cioè Tra Ucraina e Bielorussia.
Quello che oggi Putin non perdona all’Ucraina, mentre ha
ridotto la Bielorussia a stato vassallo, è che ha osato portare alla attenzione
dell’Occidente situazioni che dovevano rimanere segrete. Durante il viaggio del
2010 e quello del 2011 rimanemmo sopresi su come gli Ucraini portavano quasi
sempre la nostra attenzione su che cosa era successo in quelle terre durante la
costruzione della URSS. Mentre il mondo conosce ormai la verità sull fosse di
Kaityn, in cui 11.000 ufficiali polacchi sono stati giustiziati per annientare
la borghesia polacca, strage voluta da Stalin per aver una Polonia socialista
all’indomani della vittoria contro la Germania, da trasformare in baluardo
dalle offese occidentale, nulla si sapeva delle fosse di Sandarmokh. Qui cui la
Polizia Segreta di Stalin, la NKVD, nel 1937-1938 giustiziò migliaia di sospetti, durante le
famose purghe di quel periodo.
L’Ucraina ha osato, attraverso i suoi studiosi (ad esempio
Juri Dmtriev) dare prove oggettive di questi crimini e stragi stalinisti,
confutando la versione ufficiale russa che voleva continuare ad attribuire la
responsabilità ai finlandesi, come, fino al 1990, Kaityn ai tedeschi.
In ogni dittatura comunista, e non, Dmitriev fu osteggiato in
ogni modo, dileggiato e screditato in ogni sede ed infine accusato, con prove
false, di pedofilia in un procedimento davanti a un tribunale di giudici
orientati con una sentenza già predisposta. Questa procedura giuridica è prassi
in Russia, sotto qualsiasi regime come strumento per eliminare gli oppositori.
Gli Ucraini hanno
osato sfidare il Cremlino e di aver smascherato le menzogne su cui, come ogni
dittatura, è costruita la Russia di Putin. Ciò che spinge gli storici ucraini a
cercare di dire la verità su base oggettiva e documentale è il dato che la loro
terra fu massacrata dagli anni trenta agli anni quaranta, con un sterminio
preordinato mediante una pianificata carestia che causò 2-5 milioni tra il 1932
ed il 1933. Tutto quello che è stato scritto su questa situazione è stato ampiamente
dimostrato che era falso, e tutti i falsificatori del passato hanno dovuto fare
i conti, non tanto in Russia o in Ucraina, quanto nelle sedi libere
dell’occidente i cui lavori scientifici corretti hanno portato alla luce verità
inconfessabili.
L’Ucraina ha sempre
avuto questa tendenza: portare i crimini sovietici alla conoscenza dell’Occidente.
Mentre nel 2011 constatavamo questo, ci domandavano quale sarebbe stata la reazione
di Mosca. Il dibattito storiografico è sempre interessante, ma a quel tempo
prevalse la tendenza a considerare
questa opera degli Ucraini, meritoria e degna di nota, non per altro per riabilitare
la memoria delle vittime, ma senza conseguenze politiche.
Nelle cosiddette “terre del sangue” tra il Mar Baltico ed il
mar Nero, sono state eliminate perché potenziali oppositori o “tiepidi” nei
confronti della idea sovietica oltre 14 milioni di persone dovute, oltre alla
carestia programmata, alla incuria militare, ad una persecuzione organizzata e
pianificata. Secondo Costantino Sicov, “ l’Ucraina
ha così allargato il campo delle responsabilità di tutto ciò che è successo
all’epoca. Non le è stato perdonato”…” E’ per questo che il Cremlino tenta di
annientarla e di seppellirla in una terra di nessuno” l’Ucraina….” Non dimentica i tempi disumani e ne porta
testimonianza al mondo intero. Ma attesta pure che quel male non è ancora
finito.”[1]
Nel 2010 e 2011 si arrivò a considerare un parallelismo tra
il negazionismo dei crimini nazisti, e quello dei crimini del comunismo, in cui
la versione putiniana dei fatti era vista in un quadro revisionista. In realtà
oggi possiamo dire che è solo e puro negazionismo, per accreditare versioni di
dittature in cui la disinformazione, la intossicazione dei dati e dei fatti è
dottrina ampiamente applicata. A quel tempo un altro aspetto che contribuì ad
aumentare la nebbia dietro cui il disegno putiniano veniva celato era il
rapporto con la Germania nazista.
Gli Ucraini accolsero con fiori ed applausi l’arrivo delle
truppe naziste nel giugno del 1941. Questo agli occhi di Stalin, ancora
sconvolto dall’enorme errore che fece riponendo ogni fiducia, quasi granitica,
nelle parole di Hitler che non lo avrebbe mai attaccato, divenne una accusa
imperdonabile per Kiev. Il popolo ucraino reagì quasi spontaneamente ad una
politica di oppressione e stermini che i sovietici attuarono non solo in
Ucraina, ma in tutta l’Europa orientale sotto il loro controllo. Lotta non solo
di classe, ma ideologica e intransigente. I tedeschi, con miopia assoluta, non
accolsero nel loro schieramento gli Ucraini, e anche loro misero a ferro e
fuoco l’Ucraina, con una politica di spoliazione simile a quella sovietica.
Nel contesto della guerra nacque un movimento di guerriglia
ucraino, che prima si rivolse contro i nazisti, ma che aveva radici ideologiche
sociali e morali nella opposizione a Mosca. Questa resistenza, come già detto, in
una nota precedente durò fino al 1956, ed occorrerà approfondirla.
Nel 2010 e nel 2011 pensavamo che questi aspetti della storia,
le oltre 44 deportazioni in massa di popolazioni, tra cui i tedeschi del Volga,
i Tartari di Crimea ecc. le stragi, le carestie pianificate, fossero oggetto di studi e approfondimenti per
sapere e contribuire a creare freni per impedire che si ripresentassero. Gli
Ucraini, con i loro studiosi, pensavano fossero sulla strada giusta, da
condividere. In realtà avevano posto le premesse del loro annientamento,
iniziato il 24 febbraio 2022. Questo ci permette anche di capire ogniqualvolta
Mosca parla di Ucraini nazisti e nazionalisti, il vero motivo di tale asserzioni:
ovvero difesa a tutto tondo di quanto attuato da Stalin in nome del comunismo e lotta a chi vuole
dimostrare versioni diverse da quella ufficiale. Una sorta di difesa memoria
del male che con i tempi che stiamo vivendo aggiunge altri capitoli. (continua)
[1] Da
LIMES, Rivista di Geopolitica, Il Capo Putin, n. 4/ 2022. Pag. 49. “Lettera da
Kiev” Costantin Sicov.