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sabato 30 luglio 2022

Editoriale Luglio 2022

  



Nel solco di quanto scrivemmo lo scorso marzo nell'editoriale dedicato a quel mese, e poi in quello di Aprile, di Maggio di Giugno e adesso di Luglio, si è in grado di  affermare che la pianificazione predisposta ad inizio anno è stata rispettata in tema di completamento di ricerche nel quadro dei Progetti in essere. 

In questo mese è uscito il settimo volume dall'inizio anno, un volume inserito nel quadro del Progetto "Dizionario minimo della Guerra di Liberazione".

 Con questo volume si realizza la pubblicazione uno degli otto volumi dedicati a questa ricerca. (vds www.stroiainlaboratorio.blogspot.com)

Il titolo del volume è: "Dizionario minimo della Guerra di Liberazione". "1944. GLOSSARIO"., Roma-Viterbo, per i tipi della Società Editrice Archeo Ares - Si riporta il testo della IV di Copertina, del volume:

Glossario 1944. Il volume raccoglie i lemmi più significativi dei dodici mesi, quelli del 1944, della Guerra di Liberazione, che sono stati articolati tenendo presente l’approccio adottato per questo Dizionario, ovvero si considera la Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti: il Regno del Sud, il movimento partigiano, l’internamento sia in Germania che in altri paesi, soprattutto neutrali, la resistenza dei militari italiani all’estero, la prigionia. Questi fronti si sono formati contro il nemico rappresentato nella coalizione hitleriana, nel contesto della campagna d’Italia condotta dalla Nazioni Unite. I lemmi vengono presentati inizialemnte secondo la forma alfabetica classica, poi sono suddivisi per comparti, che sono 9, per facilitare una ricerca più immediata e poi come glossario vero e proprio nella forma più concisa possibile. A corredo, oltre alla bibliografia è stata predisposta una cronologia essenziale dei principali eventi del 1944. Per l’uso di questo glossario si consiglia di consultare prioritariamente il volume dedicato ai Percorsi di Ricerca /Indici.

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Il presente volume è parte integrante della didattica del Master di 1° Livello in

“Storia Militare Contemporanea 1796 – 1960” presso Università “Nicolò Cusano” Telematica Roma.



venerdì 29 luglio 2022

Copertina Luglio 2022

   




QUADERNI ON LINE




                                                Anno LXXXIII, Supplemento on line, VII  , 2022, n. 78

 Luglio
2022
valoremilitare.blogspot.com
www.cesvam.org 

giovedì 28 luglio 2022

Le Vicende dei Militari Italiani in Russia. II Parte

 ARCHIVIO


Luigi Barzini. Corriere della Sera/CSIR.

Gli Italiani nella Campagna di Russia. La Battaglia di Pawlograd. IV Fronte del Don. Novembre

 

 

Nota

 

Questo secondo articolo di Luigi Barzini descrive il cmapo di battaglia e la battaglia di Pawlograd, Nella descrizione emerge nella sua interezza le condizoni  e di dati di situazione dei combattimenti in terra sovietica. Le condizoni meteoroligiche sono difficli, il fango che fa la sua prima grande apparizione, la neve che è già presente e già a novembre comincia ad incidere sui movimenti, anche quelli ordinari. In queste righe ci si accorge che la situazione è difficle e che la progressione offensiva è molto contneuta. Rughe che se lette in retrospettiva fanno presagire che si sarebbe abbattuta sulle truppe italiane una volta che i russi sarebbero passati all’offensiva. Rughe di inquietitudine e soprende che la censura le abbia fatte pubblicare, forse nella convizone di informare l’opinione pubblica che il front orientale non era una cosa semplice.

 L'articolo è pubblicato sul sito www.istitutodelnastroazzurro.org comparto CESVAM in data 27 luglio 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


mercoledì 27 luglio 2022

La lotta degli Ucraini per la loro indipendenza (1945-1956)

 DIBATTITI


 MASSIMO COLTRINARI

 


Nella nota precedente abbiamo descritto le operazioni condotte del O.U.N./U.P.A l'organizzazione nazionalista di resistenza Ucraina contro i Tedeschi, che furono condotte fino alla Liberazione del paese da parte dell'Armata Rossa. Inizio subito una altra guerra contro la stessa Armata Rossa che vide impegnata negli anni e ben oltre una forza di oltre 30.000 soldati sovietici  dal 1944

A partire dal 1945 l’O.U.N./U.P.A. incrementò in maniera indiscriminata le azioni terroristiche in Ucraina con l'intento di ostacolare gli sforzi di ricostruzione sovietici e ritardare la collettivizzazione nella regione colpendo le infrastrutture russe e ucraine sospette di collaborare col Partito Comunista.

Nel contempo le autorità sovietiche organizzarono una serie di operazioni di controguerriglia colpendo i gruppi Partigiani e la popolazione sospettata di fornire appoggio diretto o indiretto ai ribelli.

Il punto di svolta nella lotta contro l’O.U.N./U.P.A. arrivò nel 1947 a seguito dell'attentato mortale al vice Ministro della Difesa polacco generale Karl Swierczewski, filo russo. Questo si inserisce in altro aspetto della lotta partigiana ucraina: la lotta contro i polacchi, altro nemico storico dell’Ucraina.

I Sovietici cambiarono una strategia, stabilendo una rete di raccolta di informazioni all'interno della O.U.N./U.P.A e spostare il focus della loro azione contro i nazionalisti Ucraini con operazioni basate sulla infiltrazione, lo spionaggio e l'azione di polizia

Negli anni 1947-48 la resistenza O.U.N./U.P.A fu così indebolita da permettere ai sovietici di avviare la collettivizzazione su larga scala dell'Ucraina occidentale; le autorità sovietiche riuscirono a conquistare il consenso ed il supporto della popolazione locale attraverso significativi investimenti economici in Ucraina occidentale. Veniva meno il sostegno dei contadini al movimento della resistenza.

 

Per quanto riguarda la lotta al contrasto guerrigliero i sovietici intensificarono ulteriormente l'attività di intelligence e di propaganda

La situazione divenne così critica che il 3 settembre 1949 in leader O.U.N./U.P.A sciolse le unità armate combattenti e le integrò nelle strutture del Quartier Generale Organizzazione integrando il personale nella struttura politica dello O.U.N./U.P.A il 5 marzo 1950 Roman Shukneyvych fu assassinato in un agguato vicino a  Leopoli. Con la scomparsa del suo leader l’O.U.N./U.P.A perse progressivamente rapidamente la propria capacità di combattimento Ciò nonostante l'attività prosegui con sporadiche azioni che continuò fino alla metà degli anni ’50. Con la cattura dell'ultimo comandante l'organizzazione Vasyl Kuk avvenuta il 24 maggio 1954 il movimento nazionalista si ridusse ai minimi termini

Pur riconoscendo la sopravvivenza di sporadici e isolati gruppi di insorti,  un rapporto della polizia segreta Sovietica indica che la liquidazione di unità Armate e clandestine ucraine è stato terminata entro l’inizio del 1956 con il loro totale annientamento.

Il significato della ricostruzione storica di tutto il movimento nazionalista sottolinea come l’Unione Sovietica dovette lottare per ben dieci anni dal 1944 al 1956 per venire a capo di questo movimento. Ovvero impose la sovietizzazione all’Ucraina, che lottò disperatamente per potersi dare un altro ordinamento. Non essendo sostenuto da potenze esterne ed abbandonato dall’occidente per via degli accordi di Yalta, l’O.U.N. alla fine dovette soccombere.

 Ciò significa che Mosca ha dovuto sempre combattere per imporre la sua politica Kiev. Gli eventi del 24 febbraio 2024 non possono non essere intesi in un contesto storico, dove la guerra e la violenza bellica sono stati gli strumenti utilizzati per imporre le proprie volontà a Kiev.

Per chi volesse approfondire questa tematica, per comprendere le vicende di oggi si segnalano le seguenti opere che si reputano abbastanza documentate per avere documenti oggettivi per sostenere la tesi che l’Ucraina è stata nell’ultimo secolo si è sempre dovuta difendere dai suoi vicini.

Solchanyk R., The politics of Stae buldings: centre-periphery relations in post-soviet Ukraine”, Glasgow Univeristy of Glaglow, 1994.

Magocsi P.R., A History of Ukraine, Toronto, University of Toronto Press Incorporated, 1996

Komenetsky I., Hitler’s occupation of Uktaine – 1941-1944, Milwakee, Marquette University press, 1956

Zhukov Y., Small Wars and Insergencies, Waschington, D.C., Routkedge, 2007

 


martedì 26 luglio 2022

Giuliano Evangelisti. Iconografia di Guerra

 ARCHIVIO


Giuliano Evangelisti dal suo Archivio ha inviato questo manifesto degli anni cinquanta che esortava al collettività a non dimenticare le vittime civili della guerra. Sullo sfondo di macerie e distruzioni, si voleva portare alla attenzione una categoria che non aveva nessuna responsabilità di quanto accaduto e che spesso veniva trascurata o dimenticata.


lunedì 25 luglio 2022

Antonio Trogu. Turchia: Unione Europea e NATO

 GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE




La Turchia e’ uno Stato dell’Asia occidentale e, in piccola parte, dell’Europa sud-orientale, il cui territorio è diviso in due regioni peninsulari: la Tracia (detta anche Turchia europea), e l’Asia Minore, o Anatolia (con le prospicienti isole di Imbro e Tenedo e altre più piccole), separate dallo Stretto del Bosforo, dal Mare di Marmara e dallo Stretto dei Dardanelli; appartengono alla Turchia, inoltre, una sezione dell’altopiano armeno e il lembo settentrionale della Mesopotamia. La Turchia confina a N con il Mar Nero; a NO con la Bulgaria e la Grecia; a O con il Mar Egeo; a S con il Mare Mediterraneo, la Siria e l’Iraq; a E con l’Iran, l’Armenia e la Georgia.

La Turchia moderna è stata fondata nel 1923 dai resti dell'Impero Ottomano sconfitto dall'eroe nazionale Mustafa KEMAL, che in seguito fu insignito del titolo di Ataturk o "Padre dei Turchi". Sotto la sua guida, il paese ha adottato riforme sociali, legali e politiche radicali. La Turchia è entrata a far parte dell'ONU nel 1945 e nel 1952 è diventata membro della NATO. Nel 1963 la Turchia è diventata membro associato della Comunità Europea.

E’ una Repubblica parlamentare con un parlamento unicamerale, la grande assemblea nazionale composta da 550 membri, eletti per un mandato quadriennale con sistema proporzionale e a maggioranza qualificata nomina anche il presidente della repubblica.

L’attuale Presidente della Turchia e’ Recep Tayyip Ergodan; Erdoğan ha iniziato la sua carriera politica da conservatore con un’identità islamista e negli ultimi anni, con l’obiettivo di ottenere il consenso dell’estrema destra nazionalista (MHP), di cui è dal 2018 alleato,  ha iniziato a utilizzare un retorica fortemente nazionalista, islamista.

Con il varo del sistema presidenziale del 2018 ha accentrato gran parte dei poteri nelle sue mani e controlla il 90% dei media passando da un sistema parlamentare a un potere presidenziale, da un assetto istituzionale laico ereditato da Mustafa Kemal Ataturk, fondatore nel 1923 della repubblica turca moderna sulle rovine dell'impero ottomano, a una linea islamica e autoritaria.

Erdoğan dal 2002 vince le elezioni ma ha subito una bruciante sconfitta nei maggiori centri urbani del paese nelle elezioni locali del marzo 2019.

La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato in seguito al Consiglio europeo di Helsinki del dicembre 1999.

Nella riunione del 16 e 17 dicembre 2004 il Consiglio europeo ha deciso che la Turchia soddisfaceva sufficientemente i criteri per l'avvio dei negoziati di adesione.

I negoziati di adesione sono stati avviati nell'ambito di una conferenza intergovernativa (CIG) il 3 ottobre 2005. Il 3 ottobre 2005 il Consiglio ha inoltre convenuto un quadro di negoziazione con la Turchia.

Il 18 febbraio 2008 il Consiglio ha adottato il partenariato per l'adesione riveduto con la Turchia.

Il 29 novembre 2015 i capi di Stato o di governo dell'UE hanno tenuto una riunione con la Turchia che ha segnato una tappa importante nello sviluppo delle relazioni UE-Turchia e negli sforzi di gestione della crisi migratoria.

L'UE e la Turchia hanno deciso di rilanciare il processo di adesione della Turchia all'Unione europea. Il dialogo ad alto livello tra le due parti è stato rafforzato attraverso incontri più frequenti e strutturati.

Il 7 marzo 2016 i capi di Stato o di governo dell'UE hanno tenuto una riunione con la Turchia per rafforzare la cooperazione riguardo alla crisi migratoria e dei rifugiati.

Nella riunione del Consiglio europeo del 19 ottobre 2017, i leader dell'UE hanno tenuto un dibattito sulle relazioni con la Turchia. 

I leader hanno discusso della Turchia anche in occasione della riunione informale del febbraio 2018. Nel marzo 2018 il Consiglio europeo ha condannato fermamente le continue azioni illegali della Turchia nel Mediterraneo orientale e nel mar Egeo.

Il 26 marzo 2018 i leader dell'UE hanno ospitato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nella residenza Evksinograd a Varna, in Bulgaria. L'UE era rappresentata da Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, e da Boyko Borissov, primo ministro della Bulgaria.

I leader hanno tenuto una discussione sulle relazioni UE-Turchia e sulle prospettive future, le discussioni hanno riguardato:

·           la cooperazione in materia di gestione dei flussi migratori

·           l'interesse condiviso nella lotta al terrorismo

·           lo Stato di diritto in Turchia

·           le recenti azioni della Turchia nel Mediterraneo orientale e nel mar Egeo

·           il coinvolgimento della Turchia in Siria

Nel giugno 2019 il Consiglio europeo ha espresso seria preoccupazione per le attività di trivellazione illegali della Turchia nel Mediterraneo orientale e ha sottolineato l'impatto negativo di tali azioni nell'intero ambito delle relazioni UE-Turchia.

Nell'ottobre 2019 i leader dell'UE hanno discusso delle relazioni con la Turchia, anche alla luce dell'azione militare della Turchia nel nord-est della Siria.

Nel dicembre 2019 i leader dell'UE hanno discusso delle relazioni con la Turchia, alla luce delle azioni turche nel Mediterraneo orientale e nel mar Egeo. Hanno denunciato il memorandum d'intesa Turchia-Libia sulla delimitazione delle giurisdizioni marittime e ribadito la loro piena solidarietà a Grecia e Cipro su tale questione.

Nell'aprile e agosto 2020 alcuni Stati membri hanno sollevato la questione del deterioramento della situazione nel Mediterraneo orientale e delle relazioni con la Turchia. L'1 e 2 ottobre 2020 il Consiglio europeo ha ribadito piena solidarietà a Grecia e Cipro e sottolineato che è nell'interesse strategico dell'UE avere un contesto stabile e sicuro nel Mediterraneo orientale e sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia.

Nel novembre 2020, in occasione della loro videoconferenza, i leader dell'UE hanno nuovamente condannato l'azione unilaterale della Turchia nel Mediterraneo orientale. Nel dicembre 2020 il Consiglio europeo ha preso atto del ritiro della nave Oruç Reis da parte della Turchia e ha insistito su un allentamento costante delle tensioni in modo da rendere possibile la rapida ripresa dei colloqui esplorativi diretti tra Grecia e Turchia. I leader dell'UE hanno anche ribadito l'interesse strategico dell'UE a sviluppare relazioni di cooperazione reciprocamente vantaggiose con la Turchia e hanno sottolineato l'importanza di mantenere aperti i canali di comunicazione tra l'UE e la Turchia.

In occasione della videoconferenza del marzo 2021, i leader dell'UE hanno accolto con favore l'allentamento delle tensioni nel Mediterraneo orientale e invitato la Turchia ad astenersi da nuove provocazioni o azioni in violazione del diritto internazionale.

Ma i negoziati per l’ammissione della Turchia all’UE sono da tempo congelati e le relazioni ufficiali tra Turchia e Unione Europea, stanno  attraversando una fase di difficoltà.

Negli ultimi anni i governi del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdogan hanno adottato in politica estera un approccio sempre più marcatamente populista, di cui la retorica antioccidentale è diventata progressivamente una componente centrale. Da considerare poi la crisi dei rifugiati che ha rappresentato una leva negoziale fortissima per Erdogan nei rapporti con l’UE, anche sotto il profilo finanziario.

Uno dei principali strumenti geopolitici in mano a Erdoğan è il controllo delle frontiere verso l’Europa. Osservando gli avvenimenti degli ultimi anni emerge una strategia ben pianificata Erdoğan, “agendo” sui confini, è stato capace di delineare nuove traiettorie migratorie, ribaltare i rapporti di forza, esasperare la crisi umanitaria (prima lungo le coste greche e la rotta balcanica, poi lungo il confine turco-siriano), e imporre nuove politiche agli Stati europei, oggi tutti su una posizione difensiva.

Presidente di un paese membro della NATO, capo della Fratellanza Musulmana, in passato alleato di Israele e ora acerrimo nemico dello stato ebraico, avversario di Putin in Siria e in Libia ma comunque con un canale diplomatico aperto con il Cremlino ha cambiato spesso le sue posizioni, soprattutto in politica estera, dove sembra utilizzare uno scacchiere a geometria variabile in base alle convenienze.

La Turchia sembra essere sempre più lontana dall’Occidente, alla base vi e’ la delusione nei confronti degli alleati occidentali e le critiche verso quello che è stato considerato il “double standard” di Bruxelles nel processo di adesione della Turchia all’Unione europea, il sostegno statunitense alle forze curde nella lotta allo Stato islamico in Siria, la mancata estradizione di Fetullah Gulen, il predicatore islamico da decenni residente negli Stati Uniti e ritenuto responsabile del fallito golpe. Questo ha spinto la Turchia verso una più stretta convergenza con la Russia, anche in un settore altamente sensibile come quello della difesa. Dal canto suo, Mosca ha avuto buon gioco nel cercare di attrarre Ankara nella propria sfera di influenza o quanto meno cercare  di allentare le alleanze statunitensi, che nell’ambito della sicurezza e della difesa includono la Turchia in qualità di membro della NATO. L’acquisto del sistema di difesa missilistico S-400 dalla Russia nel 2017 ha accresciuto le tensioni con Washington, preoccupata per le possibili interferenze russe con il sistema di difesa NATO. Ciò ha portato all’espulsione di Ankara dal programma di sviluppo degli F-35 e a sanzioni statunitensi al settore della difesa turco sulla base del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA) del 2017, che prevede misure restrittive nei confronti di tutti i Paesi che acquistano componenti di difesa dalla Russia.

Su questo sfondo, l’antiamericanismo è cresciuto in ampi strati della società turca e di pari passo si è ridotto il sostegno nei confronti dell’Alleanza Atlantica. D’altro canto, l’interrogativo su dove sta andando la Turchia è una domanda che spesso negli ultimi anni si sente al di là dell’Atlantico e a Bruxelles, dove i negoziati per l’adesione di Ankara all’Unione Europea sono bloccati da tempo. Senza dubbio il perseguimento di una autonomia strategica da parte della Turchia, accompagnato da una politica estera assertiva nel suo vicinato mediterraneo e mediorientale, è stato fonte di non pochi contrasti con gli alleati occidentali.

Nel momento in cui l'attenzione del mondo è focalizzata sull'invasione russa dell'Ucraina e su come isolare la Russia finanziariamente, politicamente e diplomaticamente, la Turchia ha intrapreso un percorso di equilibrio unico. Ankara è stato l'unico membro della NATO che non ha aderito ad alcuna sanzione contro la Russia .

Anche l'opinione pubblica sembra sostenere la politica del presidente Recep Tayyip Erdogan sul conflitto. In effetti, le percezioni della NATO in Turchia sono piuttosto negative, anche in un momento in cui paesi come la Finlandia e la Svezia hanno chiesto di aderire all'organizzazione.

La Turchia di Erdogan non ha fretta di vedere una NATO rafforzata,  attualmente potrebbe essere più vicina nello spirito alla Russia di Putin di quanto non lo sia alle nazioni democratiche del mondo occidentale. L'affinità tra leader autoritari e autocrazie non va sottovalutata. La NATO rafforzata e rinvigorita non sembra essere una priorità per Erdogan.

La posizione di Ankara ha anche scatenato un dibattito sull'adesione della Turchia alla NATO. "La Turchia è un membro della NATO, ma sotto Erdogan non aderisce più ai valori che stanno alla base di questa grande alleanza",  ha affermato il 18 maggio un editoriale del Wall Street Journal.  
In questa situazione  il segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, in una conversazione telefonica con il presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha affermato che la Turchia è un importante paese della NATO con un'importanza strategica per quanto riguarda l'Europa, la Russia, l'Iraq e la Siria". In una intervista al quotidiano tedesco Bild, ha ricordato le preoccupazioni della Turchia per l'adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO.  "Le domande di adesione di due paesi sono un momento storico che dobbiamo accogliere. La partecipazione rafforzerà tutti noi, non solo Finlandia e Svezia", ha affermato Stoltenberg  ricordando che i paesi della NATO, anche la Svezia, la Finlandia e l'UE considerano il PKK come un'organizzazione terroristica.

E’ evidente che la guerra in Ucraina ha dato alla Turchia l’occasione di trovarsi al centro di una intensa attività diplomatica sul piano internazionale potendo così riavviare rapporti logorati da frizioni e divergenze, soprattutto con gli alleati occidentali, nonché di uscire dall’angolo in cui è stata negli ultimi anni anche a causa di una politica estera particolarmente assertiva sul piano regionale. Da Bruxelles,  dalle capitali europee e da Washington sono giunti sostegno e plauso per l’azione diplomatica di Ankara nel conflitto ucraino, mentre si sono intensificati i contatti tra Erdoğan, perno della mediazione turca, e diversi leader mondiali. Si tratta certamente di un risultato importante per il leader turco in un’ottica di prestigio sul piano internazionale, ma anche di riavvicinamento ai partner della NATO ma questo riavvicinamento rischia di bloccarsi di fronte alla richiesta di adesione di Finlandia e Svezia, che il presidente turco ha fino a due giorni fa,  esplicitamente dichiarato di non sostenere a dispetto del favore di tutti gli altri partner.

Nel corso del vertice NATO di Madrid del 28 giugno 2022 la Turchia ha ritirato il veto per l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. I tre Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa. La firma è avvenuta alla presenza del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, del presidente finlandese Sauli Niinisto e della premier svedese Margaret Andersson, al termine di una riunione durata quasi quattro ore.

La Turchia è un alleato della NATO dal 1952 e ospita il comando delle forze terrestri della NATO a Smirne, nonché il radar AN/TPY-2 come parte della difesa missilistica della NATO
, le forze di terra turche hanno continuato una revisione nell'ambito del programma "Force 2014" con l'intento di produrre una forza del 20-30% più piccola, più altamente addestrata, caratterizzata da maggiore mobilità e potenza di fuoco e capace di operazioni congiunte e combinate la Marina turca è una potenza navale regionale che vuole sviluppare la capacità di proiettare potenza oltre le acque costiere della Turchia ed è fortemente coinvolta nelle operazioni NATO, multinazionali e ONU; i suoi ruoli includono il controllo delle acque territoriali e la sicurezza delle linee di comunicazione marittime. L'aviazione turca ha adottato un "Concetto di difesa aerospaziale e missilistica" nel 2002 e sta sviluppando un sistema integrato di difesa missilistica; con una mossa controversa, ha acquistato il sistema di difesa aerea russo S-400 per circa 2,5 miliardi di dollari nel 2019. Inoltre negli ultimi anni ha assunto crescenti responsabilità internazionali di mantenimento della pace, incluso il mantenimento di una forza sostanziale sotto la NATO in Afghanistan fino al ritiro nel 2021 e,  negli ultimi anni, ha costruito basi militari di spedizione in Qatar, Somalia, Cipro settentrionale e Sudan.

La Turchia porta avanti disegni politici autonomi e gioca su tutti i tavoli. E l’atteggiamento nella guerra in Ucraina non fa eccezione. Da un lato la Turchia arma Kyiv da ben prima dell’invasione russa; ciononostante, Erdogan, soprattutto dopo il compromesso raggiunto in Siria sulla sostanziale accettazione del legittimo governo di Damasco a lungo avversato e gli accordi energetici siglati con Mosca, da tempo cerca l’intesa con Vladimir Putin. Ankara si è però unita alle condanne della Nato per l’aggressione ma non ha appoggiato le sanzioni contro Mosca, tanto che la Russia non ha inserito la Turchia nell’elenco delle nazioni “ostili” che include tutti i membri dell’Ue e del Patto Atlantico

Secondo la tesi sostenuta in un recente editoriale del New York Times, Recep Tayyip Erdogan è un alleato sempre più inaffidabile per il blocco euroatlantico. L’atteggiamento ostruzionista del presidente turco sull’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato è solo l’ultimo esempio del suo schema di ‘gioco’. Ora il suo obiettivo è diventare gran mediatore ed eventuale garante di un accordo tra Russia e Ucraina, con lo sguardo però rivolto alle elezioni del 2023 in cui cerca la riconferma. Infatti, con un sostegno interno in calo, in un momento in cui la Turchia sta entrando in un ciclo elettorale critico, Erdogan sta cercando un profilo internazionale più alto per dimostrare il suo ruolo globale agli elettori turchi.

 

 

domenica 24 luglio 2022

La Resistenza dell’Ucraina per costruire uno stato indipendente (1932-1956)

 DIBATTITI



 

 

L nota presente è dedicata allo studio dell'Organizzazione Ucraini Nazionalisti O.U.N. che ha dato vita ad un vero e proprio “braccio armato”, una organizzazione militare denominata Forze Insorgenti Ucraine, O.P.A

L’O.U.N. e l’O.P.A. è stato un movimento di resistenza nazionale ucraino che si poneva come fine l'indipendenza del Popolo ucraino dall'Unione Sovietica. Come noto, l’Ucraina entrò a far parte della Unione Sovietica nel 1922. In movimento ha avuto il suo ambito d'azione in Ucraina tra gli anni ‘30 e gli anni ’50. L'ambiente geografico delle operazioni O.U.N./O.P.A. è stato essenzialmente limitato alla regione ovest è sud-ovest dell'Ucraina in virtù della presenza di zone montagnose che favorivano il rifugio degli insorgenti.

 Nella nota precedente abbiamo fatto cenni alla politica sovietica in Ucraina. Stalin nel 1927 iniziò per gli Ucraini un periodo di epurazione e di pulizia etnica e il fortissimo risentimento.[1]

O.N.U. nata con finalità politiche a Vienna nel 1929 dalla fusione di organizzazioni nazionaliste ed associazioni studentesche nazionaliste ucraine sosteneva l'idea di uno Stato indipendente ucraino. Il suo primo leader fu il colonnello Konovalets, che rimase alla guida del Movimento fino al 1938 allorquando Stalin ne ordinò l'assassinio. La seconda assemblea del O.N.U tenutasi nel 1939 a Roma determinò la nomina di Andrea Melnyk  a capo dell'organizzazione.

Durante la Seconda Guerra Mondiale in seno all’O.U.N. sorsero due correnti chiamate Melnykivtsi e Banderivtsi  guidate rispettivamente da Melnik  da Stepan Bamdera, la seconda di matrice rivoluzionaria rispetto alla prima di ispirazione moderata.

Il governo di Mosca, dal canto suo, considerò sempre il nazionalismo del O.U.N: come una minaccia terribile ed avviò una massiccia campagna di propaganda anti-Ucraina che spinse il movimento ad accogliere con favore l'occupazione nazista del paese ed a proclamare nel giugno del 1941 l'indipendenza dell'Ucraina. Tale iniziativa determinò la reazione di Hitler che ordinò la cattura e l'imprigionamento dei due capi del movimento tra cui Bandera e Melnik. la ferocia dell'occupazione nazista in Ucraina spinse O.U.N. nel 1942 a dotarsi di un vero e proprio strumento armando l’U.P.A,  con a capo il patriota Shuknevichs che nel 1944, dopo il ritiro delle truppe naziste è stato Presidente del Consiglio di Liberazione dell' Ucraina (UHVR).

L’O.U.N. riceve l’apporto e la cooperazione della popolazione ucraina ma anche il supporto e la solidarietà delle comunità di slovacchi, ebrei, georgiani, e tartari, ed anche delle comunità di italiani. Dall’Occidente, ovvero dagli Alleati non arriva alcun rifornimento. Informazioni quantitative sul O.U.N. sono disponibili limitatamente al 1944 e provenienti da fonti dell’intelligence tedescco. Inn base a tali dati il numero di organici O.U.N. ammonta a 80.000 – 100.000.[2] L’Organizzazione di comando e controllo del O.U.N. – U.P.A. è caratterizzata dall’integrazione con la politica-amministrazione dell'insurrezione che ne connota le posizioni di vertice. La classe dirigente dell’organizzazione era costituita essenzialmente dalla “intellighenzia” Ucraina mentre le truppe era composta essenzialmente da contadini.

Il principale atto politico del O.U.N: diretta da Stefan Bandera fu la creazione il 30 giugno 1941 di un nuovo governo indipendente dell'Ucraina con Yaroslav Stetko come primo ministro.  Questo venne immediatamente sciolto ed arrestato insieme a Bandera e tutti i capi nazionalisti furono deportati dalla Gestapo come prigionieri in Germania per il resto della guerra. Hitler, come detto, non voleva alcun Stato Ucraino. In ciò era sulla stessa linea di Mosca.

 

Dal punto di vista militare O.U.N. sviluppò delle azioni significative di guerra partigiana nei confronti del occupante tedesco, ottenendo di risultati di tutto rilievo. Il primo attacco significativo contro il tedesco  avvenne il 7 febbraio del 1943 dove venne conquistata la cittadina di Volodymyrec in cui venne distrutto un battaglione di polizia tedesca ed un reparto di cosacchi inquadrati nell'esercito tedesco.

Ancora più significativo l’attacco che nel maggio del 1943 fu condotto da una unità dell’O.U.N.  denominata “Revenge of Polissya” che  riuscì ad assassinare il comandante delle SA a tedesca Viktor Lutze sull'autostrada tra Kowe e Brest-Litovsk. Con questa azione fu confermata la vulnerabilità delle linee di riferimento e comunicazioni tedesche. Vi furono anche altri tipi di attacchi contro le forze tedesche di carattere partigiano di una certa consistenza che possono essere paraganata nel loro insieme come quelle condotte nel nord italia nella seconda metà del 1944. Queste operazioni furono condotte fino alla completa liberazione dell’Ucraina da parte dell’Armata Rossa.

 Tutta l’azione del O.U.N. e del suo braccio armato fu condotta contro le forze tedesche e ungheresi. Ma la liberazione del Paese non significò la fine dell’impegno delle forze di resistenza nazionaliste. Il nemico ora era l’Unione Sovietica e si rivolsero contro l’Armata Rossa. Inizia un'altra guerra.

Nel 1944 si deve registrare l’uccisone del generale sovietico Nikolai Vatunin e l’anninetamento alcune settimane dopo di un battaglione della NEVD, la polizia politica sovietica da parte dell’O.U.N./U.P.A. vicino a Rivne diedero iniziò ad una campagna su larga scala che inizialemnte coinvolse ben 30.000 soldati sovietici.

In pratica è la edizione del 1945 ed anni seguenti della guerra attuale: russi contro ucraini, che durò per oltre dieci anni. (continua)



[1] Nel 1932-33 lo stesso Stalin provocò una carestia che uccise

 almeno 7 milioni di ucraini; anche in seguito il paese fu ulteriormente decimato causa di deportazione di esecuzioni di intellettuali. Stalin combatte anche i principali simboli religiosi del paese distruggendo più di 253 chiese e cattedrali. Durante le depurazione del 1937 -39 milioni di ucraini vennero  assassinati o deportati nei campi di concentramento sovietici

[2] Nello stesso periodo, il 1944, in Italia il movimento partigiano al Nord era di molto inferiore per quantità numerica.


venerdì 22 luglio 2022

Prigionia di Guerra. Riflessioni e considerazioni sul Rimpatrio dagli Stati Uniti

 DIBATTITI

    Dizionario minimo della Guerra di Liberazione

Compendio 1945.



Gli americani avevano interesse a far rientrare i prigionieri italiani, proprio nel momento in cui i soldati americani, smobilitati, ritornavano negli Stati Uniti. Se questo rimpatrio non avvenne con la celerità necessaria, lo si deve ad altre ragioni, che investono i rapporti all’interno della coalizione antihitleriana.

Sul trattamento dei prigionieri di guerra si discusse a lungo anche all’interno dell’alleanza, ma senza raggiungere un accordo comune. I sovietici si mostrarono disposti a concessioni su molti punti, ma furono irremovibili sulla questione dei prigionieri. Quando questa venne sollevata nelle discussioni della Commissione Consultiva Europea, la delegazione sovietica sostenne che tutti i militari tedeschi sarebbero stati considerati alla fine della guerra prigionieri di guerra per un tempo indefinito perché potessero essere utilizzati per la ricostruzione dell’Unione Sovietica. Allo stesso modo, nonostante la dichiarazione di Potsdam in cui si asseriva che i prigionieri di guerra giapponesi sarebbero stati rimandati a casa, il governo sovietico si rifiutò di rimpatriare i propri prigionieri, e li uso come lavoro coatto in Siberia.

Il clima che si era instaurato sulla questione dei prigionieri di guerra e la pressione dell’opinione pubblica spinse i governi anglo-americani a cercare garanzie per i propri soldati prigionieri non solo nei confronti delle forze dell’Asse, ma anche nei confronti dell’URSS. A Yalta fu raggiunto un accordo militare con l’Unione Sovietica secondo cui ogni governo poteva mandare una missione negli altri paesi perché si occupasse dei propri soldati ex-prigionieri, ma l’Unione Sovietica non dette poi l’autorizzazione all’ingresso di queste missioni sul proprio territorio.

L’atteggiamento spregiudicato dell’URSS nei confronti della questione dei prigionieri di guerra fece temere agli alleati occidentali per la sorte dei loro soldati, catturati dai tedeschi e che sarebbero stati poi liberati dall’Armata Rossa. Non si può comprendere ad esempio l’accordo fatto dagli anglo-americani a Yalta con l’Unione Sovietica sul forzato rimpatrio dei soldati sovietici prigionieri venutisi a trovare nelle zone occupate dagli alleati, che tante polemiche ha sollevato in questi ultimi anni, se non si tiene presente che gli anglo-americani temevano possibili ritorsioni sovietiche sui loro prigionieri in caso di un rifiuto. Pur conoscendo la sorte che sarebbe toccata ai prigionieri sovietici al loro ritorno in patria, i due governi decisero di rimandarli indietro perché: “se la scelta è tra procurare difficoltà ai nostri uomini prigionieri o far morire dei russi, la decisione è semplice”.

E proprio in questo senso è significativa la testimonianza di Franco Saraceni.

“Gen. 1946. Nel porto militare di New York la Victory, ci porterà in Italia, fiancheggia una nave militare russa. Dalla coperta possiamo vedere 30/40 uomini che salgono incatenati a bordo di quella nave ed indossano le divise in uso ai prigionieri di guerra, sono P.O.W.!

A quella vista un cappellano americano che stava augurandoci un felice rientro in famiglia si allontana defilandosi in luogo appartato; possiamo scorgerlo che prega inginocchiato con i pugni contratti sotto il mento.

Quegli uomini erano traditori o disertori russi passati nell’esercito tedesco e catturati dagli americani con la resa della Germania. Erano i superstiti di centinaia di loro; gli altri avevano scelto di suicidarsi o farsi uccidere per pietà. L’uno aveva aiutato vicendevolmente l’altro”.

Un’altra tragedia a significare che il rimpatrio non era desiderato da tutti.

Comunque anche gli anglo-americani utilizzarono i prigionieri nelle loro mani, in aperta violazione della convenzione di Ginevra, sia per l’industria di guerra, sia come manodopera agricola anche dopo la fine del conflitto. E’ indicativo il fatto che la Gran Bretagna utilizzo il più alto numero di prigionieri di guerra nel settembre 1946, a più di un anno di distanza dalla fine del conflitto, con 301.000 uomini trasportati da varie parti del mondo, per sopperire alla scarsità di manodopera nella ricostruzione industriale e nell’agricoltura. I prigionieri tedeschi sostituirono gradualmente gli italiani, il cui rimpatrio ebbe inizio nel dicembre 1945, mentre per i tedeschi il rimpatrio ebbe inizio soltanto nell’ottobre del 1946 e si concluse solo nel 1948”.

 

Nell’Italia del 1946 il rimpatrio non significò, spesso, la gioia del rientro in famiglia. Molti problemi cronici della società italiana con la guerra non solo non si erano risolti, ma molto aggravati. Ciò significò per molti prigionieri essere di nuovo alle prese con la sopravvivenza.

Franco Saraceni così sostenne questo aspetto del ritorno:” Il saggio parla. Al campo di Raritan godeva la stima di molti benché mostrasse di non avere disposizione a legarsi di amicizia. Parlava poco di sé e della propria famiglia. Sapeva bene ascoltare ed era pronto ad aiutare i compagni nel modo migliore.

Al rientro in Patria, dal ponte della Victory, ammutolì alla vista di Napoli colpita e dilaniata. Questa è la volta che il saggio mi rivolge la parola per primo”.

“E’ la guerra che volge tutto in peggio, specialmente gli uomini. Tu non devi rattristarti troppo perché forse il brutto te lo sei lasciato alle spalle. Tornerai a Roma per ricominciare a vivere come saprai e meglio potrai. Io invece vado in Abruzzo, la mia terra, che spesso sogno la notte, per riabbracciare i miei e restare un po’ di tempo con loro. Per vivere, appena possibile, rifarò il bagaglio e via verso una terra straniera. Mi attende una miniera e un’altra baracca come quella che tu hai conosciuto da prigioniero ed io dalla prima gioventù.

Quindi non rattristarti, sei un privilegiato senza saperlo. A me invece augurami buona fortuna perché ne ho veramente bisogno”.

 

giovedì 21 luglio 2022

Il quadro di battaglia del Regio Esercito al 10 giugno 1940. I Coloniali

 MUSEI, ARCHIVI E BIBLIOTECHE

8.2. Reale Corpo Truppe Coloniali della Somalia

Motto “non assegnato”

Campagne di Guerra:

1911-1912, Italo Turca

1913-1927, di Libia

1935-1936, Italo-Etiopica.

Ricompense al V.M.:  

. Alla Bandiera:

  1 Medaglia d’Oro,

. Ai Battaglioni:

  2 d’Argento, 8 di Bronzo, 7 Croci di Guerra.

. Agli Ufficiali e Truppa:

  4 Medaglie d’Oro, 209 d’Argento, 479 di Bronzo, 713 Croci di

  Guerra.

Perdite in Combattimento:

. Ufficiali: morti 51, feriti 6

. Truppa:  morti 1095, feriti 1303, dispersi, 2.

Festa (non è indicata)

 

Trae origine dalle “Guardie del Benadir” che la società Filnardi prima, la Società del Benadir poi e infine lo Stato Italiano accrebbero e riunirono in un corpo per provvedere ai servizi interni della colonia. Nel 1907 il corpo delle “Guardie del Benadir” cedette il posto ad un “Reale Corpo Truppe Indigene” che fu ordinato su 6 compagnie, 5 di fanteria ed 1 di artiglieria, e che poi venne accresciuto, nel 1908, in vista delle occupazioni territoriali , con la costituzione del “Reale Corpo truppe coloniali della Somalia” formato di ascari al comando di ufficiali del R. Esercito e di agenti locali agli ordini di ufficiali dei CC.RR. Durante la guerra italo-austriaca  il R. Corpo delle Truppe Coloniali della Somalia venne portato a 3 battaglioni , successivamente fu creato, per le operazioni dell’oltre Giuba, un corpo ausiliario che riprese il nome di “Reale Corpo provvisorio di occupazione”; venne infine, nel 1926, provveduto alla riorganizzazione  del Corpo notevolmente ampliandolo. Per la guerra itali-etiopica 1935-1936 il Reale Corpo mobilitò 5 comandi di raggruppamento, 12 battaglioni, 5 reparti mitraglieri, 6 gruppi di Dubat, 15 compagnie presidiarie, 1 battaglione carri veloci, 1 compagnia genio, 1 gruppo di batterie autotrainate, 7 batterie cammellate , 8 sezioni cannoni da 70, 1 autoreparto.

Le truppe del reale Corpo della Somalia parteciparono ampiamente agli eventi del 1896 in Somalia; a tutte le vicende della nostra espansione; alle operazioni in Libia nel 1914 , col I Battaglione “Benadir” che vi guadagnò l croce i guerra al valor militare per le mirabile prove  di saldezza e di disciplina  offerte nei combattimenti del Sud bengasino; alle operazioni nei sultanati; allo scontro di Ual Ual, ed alla conquista imperiale, meritando per il fulgido eroismo ed il generoso contributo di sangue e di sacrificio dato negli aspri combattimenti sostenuti al servizio di S.M. il Re e della patria italiana la suprema ricompensa  della medaglia d’oro al valor militare concessa al copro nel novembre 1938.

 

 

mercoledì 20 luglio 2022

I Rapporti tra Russia ed Ucraina.

 DIBATTITI


 

Kiev si allontana da Mosca

 

 Non sono tutte rose e fiori i rapporti, nel secolo breve, dalla caduta dell’Impero degli Zar e dalla Rivoluzione d’ottobre del 1917 al 2014, i rapporti tra Mosca e Kiev, e quelli tra Kiev e Mink, cioè Tra Ucraina e Bielorussia.

Quello che oggi Putin non perdona all’Ucraina, mentre ha ridotto la Bielorussia a stato vassallo, è che ha osato portare alla attenzione dell’Occidente situazioni che dovevano rimanere segrete. Durante il viaggio del 2010 e quello del 2011 rimanemmo sopresi su come gli Ucraini portavano quasi sempre la nostra attenzione su che cosa era successo in quelle terre durante la costruzione della URSS. Mentre il mondo conosce ormai la verità sull fosse di Kaityn, in cui 11.000 ufficiali polacchi sono stati giustiziati per annientare la borghesia polacca, strage voluta da Stalin per aver una Polonia socialista all’indomani della vittoria contro la Germania, da trasformare in baluardo dalle offese occidentale, nulla si sapeva delle fosse di Sandarmokh. Qui cui la Polizia Segreta di Stalin, la NKVD, nel 1937-1938  giustiziò migliaia di sospetti, durante le famose purghe  di quel periodo.

L’Ucraina ha osato, attraverso i suoi studiosi (ad esempio Juri Dmtriev) dare prove oggettive di questi crimini e stragi stalinisti, confutando la versione ufficiale russa che voleva continuare ad attribuire la responsabilità ai finlandesi, come, fino al 1990,  Kaityn ai tedeschi.

In ogni dittatura comunista, e non, Dmitriev fu osteggiato in ogni modo, dileggiato e screditato in ogni sede ed infine accusato, con prove false, di pedofilia in un procedimento davanti a un tribunale di giudici orientati con una sentenza già predisposta. Questa procedura giuridica è prassi in Russia, sotto qualsiasi regime come strumento per eliminare gli oppositori.

 Gli Ucraini hanno osato sfidare il Cremlino e di aver smascherato le menzogne su cui, come ogni dittatura, è costruita la Russia di Putin. Ciò che spinge gli storici ucraini a cercare di dire la verità su base oggettiva e documentale è il dato che la loro terra fu massacrata dagli anni trenta agli anni quaranta, con un sterminio preordinato mediante una pianificata carestia che causò 2-5 milioni tra il 1932 ed il 1933. Tutto quello che è stato scritto su questa situazione è stato ampiamente dimostrato che era falso, e tutti i falsificatori del passato hanno dovuto fare i conti, non tanto in Russia o in Ucraina, quanto nelle sedi libere dell’occidente i cui lavori scientifici corretti hanno portato alla luce verità inconfessabili.

 L’Ucraina ha sempre avuto questa tendenza: portare i crimini sovietici alla conoscenza dell’Occidente. Mentre nel 2011 constatavamo questo, ci domandavano quale sarebbe stata la reazione di Mosca. Il dibattito storiografico è sempre interessante, ma a quel tempo prevalse la tendenza  a considerare questa opera degli Ucraini, meritoria e degna di nota, non per altro per riabilitare la memoria delle vittime, ma senza conseguenze politiche.

Nelle cosiddette “terre del sangue” tra il Mar Baltico ed il mar Nero, sono state eliminate perché potenziali oppositori o “tiepidi” nei confronti della idea sovietica oltre 14 milioni di persone dovute, oltre alla carestia programmata, alla incuria militare, ad una persecuzione organizzata e pianificata. Secondo Costantino Sicov, “ l’Ucraina ha così allargato il campo delle responsabilità di tutto ciò che è successo all’epoca. Non le è stato perdonato”…” E’ per questo che il Cremlino tenta di annientarla e di seppellirla in una terra di nessuno” l’Ucraina….” Non dimentica i tempi disumani e ne porta testimonianza al mondo intero. Ma attesta pure che quel male non è ancora finito.”[1]

Nel 2010 e 2011 si arrivò a considerare un parallelismo tra il negazionismo dei crimini nazisti, e quello dei crimini del comunismo, in cui la versione putiniana dei fatti era vista in un quadro revisionista. In realtà oggi possiamo dire che è solo e puro negazionismo, per accreditare versioni di dittature in cui la disinformazione, la intossicazione dei dati e dei fatti è dottrina ampiamente applicata. A quel tempo un altro aspetto che contribuì ad aumentare la nebbia dietro cui il disegno putiniano veniva celato era il rapporto con la Germania nazista.

Gli Ucraini accolsero con fiori ed applausi l’arrivo delle truppe naziste nel giugno del 1941. Questo agli occhi di Stalin, ancora sconvolto dall’enorme errore che fece riponendo ogni fiducia, quasi granitica, nelle parole di Hitler che non lo avrebbe mai attaccato, divenne una accusa imperdonabile per Kiev. Il popolo ucraino reagì quasi spontaneamente ad una politica di oppressione e stermini che i sovietici attuarono non solo in Ucraina, ma in tutta l’Europa orientale sotto il loro controllo. Lotta non solo di classe, ma ideologica e intransigente. I tedeschi, con miopia assoluta, non accolsero nel loro schieramento gli Ucraini, e anche loro misero a ferro e fuoco l’Ucraina, con una politica di spoliazione simile a quella sovietica.

Nel contesto della guerra nacque un movimento di guerriglia ucraino, che prima si rivolse contro i nazisti, ma che aveva radici ideologiche sociali e morali nella opposizione a Mosca. Questa resistenza, come già detto, in una nota precedente durò fino al 1956, ed occorrerà approfondirla.

Nel 2010 e nel 2011 pensavamo che questi aspetti della storia, le oltre 44 deportazioni in massa di popolazioni, tra cui i tedeschi del Volga, i Tartari di Crimea ecc. le stragi, le carestie pianificate,  fossero oggetto di studi e approfondimenti per sapere e contribuire a creare freni per impedire che si ripresentassero. Gli Ucraini, con i loro studiosi, pensavano fossero sulla strada giusta, da condividere. In realtà avevano posto le premesse del loro annientamento, iniziato il 24 febbraio 2022. Questo ci permette anche di capire ogniqualvolta Mosca parla di Ucraini nazisti e nazionalisti, il vero motivo di tale asserzioni: ovvero difesa a tutto tondo di quanto attuato da Stalin in  nome del comunismo e lotta a chi vuole dimostrare versioni diverse da quella ufficiale. Una sorta di difesa memoria del male che con i tempi che stiamo vivendo aggiunge altri capitoli. (continua)

 




[1] Da LIMES, Rivista di Geopolitica, Il Capo Putin, n. 4/ 2022. Pag. 49. “Lettera da Kiev” Costantin Sicov.