APPROFONDIMENTI
Nel giorno
dedicato alla donna riportiamo uno studio elaborato nel 2003 e adattato nel
contesto della preparazione del Dizionario Minimo della Guerra di Liberazione
in ambito CESVAM. Questo anche come attività propedeutica alla Giornat del
Decorato del 2019 in cui si dovrà finalmente prendere in considerazione anche
il Valore Militare al femminile, argomento già base di un progetto CESVAM 2017.
In questo
ambito si inizia a trattare un periodo veramente delicato per via di una
mancata composizione della memoria storica, in cui ancora l e ideologie che
imperavano nella prima metà del novecento,
che hanno mostrato tutti i loro limiti essendo fallite alla prova dei
fatti, ancora sopravvivono in contesto socio-economico
ed internazionale profondamente cambiato.
La Guerra di Liberazione iniziò un processo di
cambiamento e revisione del ruolo della donna nella nostra società. Un processo
ancora oggi in corso ma che è dal 1943, irreversibile, per i contenuti e gli
obbiettivi conseguiti e da conseguire. La partecipazione della donna negli
avvenimenti bellici che vanno dal settembre 1943 all'aprile 1945 diede titolo
alle donne di rivendicare diritti e
nuovi doveri che segnarono una profonda svolta nei rapporti e intrecci tra il
maschile e il femminile. Si conquistò, innanzi tutto il voto che significa il
diritto di cittadinanza, ed ebbe fine la distinzione pubblico-privato, con
l'universo femminile relegato per lo più nella casa ed addetto ai servizi di
cura nella separazione rigida dei ruoli dei due sessi. Ancorchè sulla carta all'indomani
della fine della guerra di Liberazione fu affermata, come prodotto conseguente
di essa, l'uguaglianza nei diritti nel lavoro e nella famiglia, che, attraverso
il cambio Istituzionale, furono raccolti nella Carta Costituzionale, che ancor
oggi rappresenta il frutto più maturo e generale della Guerra di Liberazione.
Negli anni
precedenti il ruolo della donna era relegato alla Donna fatale della cinematografia dei telefoni bianchi divenuto il
mito femminile proposto alla vigila della guerra, mentre la iconografia dei
media riportava le Principesse di casa reale nel sogno della favola del
principe azzurro che mascherava la distanza
tra i ceti sociali che era enorme ancor
più nell'universo femminile
Durante il
ventennio la donna accettò o sembrò accettare la parte delle suddite
soddisfatte o rassegnate, retaggio non contestato delle generazioni precedenti.
Nella sostanza la donna era relegata in casa, custode del focolare, addetta
alla procreazione delle future e generazioni di soldati, sempre in sottordine
rispetto al maschio e sempre in paragone, svalutativo con esso. Peralto è solo
del 1919 la abolizione del cosiddetto “Assenso”, l’Istituto giuridico in cui
era previsto che la donna sia socialmente che economicamente doveva essere
sottomessa alla decisioni del padre, del marito del fratello, dei Cugini
maschi.
Con l'andar
della guerra, una guerra che per la prima volta era totale, che entrava nelle
case e portava morte e distruzione, la donna iniziò a superare il ruolo che gli
era stato assegnato, nel solco e nel ricordo di quando accadde durante la
Grande Guerra, in cui la Donna sostiu’ l’uomo al fronte nei campi e nelle fabbriche..
Quando iniziarono i bombardamenti e si profilò la sconfitta, il disagio, che
era latente nei primi anni di guerra, divenne, nelle masse femminili, mormorio,
contrasto, dissenso, odio nei confronti del regime.
Da questo stato
d'animo, misto anche alla inutilità di tanti sacrifici, nasce l'antefatto per
la partecipazione convinta delle donne alla Guerra di Liberazione: occorreva,
in tanta catastrofe e tragedia, non rimanere a casa, a pensare solo al proprio
particolare, ma impegnarsi a lottare, a combattere, a partecipare. Da qui la
partecipazione in prima fila nella crisi armistiziale, la partecipazione alla
lotta ribellistica al Nord, alla vita politica del Sud, al dramma della
deportazione, ad aiutare prigionieri e perseguitati, alla lotta clandestina, e,
quello che poi non risulterà, a mandare avanti la famiglia nelle difficoltà del
momento.
Con l'invasione
del territorio nazionale da parte di eserciti stranieri, la popolazione
vide scomparire l'autorità stautale e,
contemporaneamente, venne a contatto con la dura realtà della guerra, che prima
era solo appannaggio dell’uomo al fronte, ora era appannaggio di tutti.
L'Armistizio
dell'8 Settembre 1943 diede inizio a questo stato di cose.
Ad una attento
studio delle fonti, sembra emergere il dato che le donne siano le prime acomprendere che la guerra non
è finita con l'Armistizio. La caduta del
regime il 25 luglio 1943 fu accolta come una conquista per porre fine alla
guerra e molte donne, scese nelle strade, si espressero con il grido di
"guerra alla guerra", pensando ad un ritorno alla normalità ed ad una
conquista di maggiori libertà. Corrado Alvaro ricorda una figura quasi
emblematica di giovane madre che a Roma, a Campo dei Fiori, portava in braccio
il suo bambino, all'indomani della caduta del fascismo, per fargli respirare
l'aria della libertà. Con l'annuncio dell'armistizio, invece, non vi è
esultanza. Comprendono tutti subito che la guerra non è finita, e che si andava
incontro a tempi ancora più duri, con una
presenza, quella tedesca, che di ora in ora diventava sempre più
oppressiva. Compresero che i tedeschi, erano
occupatori; libere da obblighi militari e quindi sollevate da ogni "onore
militare", ne tantomeno ingombrate dalla vergogna di un giuramento
tradito, o di una alleanza che mai avevano sottoscritto, le donne diedero
subito una pronta e franca risposta: in ogni parte d'Italia, spontaneamente,
offrirono ai militari sbandati ogni sorta di aiuto e li consigliarono e li
sollecitarono a sottrarsi alla cattura, premessa per una sorte che sicuramente
non poteva che essere atroce. Si assiste, in quel settembre 1943 ad una sorta
di "maternage di massa" Le donne cercano di contrastare la
deportazione dei militari in Germania, che alla fine risulterà di oltre 600.000
unità. Lungo le linee ferroviarie, nelle fermate delle stazioni, rischiando la
vita, prestarono conforto ai deportati. e le testimonianze in questo senso sono
migliaia.
La
Partecipazione della donna alla Guerra di Liberazione è una progressione
dettata dagli avvenimenti. Conclusasi
la crisi armistiziale nel settembre del 1943, con la creazione al nord della Repubblica Sociale Italiana, che
voleva la continuazione della guerra a fianco dei tedeschi e in
contrapposizione al Regno di Vittorio Emanuele III, giudicato traditore, l'Italia
era un campo di battaglia: una conclusione amara, tragica, di un ventennio che
aveva sempre predicato la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti
tra le nazioni. Non solo divisione territoriale, ma anche amministrazione della
cosa pubblica in mano straniera. Al nord subito si palesa la ferocia degli
occupanti tedeschi , con le prime stragi di popolazioni civili, già ampiamente
sperimentate nell'est dell'Europa dal 1941, accomunate all'impegno di sottrarre
alla deportazione in Germania chi ancora non era stato catturato. Le donne nascosero
sbandati, prigionieri alleati, coloro che si sentivano in pericolo prima in
soffitta o in cantina, trovando per loro rifugi sicuri fuori città, in fattorie
abbandonate, in rimesse o capanne, rifornendoli di viveri ed indumenti, poichè
l'inverno era alle porte, medicine ed infine armi, passando di loro iniziativa
dalla spontanea offerta dei primi giorni ad una sorta di collegamento tra
donne, amiche parenti, conoscenti. Si ebbe così una prima forma di
organizzazione, che divenne una prima rete operante allorchè gli sbandati . gli
ex militari, o ex prigionieri o solo avversari dei nazifascisti, iniziarono a
formare le bande: la presenza e l'appoggio delle donne fu là dove i
"banditi" diventarono partigiani, .
Prima della
Guerra di Liberazione le donne non hanno avuto mai il diritto-dovere di
difendere la patria in armi. Con gli eventi del 1943-1945 la donna ha avuto la
possibilità di scegliere, di misurarsi con questa scelta e quindi prendere le
armi, senza cartolina precetto, per
combattere una guerra che avrebbe portato libertà e democrazia paritaria. Una
scelta ardua, che scardina i tradizionali ruoli femminili e pone le donne alla
pari con i loro compagni uomini. Questa scelta, in un quadro storico, ha un
valore simbolico: afferma la volontà di essere cittadine, di partecipare a
pieno titolo alla difesa della patria comune. L'uso delle armi, in quei mesi, è
inteso come desiderio di partecipazione totale di vivere fino in fondo e nelle
condizioni più estreme la scelta di difendere la patria calpestata e di
cacciare l'invasore o l'occupante. L'uso delle armi, nella pratica, si ha nelle formazioni partigiane. Il partigiano
impara a vedere le donne combattenti che fanno i turni di guardia come loro,
che smontano e ripuliscono le armi, che sottostanno alla stessa disciplina e
che partecipano, senza alcuna speciale tutela , agli assalti, agli scontri
armati; pur tuttavia non smettono di considerare come donne le loro compagne
d'armi. Si forma, nella vita partigiana, un etica molto rigida ed austera. Di
fronte alle ragazze partigiane il sesso, nel senso di attività sessuale, è
rimosso severamente, testa uno di quei problemi "maschili" che a quel
tempo le "ragazze serie" ignoravano, o meglio fanno finta da
ignorare, anche nella vita partigiana. Nascono ovviamente simpatie e amori :la
morale partigiana è rigida e conformista
le compagne partigiane si rispettano, e se si amano, si portano se non di
fronte al sindaco, se non di fronte al prete. Nonostante questo, finiti i tempi
eccezionali, era poi difficile persuadere gli altri di tanto rigore, e intorno
alle partigiane che hanno vissuto in mezzo agli uomini o hanno avuto con loro
rapporti continui aleggerà sempre un'atmosfera di sospetto.
Le donne che
vanno in formazione sono poche, ma è un seme gettato. Con questa scelta si
dimostra di essere diversi ma uguali. Ed è questa la grande conquista della
Guerra di Liberazione.
Oltre che sul fronte della Ribellione al Nord la Donna trovò spazio anche in formazioni militari
Il Regno del Sud
Il 13 ottobre
1943 il Regno d'Italia, con a Capo Vittorio Emanuele III, dichiara guerra alla Germania
ed ai suoi alleati.). Nel Forze Armate Italiane l'impiego della donna fu sempre
limitato. Nel 1866 si hanno le "Vivandiere nel Corpo dei Volontari",
nle 1907 vi è la regolamentazione del Corpo Infermiere Volontarie, ausiliario
delle Forze Armate. Fino all'armistizio, la Aeronautica aveva costituito nuclei
femminili addetti alle telecomunicazioni quali centraliniste e telefoniste. si
istituisce
Il Corpo Ausiliario Femminile (CAF)
Il CAF viene
istituito con Decreto legislativo luogotenenziale 25 Giugno 1944 n. 151:
L'arruolamento prevedeva la cittadinanza italiana , con età compresa tra i 21 e
i 50 anni in possesso di u titolo di
studio equivalente all'attuale diploma di scuola media superiore di secondo
grado, coniugate, ma con figlio con età superiore a 12 anni.
La gerarchia
prevedeva una Ispettrice Generale, alcune Vice Ispettrici, Capigruppo e
Gregarie. Le Gregarie erano assimilate moralmente al grado di sottotenente.
Prestavano un
servizio volontario di 12 mesi, con diritto all'alloggio, all'uniforme, al
vitto gratuito, sottoposte al regolamento di disciplina militare. Gli assegni
erano non regolari: era corrisposta una indennità non equivalente a stipendio,
ma per i tempi, molto sostanziosa pari a 2 mila lire se in servizio presso la
zona abituale di residenza, 3 mila lire se fuori sede.
L'uniforme era
di foggia inglese similare a quella
dell'Auxiliary Territorial Service: I distintivi di grado erano portati,
sottoforma di bottoni, sulle controspalline; 4 per la Ispettrice Generale, 3
per le Vice Ispettrici, 2 per le Capo gruppo, 1 per le Gregarie.
Portavano le
stellette sul bavero sopra le mostrine della fanteria ad indicare la loro fonte
di appartenenza, anche se in tema uniformologico le fonti sono contrastanti.
L'impiego era
presso le cosiddette "cantine mobili" o "carrozzoni" come
si definivano i camion attrezzati all'interno con cucine ed altri "servizi
di ristoro". Espletavano anche mansioni nelle foresterie, negli spacci
delle "Case del Soldato", impiegate in biblioteche o negli uffici
Il totale delle
appartenenti al corpo era di circa 400 unità.
Il Servizio Ausiliario Femminile (SAF)
La Repubblica
Sociale Italiana, creata il 23 settembre 1943, organizza il personale
femminile. Con Decreto Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 1
agosto 1944 e nel protocollo 4239 A, viene istituito il S.A.F. Servizio
Ausiliario Femminile. I compiti
previsti, sono: addette ai posti di ristoro, telefoniste, archiviste, impiegate
di concetto, ragioniere, marconiste, medici, farmaciste, infermiere, autiste. L'età
dell'arruolamento è compresa tra i 18 e i 45 anni, inquadrate gerarchicamente
dopo un corso di 45 giorni propedeutico
alle quattro specialità d'impiego previste: servizi militari, ospedalieri,
difesa contraerea, posti di ristoro.
A capo della
gerarchia un generale di brigata. Il primo comandante fu Piera Matteschi
Fondelli.
Risposero alla
chiamato oltre 4000 unità. La creazione del Corpo fu dovuta a necessità
contingenti ed alla osservazione della organizzazione dell'Esercito Tedesco,
che da tempo aveva inglobato nella sua organizzazione personale femminile.
Non si prevedeva per il S.A.F. l'impiego in
combattimento, ne l'uso delle armi, ma sostanzialemente come una attività
logistica di sostegno.
Fonti;
Addis Saba M., Partigiane, Tutte
le Donne della resistenza, Mursia, 1998; Maria Grazia Ravera Baldini, "Il
Corpo di Assistenza Femminile", in "Le Divisioni Ausiliarie nella
Guerra di Liberazione", Atti del Convegno di Studi , Lucca 8-10 Ottobre
1994, Ed. ANCGLIRRFA, Toma, 1999.
Centro Studi e Ricerche sulla
Guerra di Liberazione; "25 luglio -8 settembre 1943 album di una
disfatta", a cura di Mario cervi, Rizzoli, Milano, 1993; Atlante Storico
della Resistenza Italiana, a cura di Luca Baldisserra, Istituto Nazionale per
la storia del Movimento di Liberazione in Italia,Bruno Mondadori, Milano, 2001;
Ministero della Difesa, Stato
Maggiore dell'esercito, Esercito/Giovani -Una svolta nei rapporti tra Forza
Armata e mondo giovanile,a cura di Franco Ferrarotti, Roma, 2001
Nessun commento:
Posta un commento