Dal
peacekeeping al peacebuilding: gestire i conflitti per costruire la pace
Elementi
di diritto internazionale umanitario e disciplina dell’uso della forza
Dott.ssa Roberta La Fortezza.
Nell’ambito
delle attività di peacekeeping,
costituiscono aspetti particolarmente rilevanti due questioni giuridiche di
importanza notevole, che hanno suscitato sovente numerosi dibattiti in dottrina
e in diplomazia. Da un lato, la disciplina dello jus in bello, la branca del diritto internazionale pubblico che si
occupa di disciplinare la condotta delle ostilità e, quindi, i conflitti
armati. Dall’altro, invece, il c.d. jus
contra bellum (o jus ad bellum)
che regola gli aspetti salienti e i casi in cui è possibile, da parte degli
Stati, fare uso lecitamente della forza armata, alla luce del generale divieto
imposto dall’art. 2.4 della Carta delle Nazioni Unite.
Entrambe
le questioni sono intimamente interconnesse, in quanto mentre lo jus ad bellum detta le regole per
l’utilizzo della forza e dunque, generalmente, l’inizio del conflitto armato
(solitamente, ma non necessariamente) internazionale, lo jus in bello mira a limitare, mediante l’ampio corpus normativo pattizio e consuetudinario, l’uso di talune armi
proibite oppure a tutelare chi alle ostilità non partecipa (ad esempio i civili)
oppure non partecipa più (ad esempio i malati o i feriti). Peraltro, entrambi
questi aspetti del diritto internazionale sono legati fortemente anche alla
tematica del peacekeeping in quanto
in ogni caso, specialmente per quanto riguarda le missioni che prevedano un
utilizzo della forza armata, l’azione di forza collettiva generalmente cerca di
seguire le regole dello jus ad bellum (e
dunque sarà presumibilmente autorizzata dal Consiglio di sicurezza, l’unico
organo abilitato – ai sensi della Carta delle Nazioni Unite – ad autorizzare
l’utilizzo della forza da parte di uno Stato o da parte di una coalizione di
Stati).
Inoltre,
è fondamentale analizzare la questione in oggetto alla luce delle sfide
contemporanee che caratterizzano la comunità internazionale e le relazioni
internazionali. Come noto, il diritto internazionale si basa sull’effettività
dei rapporti che intercorrono tra gli Stati e, più in generale, tra i soggetti
del diritto che sono in questo caso non solo gli Stati ma anche le
organizzazioni internazionali, mentre attualmente non sono in genere
riconosciuti quali soggetti del diritto internazionale gli individui, ad
esclusione forse di alcune branche del diritto e di alcuni contesti specifici
(come può essere la tutela dei diritti umani). Le sfide contemporanee,
caratterizzate dalla nascita di nuovi attori che influenzano il contesto
internazionale ma anche di nuovi fenomeni che non erano precedentemente
contemplati e dunque faticano ad essere regolamentati, pongono i corpora normativi in oggetto a volte in difficoltà
e in ritardo, rispetto all’attualità che invece si evolve spesso velocemente. E’
rilevante in tal senso il dibattito che si è sviluppato in dottrina attorno
alla c.d. consuetudine istantanea, che secondo parte della dottrina, proprio
perché l’attualità internazionale si evolve così rapidamente, si formerebbe
qualora, in caso di eventi inaspettati, quasi catartici per la Comunità
internazionale stessa, gli Stati agiscano collettivamente adottando un
comportamento che essi ritengono obbligatorio, dando così luogo ad una
consuetudine che si forma sul momento per via di una percezione collettiva.
Forse
proprio per rispondere alle esigenze dell’attualità internazionale, che ha
visto negli anni ’90 uno dei suoi periodi più bui a causa di una vera e propria
ondata di violenze e di crimini internazionali che ha colpito più di un
continente, si è andata formando l’idea che la Comunità internazionale non possa
restare immobile e impotente di fronte a massicci crimini e violazioni compiuti
sulla popolazione inerme. Il Consiglio di sicurezza, pertanto, a partire dalla
fine del secolo scorso, ha dato il via a una pratica di intervento, mediante
mezzi generalmente pacifici e, solo in alcuni casi precisi, con la possibilità
di utilizzare la forza armata, allo scopo di salvare il maggior numero
possibile di vite umane. Le missioni iniziate in questa ottica, che
generalmente afferiscono alla c.d. seconda generazione del peacekeeping, sono sicuramente molto importanti ma hanno anche
degli aspetti controversi, quali, ad esempio, la sfida che pongono al principio
cardine del diritto internazionale secondo il quale la sovranità degli Stati
non può essere violata da attori esterni.
Il
peacekeeping, infatti, che
inizialmente era un mezzo per assicurare la pace tra due o più parti
(generalmente, tra gli Stati), si è evoluto per fronteggiare l’attualità
internazionale e ampliare la tutela delle popolazioni dalle violenze perpetrate
nei loro confronti. Allo stesso modo, il diritto internazionale umanitario oggi
affronta una serie di sfide che potrebbero in un futuro spingere la comunità
internazionale a rivedere e ad ampliare gli strumenti che disciplinano i
conflitti armati, al fine di ricomprenderne gli aspetti e gli sviluppi più recenti.
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