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L'affondamento
della nave da battaglia austriaca
"Viribus Unitis" entro il
porto di Pola
(notte sul 1° novembre 1918)
Alle 03,30 il motoscafo salpò e si pose ad incrociare sulla rotta
che l'apparecchio Rossetti avrebbe dovuto seguire uscendo dalla base
nemica. Alle 03,55 raggiunto l'estremo nord del percorso verso la
diga, mentre stava per invertire la rotta, rimase impigliato, ed
investito in pieno dal fascio luminoso di Capo Compare ad una
distanza non inferiore ai 200 metri; essendo stata scorta a pochi
metri la boa dell'ostruzione esterna alla diga, si riscontrò che il
"mas" doveva essere stato fermato da qualche elemento di
rete o di cavo; fu necessario, pur sotto il proiettore nemico,
mettere in azione i motori a scoppio. Ciò nonostante a terra non si
ebbe alcun allarme; il proiettore fu spento ed il motoscafo potè
liberarsi facilmente.
Alle 06,00 fu iniziato il ripiegamento; alle 09,50 si compì la
riunione con le altre unità e poscia il ritorno a Venezia.
Naturalmente i due ufficiali penetrati entro Pola, con il loro
apparecchio di distruzione, non avevano potuto riprendere il mare.
L'odissea di questi due valorosi è raccontata dettagliatamente dal
tenente Paolucci; riproduciamo la sua narrazione:
"Alle ore 13 del 31 ottobre, la torpediniera "65 P N"
salpa le ancore da Venezia, diretta a Pola. Sono con noi a bordo il
comandante Costanzo Ciano, l'organizzatore della spedizione, il poeta
Sem Benelli ed altri tre comandanti.
"Il cielo è coperto e fa prevedere la pioggia imminente: il
mare è morto, plumbeo, cupo.
"Quando sento le catene delle ancore ancora stridenti, e l'elica
comincia a girare, comprendo che per l'ingegnere e per me il momento
è solenne; cerco gli occhi dell'ingegnere e li veggo sereni: anch'io
sono sereno.
Raggiunta la rada di Pola, il rapporto prosegue:
"Appena siamo nell'interno ci accorgiamo che due grosse barche a
vapore sono ferme all'imboccatura: sono i tenders di guardia, come ci
erano stati descritti dalle informazioni del Capo di Stato Maggiore e
da una di quelle barche sentiamo il rumore che fa il tiraggio del
vapore.
"Seguiamo nell'interno la stessa via seguita all'esterno lungo
la diga.
"Ci aspettiamo di incontrare da un momento all'altro
un'ostruzione sottile, fatta di travi longitudinali, quale appariva
dalle fotografie degli aviatori: potrebbe anche essere un piccolo
sbarramento d'allarme con fili elettrici sottili, e siamo già
preparati ad evitare tale sorpresa; ma non incontriamo lo
sbarramento. Incontriamo invece un'altra grossa barca all'ancora, un
vecchio veliero forse, con lungo bompresso. Un altro posto di guardia
o un deposito. Lo evitiamo e ci dirigiamo sulle ostruzioni retali che
incontriamo piuttosto presto. Queste ostruzioni retali sono
costituite di un triplice ordine di reti, che corre parallelamente
alla diga, e di un altro triplice ordine traversale che parte dalle
vicinanze di valle Zonchi e si dirige perpendicolarmente alle prime.
Seguendo l'itinerario tracciato dal Comando non dovremmo trovare sul
nostro cammino che le ostruzioni parallele e potremmo evitare le
altre; ma, per quanto la lunga preparazione ed il lungo studio del
luogo ci permettano, ad onta delle oscurità, di individuare con una
relativa facilità la insenatura di Val Maggiore e quella precessiva
di Val Zonchi, non possiamo però seguire fedelmente la traccia
segnata.
"La bussola che l'ingegnere ha con sè non funziona, perchè
piena d'acqua, cosicchè quando, oltrepassate le prime tre ostruzioni
retali con una fatica non lieve, spingendo l'apparecchio a forza di
braccia sulle reti, crediamo di aver oltrepassato finalmente ogni
ostacolo, percorse altre poche decine di metri, ci troviamo sul
fronte altre tre ostruzioni. Per un momento io ho il dubbio che,
perduto l'orientamento, facciamo in senso inverso la via già
percorsa, ma l'ingegnere mostra non avere alcun dubbio e decide di
andare diritto.
"Ma, passata la prima ostruzione, mentre stiamo per raggiungere
la seconda, vediamo a pochi metri da noi un battello attraccato alle
reti stesse, e su quel battello un'ombra, la cui forma non è
chiaramente individuabile. Un uomo su un battello di guardia? Ci
fermiamo, e intanto la corrente che esce forte dal porto ci volta
l'apparecchio e stiamo per arrivare sotto il battello. L'ingegnere
prontamente decide che vada io a nuoto sulla terza ostruzione e che
di là con una corda tiri l'apparecchio per raddrizzarlo; ci
riusciamo ma, mentre stiamo per raggiungere la mèta, la corrente ci
capovolge ancora l'apparecchio. Il momento è critico, data la
presenza del battello, e dell'ombra misteriosa, ma noi centuplichiamo
le nostre forze; l'ingegnere punta ambo i piedi contro le reti e le
spalle contro l'apparecchio, mentre io tento di raddrizzarlo con la
corda, ed infine ci si riesce nuovamente, e, nel momento in cui la
direzione è giusta, l'ingegnere mette in moto e passiamo
trionfalmente anche l'ultima, settima, ostruzione. Sono le tre! E per
le tre, secondo i calcoli fatti, senza contare la difficoltà della
fosforescenza, della corrente contraria, della interruzione della
ostruzione esterna, del numero delle ostruzioni interne superiori al
previsto, per le tre avremmo dovuto attaccare le prime due navi ed
essere già di ritorno al largo, dove i motoscafi con i comandanti ci
attendono.
"Nobili cuori fedeli, nobili cuori generosi che trepidano per
noi, nell'angoscia dell'attesa! Essi vegliano per noi, di fronte al
pericolo, e con noi vegliano sulla grande Patria che dall'altra
sponda aspetta un'altra fronda di alloro per la sua bella corona!
Forse potranno incontrare quel sommergibile che noi abbiamo visto,
forse qualche torpediniera; attaccheranno perchè l'ordine di S. E.
Thaon di Revel è questo: qualunque forza navale nemica si incontri,
di qualsiasi importanza, attaccare. Che gioia essere ufficiali di una
Marina il cui Capo dice: uno contro cento, attaccare!
"L'ingegnere mi fa cenno che vuole parlarmi, mi avvicino e mi
comunica che delle 205 atmosfere di pressione iniziali abbiamo
consumato oltre la metà, non abbiamo quindi che una forza che appena
ci consentirebbe il ritorno, rinunciando all'impresa; decidiamo,
subito e senza indugio di rinunciare invece al ritorno: e poichè
abbiamo ancora tre ore prima che spunti l'alba, decidiamo di andare
avanti per attaccare le grandi unità tipo "Viribus Unitis".
"La disposizione delle navi austriache all'àncora nel porto di
Pola, dall'entrata alla fine del porto, era la seguente: "Radetzky",
"Erzherzog, "Viribus Unitis" (super-dreadnought).
Dirigiamo dunque verso le grandi unità con l'intenzione di
attaccarne due e navighiamo con una certa celerità lungo la fila
delle nevi, tenendoci molto distanti da esse.
"Le "Radetzky" sono completamente oscurate, ma le
"Viribus", che sono molto all'interno, sono illuminate a
luci bianche. Procediamo dunque alquanto celermente sotto la pioggia
che infuria in un vero temporale, misto a grandine, quando mi accorgo
che l'apparecchio affonda; mi avvicino all'ingegnere e lo vedo
disperato con l'acqua sino alla bocca che cerca di tirare
l'apparecchio che va giù inesorabilmente. Mi assicuro che la valvola
di immersione di prua sia chiusa mentre l'ingegnere controlla quella
di poppa, che, in maniera non spiegabile, è aperta. L'ingegnere la
chiude ed apre la valvola di emersione, e vediamo così finalmente
l'apparecchio ritornare verso l'alto. Fra tutti, il momento più
angoscioso da noi attraversato è stato indubbiamente questo.
Riprendiamo il cammino ma ci sembra di non arrivare mai; passano le
tre e mezza, passano le quattro e non ancora siamo all'altezza della
"Viribus" a livello della quale arriviamo solamente alle
ore 4,15. La corrente continua ancora ad uscire. Pensiamo allora di
metterci a monte della corrente, ad un centinaio di metri dalla prua
della "Viribus" e lì fermare l'apparecchio, immergerlo il
più possibile, sommergerci sino al livello della bocca e farsi
trascinare dalla corrente, pianamente fin sotto il bordo. Ma la
corrente ci devia e dobbiamo allontanarci nuovamente e ritentare la
prova. Quando siamo a 20 metri dal centro della "Viribus Unitis"
secondo quanto si è stabilito dal Comando, dovrei andare io a nuoto
ed attaccare la torpedine sotto il bordo, ma l'ingegnere mi ordina di
aspettarlo perchè vuole andare anche lui. Obbedisco, e forse è bene
che egli voglia così, poichè sotto il bordo della "Viribus",
l'ingegnere incontra impreviste difficoltà che supera con mirabile
fermezza e con la sua grande esperienza, fermezza ed esperienza che
io non mi lusingo di avere. Quando l'ingegnere mi lascia sono le
4,50: io debbo aspettarlo pochi metri lontano, incrociando più al
largo. Ma la corrente mi porta via, mi porta lontano, mi trascina fin
dove è ancorata un'altra piccola nave da guera, e mi volta
l'apparecchio; fo sforzi disperati per raddrizzarlo e non ci riesco,
sto per correre il rischio di andare a sbattere contro la nave,
quando penso con la forza della disperazione di tuffarmi sott'acqua
donde potrò fare più resistenza tirando sulla prua con una corda;
dopo cinque minuti di tuffi e di brevi inspirazioni riesco a dare una
direzione conveniente ed allora metto in moto l'apparecchio e dirigo
piano verso la "Viribus". Sono le 5,15. Son passati 25
minuti da che ho lasciato l'ingegnere. Sarà stato sorpreso ed è
prigioneiro sulla "Viribus"? Ma avrei visto qualche lume,
avrei inteso qualche voce, qualche allarme. Nulla! Avrà attaccata la
torpedine e, ritornato, non trovandomi, avrà pensato che io lo abbia
abbandonato? Che si sia inteso male? Sulla nave ammiraglia intanto
suona la sveglia. Veggo uomini che vanno e che vengono sulla coperta.
Veggo la sentinella di guardia che cammina sul barcarizzo nei pressi
del quale l'ingegnere lavora. Io vedo, ma essi non vedono, io sono
all'oscuro, essi sono alla luce. Ma all'orizzonte già si disegna la
prima ed incerta luce dell'alba. La corrente intanto mi capovolge
nuovamente l'apparecchio, mi trascina sotto la piccola nave e devo
ripetere lo sforzo disperato: ci riesco ancora, dirigo sotto la
"Viribus" deciso, se non vedo l'ingegnere, ad andare sotto
il bordo con tuto l'apparecchio. Sono le 5,35. Sto dirigendo contro
il fianco della nave quando vedo una specie di fiasco che galleggia:
è l'ingegnere. Il mio cuore non ha mai avuto una gioia più grande.
Ma comincia ad albeggiare ed il desiderio di correre verso la costa e
darci alla campagna ci fa accelerare la corsa.
"All'improvviso dalla coffa della "Viribus" un
riflettore ci illumina in pieno. Siamo scoperti!
"Grande, terribile, ci appare in quel momento l'onore assunto
verso il Comando; distruggere l'apparecchio ad ogni costo, è un
giuramento. E mentre aspettiamo che una scarica di mitraglia ci
colpisca noi saldiamo il nostro debito di onore; l'ingegnere apre la
valvola di immersione, io attivo la 2° torpedine e dò il moto
all'apparecchio, e questo, camminando e sommergendosi, va in seguito
ad arenarsi in una insenatura, ove, insieme a vecchie navi da
battaglia, si trova il grande transatlantico "Wien" che
affonderà poco tempo dopo della "Viribus".
"Intanto una barca a benzina, una barca che noi già avevamo
venduto, col lume acceso, stazionare sotto il fianco della "Viribus",
si dirige verso di noi che siamo ancora illuminati dal rflettore.
"- Wer da?
"- Offiziere Italienische – risponde io. Ci prendono, ci
portano a bordo. L'ingegnere mentre siamo sulla barca, mi dice
rassegnato, con un sorriso sereno: "addio vita", e saliamo
sul barcarizzo, a pochi metri dal quale sono i due quintali di alto
esplosivo che tra breve manderanno in aria la nave: sono le 5,55.
"Ma appena messo il piede sul ponte della nave ammiraglia, la
coscienza dell'orgoglio e della gloria di morire per la Patria ci
strappano il grido che contemporaneamente erompe dai nostri petti:
"Viva l'Italia".
"Molti marinai si affollanl attorno a noi e ci conducono sotto
la coperta. Sono volti curiosi più che malevoli; non comprendono chi
siamo, come siamo venuti, perchè siamo venuti, ma intanto vediamo
sui berretti di alcuni di loro l'iscrizione "Jugoslavia". E
ci spiegano che da poche ore l'ammiraglio austriaco è andato via,
che tutti i tedeschi e ungheresi, i boemi e gli italiani della
"Viribus" partiranno via nella giornata perchè la flotta è
stata ceduta alla Jugoslavia!
centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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