APPROFONDIMENTI
Massimo Coltrinari
6.Il Quinto Fronte. La prigionia di
guerra.
Il 1945 vede
l’inizio del rimpatrio, in relazione alle esigenze, dei prigioni di guerra
italiani in mano alle potenze ex-nemiche, ovvero in mano alleata. La fine della
guerra fa terminare lo status di prigionieri di guerra e quindi l’obbligo della
potenza cattore di restituire i prigionieri in propria mano. Questo principio
non viene messo in discussione, ma è subordinato alle esigenze di mano d’opera
di ogni singolo stato. Per gli Stati Uniti, il problema non si pone; nel quadro
generale della smobilitazione attuato dopo la resa del Giappone non vi è nessun
interesse a trattenere i prigionieri italiani. Il vero ostacolo sono i mezzi di
trasporto, ovvero le navi, che per questa esigenza scarseggiano. La Gran
Bretagna ha qualche remora a restituire i prigionieri, in quanto sono ben
inseriti nella propria economia di guerra sia in territorio metropolitano che
nell’Impero. Qui si assiste al fenomeno tipico di questo fronte: molti
prigionieri, soprattutto in Sud Africa e in Australia, hanno sperimentato con
interesse il modo di vivere delle democrazie, e, in relazione alla situazione
che li attende in Italia, certamente non eccellente, preferiscono rimanere
oppure, dopo un breve soggiorno alle loro case, optano per ritornare in quei
luoghi che li avevano accolti come prigionieri. La Unione Sovietica restituisce
tutti i prigionieri in suoi possesso, trattenendo con pretesti alcune decine.
Inizia quella roventissima diatriba che si protrarrà per oltre un decennio,
inserita in modo reale nel contesto della guerra fredda, La Francia restituisce
i prigionieri italiani, che come abbiamo visto deteneva illegalmente, in un
contesto di veramente difficile che risente molto del contesto della guerra
combattuta dai francesi degaullisti. Questo fronte esaurisce il ripatrio nella
tarda primavera- estate del 1946, dando inizio a quell’oblio, che si aggiunge,
per il tema della prigionia, a quello della prima guerra mondiale. Permane,
anche se non esternato apertamente il pesante giudizio di Gabriele d’Annunzio nella
nostra coscienza nazionale, che i prigionieri di guerra non sono altro che
“peccatori contro la patria”, Anche nel clima di rinnovamento, libertà e
democrazia il combattente disarmato in mano nemica non è né accettato né
tantomeno ricordato.
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