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domenica 23 agosto 2020

Riflessioni sulla grande guerra. Perchè non attaccammo nel 1914?

APPROFONDIMENTI
 I dilemmi della Grande Guerra



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Se il compito era immenso, le condizioni della nostra lotta non erano meno gravi. Anzitutto l’Italia doveva compiere la propria mobilitazione e cioè richiamare, vestire ed inquadrare i richiamati, requisire i quadrupedi ed i materiali occorrenti per la costituzione dei servizi € trasportare tutta questa massa nella zona d’operazione.
Con le molte unità, già rinforzate c sistemate presso il confine, si era in grado di effettuare un'avanzata per occupare qualche posizione entro breve raggio, ma non si poteva però parlare di operazioni in grande stile prima che i reggimenti fossero raggruppati in grandi unità e prima che fossero disponibili i servizi: occorrevano per queste una ventina di giorni. Analogamente aveva agito la Germania allo scoppio della guerra: le operazioni incominciarono il 18 agosto, oltre quindici giorni dopo la dichiarazione di guerra; unica eccezione il colpo di mano di Liegi, fortezza a breve distanza dal confine, compiuto dalle unità sul piede di pace dei corpi d’armata di frontiera.
Si noti, però, che le ferrovie germaniche — pur facendo le debite proporzioni con l’entità dell’esercito — possedevano una potenzialità ben superiore a quelle italiane, considerato in modo particolare che la linea adriatica era minacciata dalle incursioni della flotta austriaca e che ad est del Tagliamento la potenzialità delle nostre ferrovie si riduceva notevolmente, tanto che fu necessario, durante la guerra, migliorare molto le ferrovie di Udine e di Cervignano impiantando il secondo binario, ampliando stazioni, ecc..
Quindi sino alla seconda metà di giugno vere operazioni di guerra non erano possibili.
I nostri avversari avevano in maggio discusso la possibilità di un’offensiva immediata: per questa, il Falkenhayn riteneva necessario riunire contro di noi 40 divisioni, il che indica quale conto egli facesse del nostro esercito. Ma parve miglior partito ridursi alla stretta difensiva, inviando al confine il minimo di forze necessarie per trattenerci, tenuto conto del terreno favorevole alla difesa. Su 550 chilometri di frontiera, 500 erano di montagna e per la maggior parte alta ed il resto di terreno carsico. Ora, tutta la guerra mondiale sta a provare la difficoltà di ottenere successi in montagna. Nè Falkenhayn, nè Ludendorff e neppure Foch pensarono di agire offensivamente nei modesti Vosgi; i russi nei Carpazi non fecero che logorarsi, e se il Falkenhayn riuscì a sconfiggere i rumeni, lo si deve, per la battaglia di Hermanstadt, al fatto che questi avevano lasciato sguarniti i monti Cibin, sì che l’alpenkorps tedesco potè, senza incontrare resistenza, giungere alle spalle della 1° armata rumena ed intercettarne la linea di rifornimento. Nel novembre 1916 poi il Falkenhayn attaccò nella zona del passo di Szurduck, dove la parte montagnosa più elevata era già nelle mani dei tedeschi e dove le scarse truppe dell’avversario difendevano non la cresta, ma la parte collinosa sottostante. In sostanza l’esercito rumeno, specialmente dopo le gravi perdite del settembre, non aveva forze tali da poter difendere tutto il confine, e perciò si presentava possibile la manovra e la sorpresa, specie da parte di un esercito agguerrito, ben guidato e condotto contro truppe e capi nuovi alla guerra.
La relazione ufficiale austriaca, dopo aver ammesso che queste considerazioni possono avere qualche valore, afferma che: «non si può concordare che l’esercito italiano fosse fin dal principio condannato a guerra di logoramento. Esso non era costretto a ciò neppure quando l’arciduca Eugenio e Boroevic a metà giugno avevano già organizzato una forte fronte difensiva sull’Isonzo. Anche ammesso che la resistenza di quella fronte avversaria non consentisse più l’opportunità per un breve urto, vi erano però indubbiamente in direzione di Tarvis e Villach possibilità di successo, il cui sfruttamento, data la occupazione ancora molto rada, avrebbe potuto produrre la caduta della fronte dell’Isonzo. Napoleone, nel 1797, ha seguito la via che lo condusse rapidamente a Leoben. L’operazione, iniziata da Cadorna in quella direzione nelle prime setti- mane di guerra, mancò fin da principio del necessario slancio: e quanto all’avanzata su Toblac, essa non si sviluppò affatto».
Napoleone è meglio lasciarlo stare, e tanto meno conviene citarlo alla leggera. La marcia su Leoben non fu una lotta ad armi pari, fu l'inseguimento di un esercito vincitore contro un altro ripetutamente battuto: i pochi e rapidi scontri ebbero luogo fra piccole masse che agivano in fondo valle e non possono essere citati come esempio di operazioni montane nelle quali l’avversario occupi valli ed alture. Quale fosse la sua opinione sulla guerra nelle Alpi Napoleone ce lo ha esplicitamente detto: « Le regioni di montagna dipendono dalle sottostanti pianure che le alimentano e non hanno influenza su queste se non in quanto le tengono sotto la portata dei loro cannoni. . .... Una linea di operazione non deve passare per una regione montagnosa: 1°, perchè non vi si può vivere; 2°, perchè vi si trovano ad ogni passo strette che bisognerebbe occupare con fortificazioni; 3°, perchè la marcia vi è difficile e lenta; 4°, perchè colonne di valorosi possono esservi arrestate da pochi contadini cenciosi allontanatisi dall’aratro ed essere vinte e disfatte; 5°, perchè il segreto della guerra di montagna è di non attaccare mai; anche quando si vuole conquistare, bisogna aprirsi il cammino mediante manovre di posizione, che non lasciano altra alternativa all’esercito incaricato della difesa, che di prendere l’iniziativa dell’attacco o di indietreggiare; 6°, infine, perchè una linea di operazione deve anche prestarsi alla ritirata e come si può pensare a ritirarsi a traverso gole, strette, precipizi ? E’ accaduto che grandi eserciti, quando non potevano fare diversamente, hanno attraversato zone di montagne per sboccare in belle pianure e bei paesi. Per giungere in Italia, per esempio, bisogna necessariamente attraversare le Alpi. Ma fare sforzi soprannaturali per attraversare montagne inaccessibili e trovarsi ancora in mezzo a precipizi, a strette, a rocce, senz’altra prospettiva che quella di avere per lungo tempo gli stessi ostacoli da sormontare, le stesse fatiche da sudare; essere preoccupati ad ogni nuova marcia in avanti di lasciarsi dietro tanti passi difficili; essere ogni giorno più in pericolo di morire di fame, e ciò quando si può fare diversamente, è un volersi compiacere delle difficoltà e lottare contro giganti: è un’agire senza buon senso e per di più contro lo spirito dell’arte della guerra ».
Quanti tra coloro che sentenziarono sulla nostra guerra, hanno prima meditato su queste massime dettate dal buon senso del grande maestro della guerra? Il pericolo di morir di fame è passato, ma è ben cresciuto quello di mancare di munizioni.
La relazione austriaca vorrebbe dunque che noi avessimo attaccato su Villach; ma questa era la direzione sperata dal Conrad per contrattaccarci «di sorpresa» allo sbocco delle strette montane. «Ma affinchè tale piano riuscisse — dice il Falkenhayn — era necessario che gli italiani cadessero nella trappola così preparata». Dunque, secondo il Falkenhayn ed il Conrad il più grave errore che avremmo potuto commettere sarebbe stato l’offensiva nella direzione indicata, ora, dalla relazione ufficiale austriaca. Basta pensare che noi avremmo dovuto avanzare su di un’unica rotabile poichè le ferrovie, oltre il confine, sarebbero state interrotte, mentre gli austriaci avevano ben 5 binari indipendenti che affluivano sul tratto Villach-Tarvis; questo al tempo di Napoleone non esisteva, ma si deve convenire che mancava agl’italiani, in questa direzione, il fattore indispensabile della strategia, cioè la possibilità logistica o, per parlare più alla buona, la possibilità di risolvere in condizioni non troppo dissimili dal nemico il problema dei trasporti.

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