APPROFONDIMENTI
I dilemmi della Grande Guerra
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Se il compito era immenso, le
condizioni della nostra lotta non erano meno gravi. Anzitutto l’Italia doveva
compiere la propria mobilitazione e cioè richiamare, vestire ed inquadrare i
richiamati, requisire i quadrupedi ed i materiali occorrenti per la
costituzione dei servizi € trasportare tutta questa massa nella zona
d’operazione.
Con le molte unità, già
rinforzate c sistemate presso il confine, si era in grado di effettuare
un'avanzata per occupare qualche posizione entro breve raggio, ma non si poteva
però parlare di operazioni in grande stile prima che i reggimenti fossero
raggruppati in grandi unità e prima che fossero disponibili i servizi:
occorrevano per queste una ventina di giorni. Analogamente aveva agito la
Germania allo scoppio della guerra: le operazioni incominciarono il 18 agosto,
oltre quindici giorni dopo la dichiarazione di guerra; unica eccezione il colpo
di mano di Liegi, fortezza a breve distanza dal confine, compiuto dalle unità
sul piede di pace dei corpi d’armata di frontiera.
Si noti, però, che le ferrovie
germaniche — pur facendo le debite proporzioni con l’entità dell’esercito —
possedevano una potenzialità ben superiore a quelle italiane, considerato in
modo particolare che la linea adriatica era minacciata dalle incursioni della
flotta austriaca e che ad est del Tagliamento la potenzialità delle nostre
ferrovie si riduceva notevolmente, tanto che fu necessario, durante la guerra,
migliorare molto le ferrovie di Udine e di Cervignano impiantando il secondo
binario, ampliando stazioni, ecc..
Quindi sino alla seconda metà
di giugno vere operazioni di guerra non erano possibili.
I nostri avversari avevano in maggio discusso la
possibilità di un’offensiva immediata: per questa, il Falkenhayn riteneva
necessario riunire contro di noi 40 divisioni, il che indica quale conto egli
facesse del nostro esercito. Ma parve miglior partito ridursi alla stretta
difensiva, inviando al confine il minimo di forze necessarie per trattenerci,
tenuto conto del terreno favorevole alla difesa. Su 550 chilometri di
frontiera, 500 erano di montagna e per la maggior parte alta ed il resto di
terreno carsico. Ora, tutta la guerra mondiale sta a provare la difficoltà di
ottenere successi in montagna. Nè Falkenhayn, nè Ludendorff e neppure Foch
pensarono di agire offensivamente nei modesti Vosgi; i russi nei Carpazi non
fecero che logorarsi, e se il Falkenhayn riuscì a sconfiggere i rumeni, lo si
deve, per la battaglia di Hermanstadt, al fatto che questi avevano lasciato
sguarniti i monti Cibin, sì che l’alpenkorps tedesco potè, senza incontrare
resistenza, giungere alle spalle della 1° armata rumena ed intercettarne la
linea di rifornimento. Nel novembre 1916 poi il Falkenhayn attaccò nella zona
del passo di Szurduck, dove la parte montagnosa più elevata era già nelle mani
dei tedeschi e dove le scarse truppe dell’avversario difendevano non la cresta,
ma la parte collinosa sottostante. In sostanza l’esercito rumeno, specialmente
dopo le gravi perdite del settembre, non aveva forze tali da poter difendere
tutto il confine, e perciò si presentava possibile la manovra e la sorpresa,
specie da parte di un esercito agguerrito, ben guidato e condotto contro truppe
e capi nuovi alla guerra.
La relazione ufficiale
austriaca, dopo aver ammesso che queste considerazioni possono avere qualche
valore, afferma che: «non si può concordare che l’esercito italiano fosse fin
dal principio condannato a guerra di logoramento. Esso non era costretto a ciò
neppure quando l’arciduca Eugenio e Boroevic a metà giugno avevano già
organizzato una forte fronte difensiva sull’Isonzo. Anche ammesso che la
resistenza di quella fronte avversaria non consentisse più l’opportunità per un
breve urto, vi erano però indubbiamente in direzione di Tarvis e Villach
possibilità di successo, il cui sfruttamento, data la occupazione ancora molto rada, avrebbe potuto produrre la caduta della fronte
dell’Isonzo. Napoleone, nel 1797, ha seguito la via che lo condusse rapidamente
a Leoben. L’operazione, iniziata da Cadorna in quella direzione nelle prime
setti- mane di guerra, mancò fin da principio del necessario slancio: e quanto
all’avanzata su Toblac, essa non si sviluppò affatto».
Napoleone è meglio lasciarlo
stare, e tanto meno conviene citarlo alla leggera. La marcia su Leoben non fu
una lotta ad armi pari, fu l'inseguimento di un esercito vincitore contro un
altro ripetutamente battuto: i pochi e rapidi scontri ebbero luogo fra piccole
masse che agivano in fondo valle e non possono essere citati come esempio di
operazioni montane nelle quali l’avversario occupi valli ed alture. Quale fosse
la sua opinione sulla guerra nelle Alpi Napoleone ce lo ha esplicitamente
detto: « Le regioni di montagna dipendono dalle sottostanti pianure che le
alimentano e non hanno influenza su queste se non in quanto le tengono sotto la
portata dei loro cannoni. . .... Una linea di operazione non deve passare per
una regione montagnosa: 1°, perchè non vi si può vivere; 2°, perchè vi si
trovano ad ogni passo strette che bisognerebbe occupare con fortificazioni; 3°,
perchè la marcia vi è difficile e lenta; 4°, perchè colonne di valorosi possono
esservi arrestate da pochi contadini cenciosi allontanatisi dall’aratro ed
essere vinte e disfatte; 5°, perchè il segreto della guerra di montagna è di
non attaccare mai; anche quando si vuole conquistare, bisogna aprirsi il
cammino mediante manovre di posizione, che non lasciano altra alternativa
all’esercito incaricato della difesa, che di prendere l’iniziativa dell’attacco
o di indietreggiare; 6°, infine, perchè una linea di operazione deve anche
prestarsi alla ritirata e come si può pensare a ritirarsi a traverso gole,
strette, precipizi ? E’ accaduto che grandi eserciti, quando non potevano fare
diversamente, hanno attraversato zone di montagne per sboccare in belle pianure
e bei paesi. Per giungere in Italia, per esempio, bisogna necessariamente
attraversare le Alpi. Ma fare sforzi soprannaturali per attraversare montagne
inaccessibili e trovarsi ancora in mezzo a precipizi, a strette, a rocce,
senz’altra prospettiva che quella di avere per lungo tempo gli stessi ostacoli
da sormontare, le stesse fatiche da sudare; essere preoccupati ad ogni nuova
marcia in avanti di lasciarsi dietro tanti passi difficili; essere ogni giorno
più in pericolo di morire di fame, e ciò quando si può fare diversamente, è un
volersi compiacere delle difficoltà e lottare contro giganti: è un’agire senza
buon senso e per di più contro lo spirito dell’arte della guerra ».
Quanti tra coloro che
sentenziarono sulla nostra guerra, hanno prima meditato su queste massime
dettate dal buon senso del grande maestro della guerra? Il pericolo di morir di
fame è passato, ma è ben cresciuto quello di mancare di munizioni.
La relazione austriaca
vorrebbe dunque che noi avessimo attaccato su Villach; ma questa era la
direzione sperata dal Conrad per contrattaccarci «di sorpresa» allo sbocco
delle strette montane. «Ma affinchè tale piano riuscisse — dice il Falkenhayn —
era necessario che gli italiani cadessero nella trappola così preparata».
Dunque, secondo il Falkenhayn ed il Conrad il più grave errore che avremmo
potuto commettere sarebbe stato l’offensiva nella direzione indicata, ora,
dalla relazione ufficiale austriaca. Basta pensare che noi avremmo dovuto
avanzare su di un’unica rotabile poichè le ferrovie, oltre il confine,
sarebbero state interrotte, mentre gli austriaci avevano ben 5 binari
indipendenti che affluivano sul tratto Villach-Tarvis; questo al tempo di
Napoleone non esisteva, ma si deve convenire che mancava agl’italiani, in
questa direzione, il fattore indispensabile della strategia, cioè la
possibilità logistica o, per parlare più alla buona, la possibilità di risolvere
in condizioni non troppo dissimili dal nemico il problema dei trasporti.
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