APPROFONDIMENTI
DI ALESSIA BIASIOLO
Premessa
Continuando
la disamina dell’importanza del fumo durante una guerra o come fonte di
guadagno per i governi che dovevano utilizzare i gettiti d’imposta per
sovvenzionare le azioni militari, prendiamo in esame delle guerre generate dal
vizio del fumo. Le guerre dell’oppio. Causa dell’ingresso della Cina nel mondo
moderno, dopo un lungo periodo di resistenza ad ogni ingerenza straniera, le
guerre dell’oppio generarono un cambiamento epocale negli equilibri mondiali.
L’oppio medicinale e ludico
Comparso in Cina nel XV
secolo, durante la dinastia Ming, l’oppio arrivava dall’India e dal Sud-Est
asiatico. Venne immediatamente inserito nei medicamenti della medicina tradizionale
cinese, con un uso molto limitato perché l’oppio era molto difficile da
ottenere e, quindi, molto prezioso e costoso. Trascorsi circa duecento anni, in
alcune zone della Cina l’oppio cominciò ad essere usato a scopo ludico,
soprattutto a seguito dell’introduzione del tabacco e del madak dall’isola di
Giava, misture o foglie che si fumavano. La diffusione dell’uso di queste
sostanze divenne rapidamente un problema: di per sé, l’uso dell’oppio non era
pericoloso, ma comportava spesso un commercio illegale con pagamento della
sostanza in argento. Ciò aveva come conseguenza ingenti uscite economiche dalla
Cina, soprattutto quando la moda arrivò all’isola di Taiwan, alle province di
Fujian e Guangdong. Il prezzo dell’argento aumentò rapidamente rispetto al
prezzo del rame, di cui erano fatte le monete usate dalla gente comune per gli
acquisti: il problema, preso in esame soprattutto dall’imperatore Yongzheng,
era di massima urgenza, perché il popolo pagava le tasse in argento, quindi
l’aumento del valore dello stesso poteva portare dissesti nell’economia
generale del Paese. La crisi del mondo delle campagne, in modo particolare,
quello che vedeva la maggior parte dei popolani impiegati, divenne
immediatamente scottante. Il primo editto imperiale di divieto dell’uso
dell’oppio fu del 1729, ma la droga entrava lo stesso illegalmente in Cina,
proveniente dal Bengala e giungendo alle coste cinesi attraverso la colonia
portoghese di Macao, in territorio cinese. Da Macao, l’oppio arrivava al grande
porto di Canton da cui poteva partire in ogni direzione. Le navi venivano
raramente controllate, pertanto il transito dell’oppio era costante, pur se non
di grande quantità.
La Compagnia delle Indie orientali e il cambiamento
La situazione di equilibrio
che si era creata in Cina, mutò quando la britannica Compagnia delle Indie
orientali, al collasso economico dopo la dispendiosa conquista del Bengala e le
guerre combattute contro la Francia per il controllo dell’India, partecipò alle
mire britanniche di ridurre il divario commerciale tra Gran Bretagna e Cina.
Infatti, l’altissima richiesta di tè da parte inglese, faceva sì che la
bilancia commerciale fosse tutta a favore della Cina, notoriamente la
produttrice di tè migliore e forte esportatore. La Cina continuava a non
aprirsi al commercio e questo non agevolava le attività economiche, con
continue pressioni sull’imperatore cinese da parte dell’ambasciata britannica e
non solo. In questo quadro, l’oppio cominciò ad avere una rilevanza notevole,
perché la Compagnia della Indie orientali ne controllava la produzione
bengalese con un monopolio, ma di fatto era semplice per altri mercanti europei
aggirare i controlli e procurarsi in Bengala l’oppio da vendere alla Cina,
impedendo quindi i guadagni che divenivano sempre più necessari per non
ricorrere sempre ai prestiti della corona britannica per la sopravvivenza della
Compagnia stessa. A quel punto, nel 1834, la vendita dell’oppio venne
liberalizzata e questo comportò un afflusso imponente della sostanza nel
mercato cinese. Questo fatto comportò delle enormi perdite economiche da parte
dell’impero cinese: le ingenti riserve di argento detenute dalla corona
andavano sempre più scemando, perché indirizzate in misura sempre maggiore all’acquisto
di oppio. A questo si univa il contrabbando fortissimo, la corruzione politica
e doganale, un sistema volto a pensare al singolo più che al bene collettivo,
tanto da mettere in seria difficoltà l’impero stesso. Il governo cinese
indirizzò una lettera alla regina Vittoria per chiedere che venisse proibito il
commercio da parte britannica di una sostanza tanto pericolosa per la salute e
motivo di tanta corruzione morale, ma non ci furono risposte. Pertanto la
risposta imperiale cinese fu a pugno di ferro: venne confiscato un quantitativo
ingentissimo di oppio, oltre ventimila casse, ai rappresentanti commerciali
inglesi e fu dato alle fiamme, il 3 giugno 1839; molti funzionari vennero
arrestati e le delegazioni delle compagnie estere vennero messe sotto assedio.
A questo si affianca la mancata volontà britannica di fare rispettare le
regole, per cercare di forzare all’apertura dei mercati quel gigante economico
sordo alle richieste internazionali. Ne conseguirono una serie di prese di
posizioni di forza da entrambe le parti, inglesi e cinesi, fino a quando non si
arrivò alla prima vera e propria battaglia.
La prima guerra dell’oppio
Lo scontro tra inglesi e
cinesi avvenne in mare, tra due fregate britanniche e quattordici giunche
cinesi. Dimostrata la superiorità tecnico-militare, gli inglesi si ritirarono,
ma il primo ottobre 1839 il parlamento inglese decise di inviare una spedizione
militare in Cina, mentre i diplomatici cercavano un accordo che verteva, di
nuovo, all’apertura commerciale della Cina per alcune compagnie straniere, in
modo particolare chiedendo scali commerciali a Canton, Xiamen, Shanghai e
Ningbo. La flotta inglese giunse in Cina nel giugno del 1840, composta da
19mila soldati e una quarantina di navi, compresa la prima fregata in ferro a
vapore della storia, la “Nemesis”. Obiettivo principale fu la fortezza cinese
dell’isola Zhoushan, alla foce del Fiume Azzurro, che si arrese nel giro di
pochi giorni. Quindi, sempre senza che le proposte di tregua venissero
accettate dall’imperatore Daoguang, della dinastia Qing, dopo tre mesi di
combattimenti la Cina chiese il primo cessate il fuoco nel maggio 1841. La
guerra continuò fino a quando l’impero britannico non minacciò seriamente
Nanchino: a quel punto si arrivò a stipulare il Trattato di Nanchino del 29
agosto 1842, grazie al quale la Cina fu costretta ad aprire i suoi porti
commerciali al commercio straniero, con il controllo totale inglese dell’isola di
Hong Kong in cambio dell’isola di Zhoushan. Il porto di Hong Kong era
strategico per le rotte commerciali, per quel motivo gli inglesi vollero
metterci le mani sopra, pur se l’isola di per sé non aveva ricchezze tali da
giustificarne il possesso.
Le conseguenze della prima guerra dell’oppio
Finalmente riusciti a
mettere le proprie navi nei porti commerciali cinesi, gli inglesi non si resero
subito conto della profonda trasformazione che la loro azione ebbe sugli equilibri
socio-politici dell’impero. Altre potenze cominciarono a guardare al potente
Paese come ad un possibile scenario di conquiste coloniali, oltre al fatto che
la situazione mutata portò alla rivolta contadina nel giro di pochi anni, di
fatto divenuta una vera e propria guerra civile. I contadini dei Taiping,
ribellatisi all’impero centrale a partire dal 1851, diedero vita ad un regno
con capitale “celeste” a Nanchino, capitanati da Hong Xiuquan, autoproclamatosi
fratello minore di Gesù e re celeste. Nel suo predicare una religione
monoteista, egli andava contro l’uso dell’oppio e la conseguente azione che di
lì a poco portò ad un secondo conflitto, rimettendo al centro l’impero cinese e
la moralità della vita. Nel 1853 i Taiping iniziarono una riforma agraria che
prevedesse la distribuzione delle terre per nucleo familiare, iniziando una
vita comunitaria in cui tutto fosse di tutti e dove il commercio venne abolito.
La guerra civile che ne conseguì, portò i seguaci di Xiuquan a voler
conquistare Pechino nel 1855, ma vennero fermati; intanto molte persone non
concordavano con tutte le nuove regole, pertanto la situazione divenne sempre
più complessa, fino a quando le truppe imperiali sconfissero i ribelli nel
1864, alla fine della seconda guerra dell’oppio.
La seconda guerra dell’oppio
Nel 1856, il commissario
imperiale Yeh Ming-ch’en era ancora impegnato a stroncare il traffico d’oppio.
Fece requisire la nave britannica “Arrow”, mettendo l’equipaggio agli arresti,
e causando la reazione del governatore britannico di Hong Kong che chiese l’intervento
della flotta inglese. L’ammiraglio Seymour che la comandava fece bombardare le
fortezze di protezione di Canton e la città stessa, dove scoppiò una rivolta
soprattutto contro gli stranieri. Assassinato un missionario francese, anche la
Francia appoggiò gli inglesi e insieme chiesero ai cinesi ulteriori
concessioni, come la liberalizzazione del redditizio commercio dell’oppio, il
libero accesso alla Cina ai mercanti britannici e l’abolizione delle tasse per
l’importazione dei prodotti stranieri. Il governo imperiale fu incapace di
contenere tutte quelle mire, dovendo anche fronteggiare le ribellioni interne,
così fu costretto a firmare i Trattati di Tientsin del 1858 e il Trattato di
Pechino del 1860 che, oltre a garantire ulteriori prerogative agli inglesi,
permetteva di stabilire ambasciate diplomatiche straniere a Pechino stessa.
La fine del commercio di oppio
La Cina cominciò a produrre
oppio nella provincia di Yunnan, pertanto le importazioni della sostanza dall’India
britannica finirono nel 1890.
L’oppio, infatti, si ottiene
dalla linfa di una particolare specie di papavero che poteva essere piantato
anche in quella provincia della Cina. Dopo circa tre mesi di abbondante
irrigazione, i papaveri si gonfiavano lasciando cadere i petali; incidendo la
capsula gonfia della pianta, si poteva raccogliere la linfa che veniva lasciata
all’aria per circa un mese prima di inviarla alle fabbriche che provvedevano a
pressarla e a darle una forma in panetti, coperti poi dai petali del papavero,
lasciati essiccare vigilati da bambini fino al momento del carico sulle navi da
trasporto. Il commercio interno dell’oppio ne rese più semplice l’acquisto ai
consumatori dell’impero.
Conclusioni
L’oppio divenne il pretesto
per costringere il potente impero cinese ad aprire i suoi mercati, perché le
potenze straniere, soprattutto europee, avevano urgente bisogno di potenziare i
loro mercati per cercare di mantenere un sistema economico che non funzionava
così splendidamente come i più avevano sperato.
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