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lunedì 20 luglio 2020

Fumo di Guerra

APPROFONDIMENTI


DI ALESSIA BIASIOLO

Premessa
Continuando la disamina dell’importanza del fumo durante una guerra o come fonte di guadagno per i governi che dovevano utilizzare i gettiti d’imposta per sovvenzionare le azioni militari, prendiamo in esame delle guerre generate dal vizio del fumo. Le guerre dell’oppio. Causa dell’ingresso della Cina nel mondo moderno, dopo un lungo periodo di resistenza ad ogni ingerenza straniera, le guerre dell’oppio generarono un cambiamento epocale negli equilibri mondiali.

L’oppio medicinale e ludico
Comparso in Cina nel XV secolo, durante la dinastia Ming, l’oppio arrivava dall’India e dal Sud-Est asiatico. Venne immediatamente inserito nei medicamenti della medicina tradizionale cinese, con un uso molto limitato perché l’oppio era molto difficile da ottenere e, quindi, molto prezioso e costoso. Trascorsi circa duecento anni, in alcune zone della Cina l’oppio cominciò ad essere usato a scopo ludico, soprattutto a seguito dell’introduzione del tabacco e del madak dall’isola di Giava, misture o foglie che si fumavano. La diffusione dell’uso di queste sostanze divenne rapidamente un problema: di per sé, l’uso dell’oppio non era pericoloso, ma comportava spesso un commercio illegale con pagamento della sostanza in argento. Ciò aveva come conseguenza ingenti uscite economiche dalla Cina, soprattutto quando la moda arrivò all’isola di Taiwan, alle province di Fujian e Guangdong. Il prezzo dell’argento aumentò rapidamente rispetto al prezzo del rame, di cui erano fatte le monete usate dalla gente comune per gli acquisti: il problema, preso in esame soprattutto dall’imperatore Yongzheng, era di massima urgenza, perché il popolo pagava le tasse in argento, quindi l’aumento del valore dello stesso poteva portare dissesti nell’economia generale del Paese. La crisi del mondo delle campagne, in modo particolare, quello che vedeva la maggior parte dei popolani impiegati, divenne immediatamente scottante. Il primo editto imperiale di divieto dell’uso dell’oppio fu del 1729, ma la droga entrava lo stesso illegalmente in Cina, proveniente dal Bengala e giungendo alle coste cinesi attraverso la colonia portoghese di Macao, in territorio cinese. Da Macao, l’oppio arrivava al grande porto di Canton da cui poteva partire in ogni direzione. Le navi venivano raramente controllate, pertanto il transito dell’oppio era costante, pur se non di grande quantità.

La Compagnia delle Indie orientali e il cambiamento
La situazione di equilibrio che si era creata in Cina, mutò quando la britannica Compagnia delle Indie orientali, al collasso economico dopo la dispendiosa conquista del Bengala e le guerre combattute contro la Francia per il controllo dell’India, partecipò alle mire britanniche di ridurre il divario commerciale tra Gran Bretagna e Cina. Infatti, l’altissima richiesta di tè da parte inglese, faceva sì che la bilancia commerciale fosse tutta a favore della Cina, notoriamente la produttrice di tè migliore e forte esportatore. La Cina continuava a non aprirsi al commercio e questo non agevolava le attività economiche, con continue pressioni sull’imperatore cinese da parte dell’ambasciata britannica e non solo. In questo quadro, l’oppio cominciò ad avere una rilevanza notevole, perché la Compagnia della Indie orientali ne controllava la produzione bengalese con un monopolio, ma di fatto era semplice per altri mercanti europei aggirare i controlli e procurarsi in Bengala l’oppio da vendere alla Cina, impedendo quindi i guadagni che divenivano sempre più necessari per non ricorrere sempre ai prestiti della corona britannica per la sopravvivenza della Compagnia stessa. A quel punto, nel 1834, la vendita dell’oppio venne liberalizzata e questo comportò un afflusso imponente della sostanza nel mercato cinese. Questo fatto comportò delle enormi perdite economiche da parte dell’impero cinese: le ingenti riserve di argento detenute dalla corona andavano sempre più scemando, perché indirizzate in misura sempre maggiore all’acquisto di oppio. A questo si univa il contrabbando fortissimo, la corruzione politica e doganale, un sistema volto a pensare al singolo più che al bene collettivo, tanto da mettere in seria difficoltà l’impero stesso. Il governo cinese indirizzò una lettera alla regina Vittoria per chiedere che venisse proibito il commercio da parte britannica di una sostanza tanto pericolosa per la salute e motivo di tanta corruzione morale, ma non ci furono risposte. Pertanto la risposta imperiale cinese fu a pugno di ferro: venne confiscato un quantitativo ingentissimo di oppio, oltre ventimila casse, ai rappresentanti commerciali inglesi e fu dato alle fiamme, il 3 giugno 1839; molti funzionari vennero arrestati e le delegazioni delle compagnie estere vennero messe sotto assedio. A questo si affianca la mancata volontà britannica di fare rispettare le regole, per cercare di forzare all’apertura dei mercati quel gigante economico sordo alle richieste internazionali. Ne conseguirono una serie di prese di posizioni di forza da entrambe le parti, inglesi e cinesi, fino a quando non si arrivò alla prima vera e propria battaglia.

La prima guerra dell’oppio
Lo scontro tra inglesi e cinesi avvenne in mare, tra due fregate britanniche e quattordici giunche cinesi. Dimostrata la superiorità tecnico-militare, gli inglesi si ritirarono, ma il primo ottobre 1839 il parlamento inglese decise di inviare una spedizione militare in Cina, mentre i diplomatici cercavano un accordo che verteva, di nuovo, all’apertura commerciale della Cina per alcune compagnie straniere, in modo particolare chiedendo scali commerciali a Canton, Xiamen, Shanghai e Ningbo. La flotta inglese giunse in Cina nel giugno del 1840, composta da 19mila soldati e una quarantina di navi, compresa la prima fregata in ferro a vapore della storia, la “Nemesis”. Obiettivo principale fu la fortezza cinese dell’isola Zhoushan, alla foce del Fiume Azzurro, che si arrese nel giro di pochi giorni. Quindi, sempre senza che le proposte di tregua venissero accettate dall’imperatore Daoguang, della dinastia Qing, dopo tre mesi di combattimenti la Cina chiese il primo cessate il fuoco nel maggio 1841. La guerra continuò fino a quando l’impero britannico non minacciò seriamente Nanchino: a quel punto si arrivò a stipulare il Trattato di Nanchino del 29 agosto 1842, grazie al quale la Cina fu costretta ad aprire i suoi porti commerciali al commercio straniero, con il controllo totale inglese dell’isola di Hong Kong in cambio dell’isola di Zhoushan. Il porto di Hong Kong era strategico per le rotte commerciali, per quel motivo gli inglesi vollero metterci le mani sopra, pur se l’isola di per sé non aveva ricchezze tali da giustificarne il possesso.

Le conseguenze della prima guerra dell’oppio
Finalmente riusciti a mettere le proprie navi nei porti commerciali cinesi, gli inglesi non si resero subito conto della profonda trasformazione che la loro azione ebbe sugli equilibri socio-politici dell’impero. Altre potenze cominciarono a guardare al potente Paese come ad un possibile scenario di conquiste coloniali, oltre al fatto che la situazione mutata portò alla rivolta contadina nel giro di pochi anni, di fatto divenuta una vera e propria guerra civile. I contadini dei Taiping, ribellatisi all’impero centrale a partire dal 1851, diedero vita ad un regno con capitale “celeste” a Nanchino, capitanati da Hong Xiuquan, autoproclamatosi fratello minore di Gesù e re celeste. Nel suo predicare una religione monoteista, egli andava contro l’uso dell’oppio e la conseguente azione che di lì a poco portò ad un secondo conflitto, rimettendo al centro l’impero cinese e la moralità della vita. Nel 1853 i Taiping iniziarono una riforma agraria che prevedesse la distribuzione delle terre per nucleo familiare, iniziando una vita comunitaria in cui tutto fosse di tutti e dove il commercio venne abolito. La guerra civile che ne conseguì, portò i seguaci di Xiuquan a voler conquistare Pechino nel 1855, ma vennero fermati; intanto molte persone non concordavano con tutte le nuove regole, pertanto la situazione divenne sempre più complessa, fino a quando le truppe imperiali sconfissero i ribelli nel 1864, alla fine della seconda guerra dell’oppio.

La seconda guerra dell’oppio
Nel 1856, il commissario imperiale Yeh Ming-ch’en era ancora impegnato a stroncare il traffico d’oppio. Fece requisire la nave britannica “Arrow”, mettendo l’equipaggio agli arresti, e causando la reazione del governatore britannico di Hong Kong che chiese l’intervento della flotta inglese. L’ammiraglio Seymour che la comandava fece bombardare le fortezze di protezione di Canton e la città stessa, dove scoppiò una rivolta soprattutto contro gli stranieri. Assassinato un missionario francese, anche la Francia appoggiò gli inglesi e insieme chiesero ai cinesi ulteriori concessioni, come la liberalizzazione del redditizio commercio dell’oppio, il libero accesso alla Cina ai mercanti britannici e l’abolizione delle tasse per l’importazione dei prodotti stranieri. Il governo imperiale fu incapace di contenere tutte quelle mire, dovendo anche fronteggiare le ribellioni interne, così fu costretto a firmare i Trattati di Tientsin del 1858 e il Trattato di Pechino del 1860 che, oltre a garantire ulteriori prerogative agli inglesi, permetteva di stabilire ambasciate diplomatiche straniere a Pechino stessa.

La fine del commercio di oppio
La Cina cominciò a produrre oppio nella provincia di Yunnan, pertanto le importazioni della sostanza dall’India britannica finirono nel 1890.
L’oppio, infatti, si ottiene dalla linfa di una particolare specie di papavero che poteva essere piantato anche in quella provincia della Cina. Dopo circa tre mesi di abbondante irrigazione, i papaveri si gonfiavano lasciando cadere i petali; incidendo la capsula gonfia della pianta, si poteva raccogliere la linfa che veniva lasciata all’aria per circa un mese prima di inviarla alle fabbriche che provvedevano a pressarla e a darle una forma in panetti, coperti poi dai petali del papavero, lasciati essiccare vigilati da bambini fino al momento del carico sulle navi da trasporto. Il commercio interno dell’oppio ne rese più semplice l’acquisto ai consumatori dell’impero.

Conclusioni
L’oppio divenne il pretesto per costringere il potente impero cinese ad aprire i suoi mercati, perché le potenze straniere, soprattutto europee, avevano urgente bisogno di potenziare i loro mercati per cercare di mantenere un sistema economico che non funzionava così splendidamente come i più avevano sperato.









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